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Autore: serClizia    20/09/2017    4 recensioni
Rexburg, Idaho, la città dove Castiel ha trovato lavoro con lo pseudonimo di Steve, mi ha dato l'ispirazione per questa storia.
Si distribuirà tra passato e presente, cercando di capire cosa è andato storto nel primo incontro tra Castiel e Dean, e come andranno a finire 8 anni dopo.
Genere: Angst, Fluff, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Castiel, Dean Winchester, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna stagione
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Rexburg, Idaho, 2007
 
Dean si era trasferito da poche settimane, ma era già uno dei ragazzi popolari della scuola.
Probabilmente perché era una novità, ma Castiel sospettava c’entrassero qualcosa il suo sorriso ampio e la luce particolare con cui brillavano i suoi occhi.
Se avesse avuto un amico, o un’amica, avrebbe potuto parlare loro di Dean. Avrebbe potuto raccontare di come lo osservava dalla distanza, nascosto dietro gli armadietti, da fuori dalle porte delle classi, e di come si sedeva sempre dietro di lui a lezione di Inglese per poterlo guardare indisturbato per quanto avesse voluto.
Gli amici lo avrebbero deriso, lo avrebbero chiamato stalker, e Castiel si sarebbe difeso dicendo che non faceva niente di male, perché Dean era bello da guardare, e soprattutto, perché a Dean piaceva essere guardato.
A volte, quelle rare volte in cui lo sguardo di Dean incappava nella sua direzione, e vedeva Cas spuntare da un angolo, consapevole di essere osservato, una specie tutta nuova di sorriso gli tendeva le labbra, e gli strizzava l’occhiolino.
Era il massimo di interazione che avessero avuto da quel giorno al parco, ma Castiel sapeva che era un ragazzo impegnato. Sentiva sempre la sua automobile lasciare il vialetto, agli orari più disparati del pomeriggio, e tornare di notte, mentre Cas dormiva, e sapeva solo del suo ritorno perché al mattino scostava le tendine della sua stanza per scrutare la strada in cerca dell’Impala parcheggiata davanti al loro vialetto.
Se avesse avuto degli amici, avrebbe anche potuto commentare quanto fosse ingiusto che seguissero solo Inglese insieme, e quelli avrebbero risposto che era perché seguiva i corsi avanzati di tutte le altre classi, e Castiel non avrebbe saputo cosa ribattere.
Quanto gli mancavano Anna e Gabriel, in quei momenti. Certo, non avrebbe mai potuto confessare certe cose a Gabriel, ma suo fratello aveva l’innata capacità di percepire quando Castiel fosse turbato, e avrebbe inventato una delle sue bravate pur di farlo sorridere.
Anna lo avrebbe curato con la musica, come faceva sempre, col suo lettore CD clandestino e le canzoni di Avril Lavigne.
La campanella suonò in quel momento, destandolo dalla rimuginazione che stava portando avanti appoggiato a un angolo del corridoio, i libri sotto un braccio, mentre osservava Dean parlare con un gruppetto di ragazze a parecchi metri di distanza. Non poteva nemmeno sentire cosa dicessero, ma sospettava c’entrasse un’altra delle loro feste. Dove trovassero la forza di festeggiare così tanto, era un mistero per lui.
Il professore di Inglese lo superò in quel momento, fermandosi a guardarlo con un cipiglio confuso invece di entrare nella sua classe.
“Novak? Tutto bene?”
“Certo, signor Scott.”
“Mh,” rispose l’insegnante, per niente convinto. Aveva scuri capelli corti che teneva ingellati probabilmente per cercare di apparire ancora giovane nonostante avesse passato i 40, e una carnagione molto pallida che faceva risaltare in modo quasi inquietanti gli occhi scuri.
Prima che Dean si trasferisse sulla sua via, Castiel aveva passato una discreta quantità di tempo ad osservare il signor Scott.
“Allora fila dentro.”
Castiel staccò finalmente gli occhi da Dean, che stava cominciando a salutare il gruppetto per andare a lezione lui stesso in ogni caso, ed entrò.

“Cas… ehi! Cas!”
Castiel piroettò su stesso, strizzando gli occhi verso il mezzo della strada, cosa che per lui era sinonimo di sorpresa nel sentirsi chiamare dalla voce roca di Dean. Ed era proprio Dean, che procedeva a passo d’uomo nel viale per lo più deserto, anche se Castiel sospettava che Dean l’avrebbe fatto anche se ci fosse stato il traffico di una metropoli.
Dean sorrise, felice di essere stato notato, e sventolò la mano per farlo avvicinare.
Castiel oltrepassò le macchine parcheggiate al lato del marciapiede e si piazzò di fronte al finestrino di Dean, che nel frattempo aveva fermato la macchina con uno stridio degno di una vettura vecchia.
“Dean.”
“Ehi, Cas.”
Quanto tempo potevano passare i muscoli facciali di una persona sotto quello stress di sorridere così tanto? Castiel non lo sapeva, ma sperava che quelli di Dean non si stancassero presto. I suoi, probabilmente, si sarebbero disintegrati per mancanza di utilizzo.
“Che fai?”
“Sto andando a casa.”
“Sì, quello l’ho capito, dicevo in senso più ampio.”
“In senso più ampio?”
Dean ridacchiò, e Castiel ci era abituato, tutti trovavano piuttosto ridicola la sua confusione, ma quella di Dean almeno non sembrava derisione.
“Sì, nel senso adesso, oggi pomeriggio, cosa fai, quali sono i tuoi piani.”
Castiel passò il peso da una gamba all’altra, considerando se rivelare che i suoi piani per il pomeriggio erano quelli che erano sempre stati, ovvero fare i compiti sul tavolo di mogano, e arrovellarsi nella sua solitudine. Magari leggere un po’.
“Perché, hai qualche suggerimento?”, chiese invece.
Dean sventolò un indice nella sua direzione. “Sei perspicace, ragazzo. Ci credo che segui tutti i corsi per cervelloni. Sali, dai.”
Castiel annuì, aggirò la macchina e aprì la portiera del passeggero, ma prima di entrare si chinò a fissare il proprietario di quella scatola di metallo.
“Dove andiamo?”
“Perché, hai paura che ti rapisca?”
“No,” rispose, sorpreso dalla strana domanda, “voglio solo sapere se è lontano.”
“Allora hai sul serio dei piani per oggi! E io che pensavo che avresti fatto il bravo nerd a casa che fa i compiti.”
Cas non commentò, limitandosi a reggere lo sguardo, serissimo.
“Va bene, non andremo lontano. Ti riporterò ai tuoi importantissimi impegni in men che non si dica, contento?”
Con un sospiro, annuì di nuovo e si infilò in macchina. In realtà aveva domandato solo per prepararsi mentalmente alla quantità di canzoni che Dean l’avrebbe costretto ad ascoltare nel tragitto.

Dean non parlò molto, e con immensa sorpresa, non alzò mai il volume della musica, lasciandola come piacevole sottofondo, limitandosi a canticchiare a bocca chiusa di tanto in tanto, così Castiel poté solo sbirciare con la coda dell’occhio come le sue mani stringessero il volante e lo girassero con pacata nonchalance, visto che non aveva una scusa per guardargli il viso.
Si voltò a guardarlo, comunque, quando parcheggiò di fronte al parco in cui erano stati la volta prima.
“Cosa, te ne sei accorto solo ora?”, ridacchiò Dean. “Non avevi riconosciuto la strada?”
“In realtà non ho molto prestato attenzione alla strada.”
“Ah, sì? E a cosa pensavi?”
Castiel fece una lunga pausa. “Ai compiti.”
Dean rise come se non ci credesse nemmeno per un secondo, e Castiel non sapeva se esserne grato o meno.
Presero posto sulle stesse panchine arrugginite, Dean di nuovo spalmato sulla sua con le braccia stese sullo schienale.
“È proprio un bel posto,” commentò con un sorriso, contento di poter contemplare la vita apparentemente tranquilla di quelle famiglie.
“Sì, lo è,” Cas rispose, girandosi solo dopo qualche secondo verso i bambini che urlavano e ridevano in lontananza.
Il silenzio si trascinò ancora a lungo, come nel pomeriggio precedente. Sembrava che le conversazioni con Dean si dovessero portare avanti lungo fili completamente diversi da quelli tradizionali, quelli verbali. O forse era solo Dean che si adattava al suo essere silenzioso, Cas non aveva modo di saperlo, ma avrebbe voluto davvero conoscerlo meglio, domandare.
Si chiese se fosse per quello che osservava le persone dalle retrovie: incapace di conversare, assimilava dalla distanza. In effetti aveva appreso una discreta quantità di cose su Dean, sebbene avessero avuto due conversazioni totali.
Sapeva che amava la sua macchina, la musica che sparava a tutto volume là dentro, magari abbastanza forte da impedirgli di pensare. Aveva visto, da come interagiva con suo fratello sia a scuola che fuori, che fosse una persona estremamente protettiva, una specie di scudo umano, un guardiano, qualcuno su cui poter contare. Da come trangugiava il cibo a mensa, aveva lo stomaco di un orso e il palato di un camionista. Aveva sempre persone intorno, gli piaceva socializzare e avere un pubblico. A lezione faceva spesso lo sbruffone, ma a volte sorprendeva tutti con spunti di riflessioni che potevano nascere soltanto da qualcuno che avesse davvero letto i libri che erano sul programma, e che gli fossero piaciuti. Cas sapeva che gli piaceva festeggiare, bere, e… e a giudicare da come stava ghignando in direzione di un paio di ragazze sulle altalene, gli piaceva il genere sbagliato. Beh, sbagliato per Castiel per lo meno, che sospirò, osservando impotente mentre Dean salutava le due a palmo aperto.
Come se avesse sentito quel flebile sospiro, Dean abbassò la mano di colpo, girandosi verso Castiel con una strana espressione in viso.
Forse ne avrebbe chiesto la causa, ma Dean lo sorprese ancora riprendendo a sorridergli, confondendolo ulteriormente.
“Allora,” esordì. “Vuoi sapere perché ti ho portato qui?”
“Non siamo qui per godere della reciproca compagnia?”
“Beh, sì, certo, anche… Gesù, Cas, non dire cose così…”
“Così cosa?”
Dean sventolò la mano a vuoto. “Così.”
“Okay,” disse, dubbioso, mentre Dean alzava gli occhi al cielo e si preparava a riprendere il discorso.
“Dicevo…”
Cominciò a pescare dalle tasche della grossa giacca consunta e ne tirò fuori un cellulare, nuovo ma di modello economico. Castiel batté più volte le palpebre, incerto sul perché gli stesse allungando il proprio nuovo acquisto.
“Sembra… un bel telefono. Hai rotto quello vecchio?”
“Cos- no!”
“Lo hai perso?”
“No..!”
“Non capisco,” confessò, di fronte all’evidenza di aver compiuto un affronto a Dean o qualcosa del genere, a giudicare dalla sua espressione.
“È per te!”, sbottò Dean, lanciandogli l’apparecchio in grembo.
“Oh.”
Abbassò lo sguardo sul suo nuovo possedimento. Il suo unico possedimento, a dire il vero, perché ogni cosa che era a casa era della mamma o passata dai suoi fratelli.
Era grigio metallizzato, a tartaruga, e Castiel lo aprì per rivelare i tasti e uno schermo rettangolare.
“Le tariffe te le paghi da solo,” borbottò Dean. “Ma sì, ne avevamo uno di scorta, e ho pensato che… visto che non ce l’hai…”
Scrollò le spalle, e quando Cas rialzò il capo gli regalò un altro dei suoi sorrisi.
“Ti piace?”
“Sì. Mi piace molto. Grazie, Dean.”
“Beh, bene. Perché il mio numero è già salvato dentro.”
  
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