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Autore: Hal_cyon    21/09/2017    3 recensioni
[Omegaverse, Fantasy, Elf & Human]
“Avrei dovuto ucciderti” mormorò l’elfo mentre l’attirava a sé.
“Avrei voluto che lo facessi.”
Perchè solo la morte poteva liberarli dalle loro nature di preda e predatore, dal bisogno che li legava.
Eppure l’odio non era che un sussurro in confronto a quel richiamo selvaggio.
Il regno è nelle mani del popolo elfico, che con la sua magia domina incontrastato riducendo la razza umana in schiavitù.
Le Omega della specie sottomessa sono le uniche in grado di procreare, motivo per cui vengono confinate nell'isolamento del Santuario ed "inibite" per tenere a bada il periodo del Calore.
Quando una di loro si ribella alla crudele usanza spetta al consigliere della regina disporne la punizione, ma l'Alpha radicato in lui ha altri piani per la mortale.
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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III - Bad Omens


Per Alma fu un risveglio come un altro.

Dopo la somministrazione dell’inibitore si destava sempre con lo stesso senso di nausea, crampi all'addome,
gola riarsa ed uno stato febbrile che rendeva il gelo dell’inverno una benedizione per la pelle accaldata.

A differenza delle volte precedenti, però, non riusciva a riconoscere nulla attorno a lei.

Per anni aveva aperto gli occhi nella sala grande del Santuario, tra le compagne raggomitolate una contro l’altra
ed il suono dei loro respiri a riempire il silenzio.

Ora un focolare ardeva lì accanto, mura di pietra grezza la proteggevano dal freddo,
ed un canto mormorato a bocca chiusa fu sufficiente per farle capire che si trovava tra amici.

La dama ed il mulo era una ballata tipica delle città a nord, sentita durante la breve infanzia trascorsa tra quelli della sua razza.
Era allegra, sciocca, in qualche modo confortante.

“Allora non sei morta. Che sollievo!”

Seduto dalla parte opposta stava un anziano dalla barba lunga ed i capelli radi, una maschera di rughe
che l’aria calda delle fiamme rendeva tremolante come un miraggio.

Alma credette di sognare quando sentì parole umane uscire dalla sua bocca.

La regina aveva imposto l’obbligo assoluto di esprimersi e scrivere secondo l’assurda lingua elfica, un insieme di simboli lunghi ed ondeggianti che sembravano fatti per distruggere le penne d’oca.
Persino al Santuario, meta di soli mortali, le sacerdotesse erano costrette ad usarlo in ogni situazione.

Si girò su un fianco, esausta ed accaldata mentre sfregava le cosce tra loro per trovare un po’ di sollievo.
Il Calore non sembrava avere fine, la stava consumando, e pezzo per pezzo iniziò a ricordare: il sapore dolciastro che ancora permeava sulla lingua,
le vesti lacerate, una pelliccia bianca di lupo.

“Lui... lui dov’è?” chiese, la voce arrochita dalla sete.

Sapeva che non poteva essere distante visto il modo in cui ogni centimetro del suo corpo smaniava dalla voglia di essere toccato.
Non aveva mai reagito a nessun Alpha in quel modo, dettaglio che la rese ancora più furiosa.

L’anziano si limitò ad inclinare il capo, visibilmente confuso.
Il drappo di rughe s’infittì appena sorrise, il sorriso compassionevole che si riservava ad i malati di mente.

“Eri sola quando ti ho trovata sulle montagne.”

Il padre della ragazza diceva sempre di diffidare da chi sorrideva con la bocca, ma non con gli occhi. Lo sconosciuto era un pessimo bugiardo.

Dalla stanchezza che la trascinava dentro e fuori dal sonno, Alma non riusciva a capire quanto di ciò che era accaduto fosse reale o meno,
se il Var’Celen avesse davvero osato alzare le mani su di lei o se fosse stata tutta l’incarnazione di un incubo.

Era riuscita a scappare? L’avevano lasciata morire nel mezzo della foresta?

Mani e gambe non erano legate, perciò poteva cominciare ad escludere l’ipotesi di un rapimento.
Esaminando il luogo in cui giaceva, Alma suppose di aver varcato il confine di Moonbright per il semplice fatto che
oltre al Santuario non vi erano villaggi, ed i primi insediamenti sorgevano oltre le foreste.
Wintervale, però, non si affidava alla pietra per costruire le proprie abitazioni.

- Northpass. Sono arrivata a Northpass. -

Aveva attraversato le catene montuose fino al versante opposto da sola? No, impossibile.

Quelle vette erano ripide oltre ogni dire, denti aguzzi di roccia che colavano a picco nel Fiume della Serpe, solitamente congelato.

Alma sapeva di aver visto la foresta, di esserci arrivata vicina, ma camminare per miglia e miglia
senza un briciolo di energia in corpo fino alla fortezza era troppo.

Decise di stare al gioco del vecchio quando fu chiaro che da sola non ne avrebbe cavato un ragno dal buco.
Chiese dell’acqua ed ebbe la forza di mangiare una strisciolina di carne secca, seppur il suo stomaco protestasse incessantemente.

La nausea copriva la fame, e la stanchezza copriva la nausea.
Se la colpa di tutto quel fermento non era l’elfo in questione poteva esserci un Alpha umano nei paraggi, forse.

“Il tuo nome?” domandò il vecchietto, mentre estraeva da una bisaccia delle foglie secche e prendeva a masticarle.
Teneva lo sguardo basso, concentrato sulle fiamme, ed ora che le stava più vicino Alma distingueva ogni singolo strato di sporcizia che lo ricopriva.

“Alma.”

“Alma cosa?”

“Alma Obèl, signore.”

Fece un mmh disinteressato prima di sputare su un palmo l’impiastro lucido di saliva.

“Mostrami la caviglia” disse. Ancora non alzava gli occhi.

Alma obbedì con riluttanza e fece scivolare la gamba fuori dall’involucro di pelliccia in cui si era rannichiata,
osservando con orrore una ferita slabbrata che correva fino al polpaccio, di un pessimo colore scuro.
Il gelo le aveva impedito di sentire le sue stesse dita, figurarsi un taglio del genere.

“Hai fatto molta strada, eh?”

La ragazza attese che il bruciore iniziale passasse prima di replicare, stringendo i denti finché non scricchiolarono.

“Sono di passaggio. Presto tornerò a Goldcrest.”

Presto, non appena il Calore fosse passato e qualche buon’anima l’avesse scortata oltre le montagne.
Senza denaro e senza cibo poteva fare gran poco, comunque.

Le serviva aiuto, e gli umani erano parecchio solidali fra loro quando si trattava di sfuggire alla tirannia elfica.

Le mani tremolanti del vecchio, intanto, seguitavano a spalmare il cataplasma ad un ritmo sempre più lento,
completamente assorbito da quella semplice azione.

Prima che iniziasse a risalire fino al ginocchio Alma lo ringraziò, un modo gentile per dire di lasciarla andare.
Non poteva vedere quale espressione avesse, ma dal respiro pesante e la bocca semi aperta poteva intuirlo.

“Devo mettermi in viaggio” sentenziò, seppur poco convinta. Di sicuro reggersi in piedi era un requisito fondamentale per incamminarsi verso il mare, insieme ad una saccoccia con del denaro ed una buona arma al fianco. L’essere Omega non aiutava, e nel pieno del Calore, poi.

Vide l’ometto barbuto processare l’affermazione con la lentezza che contraddistingueva ogni suo movimento,
scuotendo il capo in un gesto che non significava né sì né no.

“Ho faticato molto per tenere le guardie lontane.
Una volta fuori di qui sarai in balìa della strana legge animale che ci governa.”

“Lo so, ma non ho scelta.”

“Una scelta c’è sempre” bofonchiò, facendo un cenno di noncuranza con la mano.
“Puoi andare incontro alla morte o diventare la fattrice segreta di Northpass. Mi sembra un gesto nobile nei confronti dei tuoi simili.”

L’espressione disgustata della ragazza bastò come risposta, e l’anziano si mise a ridere.
La risata sfociò in colpi di tosse secca, poi in un gracchiare fastidioso.

Alma si accorse che proveniva da un corvo appollaiato alla finestra - o meglio, buco nella roccia - solo quando la sua ombra si proiettò sul pavimento, oscurando il volto grinzoso del guaritore.
Vi fu un peculiare scambio di sguardi, frasi non dette tra umano e volatile per un brevissimo istante,
poi il corvo prese il volo in un frullo d’ali, ed Alma temette di aver appena avuto un’allucinazione.

“Ah, le bestiole nere non portano mai buone notizie.”

L’allusione ad i capelli della sacerdotessa ed il tono scuro del suo incarnato furono difficili da ignorare,
al punto che Alma strisciò lontano da lui, verso un mucchio di legna accatastata coperta da un telo.
Avrebbe potuto usare un ciocco per difendersi se quell’inquietante vecchietto avesse tentato di giocarle un brutto scherzo, in assenza del fidato pugnale.

- Il pugnale - rimembrò infine, - il mio pugnale. Dov’è? -

L’ondata di panico che aveva cercato di sopprimere fin dalla notte della fuga iniziò a riemergere,
mescolandosi al Calore e la febbre in un miscuglio pericoloso.

Era l’unico ricordo del mondo umano, l’unico regalo mai ricevuto in vita.

In esso celava la promessa di spezzare le catene elfiche e tornare a casa, tra la sua gente, libera di amare ed unirsi ad un uomo degno di lei.
L’aveva ripulito dal sangue del Var’Celen, era ben saldo alla cintura mentre combatteva contro il gelo e la neve alta per raggiungere la foresta.

Fece sgusciare una mano sotto al telo, nascosta dalla pelliccia, tastando il profilo della legna riposta a seccare alla ricerca dell’arma più idonea.

Quando le dita toccarono qualcosa di morbido ebbe un sussulto.

All’improvviso il suono di un corno riecheggiò nella vallata, accompagnato da urla allarmate e passi svelti.
Stavano attaccando la cittadella, ed i mortali avevano solo un nemico per cui valeva la pena suonare il corno.

“Che ti avevo detto?”

Il guaritore non si era scomposto minimamente, quasi sapesse che cosa li attendeva una volta lasciato il riparo nella roccia.
Si era alzato e fissava Alma con fare interrogativo, la testa inclinata come l’uccello apparso alla finestra  poc’anzi.

Aveva abbandonato la postura da vecchio malandato, nemmeno fosse ringiovanito in un battito di ciglia.

La ragazza sostenne il suo sguardo finché procedeva a tastare quello strano oggetto accatastato insieme alla legna,
speranzosa di ricavarne qualcosa di più intimidatorio di un bastone: era morbido, ma si rattrappiva man mano che l’esplorazione continuava.

Un dito, un’unghia, l’orlo di una manica.

Non appena capì cosa stava toccando, Alma costrinse le proprie gambe a sorreggerla e scostò il telo in un unico gesto,
rivelando il corpo ingrigito del suo stesso salvatore sotto alla riserva di legna da ardere.
Sbucavano solo gli arti superiori ed inferiori, la testa rivolta dalla parte opposta risparmiò alla sacerdotessa una vista impietosa dello stato in cui riversava.

 

Il vecchio era morto.

Il vecchio era davanti a lei.

 

“Stanno arrivando gli elfi. Dovresti scappare” suggerì.
Il tono di voce era cambiato in un colpo di tosse, tornando al mormorio profondo che l’aveva tormentata quasi ogni notte, nei suoi incubi.

Alla luce pallida del mattino riuscì finalmente a distinguere la tonalità inusuale delle sue iridi,
un viola profondo che tra le gente di Goldcrest avrebbe suscitato raccapriccio, in quanto colore dell’aldilà.

Per Alma era più pericoloso della morte stessa. Era tutto ciò che presagiva la morte, con un carico di sofferenza che pareva non avere mai fine.


La porta alle spalle dell’elfo traditore si spalancò.

Un suo simile - fin troppo simile - sostava all’ingresso a spada sguainata, la lama lucida di sangue fresco a riflettere i primi bagliori del giorno.
Portava i medesimi capelli bianchi del Var’Celen in lunghi intrecci fermati da anelli d’oro, e numerose cicatrici segnavano un volto altrimenti perfetto.
A differenza del suo aguzzino era totalmente privo d’espressioni, una maschera impassibile.

“Ti stai divertendo, fratello?” chiese in tono monocorde, così che non suonò né come un rimprovero né come genuino interesse.

Alma non sapeva se quell’appellativo indicasse un vero grado di parentela o avesse a che fare con le loro usanze, ma la somiglianza dei tratti somatici
- il profilo dritto del naso, la mascella spigolosa, gli occhi allungati - era innegabile.
Portava persino la stessa pelliccia in cui ora lei si nascondeva, incapace di pianificare una fuga prima che gli elfi diventassero troppi da fronteggiare.

“No, per niente. Ingannare gli umani è davvero troppo facile.”

Il Var’Celen si voltò per un istante, giusto il tempo di mostrare alla ragazza un ghigno crudele. “Specialmente questa.”

Perché l’aveva portata a Northpass? Sarebbe morta comunque, tanto valeva lasciare che il gelo dell’inverno facesse il suo corso.
Poteva risparmiarsi di curarle le ferite e metterla davanti ad un focolare, ma aveva preferito mantenerla in vita.

La regina diceva sempre che morire era facile, una scappatoia dai propri peccati,
quindi la prospettiva di finire nelle prigioni di Calilmarith divenne una certezza, infine.

“Il vecchio Maestro sa un sacco di cose” disse il rapitore, avvicinandosi al cosiddetto fratello.
Era così basso da sembrare un bambino in confronto a lui.

“Questi ratti hanno scavato un nuovo buco sotto la montagna.
Vicino alle stalle c’è una roccia che si può spostare. Manda qualcuno a vedere.”

L’albino chinò il capo ed uscì, la spada ben salda in mano come monito per le guardie che ora si tenevano a distanza,
lanciando occhiate disperate all’anziano che fino a poco prima si era occupato delle loro ferite.

L’aveva ucciso per inpossessarsi del suo corpo, ed anche della sua testa. Quante volte aveva stroncato una vita per motivi tanto subdoli?
Fin dove poteva arrivare la crudeltà di quegli esseri dai denti aguzzi partoriti dalla Foresta stessa?

La magia era caduta nelle mani sbagliate, Alma se lo ripeteva sempre.

“Feccia immonda” sibilò la sacerdotessa, usando di proposito la sua lingua natìa.

Un attimo prima fissava la sagoma malconcia del vecchio sull’uscìo, ed un attimo dopo la sua gola era stretta tra le dita del Var’Celen.
Le unghie pungevano la pelle, l’ossigeno lottava per risalire.
L’elfo non aveva mai smesso di sorridere.

“Dina, Morier.”

Le intimò di fare silenzio, chiamandola pelle scura.
Morier era suo padre, sua madre, le sue sorelle e fratelli.
Un nome che li accomunava tutti, come se quello vero non avesse alcuna importanza. Agli occhi dei tiranni erano solo pelle scura.

“Ringrazia che il tuo Calore non sia ancora finito” proseguì, allentando la presa e spingendola contro la catasta di legna.
Alma sfiorò una gamba del povero Maestro lì sotterrato e represse un urlo.

“In questo momento la voglia di violarti è più forte di quella di ucciderti, ma chissà quanto durerà.”

Le parole si confondevano al ringhio basso che gli ribolliva in petto, mentre scostava la pelliccia e faceva aderire ogni singola parte del suo corpo di predatore contro l’Omega indifesa.
Era bollente come ricordava, emanava lo stesso odore che l’istinto le comandava di cercare tra mille altri pretendenti.
È
lui - diceva, - È il tuo Legame. -

Perché mentre comandava al proprio corpo di scappare, quello seguitava a cercare un contatto con l’altro.
Voleva voltare la testa, e invece andò incontro alla bocca dell’elfo di sua spontanea volontà, stavolta senza droghe ad addolcirle la lingua.

La legna scricchiolò sotto il loro peso quando il Var’Celen la spinse giù, con la schiena premuta contro le cortecce ed i rami appuntiti.
Alcuni si spezzarono, ed Alma temette di sentire le ossa del Maestro frantumarsi insieme ad essi.

- Non voglio. Non così. Non adesso. -

Chiuse il labbro inferiore dell’elfo in un morso, assaggiando il sapore del suo sangue in un misto di raccapriccio e soddisfazione.
Era pronto a penetrarla, ma lei non era pronta ad accogliere un mostro dentro di sé con altrettanta foga.

Lo sguardo confuso del consigliere durò solo per un fugace istante prima di divenire l’occhiata iraconda che più gli si addiceva.

 

“Rasequinn” chiamò una voce piatta alle spalle del Var’Celen.

Il fratello, stavolta con un nutrito seguito di soldati, attendeva disposizioni con il corpo di un giovane umano ai propri piedi.
Una guardia privata di armi ed armatura, dal volto pesto ed il braccio piegato in maniera innaturale dietro la schiena.

“Li abbiamo trovati” seguitò, incurante di ciò che aveva appena interrotto.
“Cosa ne facciamo?”

Rasequinn - un nome che nella loro lingua significava artiglio bianco - mantenne l’attenzione sulla sua vittima
Finché disponeva del futuro dei sovversivi. Una goccia di sangue gli colava lungo il mento, rosso acceso sulla pelle pallida.

“Li portiamo a Calilmarith. Tutti quanti.”

Prese Alma per la vita, riportandola in piedi accanto a lui.
La rabbia ed il desiderio che irradiava resero la sacerdotessa instabile quanto un gracile albero in balìa della tormenta.

Avrebbe barattato un’ora alle prigioni per uno stupro, cento volte meno umiliante e doloroso di ciò che l’attendeva in quella mefitica torre nera.

Ma ormai aveva fatto la sua scelta.

 

‹ Note dell'Autrice  
Phew, ce l'ho fatta. E ho anche preparato la mappa, che poi non si dica che non mantengo le promesse!
Come dicevo, gli elfi in Wild Call amano i nomi lunghi. Rasequinn è il primo di tre nomi, giusto per non essere megalomani,
e mi piaceva l'idea che si potesse abbreviare in Quinn. In realtà tutti i nomi degli elfi si potranno abbreviare, a partire da quello del fratello misterioso.
Inoltre ho introdotto un po' di linguaggio elfico, più presente da qui in avanti. Madò, che sofisticata. Meglio che mi fermo.

Ecco la mappa di Wild Call, da tenere come riferimento.
Sì, l'ho fatta io da zero. No, non è replicabile. Grazie.

Grazie infinite a Tea, Moon e Passant per aver lasciato le loro utilissime recensioni. Ogni critica/consiglio è ben accetto, sempre e comunque.
E grazie soprattutto a Connie91 e nadine5 per aver aggiunto la storia tra le seguite 


Fatemi sapere cosa ne pensate e cosa vi aspettate da questo gran casino. Ci vediamo al quarto capitolo! 
 

Halcyon

 
   
 
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