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Autore: Nocturnia    21/09/2017    3 recensioni
Alex fissa un mazzo di calle bianche e piene, le accarezza.
"Non voglio rimanere da sola."
Wesker solleva il viso nella sua direzione a quell'improvvisa dichiarazione, la soppesa.
"Puoi farmi questo favore, Albert?"
Alex si volta, sotto i polpastrelli petali sgualciti e strappati.
"
Puoi, Albert?"
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Albert Wesker, Alex Wesker, Chris Redfield, Excella Gionne, William Birkin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Devil in I'
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ssss Disclaimer: Albert Wesker, Alex Wesker, Chris Redfield e tutti gli altri personaggi appartengono a Shinji Mikami, alla Capcom e a chi detiene i diritti sull'opera. Questa storia è stata scritta per puro diletto personale, pertanto non ha alcun fine lucrativo. Nessun copyright si ritiene leso. L’intreccio qui descritto rappresenta invece copyright dell'autrice (Nocturnia) e non ne è ammessa la citazione altrove, a meno che non sia autorizzata dalla stessa tramite permesso scritto.

"Hearts can break.
Yes, hearts can break.
Sometimes, I think it would be better
if we died when they did, but we don't.”
- Stephen King -




Goodnight lovers




Russia, 2085

Il primo sintomo è confuso - fragile.
Cade quieta la neve, un velo pietoso che ricopre ciò che è rimasto della Cattedrale di Cristo Salvatore - macerie sbiancate dal vento e consacrate dal tempo.
Alex si porta la sciarpa rossa alla bocca, inspira - nasconde le mani nelle tasche del cappotto.
Volti rovesciati, senza nome - privi d'alcuna importanza: il mondo ha combattuto la sua ultima guerra e ha perso, come sempre.
Sfilano al suo fianco soldatini di latta, contorti e pallidi - piegati da una storia che non insegna mai nulla.
Albert divarica leggermente le gambe, porta le braccia dietro la schiena - arriccia le labbra in una smorfia contrariata.
"Patetici."
Alex gli riserva un'occhiata obliqua, sfuggente; tra le pieghe del cappotto le sue dita diventano umide di paura e freddo.


Russia, 2085

Fianchi sottili, mani eleganti.
Alex si fissa nello specchio del bagno, vibra - muta a ogni respiro.
Si tocca l'addome piatto, la rotondità dell'ombelico - la linea glabra del pube.
Non c'è nulla che non vada in lei.

Nulla.

Pizzica la pelle tesa delle braccia, studia la consistenza fibrosa dei muscoli delle cosce - la curva aggraziata della caviglia, quella piena del seno.

No, non c'è nulla che non vada in lei.

Il Progenitore le mormora una verità che non è ancora pronta ad ascoltare.


Russia, 2085

Una crisi di potere. Una guerra giocata in pochi mesi, finita in ancora meno giorni.
Soldati invisibili, dimenticati dalla storia - spruzzi di sangue e carne che il loro paese aveva chiamato eroi.
L'umanità nutriva le proprie armi, imparava nuovi modi per (auto)distruggersi - chiamava tutto questo evoluzione.
Albert aveva riso, scivolando tra i loro sogni di conquista come un serpente nerastro e velenoso - si era accomodato in una vita che in parte ricordava quella già vissuta.
Alex percorre il bordo della tazza con l'indice, fissa il Moscòva scivolare tra argini sbeccati e ingrigiti.
"Un penny per i tuoi pensieri."

"I miei pensieri sono troppo costosi perché basti un penny, Albert." (1)

Una vita fa; due morti prima. Sulla pelle molte di più.
Alex cerca i suoi occhi nel riflesso della vetrata, pupille dilatate e che ingoiano quasi tutta l'iride.
Il Progenitore si distende tra le sue sinapsi, lento - troppo.
Alex si volta, tace - un silenzio a cui il virus di Albert risponde ruggendo, esigendo (sempre.)
Le preme il pollice nella carne tenera della guancia, l'indice nel collo - stringe, e Alex percepisce l'aria mancarle, il sangue farsi più denso, un rullio che le scivola lungo le costole, tra le cosce.
Respira i suoi dubbi, la sua incertezza.
È una storia vecchia quella che sono chiamati a raccontare - ruoli sgualciti dalle troppe maschere indossate per nascondere chi (cosa) si celasse davvero sotto, dove la pelle non bastava più.
Wesker la solleva contro la vetrata del Kotel'ničeskaja, cosce nude e pallide - già umide.
Alex geme il suo nome, lascia scivolare a terra l'accappatoio, la paura.
Morde, Albert, e sotto la sua lingua Alex ha lo stesso sapore di sempre - sangue e voglia.
Lo sa, è tutto quello a cui riesce pensare.
Lo sa, e libera un ansito sorpreso quando la sfiora tra le gambe - movimenti lenti, che bruciano.
Alex gli artiglia la nuca, snuda i denti; percorre la sua erezione con la punta delle dita, preme - ride, e riprende il controllo.

Perché a farsi male sono sempre stati bravi; i migliori, forse.

"Non te lo chiederò un'altra volta."
Ed è un personaggio già (ab)usato a minacciarla - Albert Wesker, il villain da comic book che l'eroe Chris Redfield aveva sconfitto anni prima.
Alex amplia il sorriso, gli pianta i talloni nella schiena, cede - rovescia la testa all'indietro, si schiude per lui, a lui.
"Ed io non sprecherò fiato a risponderti."
Ansima, Alex Wesker, ed è la donna arrogante che motteggiava la resurrezione della mente in un'isola sperduta decadi prima.
Per un istante tutto si ferma: loro, Mosca, la tempesta di neve che le bacia le vertebre come una bava gelida e traslucida.
Wesker la conduce poi verso di sé - tra i suoi fianchi.
Languido, feroce; Alex preme le mani contro il vetro della finestra, schiude la bocca - le cosce.
Disinibita, libera; Wesker segue la curva dei suoi seni, blandisce - lecca.
Il Progenitore brilla, e per un attimo Alex non ha più paura.
Per un momento ci sono solo le spinte di Albert, il suo respiro tra i capelli - lungo la linea pulsante della carotide.
Mosca è un deserto di neve e rovine sotto di loro, ma non importa.
Mosca muore - rinasce a ogni infetta alba.

Ma non importa.

Alex viene, si chiude attorno al suo corpo come una tenaglia - stretta, umida.
Albert crolla in avanti, la sovrasta - le sue dita affondarle nelle natiche e stringere, aprirla a ogni suo desiderio, ogni sua richiesta.
Le cerca gli occhi, la bocca - si contrae in un orgasmo nel quale Alex soffoca ogni domanda.

Ogni risposta.

Il Progenitore srotola le sue affaticate spire e sussurra.


Russia, 2085

"Andiamocene." mormora.
"Andiamo via." ripete.
"Andiamo via e basta." supplica.
Albert si solleva appena dal suo petto, la fissa - taglia, e dissezionano i suoi occhi.
Alex gli affonda le dita nei muscoli tesi delle braccia, reprime un singhiozzo - il Progenitore un respiro affannato, stanco.
Perché, potrebbe chiederle.
Per dove, potrebbe insistere.
Non adesso, potrebbe essere la sua risposta.
Wesker si flette invece verso il suo viso, le sfiora l'angolo dell'occhio destro con il pollice - raccoglie una lacrima già asciutta.
Alex lo fissa, immobile - fin troppo consapevole del peso del suo corpo tra le cosce, sulla pelle.

Nel cuore.

Albert tace, cerca i suoi occhi - qualcosa che è lì, nascosto da una maschera che perde pezzi a ogni respiro.
Ed è proprio quando Alex sta per dirlo (ancora) - ti prego: andiamo via - che Wesker la raccoglie contro la sua spalla, annuisce.

Comprende.

Alex chiude gli occhi e sospira.


Russia, 2085

Sotto la doccia il Progenitore è quieto, cauto.
Alex china il capo, ascolta l'acqua scorrerle lungo la schiena, tra le natiche.
Sorride, ma è una piega priva d'allegria.
"Sta iniziando, vero?"
Il Progenitore sembra destarsi dal suo torpore, dondola.
"Un prodotto; null'altro siamo mai stati."
Il virus si dispiega tra le sue sinapsi, blandisce - si arrotola attorno a un grumo di paura freddo e rattrappito.
"Un prodotto e la sua misera data di scadenza."
L'acqua scivola sulla sua pelle, brucia - Alex digrigna i denti e libera un grido frustrato.
"Non adesso!" bercia, e il Progenitore si agita - squittisce come un topolino schiacciato all'angolo.
"Non adesso." mormora, e crolla in ginocchio Alex, spaventata - vinta.
Tra le sue dita i morsi di Albert sono ferite sempre sanguinanti.


Russia, 2085

Investitori finanziari: questa l'identità che Mosca ha offerto loro; questa la storia che si sono cuciti addosso.
Non hanno nulla se non loro stessi, ed è bella Alex nel suo chesterfield nero - un Ralph Lauren di lana e pelliccia di castoro.
Fende l'aria gelida della pista d'atterraggio privata, le mani in tasca, i capelli biondi lasciati liberi sulle spalle.
Wesker l'affianca, una presenza silenziosa - monolitica.
Nota una sfumatura rossastra vicino all'orecchio sinistro, , dove i suoi denti erano affondati e avevano strappato, affamati.
Non le dirà che avrebbe già dovuto rimarginarsi.
Non farà domande scomode, di cui non vuole conoscere la risposta.

Non può.

Non le confesserà che, c'è qualcosa che non va; che il Progenitore gratta e scalpita e ruggisce, ma senza convinzione.

Senza forza.

Alex comincia a salire i primi gradini della scaletta, viene fermata dalle sue dita attorno al polso - calde, nude.
Si volta, lo fissa - alza un sopracciglio.
Il Progenitore di Albert si tende verso il suo, lo trova raggomitolato in un angolo della mente, diffidente.

Spaventato.

Rafforza la presa, si avvicina - le sfiora la fronte in un bacio tiepido e morbido.
Alex chiude gli occhi, si aggrappa al bavero della sua giacca - inspira il suo odore, maninka e cuoio.
La neve continua a cadere, incurante: loro, bambole intrappolate in una boule de neige senza più tempo.


Russia, 2085

I cieli della Russia sono voragini d'azzurro e bianco - nubi gonfie e piene.
S'ingrossano su Mosca come ragni venefici e affamati, bocche dalle quali cadono fili appiccicosi e che il freddo trasforma in neve.
L'aereo prende quota, vira a sinistra, poi a destra - si dirige verso la Germania, dove farà un breve scalo.
Alex storna lo sguardo, lo posa su Albert - le gambe accavallate, tra le dita un libro di Stephen King (Rose Madder, prima edizione, 1995.)
L'osserva scorrere con gli occhi su righe consumate e conosciute (sai, Alex, questo Norman manca totalmente di controllo)  toccarsi la tasca delle giacca ed estrarne un paio di occhiali da lettura - inforcarli con calma, senza fretta.

Lo sa.

Il Progenitore di Albert è un quieto rullio di sottofondo, quasi le fusa di un gatto.

Ade. (2)

Ma Ade è morto.
Quel randagio senza paura e scorbutico è morto molti anni prima - una fine rapida, priva di dolore.
È morto, e di lui ormai saranno rimaste solo ossa ingiallite e memorie.
Il Progenitore si agita, formicola - una sensazione sgradevole, che pizzica sotto la pelle, tra le cellule.

Sono morti tutti, Alex: e presto lo sarete anche voi.

Alex si porta le mani alla gola - un gesto istintivo - soffoca un rigurgito acido di bile e paura - un terrore così puro da essere quasi nobile.

Gli occhiali.

Ed è allora che nota il particolare fuori posto; quel dettaglio che il suo cervello si era sempre rifiutato di comprendere - vedere.
Albert cambia pagina, sposta il peso da un fianco all'altro - percepisce il suo sguardo e solleva il proprio, tace.

No.

Il Progenitore di Wesker si solleva appena, ancora stordito - troppo.
Cerca quello di Alex, gli si raggomitola vicino - un serpente in cerca di calore.
Stringe, e confessa.

La più terribile delle verità.

Alex osserva Albert togliersi gli occhiali, riporli sul tavolini vicino - intrecciare le dita tra loro e aspettare.
"Da quanto?"
"Due mesi."
Alex annuisce appena, inclina il mento verso il petto.
"Potremmo..."
"No."
Alex aggrotta le sopracciglia, solleva di scatto la testa.
Wesker la studia, pupille che scivolano sul suo corpo, scavano tra i suoi pensieri.
"Non questa volta, Alex. Non più."
Alex apre la bocca, la richiude.
"Perché?"
Un sorriso senza pietà - né per lei, né per lui.
"Ci ho già provato. Ho già tentato, Alex. È tutto inutile."
E brucia,  Alex: brucia all'improvviso e senza remore.
Brucia d'una rabbia sorda e totale, una frustrazione che diventa collera - verso se stessa, verso Albert, verso una storia che li aveva sempre voluti vinti e mai dalla parte giusta.
"Non hai provato abbastanza."
"Il Progenitore è stanco, Alex. Distrugge le nostre cellule nel tentativo di produrre i propri virioni. La sua polimerasi è imperfetta, parziale."
Si flette in avanti, Albert, lascia ciondolare le mani  tra le gambe socchiuse - un Patek Philippe al polso sinistro; Ellisse d'Oro, platino, cinturino in alligatore blu - indurisce lo sguardo.
"Sai bene quanto me che i virus a doppio filamento di RNA sono meno stabili di quelli a DNA; più suscettibili a mutazioni. Lo sai."
Alex snuda i denti, si protende verso di lui, chiude le dita in pugni chiusi e...

Silenzio.

Il Progenitore la fissa, interdetta.

Cosa stai facendo?

Alex può sentirlo sotto la pelle, alla bocca dello stomaco - un brusio che l'accompagna da sempre.
La fissa con quei suoi orribili occhi invisibili, dondola - disordinato, senza grazia.
L'aria si comprime, il motore dell'aereo ruggisce - copre ogni altro suono.
Alex si lascia ricadere all'indietro, occhi vuoti, persi.
Il Progenitore si raccoglie in se stesso e piange.


Germania, 2085

C'è di nuovo un abisso di parole non dette tra di loro - un passo avanti, venti indietro.
Il pilota annuncia che hanno finito di fare rifornimento; che sono pregati di allacciare nuovamente le cinture di sicurezza.
Albert è quasi alla fine del libro (io ricambio, diceva Rose Madder; io ricambio, sussurra ora il Progenitore) le dita che tamburellano sul bracciolo della poltrona.
Alex vorrebbe mettere da parte l'orgoglio (non ci riesce) vorrebbe alzarsi e andare da lui e rimanere al suo fianco e...

È colpa sua.

La paura si è mascherata da rabbia e ride ora di ciò che rimane di loro.


Spagna, 2085

Tarragona è come la ricordava: piena di profumi e luci.
Alex inspira,  la consapevolezza che tutto adesso sarà una perpetua ultima volta minaccia di schiacciarla al suolo e lì lasciarla.
Wesker la supera di qualche passo, si volta - le tende una mano.

Vuoi, Alex? (3)

Sulla pelle un sole che scalda - che la fa sentire viva, una stella che brilla ed esplode.

In salute e in malattia?

Alex avanza, gli stringe le dita tra le proprie - fino a quando non fa male: fino a quando non è sangue quello che le cola lungo il polso, sul bordo in castoro del cappotto.

Finché morte non ci separi?

Un bambino strilla in lontananza, qualcuno inciampa e cade - rumori che ben presto non riusciranno più a sentire nemmeno sforzandosi.
La scelta di vivere è l'unica cosa che il passato non può più strappargli.


Spagna, 2085

Sapere non significa comprendere; comprendere non vuol dire accettare.
Alex ha dissezionato il Progenitore come fosse un nuovo animaletto molto raro e molto ostico - ne ha slabbrato i bordi e ignorato le sue grida, la sua stanchezza.
Virus a RNA, doppio filamento, nessun involucro lipidico.
Proteine a struttura tridimensionale, 600 - 1000 nm, capside icosaedrico.
Replicazione citoplasmatica, recettori cellulari per l'ingresso non ancora conosciuti.
Il capside viene in parte digerito durante l'endocitosi, il nucleo entra quindi nel cuore della cellula e comincia a trascrivere il proprio genoma - un'immortalità a scadenza.
Le particelle virali cominciano ad assemblarsi nel citoplasma sei, sette ore dopo l'infezione - Alex lo ricorda bene.

Troppo.

Il Progenitore supera i processi di analisi e soppressione - li evita con l'eleganza di un predatore invisibile e mortale.
Sopravvive alla morte cellulare, mantiene il suo potere infettivo - sempre in cerca di un nuovo ospite.

Di una nuova vittima da consacrare a Crono.

Alex china il capo, si massaggia le tempie - non si arrende, non rinuncia a nulla di quella vita che ha strappato pezzo per pezzo al passato.
Osserva ancora una volta il Progenitore, una vescica nerastra sul fondo della lente del microscopio.
"Potremmo provare con la riattivazione di molteplicità." mormora al silenzio, e sa che Albert la sta ascoltando.
"Potremmo."
Gli occhi di Alex guizzano nella sua direzione, tornano poi a fissare la scrivania.
"L'hai  già fatto?"
"Ovviamente." ribatte Wesker, e c'è una nota irritata sul fondo della sua voce - stizzita.
"Non ha funzionato."
"No."
Alex tace, inspira.
"Dunque è finita."
Lo gambe della sedia che sfregano sul pavimento, passi lenti, misurati.
"No."
Alex chiude gli occhi, si flette in avanti - quasi si accartoccia su se stessa.
"Non ancora."
La rabbia diventa delusione e muore infine nel fango della paura.


Spagna, 2085

La stanza è buia, il suo respiro gelido.
Alex fissa il bicchiere d'acqua mezzo pieno che giace sul comodino; le gocce traslucide di condensa che scivolano sul legno, le schegge di ghiaccio che galleggiano in superficie.
Si porta la mano sinistra al volto, apre le dita, le richiude.
Ne studia le pieghe, il colore - pallido, perfetto.
Il bordo delle unghie è pulito, liscio: lunette bianche che sormontano una piana rosea e sana.
La linea della vita è una cicatrice frastagliata, quella del cuore una curva cieca.
Alex già le vede le sue belle dita: marce, putrefatte.
Con gli occhi della memoria può scorgerle rattrappirsi, indurirsi sotto i processi di decomposizione.
Le immagina rilassarsi, sciogliersi; diventare carne morta e che si stacca dalle ossa come grasso liquefatto.
Le percepisce gonfiarsi, spaccarsi a causa dei batteri saprofagi - plotch, plotch, cling - sul velluto rosso un anello d'oro bianco e ossidiana.
Inspira, e l'odore di morte viene sostituito da quello dei funghi appena scottati in padella.
Rumore di piatti e stoviglie - vagamente ricorda d'aver anche comprato due filetti di manzo qualche giorno prima.
Chiude gli occhi, ascolta la porta aprirsi - ora può distinguere anche un vago sentore di cioccolata fondente.
Wesker le appoggia qualcosa vicino alle mani strette al petto, sfiora la fede che porta all'anulare sinistro, i suoi capelli.
Alex serra più forte le palpebre e si consuma di un dolore che i più chiamano vita.


Spagna, 2085

Tre mesi; da tanto Alex non gli rivolge la parola.
Tre mesi; questa la durata del lutto di Alex - giorni in cui non si era nemmeno alzata dal letto e altri in cui aveva distrutto mezza casa in un eccesso di collera.
Tre mesi; la sua vista sta peggiorando - a occhio e croce avrà perso un'altra diottria -  i riflessi deteriorando.
Oh, certo, è ancora molto più veloce di un essere umano normale - più forte, più acuto, ma la caduta è iniziata.

E nulla potrà fermarla questa volta.

Sospira, appoggia i piedi sul tavolino da caffè in legno nero che Alex aveva tanto voluto - vetro e piccoli intarsi d'argento.
"Come fai?"
Albert si volta, la vede; piedi nudi, caviglie sottili - una vestaglia azzurra ad accentuare il pallore della sua pelle.
"Come fai ad accettarlo?"
Albert si stringe nelle spalle, non distoglie lo sguardo.
"Ho altra scelta?"
Ed è allora che succede; che Alex muta in Era e il Progenitore ruggisce - una bestia che mai abdicherà al proprio ruolo di regina e mostro.
"Come puoi?" sibila, e si avvicina.
"Come, dopo tutto quello che abbiamo passato?"
Albert solleva gli occhi verso il suo viso - le labbra arricciate sui denti, la pupilla ridotta a una fessura nerastra e contratta, gli zigomi arrossati dalla rabbia.
"Tu, proprio tu. Il grande Albert Wesker." e lo sputa quel nome, quasi fosse un dente marcio e cariato.
"Tu, che volevi cambiare il mondo. Che hai mentito, rubato, ucciso per farlo."
Artiglia i braccioli della poltrona, infrange il suo respiro - un corpo teso sotto la stoffa sottile, pronto all'attacco.
"Tu, che adesso ti arrendi come il peggior perdente. Che rinunci a tutto. Che dici a me - a me! - di capire. Di comprendere. Di accettare."
Gli prende il mento tra il pollice e l'indice, strattona - sotto il suo profumo (Mon, Guerlain) una lieve traccia di sudore.
"Ti sei arreso."
Albert si alza di scatto, rischia di farle perdere l'equilibrio - l'afferra poi per entrambi il polsi, portandosela al petto.
"No." replica - ringhia.
"No, Alex; non mi sono arreso."
Alex artiglia l'aria con le dita, soffoca un'imprecazione - si divincola come un piccolo serpente bianchissimo e testardo.  
"Tu l'hai fatto."
Alex sgrana gli occhi, apre la bocca - confusa, interdetta.
La verità scivola tra di loro e morde.


Spagna, 2085

"Andiamo." gli dice.
"Dove?" risponde.
Alex delinea il labbro inferiore con la punta dell'indice, toglie il rossetto in eccesso (Rouge Dior Liquid, nuance matte.)
"Fuori."
"Dove?" ripete Albert, e nota i vestiti che Alex gli ha preparato sul letto (Armani, camicia in lino bianco e pantaloni neri, un paio di scarpe di Testoni.)
"Ovunque possiamo."
Il vecchio anno sta vomitando le sue ultime ore.


Spagna, 2085

Dentro la cattedrale di Tarragona Alex s'illumina di una luce diversa.
Davanti al sarcofago dell'arcivescovo d'Aragona brucia, e ad Albert ricorda una di quelle statue bianche e oro che avevano visto durante la loro permanenza in Grecia.

Era e le sue vendette. Era e la sua furia. Era e il suo dolore.

Studia l'altare maggiore, il retabolo - ascolta i rintocchi che mancano a mezzanotte.
Si volta, e il Progenitore tace, uno sciabordio costante e monocorde.

Apatico.

Alex gli cerca gli occhi

Quattro, cinque rintocchi.

la bocca

Sei, sette rintocchi.

lascia che la divori viva

Otto, nove rintocchi.

e sorride.

Dieci rintocchi.

Il passato non può più essere cambiato - non vuole - il futuro una sentenza di morte.

Il boato della folla, esplosioni di gioia e addio - speranze e rimpianti.  

Alex affonda contro il suo petto e stringe l'unica cosa che conti - per la quale è morta e tornata indietro mille e mille volte: il suo loro fragile presente.


Francia, 2086

Un corpo caldo che vibra sotto le sue mani - che si flette a ogni spinta, ogni ansito.
La costringe ad arretrare, tra le dita lenzuola sgualcite e un cannelé dimenticato.
Alex scivola lungo il suo petto, gli percorre le vertebre una per una - unghie piccole e trasparenti.
Montorgueil è un grumo di rumori e voci - scintille di vita che neppure la recente guerra ha saputo spegnere.
Un ragazzo urla un nome femminile - Cléophée, Cléophée - in lontananza il suono di un accordo di chitarra.
Occhi socchiusi, palpebre pesanti - Alex è un languore a basso ventre che estingue solo quando Albert le blandisce la superficie piatta dell'addome, quella morbida dell'inguine.
S'inarca contro il suo viso - schiude le cosce alla sua bocca, a lui.
Il Progenitore respira, ferormoni e voglia - esiste, vive (ancora.)
Alex intreccia le dita nei suoi capelli - tira, lo porta a sollevare il mento nella sua direzione, a guardarla.
Scivola su di lei, un movimento fluido, elegante - che le ricorda quello di un serpente.
Le cerca la bocca - umida, senza vergogna.
Alex geme il suo nome, rovescia le posizioni - affonda, e coglie entrambi di sorpresa.
Un'auto sterza e frena, l'odore di tropeziénne appena sfornate che filtra dalla finestra socchiusa.
Dondola tra i suoi fianchi, Alex, le dita aperte a ventaglio sul suo petto, i capelli fili d'oro che le bagnano le spalle, la schiena.
E ride, Alex.
Ride, perché per un attimo - un istante; il tocco di Albert tra le cosce, una spinta che le toglie il respiro - tutto diventa bianco e bianco, accecante.
Perché il Progenitore tace, ed esiste solo lei - loro.
Esiste il respiro di Albert tra i seni, le sue mani che le stringono le natiche a un ritmo ben preciso - le piccole imperfezioni che il virus non riesce più a cancellare.
Esiste una sensazione liquida che le fa tremare le gambe, i polsi - crolla, Alex, e snuda i denti contro la spalla di Wesker, ascoltando un orgasmo che monta e stritola, lasciandola confusa, appagata.
Albert si solleva con un colpo di reni, la porta in ginocchio - le prende il mento nella mano destra e blandisce la curva delle labbra con il pollice, viene, e Alex morde, percependo il suo sangue sotto la lingua, giù per la gola.
L'odore della vaniglia la riporta lentamente indietro - una lieve dolenzia tra le cosce, una choux à la crème che si sfalda tra le dita contratte, sporcando il bordo del letto.
Albert la schiaccia poi verso il basso, accarezzandole il fianco, le costole, la rotondità dell'ombelico.
Il Progenitore si arrotola tra i loro pensieri, ma è un balugino spento, sfibrato - ma loro no, oh no: loro hanno brillato nel silenzio della notte parigina, e ancora adesso covano sotto la cenere, braci rossastre e avide.
Nelle sue orecchie il cuore di Albert è un battito più forte di ogni incertezza.


Francia, 2086

Le cicatrici rimarranno.
Le ferite non si rimargineranno.

Non come prima.

La loro pelle non sarà mai più perfetta, e i segni dei denti di Albert attorno all'areola sfumeranno dal rosso al viola, decidendo infine di mutare in piccoli avvallamenti biancastri.
Alex socchiude gli occhi, distende la schiena, i muscoli indolenziti dei polpacci - si scioglie tra lenzuola umide e appiccicose.
Si allunga oltre il bordo del letto, protende le dita verso il pavimento, dove un vassoio di pâtisseries è stato dimenticato.
Riesce ad afferrare un èclair ripieno di crema al rum, ride quando Albert le schiude le cosce con un ginocchio, tirandola indietro.
Lo fissa da sotto in su, le labbra distese in un mezzo sorriso - tra le dita cioccolato e briciole.
"Ne vuoi uno anche tu?"
Wesker alza un sopracciglio, le regala un'occhiata interdetta e pensierosa - di chi sta davvero valutando la sua proposta.
Alex si porta alla bocca il dolce, ne addenta più della metà - mastica, e solleva l'indice verso il suo viso.
"Troppo tardi." sentenzia, e deglutisce "Se lo volevi tanto dovevi essere più veloce."
Albert inclina il mento verso ciò che resta dell'èclair e sorride.


Cina, 2087

Non era stato facile.
Ci sono ancora giorni nei quali tornano a sfidarsi dai lati opposti della scacchiera - soggetto #12 e #13: null'altro che puledri da corsa, stalloni da monta.
Ci sono momenti in cui Alex non accetta di cominciare ad aver bisogno anche lei degli occhiali, che quelle che vede agli angoli delle labbra sono rughe d'espressione.
Non ho paura d'invecchiare, gli aveva detto mentre Nüwa sfilava per le strade della nuova Hong Kong, né di vedere il mio corpo cambiare, ma...
Nüwa era scivolata vicino a loro, sorretta da sei ragazzi in abiti cerimoniali, intrecciata alla sua coda di serpente quella del fratello Fuxi - il Zeus e l'Era di un mondo in cui sole sorge, non tramonta.
Alex aveva chiuso il ventaglio, l'aveva riaperto in uno scatto secco - irritato.
"Non ho paura d'invecchiare." ripete e Albert sa cosa c'è dopo quel ma.

Non ho paura d'invecchiare o di morire, Albert. Ho paura di (non) vivere.

Alex libera una risata secca, asciutta - riarsa dai propri dubbi.
Avvicina la brochure al viso, socchiude gli occhi - sospira, e si rassegna a infilarsi il suo nuovo paio d'occhiali (Prada, Handbag - asticelle nere, linea sopra la lente rossa.)
"E poi arriverà la rottura del femore o, perché no, quella dell'anca." mastica, piccata.
Albert sospira, tace - coglie con la coda dell'occhio Alex fissarlo, snudare i denti.
"Oh, stai pur sicuro che per te c'è l'ospizio se cominci a darmi problemi. Stanne certo quanto il fatto che mi chiamo Alexandra Wesker."
Un petardo copre la risata oltraggiata di Albert.


Austria, 2088

Non rimangono molto a Vienna: Alex sta male - deve essere qualcosa che ho mangiato - si raggomitola sotto le coperte e chiude gli occhi, lasciandosi cullare da un'incoscienza febbricitante, irreale.
Il suo corpo dimostra poco più di trent'anni, ma dovrebbe averne ormai ottantasei - molti di più se consideriamo la sua mente.
Albert rilassa la schiena contro la poltrona, tocca il Progenitore dopo mesi - lo trova, ancora lì, tra le sue cellule.
Il virus si volta, meno forte di un tempo, un po' sgualcito e arruffato.
Ehi, sembra dirgli, sei tornato.
Albert annuisce bruscamente, lo spinge in avanti, verso quello di Alex.
Il Progenitore obbedisce (sempre) e a Wesker ricorda uno di quei grossi pastori tedeschi claudicanti; uno di quelli colpiti dal fenomeno della displasia dell'anca, che non si arrendono e seguono la voce del loro padrone anche quando ormai si trascinano dietro le gambe.
Dondola, urta un blocco di cellule, si perde tra due o tre sinapsi che lo incantano come stelle cadenti - ricorda poi cosa deve fare e prosegue, fermandosi solo quando lo trova.

Alex.

Il virus di Alex è sottile.
Emaciato, fragile, sembra quasi svanire a ogni respiro.
Lo fissa debolmente, un mendicante nel suo stesso palazzo.
Un colpo di tosse lo riporta alla realtà, e quando apre gli occhi Alex si sta tenendo entrambe le mani davanti alla bocca, fili di sangue e una sostanza biancastra.
Gli regala un'occhiata stanca, liquida - lucida di febbre e fatica.
"Polmonite."  riesce a dire, prima di piegarsi nuovamente in avanti per un attacco di tosse "Ho preso la polmonite."
Il Progenitore di Albert si avvicina a quello di Alex, lo sfiora - le si arrotola vicino, quasi un gatto davanti al fuoco in una notte d'inverno.
Fuori, non sono cambiati poi tanto - ancora giovani, ancora belli, ancora immortali.
Dentro, il virus mostra loro cosa li aspetta dopo l'ultimo giro di corsa.


Grecia, 2089

A volte si ritrova a pensare a Spencer: a come sarebbe stata la sua vita senza.
Non riesce a immaginarla, e questo la spaventa.
Riflette sulle sue scelte, su ciò che ha fatto per compierle: su come sia morto il caro paparino e su quanto Albert l'abbia deriso per il suo sogno d'immortalità.

Immagino ti stia facendo delle grasse risate dal tuo buco di merda all'inferno, eh, padre?

Porta i capelli più corti, sfumati in tre tonalità di biondo - una massa dorata che si ferma poco sopra le spalle.
Non ha notato grossi cedimenti strutturali, ma il suo viso comincia a essere più espressivo, i suoi occhi meno freddi - un'umanità che trabocca da ogni crepa, ogni ferita inferta e subita.
Richiama a sé quello che resta del Progenitore, sveglia la bestia che ha sempre portato nel cuore - trova un virus trasparente, tenacemente attaccato e lei (ad Albert.)
Riattivazione di molteplicità, la chiamerebbe la scienza.
Alex solleva lo sguardo, inspira l'aria salmastra del mare, quella tiepida del vento di luglio.
Il nome che il Progenitore le sussurra è completamente diverso.


Grecia, 2089

Non sa quanti anni le restano.
Non sa se il livido che sta fiorendo sul braccio scomparirà in pochi giorni oppure in una settimana.
Non sa cosa ne pensi Albert mentre la solleva di peso e le schiude le cosce con le dita ben affondate nella pelle.

Non gliel'ha mai chiesto, in fondo.

Hai paura, Albert?
Hai paura di trovarti un giorno riverso nel tuo stesso vomito, oppure paralizzato a letto?
Hai paura di cadere dalle scale, o di fare un incidente in macchina perché stai invecchiando?
Hai paura di dimenticare, Albert?
No, risponderebbe, perché l'ho già fatto.
Perché sono morto mille e mille volte prima di rinascere,, intrappolato tra una moltitudine di cloni senza speranza, imperfetti.
Perché quando Chris mi ha ucciso e le viscere mi si scioglievano in stelle filanti di carne e la lava risaliva lungo il mio addome, nel peritoneo - lambiva i polmoni e ogni respiro era vetro, Alex, oh, e che dolore era urlare - era rabbia quella che mi animava; pura e sbalordita rabbia.
Perché quando il Tyrant mi ha trafitto, massacrandomi, è stata l'ambizione a trattenermi in questo mondo  - a soffocare il dubbio, l'incertezza.
Eppure sono tornato indietro, Alex: eppure sono qui.

Con te.

Alex porta il braccio all'indietro, artiglia il bordo scivoloso della piscina - geme, e non c'è più dolore, paura.
C'è solo il movimento costante dei fianchi di Albert tra i suoi, l'osceno suono umido di un corpo aperto alle sue voglie, alla sua (loro) fame.
Alex intreccia le dita nei suoi capelli, ora più grigi sulle tempie, morde - brucia.
Il Progenitore è un frullio d'ali debole quasi quanto quello di un uccellino alla sua ultima primavera.


Canada, 2090

Hanno scelto entrambi d'essere sepolti vicino a lui - padre e collega.
Hanno scelto entrambi di condividerne la vita, la terra - l'umido liquor che deriva dalla morte e dal suo terribile corollario.
Un pettirosso plana vicino alle sue scarpe, li osserva - curioso.
"È morta pochi mesi dopo suo fratello."
Albert è una statua d'ebano e d'oro al suo fianco, le spigolosità del suo viso rese ancora più evidenti dalla pelle tirata sugli zigomi.
"Un infarto, recitava la sua cartella."
Wesker inclina appena il mento nella sua direzione, ignora il pettirosso che gli saltella sui piedi.
"Claire Redfield, la sopravvissuta al disastro di Raccoon City e mille altri stroncata da un colpo al cuore."
Il pettirosso apre le ali, le arruffa - comincia un diligente lavoro di pulizia.
Alex ha le mani nascoste nelle tasche del cappotto, i capelli liberi sulle spalle - negli occhi un'espressione indecifrabile.

Barry Burton. 1960 - 2057

"Sai, non faceva poi così schifo come padre se si dimenticava il particolare dell'avermi uccisa, ovviamente."
Albert tace, posa lo sguardo sul cielo grigio e pesante come piombo - tumefatto agli angoli.

Christopher Redfield. 1973 - 2065

"Lui era proprio un idiota."
Il pettirosso alza la testa di scatto, si ferma - ascolta.

Claire Redfield. 1979 - 2065

"L'aveva capito."
"Lo so."
Alex inspira, socchiude gli occhi.
"Ci aveva trovati. In Inghilterra, quando eri ancora un bambino." (4)
"Me lo ricordo."
"Eppure ci ha lasciato andare."
"Non poteva fare altrimenti."
Alex ride, ed è un suono breve - improvviso.
"Oh, Albert." alza il viso verso il suo, sorride - una piega condiscendente, divertita "Non l'ha fatto perché aveva paura di noi."
Silenzio.
Alex si china, scivola con la punta delle dita sul bordo della lapide - stringe, e la C le si conficca nel palmo scoperto della mano.
"Claire non aveva paura: non l'hai mai avuta."
Il pettirosso si alza nuovamente in volo, trova riparo dalla pioggia incombente su di un acero da zucchero - cinguetta una, due volte.
"Mi chiedo se anche noi avremo questa fortuna quando sarà il momento."
Albert ascolta la voce di un vecchio fantasma ridere e chiamarlo capitano.


Cuba, 2091

Camagüey non ha montagne, colline: una distesa di sabbia e acqua.
Alex ne apprezza il clima tiepido, l'odore che sale dal mare - gli agrumi che coltivano nella provincia.
Ha una cartina del mondo aperta tra le cosce nude, uno spicchio d'arancia in bocca.
"Dove vuoi andare?" gli chiede, e Wesker si passa le mani tra i capelli, chiedendosi quando sono diventati così lunghi.
"Dove, dopo Cuba?"
"Madagascar." le risponde, e Alex alza un sopracciglio - deglutisce il pezzo d'arancia rimasto.
"Africa." dice solo, ed Excella è nuovamente tra di loro, eternamente giovane - occhi vivi, illusi.

Così cara agli dèi.

"È per i lemuri. E i fossa."
Alex si pulisce distrattamente la punta delle dita sulla pelle del fianco, annuisce.
"Ti piacciono i lemuri?"
"Abbastanza."
Alex segna un punto della mappa, si gratta la spalla, dove una scottatura fa ancora fatica a guarire.
"Madagascar sia."
Albert scoprirà poi di preferire - e di molto - i fossa a quelle piccole scimmie saltellanti.


Ucraina, 2092

A volte lo sente muoversi; vibrare appena sotto la pelle, tra i pensieri.
A volte lo vede - un virus traslucido, orlato di nero e rosso.
A volte gli parla, e gli chiede ehi, come va?
Il Progenitore di Albert è più conciliante - un vecchio leone sfamato.
Il suo no, e pare invece una vecchia bisbetica e scorbutica.
Cosa vuoi?, sibila, dondolando minaccioso, Adesso ti ricordi di me? Di noi?
Alex aggrotta le sopracciglia, si umetta le labbra.
No, risponde, non vi ho mai dimenticato
Dovresti, mormora quello di Albert, a breve non ti saremo più di alcun aiuto.
Il Progenitore di Alex si volta di scatto, lo colpisce maldestramente.
Zitto! Avrà sempre bisogno di noi. Sempre!
Il virus di Albert arretra appena, se potesse sorridere sarebbe una piega sorniona quella che lo flette all'indietro.
No, ribatte, e si gonfia, respirando, no, e lo sai.
Il virus di Alex emette un verso stizzito, un suono che fuoriesce dalle labbra di Alex in un ringhio abortito.
Ma...
Basta, dice, e sfiora entrambi con la punta delle dita, basta.
Quando riapre gli occhi non è per niente sorpresa di trovare Albert al suo fianco.


Australia, 2092

La rabbia di Alex è un pugno improvviso al centro del petto, una corrente liquida e densa come piombo - rovente.
È umana, Alex; immortale nella sua furia, regina moribonda di un Olimpo caduto.
È Era dalle bianche braccia, sposa di Zeus, madre degli dèi.
È una divinità raccolta nelle sue vesti stracciate e intrise di sangue - perduta nelle voci degli infedeli, spezzata da un'umanità che ha smesso di credere in lei.
Grondano tra le sue dita rattrappite preghiere ammutolite e punte d'una corona senza più valore.
Alex si volta, lo fissa - si spacca e si ricompone sotto i suoi occhi a ogni respiro.
Albert le sfiora la nuca in punta di dita, stringe - snuda i denti.
Lascia scivolare un ginocchio tra le sue cosce, ascolta le sue mani affondargli nelle spalle, l'umido di una voglia che la rabbia tinge di rosso e rosso.
Il nuovo dio è infine giunto - Uno e Trino.
Il nuovo dio è misericordia e pace ed equilibrio.
Il nuovo dio promette - sempre.
Era si arrampica sulla propria collera - io sono la regina, io! - e trascina con sé anche tutto ciò che resta di Zeus.


Inghilterra, 2092

I ricordi sono gli avanzi del tempo; la sua copia sbiadita e impressa in quella stampa rovesciata che è la nostra memoria.
"È un pezzo originale." le spiega il proprietario del negozio.
"La scacchiera è di Pianki, onice incastonata con oro e argento. Pezzi in bronzo massiccio placcati poi in oro a ventiquattro carati. Una classica Venezia medioevale."
Alex scivola con la punta delle dita sulla torre, lungo il profilo tagliente del cavallo - prende in mano la regina, il re, li studia entrambi.
"Le piace?"
Alex si volta, incrocia il suo sguardo - tiepido, ammorbidito agli angoli da un sorriso sincero.
"Molto."
"Ne ero sicuro."
Alex alza un sopracciglio, blandisce con il pollice il volto della regina.
"Una donna come lei non mi dà l'impressione di volere in casa una scacchiera Royal Diamond manco se gliela regalassero."
Alex si ferma, inclina il capo verso destra.
"Curiosa come affermazione; in fondo, stiamo parlando di uno dei pezzi più pregiati."
Capelli bianchi, un'espressione di quieta consapevolezza negli occhi - l'uomo davanti a lei ha la parvenza di un innocuo signore verso i settanta, forse un po' meno.

Stuart.

Ed è un parallelismo crudele, una di quelle immagini che la memoria ti sbatte in faccia nei momenti meno opportuni - quando la coscienza è debole e il cuore stanco.
"Ho visto tanti clienti chiedere le cose più disparate nella mia carriera di venditore d'oggetti d'antiquariato, e una cosa l'ho imparata in tutti questi anni."
S'incammina verso il bancone, si china nello spazio posteriore e ne estrae una scatola di pelle rossa, fogli di carta velina e un panno per lucidare.
"Più sono insicuri, più chiedono cose pacchiane. Più sono stupidi, più grande è il reperto che vogliono."
Si toglie gli occhiali, estrae una salviettina dal taschino della giacca - un movimento conosciuto, rassicurante.
"E lei non è nessuna delle due cose, signora Sullivan."
Alex appoggia la regina, il re - fissa un punto imprecisato alla sua sinistra.
Mi ricordi qualcuno che conoscevo, vorrebbe dirgli, ma sa già che suonerebbe stupido, forse persino inquietante.

Mi ricordi qualcuno che mi ha visto estrarre entrambe le mani dal costato di un uomo e chiedermi solo per quando mi serviva lo studio libero.

L'uomo solleva lo sguardo, lo posa nel suo - occhi vigili, attenti.
Alex ne ricambia l'intensità, sorride - ed è la stessa smorfia tutta denti e sangue che aveva riservato a Stuart il primo giorno di lavoro insieme.
"Contanti o assegno?" chiede solo, e apre la custodia rossa - clac clac - cominciando a sistemarci i pedoni "E dopo, se le va e posso permettermi, un bel caffé per una bella signora."
I fantasmi di Sushestvovanie non sono mai riusciti ad abbandonarla davvero.


Inghilterra, 2093.

Al caffè sono seguiti diversi tè; persino una colazione d'affari per trattare un'antica servante in noce Luigi XIV.  
William Thompson, questo è il suo nome; vedovo, senza figli, un gatto vecchio e obeso a fargli compagnia nei pomeriggi lenti di Londra.
Le porge un Chelsea bun, si siede con un sospiro indolenzito.
"La schiena?" lo canzona Alex, e William sorride.
"Pioverà; fa sempre così quando mettono brutto tempo."
Alex accavalla le gambe, annuisce - sfiora con l'indice il bordo della tazza.
"Qualcosa la preoccupa, signora Sullivan?"

Cosa la turba, Master Alex?

"No. Non proprio." ammette, e inclina il mento verso sinistra, fissando il tè che va raffreddandosi.
William aspetta, addenta un pezzo della sua torta di carote - Baba, un grosso e pigro certosino, che si arrotola più strettamente vicino al termosifone.
Alex alza un sopracciglio, il dito che fa avanti e indietro sul filo dorato della tazza - inquieto.
"Non sono una donna dalle facili confessioni, William: tutt'altro."
Thompson deglutisce, si sistema il tovagliolo sulle cosce.
"I segreti sono tutto ciò che mi ha permesso di sopravvivere fino a oggi."
Solleva lo sguardo, lo lascia scivolare sull'interno del negozio - un divano Luigi Filippo, scrivanie del seicento, persino una macchina da scrivere Olivetti, primo modello.
"Sono anche ciò che la tormenta da quello che posso vedere."
Alex abbozza una risata, la trattiene.
"Forse dovrebbe liberarsene."
"Non posso."
"Uhm."
"E non mi rifilare la storiella del non vuole, perché non sempre una scelta è una scelta; a volte le strade sono solo fili di fumo nell'oscurità, riccioli di polvere che la nostra mente creare per darci l'illusione di averla, una scelta."
William intreccia le dita tra loro, le lascia cadere in grembo.
"Non oserei mai: porto abbastanza segreti nel cuore da sapere come sia dolce il loro veleno."
Alex gli cerca gli occhi, il volto -

"E mi servirai, Stuart?"
"Fino alla fine, Master Alex."

- sospira.
"Forse non ci vedremo per un po', William."
Una mano tiepida sull'avambraccio, un sussulto improvviso - Alex quasi fa cadere il Chelsea bun per terra.
William la fissa negli occhi, non arretra - nell'aria un vago odore di zucchero e cuoio invecchiato.

"Perché?"
"Perché io credo in lei, Master Alex; l'ho sempre fatto."

Le prime gocce di pioggia cominciano a cadere, gonfie e liquide.
"L'eternità è un tempo terribilmente lungo per mentire anche a se stessi, signora Sullivan."
Baba sbadiglia, Londra diventa un profilo tremolante di pioggia e luci; Alex ascolta tutto ciò che è stata diventare l'ennesimo segreto di una storia a scadenza.


Italia, 2093

"Venezia, uhm?"
Il sole si riflette sul volto di Albert, lo bagna d'oro e sangue.
"Sì."
Alex storna lo sguardo, lo posa sulla loro nuova casa - l'ultima.
"È un buon posto in cui invecchiare."
Wesker le sfiora la tempia in un bacio tiepido come le sue dita.


Italia, 2094

Dicono che vivere sia solo un lungo cammino verso la morte; che tutto di noi invecchi ancora prima di crescere.
Alex dovrebbe avere centotrentaquattro anni - il corpo di Natalia novantadue.
Il suo riflesso è ancora bello: i capelli tagliati corti, fili d'oro e caramello, i fianchi appena più larghi, l'addome piatto e tonico.
Stira gli angoli degli occhi all'insù, coglie una nuova rete di rughe d'espressione che le ingentiliscono i lineamenti aristocratici.
Interrompe la sua indagine quando sente Albert uscire dalla doccia - si volta, e lo sorprende fissarla in silenzio.
Alex inclina il mento verso di lui, alza un sopracciglio.
Non c'è mai stato imbarazzo tra di loro, vergogna - nemmeno mentre vomitava sangue e il virus la distruggeva dall'interno - ma adesso, nuda ed esposta, si sente improvvisamente fragile, insicura.
Il silenzio si distende tra di loro come un elastico al massimo della sua trazione - Alex apre la bocca, fa per dire qualcosa, qualsiasi cosa, quando...
Albert azzera la distanza che li separa e affonda.


Italia, 2094

Nel buio della stanza non sono altro che due profili pallidi e confusi - le braccia di Alex attorno alla vita, il suo respiro tiepido lungo la nuca, tra i capelli.
L'aria è umida d'estate, e Albert scivola con il pollice tra le sue dita sovrappensiero - unghie corte, pulite; sui polpastrelli un leggero odore d'origano e basilico.
Voglio una pizza, gli aveva detto.
Fermiamoci qui, era stata la sua proposta.

Vieni anche tu?

Alex mormora qualcosa nel sonno, intreccia le gambe alle sue - sorride contro la sua pelle e sospira, appagata.
Albert chiude gli occhi, si porta la mano di Alex alla bocca, sfiorandola con le labbra -  capisce che c'è sempre stata una sola vera risposta alle sue domande.

Sì.

Il tempo gocciola via insieme alle loro paure.


Italia, 2095

Da quando fumi, gli aveva chiesto una volta, ancora intorpidita dal sonno, non dovresti; non senza il Progenitore in grado di contenere i danni.
Albert si era stretto nelle spalle, nell'aria l'odore dolciastro del tabacco (Golden Virginia Absolute), l'alba un guanto rosato che catturava la notte e le sue esuli stelle.
Lancia un'occhiata obliqua ad Alex, un profilo pallido al suo fianco - nudo.
Respira piano, e il Progenitore dorme, quieto.
Percepirlo è ormai sempre più difficile, uno sforzo inutile.
Alza lo sguardo verso il soffitto, viene intrappolato dal lampadario in foglia d'oro e cristallo che Alex aveva tanto voluto per la loro camera da letto.
Nel buio della stanza la brace assume la consistenza di una ferita, lucciole rossastre e danzanti.
Albert inspira, espira: percorre con la punta dell'indice la spalla di Alex, le costole, la curva ancora soda delle natiche.
Scivola, Albert, e le strappa un lamento sottile, quasi impercettibile.
Accartoccia la sigaretta, s'inclina verso di lei - schiude, rivendica, invoca.
È consapevole del suo cuore un po' più stanco, del dolore che ogni tanto gli stritola il braccio sinistro come una tenaglia.
Lo specchio fissato sulla parete opposta al letto gli rimanda un'immagine consumata, già vissuta - eterna.
Gli occhi socchiusi di Alex, le cosce che sfregano tra loro - la schiena che s'inarca all'indietro, verso il suo petto.
Una bocca che morde, pupille rotonde, dilatate dalla voglia - la sua mano che compie sempre lo stesso movimento, che strappa sempre lo stesso nome.

Albert.

Alex si volta, gli cinge i fianchi con le gambe - lo bacia, e soffoca in un ansito spezzato l'orgasmo che l'attraversa.
Ha vissuto, è morto; poi ha vissuto di nuovo e ha continuato a morire.

Un circolo vizioso; un serpente che morde la sua stessa coda.

Adesso è tempo di fermare la giostra e scendere vivere.


Italia, 2096

Gli occhiali da vista sono diventati una presenza fissa, elegante.
Albert li porta con la stessa disinvoltura con cui una volta si era nascosto dietro lenti scure e senza riflessi.

Raccoon, Rockfort, Africa.

L'altro giorno l'ha sorpreso mancare un gradino, recuperare subito l'equilibrio - il Progenitore un guaito sorpreso, lontano.
Alex gli cerca gli occhi, artici e trasparenti come un cielo invernale.
Il rosso delle sue iridi si era prima intorbidito, virando poi a un arancione pulsante, fino a spegnersi del tutto, la pupilla da rettile essere sostituita da una rotonda, umana.
È uguale a una vita fa, Albert.
È uguale a quando lo vide per la prima volta - un bambino con un biscotto in mano nella sala d'attesa del destino. (5)
È uguale all'uomo che aveva lavorato fianco a fianco di William per anni, al capitano per il quale Chris aveva fatto tutto e di più.
Tra le sue dita un vecchio romanzo di Joe Hill - La vendetta del diavolo, edizione del 2010 - uno sguardo concentrato, assorto.
Alex fissa un mazzo di calle bianche e piene, le accarezza.
"Non voglio rimanere da sola."
Wesker solleva il viso nella sua direzione a quell'improvvisa dichiarazione, la soppesa.
"Puoi farmi questo favore, Albert?"
Alex si volta, sotto i polpastrelli petali sgualciti e strappati.
"Puoi, Albert?"
Il Progenitore di Albert si arrotola più strettamente attorno a ciò che resta del suo.


Italia, 2097

L'ha riportata a Polignano. (6)
Le ha mostrato come la guerra e gli anni avessero cambiato quel luogo e allo stesso tempo l'avessero lasciato intatto nella sua bianca bellezza.
Non c'è più la pasticceria in cui aveva comprato il suo primo uovo al cioccolato fondente, la strada sterrata da cui Ade era spuntato correndo.
Lo Scoglio dell'Eremita è stato ormai inghiottito dal mare, Grotta Palazzese dimenticata - la terra aveva tremato e si era ripresa tutto quello che era stato suo.
Alex si porta una mano chiusa a pugno alla gola, intreccia l'altra a quella di Albert.
La verità è che moriranno senza invecchiare, ma avendo vissuto tutto ciò che potevano.

E forse anche di più.


Italia, 2098

L'inquietudine è un filo sottile, viscido.
Si infila tra i pensieri, i ricordi, e lì rimane - un capello bagnato, un serpente che si arrotola e stringe.
Alex la percepisce stritolarle il cuore, il fiato; spremerglielo fuori dai polmoni a forza.
Albert è chino su vecchi documenti e file in cui il logo dell'Umbrella svetta come una ferita rossa e bianca - sangue e cenere.
"Pensavo di averli bruciati tutti."
"Quasi." le risponde, e scivola in se stessa Alex, cerca il Progenitore, lo prega.
"Cosa intendi farne?"
Wesker solleva appena lo sguardo, la fissa da sopra il bordo degli occhiali.
"Archiviarli." replica, tossendo leggermente "E poi dimenticarli."
Alex si tormenta l'unghia dell'indice con il pollice, sfrega tra di loro i polpastrelli ancora morbidi di crema idratante.
"Ti aspetto a letto?" gli chiede, ed è piccola la voce di Alex - consapevole.
Albert le riserva ora la sua totale attenzione, sorride, e per un attimo - un tremendo istante - tra le crepe di quella smorfia Alex vede.
"Sì." mormora, e solleva un plico di cartelle beige e nere "Arrivo subito."
Il Progenitore di Albert è bravo a mentire almeno quanto il suo padrone.


Italia, 2098

Sta succedendo.
Wesker può sentirlo scorrere nel sangue, nel battito asimmetrico di un cuore stanco, sfibrato.
Si era perso tra vecchie memorie e istanti di vite che non gli erano sembrate nemmeno più sue - Albert Wesker, enfant prodige.
Albert Wesker, capo ricercatore di livello quattro.
Albert Wesker, capitano della S.T.A.R.S.
Albert Wesker, fondatore e leader dell'H.C.F.
Albert Wesker, Albert Wesker, Albert Wesker - lo stesso nome che si ripeteva all'infinito come una maledizione.
Solleva una foto in bianco e nero - soggetto #12 - una bambina che stringe al petto un orsacchiotto rotto.
Abbassa lo sguardo, fissa la seconda foto - soggetto #13 - occhi crudeli, zigomi già spigolosi.
Estrae un foglio dal raccoglitore alla sua destra, vi appoggia sopra la penna - Mont Blanc, Stilografica Meisterstück Red Gold, pennino in oro rosso, finitura in rodio - lascia che l'inchiostro diventi una lacrima nerastra e umida.
Per la sua ultima lettera Albert andrà più che bene.


Italia, 2098

Qualcosa le ha sfiorato i capelli.

Qualcuno.

Alex si spalanca gli occhi di colpo - si era ripromessa di aspettarlo sveglia - sbatte le palpebre una, due volte.

Cosa...?

Il Progenitore si dibatte tra le sue costole - troppo debole - urla - un pigolio sfibrato.
Alex si volta verso sinistra, allunga il braccio per toccare la spalla di Albert e trova solo...

Silenzio.


Italia, 2098

La storia si è infine compiuta, la sua ultima parola confessata.
Albert scivola con gli occhi sulla figura addormentata di Alex, si siede sui talloni - inspira, e il suo odore lo colpisce con la stessa forza di sempre.

Argan e sangue.

Curva un angolo delle labbra, abbozza un sorriso a metà.

Tum tum. Tum tum. Tum.

"Lo so." mormora, e gli occhi di Alex si muovono sotto le palpebre, inquieti.
"Non sono riuscito a fare quello che mi hai chiesto."
Alex socchiude la bocca, aggrotta le sopracciglia nel sonno.
"Non ci sono mai riuscito, in fondo."
Alex contrae le dita dei piedi - unghie piccole, curate; lasciate ormai al naturale - emette un lamento debole, preoccupato.
"Tranne che una cosa."
Si china verso il suo viso, le scosta una ciocca di capelli dalla fronte.
"Quella l'ho sempre fatta, Alex. Sempre."
Le bacia la tempia, massaggiando con il pollice la curva della guancia - tiepida, morbida.
Il Progenitore di Albert lo fissa - è ora? Dobbiamo andare? - si scosta da quello di Alex con delicatezza, senza farsi notare.

Tum. Tum. Tum.

Il virus di Alex si aggrappa al suo fino all'ultimo istante.


Italia, 2098

Il Progenitore si siede sull'argine dei suoi pensieri, quieto.
Ondeggia all'interno di un corpo che aveva conosciuto da sempre - un pugno di cellule e organi che aveva nutrito, potenziato, riparato.

Protetto.

Ricorda ogni cicatrice, ogni ferita - buchi slabbrati dai quali erano gocciolati intestini e sangue.
Ricorda d'essersi sentito potente, invincibile: una massa nerastra e gonfia che aveva irrorato ogni anfratto di una creatura che aveva accettato come sua.
Ricorda l'aver gridato la propria forza, il proprio dolore: il totale collasso a cui era giunto quando la lava l'aveva divorato vivo.
Ricorda com'era stato galleggiare nel vuoto di una rinascita umida e senza suono - ricorda lei.

Alex.

"Non farà male."
Albert solleva appena lo sguardo - una mano al cuore, l'altra sul bracciolo della poltrona.
"Non quanto ne hai fatto a me."
Apre e chiude le dita - stringe il legno intarsiato fino a far sbiancare le nocche.
Excella si raccoglie la gonna in grembo, si siede - occhi limpidi, puliti.
"Sei stato un uomo fortunato, Albert."
Wesker soffoca un lamento, s'inclina in avanti.
Excella accavalla le lunghe gambe, si sporge verso di lui - lo sfiora, ed è come essere toccati dal ghiaccio.
"È ora di andare, Albert: neppure tu puoi sconfiggere la morte."
Wesker socchiude la bocca, libera un rantolo sfiatato, ruvido.
"Ha ragione la signora, capitano."
Albert sposta lo sguardo alla sua sinistra, lo vede.
"Non questa volta."
Le braccia incrociate al petto, lo stesso sorriso disarmante di quando Raccoon City ancora esisteva - e con lei i suoi sogni di ragazzo e soldato.
Il profilo di Chris muta a ogni respiro - ora l'uomo che l'aveva sconfitto in Africa, l'istante dopo il vecchio i cui rimpianti pesavano più delle speranze.
Wesker aggrotta le sopracciglia, annaspa - il Progenitore silenzioso, inerte.
Perché, vorrebbe chiedergli, perché proprio voi?
Excella inclina il mento verso destra, lo fissa con un'espressione curiosa - assorta.
"Perché, a tuo modo, ci hai amato, Albert Wesker."
Chris scuote la testa, si copre il viso con entrambe le mani.
"Perché siamo coloro che hanno creduto in te, fino alla fine."
Wesker deglutisce, ascolta la parete dell'atrio destro schiacciarsi, quella del ventricolo contrarsi senza più alcun ritmo.
"Will?" mormora, e qualcuno gli tocca la spalla - stringe, ed è tiepido sulla pelle, rassicurante.
"Al."
Una camicia macchiata di caffè, una cravatta stropicciata: William Birkin si siede al fianco di Excella, la guarda - abbozza un sorriso triste.
"Hai sempre avuto un debole per le cose schifosamente belle e costose, Al. L'avevo detto che sarebbero state la tua rovina."
Wesker tossisce, tra le costole un dolore sordo, opprimente.
Excella ride, lusingata; Chris lo studia - aspetta.
Una prima fitta lo costringe a reclinarsi all'indietro, la seconda lo lascia senza fiato.
Redfield si scosta dalla parete dello studio, avanza - le labbra una linea biancastra e tesa.
"È ora di andare, Al." gli dice poi Birkin, gli occhi rivolti al corridoio buio "Alex ci raggiungerà presto."
Wesker conficca le unghie nel bordo della scrivania, si umetta le labbra.
"Come lo sai?"
William si volta verso di lui, arcua appena un angolo della bocca.
"Perché è quello che abbiamo fatto tutti, Al: seguirti fino ai confini del mondo e oltre."
"Voi non siete reali."
"Forse." lo apostrofa Excella, alzandosi "Ma cosa di questa vita può dirsi tale?"
Chris sposta il peso da un piede all'altro, muta così in fretta da assumere quasi i contorni di un'ombra.
"Claire è morta pochi mesi dopo di me; un infarto, hanno detto. Crepacuore, il giudizio di Moira."
Redfield chiude gli occhi, abbassa il capo.
"Non abbandonarmi, Chris, aveva detto, non lasciarmi sola in questo mondo: non lo sopporterei."
Inspira, libera un guaito aspro, pieno di rabbia.
"Eravamo l'unica cosa rimasta di un'epoca maledetta, Wesker: gli unici due che ancora ne ricordassero gli orrori e il sapore."
Chris cerca i suoi occhi, coglie gli ultimi battiti di un cuore ormai stanco - sfinito.
"La solitudine è l'unico vero mostro, capitano: non la morte."
Albert sbatte le palpebre una, due volte: la vista gli si annebbia agli angoli, contraendosi in un insieme di macchie bianche e nere.
William gli appoggia nuovamente una mano sulla spalla, Excella gli rivolge uno sguardo giovane - oh, così giovane: terso e innocente come l'aveva visto solo all'inizio della loro relazione.

E alla fine, mentre gridava il suo nome e moriva per lui - di lui.

"È ora di andare, Albert." ripete Excella, e Wesker chiude gli occhi - il Progenitore che si sfalda sotto la sua pelle, nella sua mente.
"Andiamo a casa, Al." mormora Birkin, e una sensazione calda gli invade l'addome, il petto.
"Non è forse questa una grande, ultima, riunione di famiglia, capitano?" lo cita Chris, e il mondo si spegne - il Progenitore una fiamma che trema e muore, terra inghiottita dal mare, cera che si scioglie e gronda.

Silenzio.

Un respiro lasciato a metà, senza più scopo.
Lo scricchiolio di un'imposta lasciata socchiusa, il fruscio di un foglio che cade a terra - vuoto.
Nell'aria, Bulgari e polvere.


Italia, 2098

Potrebbe essere addormentato; così reclinato sulla poltrona dello studio non è poi molto diverso da quando lo sorprendeva assopito sotto il sole di Skiathos. (7)
Alex avanza di un passo, poi due; si siede al suo fianco - non crolla, non precipita - lo fissa.
Ha gli occhi chiusi, tra le dita la Mont Blanc che gli aveva regalato quattro anni prima; i documenti che stava rileggendo giacciono in una pila ordinata dentro uno scatolone ai suoi piedi, davanti a lui una lettera in cui la prima riga è leggermente sbavata.
Si umetta le labbra, incerta; dovrebbe chiamare qualcuno, forse.
Un'ambulanza, oppure il portiere del palazzo.
Poi dovrà organizzare il funerale, scegliere la bara; gli interni - velluto rosso o bianco? - il legno della cassa.

Lo usano ancora l'ebano?

Alex tormenta il bordo della vestaglia come l'eroina romantica di un libro tascabile, si perde in quella deriva in cui scivola la mente quando viene costretta a vivere un evento impossibile - devastante.
Allunga una mano verso il suo viso, lo sfiora - titubante.

Spaventata che muti davanti ai suoi occhi; che il Progenitore giochi loro quest'ultimo, terribile, scherzo e lo trasfiguri nel mostro orribile e deforme della storia.

È ancora caldo al tatto, bruciante - un'ustione che ricorda bene sulla pelle, nel cuore.
Socchiude la bocca, batte i denti tra loro - non si accorge di tremare fino a quando non coglie il movimento sussultorio delle proprie dita.
"Perché?" mormora, e il Progenitore è un lamento continuo - un fantasma che non conosce pace.
"Perché mi hai lasciata sola?"
Le prime parole della lettera - Alex - catturano poi tutta la sua attenzione; e con essa il suo dolore.


Italia, 2098

Alex getta nel camino ciò che è rimasto del loro passato - bambini mutilati, adulti disperati - l'osserva bruciare con occhi asciutti, ormai vuoti.

Alex,

Tra le dita stringe un grumo accartocciato di parole e inchiostro,

Alex,

lo lascia cadere nelle fiamme per ultimo.

Alex,

Nessuno deve sapere; nessuno può.
Avrebbe dovuto capirlo,

Perché Sullivan? Non l'abbiamo già usato? (8)

avrebbe dovuto prevederlo - sentirlo.

Alex,

Ha pianto tutte le sue lacrime, Alex.
Ha pianto fino ad asciugarsi; un deserto sterile d'emozioni e ricordi.
Ha pianto, e il Progenitore con lei, per la prima volta davvero solo.

Perduto.

E fa male: un male cane.
È come essere strappati dall'interno, dilaniati e masticati da denti invisibili e d'acciaio.
È come affogare senza mai morire, un dolore che strappa e stringe.

Alex,
non ho potuto mantenere la promessa.

Il Progenitore si rattrappisce nell'angolo più buio della sua memoria, vacilla - liquido, senza più forma.
Lasciami andare, sembra dirle, ti prego, lasciami andare con lui.
Alex si volta, coglie la sua immagine nello specchio dello studio - una donna sui cinquant'anni, e non le sfugge l'ironia della situazione.

Avrei voluto, ma non ci sono riuscito; immagino tu possa annoverarlo nell'elenco dei miei numerosi fallimenti.

S'incammina verso Albert, gli scosta appena le braccia - si accomoda sulle sue cosce, contro il suo petto.
Sotto le sue dita non batte più alcun cuore - tace, e con lui sembra essersi spenta anche Venezia, il mondo.
Alex trae un lungo, profondo, respiro - Ne abbiamo fatta di strada, io e te, uhm?
Adesso puoi andare; sei libero. - chiude gli occhi.

Solo di una cosa sono sicuro; forse la più importante.

 Il Progenitore scatta in avanti, brilla di una forza che Alex credeva ormai sopita,

Tu non sei mai stata un fallimento.

ruggisce, ed esplode - distrugge le membrane cellulari, arresta ogni connessione sinaptica -

Non per me.

- brucia, una stelle morente, il grido di guerra del soldato che porterà avanti la sua battaglia anche da solo.

Alex,

Silenzio.

Una finestra sbatte contro il suo stipite - è quella della cucina, Albert: non si chiude bene - a terra lenzuola aggrovigliate da un pugno d'ansia e paura.

io ti ho sempre...

Il vento scuote appena le tende della sala da pranzo, una goccia cade nell'unico piatto rimasto nel lavello in cucina.

"Pastissada de manzo, Albert? A cosa devo questo onore?"

Alex è un profilo afflosciato contro quello di Albert, una curva bianca e oro - ciglia umide che ombreggiano occhi vitrei, ormai lontani.

"Sei tornato."

La mano sinistra le ricade lungo il fianco, inerte; all'anulare una fascia d'oro bianco e ossidiana cattura i primi scampoli di un'alba lattiginosa, fredda.

"Sempre."

Il Progenitore un'assenza che muta in presenza e racconta.


****


Italia, Venezia, 2103

Ofelia ha sei anni, un papero rosa tra le dita piccole e appiccicose di cioccolato - negli occhi un'innocenza che il mondo non ha ancora avuto il coraggio di strapparle via.
Si allontana da sua madre, dal dolore che percepisce provenire dal suo corpo in una massa confusa d'onde rosse e nere - tentacoli viscidi e putridi.
Scivola tra volti sconosciuti, nomi che non riconosce - Cristina, Alessia, Silvia, Marco, Gianluca.
Zotto dondola al suo fianco, stretto nel pugno per il collo sbiadito e adornato da un fiocco azzurro.
Si ferma, osserva una lucertola correre da una parte all'altra del cimitero - la insegue, perdendola quasi ai confini del cortile esterno.
Si guarda intorno, aggrottando le sopracciglia; Zotto sembra ammonirla con il suo sguardo lucido e un po' stolido - dove stai andando, Ofelia? Ti perderai e dopo saranno guai, lo sai.
Scaccia quella voce molesta con la stessa facilità con cui i bambini cambiano idea, il guizzo di un'età nella quale nulla è ancora deciso - non sempre: non per tutti.
Scorge la lucertola arrampicarsi sulla superficie di una lapide bianca e oro - le lettere metalliche che catturano l'opaca luce di quel giorno di pioggia.
Ofelia si getta in avanti, quasi la prende - è più veloce la lucertola e si butta con un piccolo tud ovattato nell'erba alta, scomparendo nuovamente alla sua vista.
"Miseria." borbotta la bambina, prima di rialzarsi e scrollarsi la terra dalle ginocchia "Brutta miseria."
Sospira, raccogliendo Zotto e mordendosi il labbro inferiore.
Inclina il mento verso il basso, emette un verso contrariato quando nota la punta delle scarpe nuove sporca di verde e...

Com'è bella.

La donna che la fissa dall'ovale disegnato in oro è bella - le ricorda una principessa della favole.
Occhi freddi, zigomi alti: la donna della foto ha il volto incorniciato da un caschetto biondo, un sorriso a metà.
Ofelia si china in avanti, tocca con l'indice il suo nome - Alexandra Duval Sullivan - e persino quello le sembra esotico, una guerriera straniera, la maga di una storia fantastica.
Si volta verso destra, scorge una seconda lapide vicina - Albert Sullivan - e deve essere un principe l'uomo nella foto, perché brilla nei suoi occhi piccoli e infantili.
Ma le fa anche paura, l'uomo: Ofelia si porta Zotto al petto, studia con un'intensità quasi comica i lineamenti spigolosi, la linea sottile delle labbra - uno sguardo duro, esigente.
Si assomigliano, pensa, e il sole schiude le nubi rimaste, illumina lei - loro.
La lucertola ricompare, la osserva da sopra la lapide dell'uomo, ma Ofelia non ha più voglia di prenderla.
Un uccello gracchia in lontananza - è un corvo, le suggerisce Zotto, mangia i cadaveri, le carogne. Accompagna le anime inquiete, i fantasmi che si nascondono nelle ombre della tua stanza, i mostri sotto al letto, pronti a catturarti con i loro artigli sporchi e neri.
Ofelia inspira con forza - vattene, sembrano dirle gli occhi artici dell'uomo, questo non è posto per te - e solo adesso nota la terra brulla attorno alle loro tombe, arida.
Arretra di un passo, due: Zotto è ruvido sotto le dita, il respiro corto - intrappolato.
Non ci sono fiori sulle loro lapidi - eppure sono le più belle del cimitero intero - e l'erba descrive un perfetto rettangolo a due metri da loro.
La lucertola continua a fissarla, immobile sotto il sole autunnale - forse vuole solo scaldarsi - l'uccello di prima emette ancora quel suono raspante, minaccioso.
La donna sorride - sanguina - l'uomo no, ed Ofelia si scopre terrorizzata all'idea di vederglielo fare.

Coraggio, vieni più vicino bambina mia: è per mangiarti meglio.

Ofelia si volta - corri - risponde a quel richiamo che gli adulti chiamano superstizione, ma che per i bambini ha il sapore di un istinto vivissimo e crudo.
Zotto ciondola stretto nel suo piccolo pugno, le sbatte le zampe arancioni contro la coscia - la paura una sensazione che va già sfumando in sogno e che domani sarà solo una puntura fastidiosa nei recessi della sua memoria.
Alle sue spalle un corvo plana tra le due lapidi e inizia la sua lunga (eterna) veglia.




"È davvero finita, Albert?"
"Sì."
"Per sempre?"
"Per sempre."
Gli ultimi fantasmi di quella storia d'orrori e sangue hanno smesso, finalmente, di gridare.




"These violent delights have violent ends,
and in their triumph die, like fire and powder,
which as they kiss consume."
- William Shakespeare -




Note dell'autrice: nella storia ci sono numerosi riferimenti ad altre one - shot della serie; (1) Bedroom hymns, (2) Human, (3) Heart is a devil, (4) Beautiful lie, (5) Subject #12, (6) Human, (7) Born to die, (8) Heart is a devil.
Con "Goodnight lovers" chiudiamo un cerchio - il serpente è riuscito, finalmente, a mordersi la sua stessa coda.  Uroboros, nomen omen, direbbero i latini.
Albert e Alex hanno vissuto, sono morti - hanno brillato, e non avrebbero potuto senza di voi, lettori silenziosi e non.
Un ringraziamento particolare va a ccr456 (senza di te metà di questa serie nemmeno esisterebbe) e a Remnant (compagna incrollabile di ship e fandom): grazie di cuore per avermi seguito da Raccoon City fino a Polignano e oltre - là, dove adesso riposano tutti i soldati di questa storia senza più rimpianti o rimorsi.
Grazie di tutto.

   
 
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