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Autore: Sandra Prensky    18/09/2017    1 recensioni
ATTENZIONE: Non è una traduzione del libro "Black Widow: Forever Red". Avendolo letto, mi sembrava che ci fosse troppo poca attenzione su Natasha, e allora ho deciso di riscriverlo con tutta un'altra trama.
Natalia Alianovna Romanova, Natasha Romanoff, Vedova Nera. Molti sono i nomi con cui è conosciuta, molte sono le storie che girano su di lei. La verità, però, è una questione di circostanze. Solo Natasha sa cosa sia successo veramente nel suo passato ed è ciò da cui sta cercando di scappare da anni. Quando sembra finalmente essersi lasciata alle spalle tutto, ecco che scopre che la Stanza Rossa, il luogo dove l'hanno trasformata in una vera e propria macchina da guerra, esiste ancora. Solo lei, l'unica Vedova Nera traditrice rimasta in vita, può impedire che gli abomini che ha visto da bambina accadano di nuovo. Per farlo, però, dovrà immergersi nuovamente nel passato che ha tanto faticato a tenere a fondo, e sarà ancora più doloroso di una volta: tutta la vita che si è costruita allo SHIELD, tutte le persone a cui tiene sono bersagli. Natasha si ritroverà di nuovo a dover salvare il mondo, affrontando vecchi e nuovi nemici e soprattutto se stessa.
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Natasha Romanoff/Vedova Nera
Note: Movieverse, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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XIX.

 

The truth is a matter of circumstances.

It's not all things

to all people

all the time.

(Natasha Romanoff – Captain America: The Winter Soldier)

 

 

Volzhsky, Russia

48°20’N 44°30’E

Friday, 18th December 2015

4.39pm

 

Natasha prese un altro sorso di birra. Si era ritrovata con un bel rompicapo tra le mani. Facendo attenzione a non pestare nessuna delle schede che le aveva dato Bucky, disposte sul pavimento della camera del piccolo motel di Volzhsky, poco fuori a Volgrograd, si avvicinò alla piccola tavola al centro della stanza. Vi salì per avere una visuale migliore del disegno che avrebbero dovuto comporre le schede nere. Ancora una volta niente, come d’altronde l’aveva già avvertita il Soldato d’Inverno. Sospirò, ed estrasse il cellulare dalla tasca dei jeans. Mettendosi in punta di piedi, scattò una foto dell’insieme e scese dal tavolo con un balzo. Se non era un disegno, ipotizzò, poteva trattarsi di una mappa. Magari tutti i buchi corrispondevano a luoghi geografici. Magari sarebbe riuscita a scoprire dove si trovasse la nuova Stanza. O magari si sarebbe trovata di fronte all’ennesimo vicolo cieco. Collegò il telefono al computer, e lasciò che i programmi dello SHIELD eseguissero controlli incrociati di ogni possibile pattern delle schede con le cartine di Paesi, città, persino metropolitane ed edifici. Ringraziò mentalmente l’agente Fitz della squadra di Coulson per aver perfezionato il programma e averle risparmiato ore e ore di ricerche a vuoto.

Fortunatamente lo SHIELD non l’aveva ancora tagliata fuori dai sistemi operativi negandole l’accesso... Una dimenticanza esagerata, un errore troppo grossolano per essere casuale. Doveva ancora avere amici al Triskelion, dopotutto, anche se non avrebbe saputo dire chi. Maria? Coulson? Dubitava fortemente si trattasse di Fury e tantomeno di Clint. Probabilmente era May.

Sbadigliò. Il programma prevedeva un paio d’ore alla fine della ricerca. Si strinse nella felpa dello SHIELD e si avvicinò alla sgangherata finestra per guardare fuori. La strada, tre piani più in basso, era vuota e coperta da una coltre bianca. Tutto era immobile, a eccezione delle luci natalizie appese su ogni casa e negozio. Quasi le venne da sorridere. Presa com’era dalle sue indagini continuava a dimenticarsi che il Natale era alle porte. Non che lei l’avesse mai celebrato in grande stile, ovviamente, ma negli ultimi anni si era assuefatta al clima che pervadeva New York in quel periodo. Le decorazioni ovunque, i gruppi che intonavano carole, il gigantesco albero e la pista di pattinaggio al Rockfeller Center, i pupazzi di neve a Central Park. Persino allo SHIELD capitava spesso che si organizzassero cene di Natale tra agenti e colleghi, e anche se Clint doveva spesso pregarla per ore per dissuaderla ad andare con lui, alla fine risultavano gradevoli.

Durante gli ultimi anni, poi, Stark aveva organizzato delle feste alla base degli Avengers. Non erano niente male ed erano sempre piuttosto intime; evento raro per Stark, in genere propenso per il “più siamo, meglio è”. Natasha partecipava quasi volentieri, anche se non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura. La musica era piacevole e non mancava mai qualcosa da bere. Si parlava sempre del più e del meno, quasi ci si dimenticava del peso e del prezzo di essere degli Avengers. Quelle sere erano solo amici che si ritrovavano per festeggiare. Tutti gli anni poi, puntualmente, a un certo punto della serata raggiungevano tutti un tasso alcolemico abbastanza elevato da decidere di tentare di sollevare il martello di Thor. “Vediamo chi è sulla lista dei buoni di Odino questo Natale”, esordiva Tony ogni volta. Natasha e Steve, forzatamente sobri, si divertivano a osservarli lottare contro Mijolnir con un’ostinazione che sfociava nel ridicolo. A un certo punto, e dopo numerose preghiere, Steve si lasciava convincere a fare un tentativo e ogni anno riusciva a spostarlo di qualche centimetro, esortato dal tifo sfegatato dello stesso Thor.

Con il passare degli anni, l’invito a quelle feste si era esteso anche a un ridotto numero di agenti dello SHIELD, tra cui Maria Hill, e un paio di altri “intimi”, che solitamente finivano per essere le compagne degli Avengers. Natasha conosceva queste ultime solo dai racconti dei suoi compagni, ma si erano rivelate una compagnia piacevole. Non che passasse ore a parlare con loro, ovviamente, ma non le dispiaceva non essere più l’unica donna a quelle feste.

La presenza di Pepper aveva ridotto i commenti impropri di Stark al minimo, cosa di cui la rossa non poteva che essere grata. Miss Potts all’inizio era ancora restia a parlare con Natasha, anche dopo tutto quel tempo, ma si era presto abituata alla sua presenza. Per qualche ragione, la temibile Vedova Nera non costituiva una minaccia tanto quanto la docile e servizievole Natalie Rushman, almeno ai suoi occhi.

Jane Foster era probabilmente l’ultima persona che chiunque si sarebbe aspettato di vedere con Thor ma probabilmente era per quello che andavano così d’accordo. Lei, mingherlina com’era, sembrava quasi scomparire al fianco del gigantesco Dio del Tuono. Eppure, dopo un bicchiere, era difficile non notarla: parlava tanto e volentieri con tutti, faceva domande, rideva e scherzava. Una delle persone più intelligenti che Natasha avesse conosciuto. Nessuno si era stupito quando aveva stretto amicizia con Betty Ross.

Betty e Banner, al contrario di Jane e Thor, erano incredibilmente simili. Quando arrivavano era sempre difficile decidere chi fosse più a disagio tra i due. Appena lei aveva conosciuto Jane, tuttavia, sembrava essersi sciolta. La prima volta erano rimaste ore a discutere con trasporto rispettivamente, almeno all’inizio, di astrofisica e biologia.

Natasha si chiese se anche quell’anno Stark avesse deciso di organizzare la solita festa. Probabilmente sì, non sarebbe di certo stata la sua improvvisa scomparsa a separare gli Avengers. Senza nemmeno accorgersene, Natasha si trovò a cercare di ricordare che decorazioni ci fossero alla festa dell’anno precedente. Tony, come c’era da aspettarsi, le cambiava ogni anno, sempre più appariscenti. Non ricordava molto bene l’ultima festa. Non era rimasta a lungo, Fury l’aveva chiamata poco dopo l’inizio. Con i recenti attacchi dell’HYDRA*, lo SHIELD non le dava tregua.

Quella di due anni prima, invece, la ricordava perfettamente. Era appena tornata da una missione sull’altra costa, e si era presentata piuttosto controvoglia. Ci aveva messo un po’ a ripulirsi dalla polvere e dal sangue, ancora di più a trovare un vestito che nascondesse le ferite sulle braccia e sulla schiena, e decisamente troppo a camuffare le occhiaie e i segni della stanchezza. Se Clint non avesse intasato la sua casella vocale di messaggi, probabilmente ne avrebbe fatto a meno. Sicuramente ne avrebbe fatto a meno, si era corretta appena era arrivata davanti allo spettacolo di tutti gli Avengers che festeggiavano, la musica abbastanza alta da rimbombare nella sua testa. Nessuna traccia di Occhio di Falco. Che infame, era stato il suo primo pensiero. L’unico ad accorgersi della sua presenza era stato Steve, che era arrivato a salutarla. Meglio per lei, non voleva che gli altri vedessero che aveva un regalo per lui, dato che la regola delle feste di Stark era che l’unica cosa da portare era la propria persona. Chiamarlo regalo, certo, era eccessivo. Era solo un quadernetto che Clint era riuscito a rubare dalle riserve dello SHIELD ma non aveva mai usato, su cui si era messa ad annotare tutti i film, tutta la musica, tutti i libri che si era perso durante gli anni nel ghiaccio. Sapeva che Cap ne teneva già una, ma era molto più ridotta. Di sicuro non aveva tutta la sezione di videogiochi e migliori pizzerie di New York che Occhio di Falco si era divertito ad aggiungerci. A Steve sembrava essere piaciuto molto, e probabilmente avrebbe passato il resto della serata a scusarsi di non avere niente per lei, se un Tony particolarmente brillo e con tanto di armatura non fosse arrivato a trascinarlo nuovamente nel vivo della festa.

-Romanoff, sei indietro di almeno cinque bicchieri!- Aveva aggiunto Iron Man, di schiena mentre si avvicinava agli altri Avengers, l’unico segnale che si fosse reso conto della sua presenza. Il fatto che non potessero ubriacarsi non gli aveva mai impedito di fare in modo che lei e Cap si tenessero al passo con gli altri. L’unico esentato dalle manie di Stark era Banner, per ovvie ragioni.

Aveva afferrato una birra e si era rintanata in cucina, dove la musica e le voci degli Avengers arrivavano ovattate. Si era seduta al tavolo, guardando un punto imprecisato davanti a sé, godendosi qualche minuto di quiete.

L’aveva sentito arrivare, ma non si era voltata. Lo conosceva abbastanza bene da saper distinguere anche i suoi passi. Aveva continuato a far finta di niente fino a quando le sue braccia le avevano circondato la vita, fino a quando aveva avvertito il suo respiro accarezzarle il collo.

-Sei venuta davvero.- La nota sorpresa della sua voce la fece sorridere.

-La mia pazienza mi permette di ignorare solo un certo numero di messaggi in segreteria. Non potevo sopportare di ascoltare la tua voce che usciva da ogni telefono ancora per molto.

-Adoro quando torni dalle missioni, sei sempre così dolce.- Clint l’aveva liberata dall’abbraccio ora, era andato a sedersi dall’altra parte del tavolo, davanti a lei, dove finalmente poteva vederlo. Sembrava stanco, probabilmente aveva dovuto sostituirla per qualche turno allo SHIELD, e doveva essersi dimenticato di radersi la barba per un paio di giorni. A parte quello, sorrideva. Stringeva anche lui una birra in mano, e si era vestito relativamente bene, per uno il cui armadio consiste in una pila di magliette sul pavimento e jeans buttati su una sedia. Erano rimasti in silenzio qualche minuto, poi lui aveva iniziato a frugare nella tasca della giacca e aveva estratto una scatolina con un fiocco rosso. Gliel’aveva tesa.

-Buon compleanno.

Natasha non aveva idea di quando fosse il suo compleanno. Sapeva l’anno in cui era nata, ma non il giorno; per lo SHIELD si era inventata una data, e aveva detto a Fury di essere nata nel 1984. Nessuno sapeva della sua vera età, tranne Clint... E James, ovviamente, ma all’epoca lei lo credeva morto. Così, Occhio di Falco si divertiva ogni anno a spuntare con un regalo in un giorno qualsiasi, augurandole buon compleanno.

-Avanti, aprilo.

L’aveva aperto, e una volta sollevati gli occhi, si era trovata davanti al ghigno divertito di lui, che aspettava la sua reazione. Sapeva proprio essere un bambino, a volte.

-Scordatelo.- Aveva detto lei con l’espressione più seria che era riuscita a fare.

-Non c’è di che, Nat. Contieni il tuo entusiasmo.- Il suo sorrisetto non era mutato di una virgola. Si aspettava quella reazione, era probabilmente la ragione per cui aveva deciso di donarle tra tutte le cose, proprio quello, come mera provocazione. La scatolina era ancora davanti a lei, la collana a forma di freccia che vi era all’interno ancora così come l’aveva trovata.

-Dovrai farla indossare al mio cadavere.- Aveva replicato lei.

-Non esserne tanto sicura, Romanoff.

E infatti aveva finito per indossarla. Certo, solo un paio di volte in cui era stata lei ad aver perso una scommessa contro di lui, ma comunque abbastanza perché gli altri la notassero.

Ora giaceva nella sua scatola in qualche cassetto del suo vecchio appartamento a New York, insieme alla maggior parte delle sue cose, ammesso che lo SHIELD non avesse fatto irruzione e buttato via tutto.

Di colpo la stanza del motel si fece ancora più solitaria, con l’eco delle risate degli Avengers, la musica di Stark, la voce di Clint che le rimbombavano nella testa.

Forse si sarebbe potuta fermare un paio di giorni in più con James. Forse la parte del lupo solitario non le calzava più come una volta. Eppure, era l’unica che si potesse permettere.

Si allontanò dalla finestra, relegando i ricordi e i pensieri nell’angolo della mente riservato a ciò di cui avrebbe preferito fare a meno.

Afferrò la copia di Anna Karenina, lasciando il taccuino di Vasnetsov nel borsone. Aveva deciso che Tolstoj sarebbe stato un enigma più facile da risolvere delle parole di un pazzo. Quanto alla boccetta di liquido blu, non sapeva né cosa fosse né a cosa le potesse servire. Tutto quello che sapeva è che conteneva del DNA di un’altra Vedova Nera, morta da anni. Non poteva essere il siero che avevano iniettato a lei, l’avrebbe scoperto subito quando l’aveva portato da Lev, a Mosca, ad analizzare, e a vista non sembrava nemmeno dello stesso colore. Sperò che almeno dalle schede di James venisse fuori qualcosa di utile. Detestava non sapere cosa fare, non riuscire a decifrare la Stanza Rossa. Chissà quali atrocità erano in corso mentre lei rimaneva con le mani in mano, ignara.

Si sedette sulla poltrona e ricominciò, per l’ennesima volta, a leggere le pagine cerchiate del libro, cercando di trovare una connessione tra le parole, i numeri, le frasi, qualsiasi cosa.

“Nel cuore di Kitty ogni cosa, il ballo, il mondo intero, si coprì di nebbia. Soltanto la severa educazione ricevuta la sosteneva e l'obbligava a fare quello che da lei si pretendeva, cioè ballare, rispondere alle domande, parlare, sorridere persino. ”

Natasha si chiese se non fosse altro che una presa in giro della Stanza, dopotutto. Potevano quelle parole essere state scelte accidentalmente? Ne dubitava, non lasciavano mai niente al caso.

Avrebbero mai finito di giocare con la sua mente?

 

Anna e Vronsky erano appena partiti per l’Europa quando finalmente dal computer arrivò la notifica che indicava che la ricerca era completa. Con un sospiro, si alzò. Come si aspettava, i risultati non mancavano, d’altra parte, le possibili combinazioni erano molte. Provò a filtrare ciò che aveva ottenuto: i risultati in Russia erano molto più limitati. Le coincidenze tra i pattern e le cartine o punti trovati, tuttavia, non erano perfetti. Le sembrava strano che la Stanza lasciasse imprecisioni, non era nel loro stile. L’unica corrispondenza tra il disegno che formavano le schede e un luogo geografico che sembrava combaciare, anche se con qualche sottile inesattezza, era quella con la mappa di un piano del Palazzo d’Inverno, o meglio del museo dell’Hermitage. Natasha si passò una mano tra i capelli, sconsolata. Dubitava che la Stanza nascondesse qualcosa in un museo a San Pietroburgo, uno dei più visitati al mondo. La intrigava, tuttavia, il fatto che fosse spuntato il nome della residenza degli zar Romanov. Forse era davvero una coincidenza, questa volta, in fondo lei non era l’unica Vedova uscita dalla Stanza, ma l’attirava comunque. Si ricordava ancora di quando, un’infinità di anni addietro, il Soldato d’Inverno aveva rubato il suo fascicolo agli archivi della Stanza. Si ricordava che il nome degli zar compariva, c’era un’intera sezione su di loro, ma non aveva mai capito quanto di quella storia appartenesse a lei. Ignorava quanto peso avesse il suo cognome. Per quanto ne sapeva lei, poteva anche esserselo inventato la Stanza per dire di avere un discendente della famiglia reale tra le stirpe. In un’epoca che aveva rinnegato gli zar, dimostrare di aver piegato un successore al KGB e al nuovo governo avrebbe di sicuro fatto comodo. Erano tra gli anni più oscuri che la Russia avesse mai passato, tra guerre mondiali e civili, rivolte, un’Europa che si sfasciava, governi che cadevano. Un’epoca tanto macchiata di sangue quanto impregnata di terrore. Ogni singola persona era una pedina in un enorme gioco di scacchi dal risultato incerto, ma con giocatori scaltri e senza scrupoli al comando. Natasha non conosceva un altro mondo precedente alla Stanza Rossa, e l’idea di recarsi al Palazzo d’Inverno l’affascinava più di quanto avrebbe voluto ammettere. Soppesò le sue opzioni. Temeva rappresentasse l’ennesimo fiasco delle sue indagini, ma d’altra parte, aveva forse piste migliori? Aveva qualcosa da perdere?

La sensazione di aver esaurito tutti gli assi che aveva nella manica non la abbandonò per un attimo mentre controllava gli orari dei treni per San Pietroburgo.

 

 

 

 

*N.d.a: per far quadrare qualche dettaglio, ho dovuto cambiare la trama di Captain America: The Winter Soldier. Gli attacchi dell’HYDRA, Soldato d’Inverno compreso, ci sono stati, ma lo SHIELD non è caduto.

   
 
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