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Autore: MarcoBacchella    18/09/2017    0 recensioni
Ci sono poche ragioni per cui un autore decide di chiamare uno dei suoi due protagonisti "Møbel". Il codice numerico per la o con la sbarretta è difficile da ricordare, e se si ha un portatile bisogna prima premere "FN" e poi attivare la tastiera numerica. Insomma, l'è un casino, ma ci deve essere una ragione ben precisa. Esattamente come la decisione di incentrare un giallo sullo stereotipo stesso del Giallo. Una sorta di meta-giallo con così tanti strati di ironia che l'autore non si ricorda se è serio o meno.
Genere: Comico, Satirico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 6

Capitolo 6


Quindi hai idee?” chiese Isabella.
“Beh, in realtà no. Oramai è un po' di tempo che l'universo non ci sta dicendo nulla.” disse Møbel, ignorando di avere in mano un uccello arrivato su un furgoncino mentre stava davanti a una lavagna con tutti gli indizi possibili per risolvere il caso.
“Forse dovremmo andare all'IKEA.” continuò lui, dimostrando non solo di saper camminare brevi distanze senza morire, ma anche di saper leggere.
Isabella era oramai rassegnata a farsi muovere come gli escrementi dalla corrente del mare, e ancora non sapeva quanti escrementi ci potessero essere in questa trama.


Arrivati a Corsico col pandino, i nostri due coprotagonisti e il volatile si persero nel parcheggio.
“Dovevi proprio portarti dietro la gallina?”
“Credo abbia un nome, sai? Ha la faccia di un animale che ha un nome.”
Isabella respirò nel modo più rumoroso che il buon dio delle trame campate per aria e delle reazioni esagerate dei testi le permetteva.
“Quale sarebbe il suo nome?”
“Rosit*.” Møbel schivò così una denuncia per copyright infringement, grazie ad un asterisco.
“Rositasterisco.”
Il nome comunque rimaneva Rosita Sterisco, ma questo non lo si nota se si parla velocemente, e il narratore conviene che è meglio non calcare su questa battutaccia.
Come ogni volta in cui si sentiva perso, Møbel decise di provare a contare le persone ferme per stabilire dove e quando girare. Essendo in un parcheggio, le poche persone che c'erano stavano o andando verso l'IKEA, o andando verso le macchine.

La mancanza di persone ferme da contare mandò in crisi il povero Møbel, obbligato a trovare altri modi per trovare l'entrata nel negozio, dimenticandosi che se la gente si stava dirigendo verso l'ingresso, molto probabilmente sarebbe bastato seguirle.
Eppure così non avrebbe rispettato una delle sue tante regole create in mesi di dura crisi mistico-spirituale.

Questa era partita per caso, quasi per sfizio, quando decise di levare tutti i soprammobili dal loculo in cui viveva: meno oggetti c'erano, meno avrebbe dovuto spolverare. Una logica di fondo in realtà ce l'ha sempre avuta.
Nel frattempo, Isabella, annoiata dall'aspettare che un coprotagonista in piena epifania si svegliasse, decise di cominciare a trascinarlo verso la porta del negozio.

Mentre la nostra locomotiva delle trame poco elaborate trascinava il nostro protagonista ossessionato dagli articoli sul digiuno intermittente e da James Joyce, la stessa locomotiva sentiva di dover riempire il silenzio, con un insulto o una domanda chiarificante, un po' come se il narratore glielo stesse dicendo con una prefazione chilometrica.
“Ma te lo dice l'universo di fare il rincoglionito?”
Lui, scosso dalla sua epifania neanche il suo nome fosse Molly Bloom, tentò di spiegare perfettamente ciò che stava succedendo.
“L'universo ha delle regole molto semplici.

  • Mai mangiare la neve gialla

  • Mai abbandonare il proprio bagaglio

  • Rimanere sempre in vita

  • Guardare sempre il sole con gli occhiali

Adesso, se mi consideri come il tuo bagaglio, allora entrambi abbiamo rispettato le regole del gioco. Tu non hai abbandonato il tuo bagaglio e entrambi siamo rimasti in vita, e non mi pare sia stagione di neve. In più, siamo a Milano. Non si vede il Sole dal 1931, quindi non c'è neanche il rischio che tu lo possa fare.”
“La tua famiglia non ti ha mai voluto internare?”
A questo punto il nostro coprotagonista, oramai sulla soglia del superstore, aveva un'espressione molto confusa. Lui, tra tutti, un'espressione confusa. Indubbiamente era relativa alla sua backstory tragica di cui ancora non si sa nulla, ma che si comincia a delineare come un qualcosa su cui si possa speculare nelle menti dei pochi lettori.


Entrati nel negozio di mobili, cibi, stili di vita e lampadine a incandescenza, i nostri protagonisti si trovarono di fronte al solito labirinto di arredamenti minimal e lavoratori part-time con poca voglia di vivere senza una vera e propria strada da seguire: certo, in una qualsiasi IKEA la strada è sempre una sola e l'oggetto che si sta cercando è sempre l'ultimo prima delle casse e della conseguente uscita, ma loro non sapevano ancora cosa stessero cercando.
“Dici che le vendono le lampadine?” chiese lei.
“Se ti impegni e metti i soldi nelle tasche giuste puoi trovare gli organi. E gli strumenti musicali hanno una sezione propria.”
Lui era stranamente informato su cosa succedesse all'interno del superstore, come se fosse parte della sua backstory tragica.
“Lavoravi qui?” chiese Isabella, invitando il nostro coprotagonista distratto a condividere il suo passato.
“No, no. Mai lavorato in vita mia.”
“Come sarebbe a dire che non hai mai lavorato? Come sopravvivi?”
I casi erano due: o la famiglia che non l'ha mai internato gli pagava tutte le spese, o avrebbe partorito un'altra delle sue stronzate sull'universo.
“L'universo provvede a me”
Ovviamente, la risposta più ovvia è sempre quella giusta.
Isabella, stranita, cominciò a non dargli più tanto peso e si diresse, con un finto fare indaffarato per evitare che Møbel decidesse di continuare con le sue dissertazioni sull'universo.
Era principalmente colpa della nostra protagonista, comunque: dopo che uno ti dice di non mangiare la neve gialla e di non abbandonare mai il tuo bagaglio non gli chiedi di parlarti della sua vita.

Mentre i nostri protagonisti ragionavano, in rigoroso silenzio come erano soliti tenere, con una gallin* sotto l'ascella, su cosa dovessero fare lì, a Isabella venne in mente una cosa, proprio mentre guardava il custode del volatile.

Møbel, come scrivi il tuo nome?”
“Con una penna, o con una tastiera.”
“Dico, come lo scrivi?”
“Prima la M, poi la O, poi la B, poi la E, poi la L, poi aggiungo la sbarretta alla O.”
“E perché questo nome?”
“Beh, perché è la prima cosa che mi è venuta in mente.”
“In che senso?”
“Mi sono svegliato senza ricordarmi nulla, e la prima cosa che ho visto era una cassettiera Møbel.”
“Come sarebbe a dire?”
“Che mi sono svegliato qua all'IKEA, davanti ad una cassettiera Møbel. Credo che sia tu quella da internare. Continui a farmi domande stupide.”
“Tu ti sei svegliato qui e non sapevi dove fosse l'entrata?”
“A mia difesa, io mi sono svegliato all'interno del negozio, non avevo bisogno di sapere come entrare.”
Pur non avendo torto, il nostro protagonista si rivelava avere sempre meno senso.
“Perché non mi hai detto che hai avuto un'amnesia o che ti sei “risvegliato” proprio qua?”
“Non è che ci conosciamo così bene da dirti cose così intime.”
Proprio mentre gli animi si scaldavano su una backstory tragica campata per aria e non detta al momento opportuno, perché quando mai è spiegata nei modi e nei tempi adatti, la gallin* decise di scendere dall'ascella del suo custode per andarsene per i fatti suoi, ovviamente con la velocità di una gallina normale, il tutto per dirigersi, col passo di una gallina normale, nel posto in cui tutte le galline normali dovrebbero andare, almeno una volta ogni tanto.
In bagno.

Il nostro protagonista, pur avendola prelevata, si era dimenticato che questa era un animale vero e proprio, con bisogni corporali ben precisi.

  
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