Dopo la somministrazione dell’inibitore si destava sempre con lo stesso senso di nausea, crampi all'addome, A differenza delle volte precedenti, però, non riusciva a riconoscere nulla attorno a lei. Per anni aveva aperto gli occhi nella sala grande del Santuario, tra le compagne raggomitolate una contro l’altra Ora un focolare ardeva lì accanto, mura di pietra grezza la proteggevano dal freddo, “Allora non sei morta. Che sollievo!” Seduto dalla parte opposta stava un anziano dalla barba lunga ed i capelli radi, una maschera di rughe Alma credette di sognare quando sentì parole umane uscire dalla sua bocca. La regina aveva imposto l’obbligo assoluto di esprimersi e scrivere secondo l’assurda lingua elfica, un insieme di simboli lunghi ed ondeggianti che sembravano fatti per distruggere le penne d’oca. Si girò su un fianco, esausta ed accaldata mentre sfregava le cosce tra loro per trovare un po’ di sollievo. “Lui... lui dov’è?” chiese, la voce arrochita dalla sete. Sapeva che non poteva essere distante visto il modo in cui ogni centimetro del suo corpo smaniava dalla voglia di essere toccato. L’anziano si limitò ad inclinare il capo, visibilmente confuso. “Eri sola quando ti ho trovata sulle montagne.” Il padre della ragazza diceva sempre di diffidare da chi sorrideva con la bocca, ma non con gli occhi. Lo sconosciuto era un pessimo bugiardo. Dalla stanchezza che la trascinava dentro e fuori dal sonno, Alma non riusciva a capire quanto di ciò che era accaduto fosse reale o meno, Era riuscita a scappare? L’avevano lasciata morire nel mezzo della foresta? Mani e gambe non erano legate, perciò poteva cominciare ad escludere l’ipotesi di un rapimento. - Northpass. Sono arrivata a Northpass. - Aveva attraversato le catene montuose fino al versante opposto da sola? No, impossibile. Quelle vette erano ripide oltre ogni dire, denti aguzzi di roccia che colavano a picco nel Fiume della Serpe, solitamente congelato. Alma sapeva di aver visto la foresta, di esserci arrivata vicina, ma camminare per miglia e miglia Decise di stare al gioco del vecchio quando fu chiaro che da sola non ne avrebbe cavato un ragno dal buco. “Il tuo nome?” domandò il vecchietto, mentre estraeva da una bisaccia delle foglie secche e prendeva a masticarle. “Alma.” “Alma cosa?” “Alma Obèl, signore.” Fece un mmh disinteressato prima di sputare su un palmo l’impiastro lucido di saliva. “Mostrami la caviglia” disse. Ancora non alzava gli occhi. Alma obbedì con riluttanza e fece scivolare la gamba fuori dall’involucro di pelliccia in cui si era rannichiata, “Hai fatto molta strada, eh?” La ragazza attese che il bruciore iniziale passasse prima di replicare, stringendo i denti finché non scricchiolarono. “Sono di passaggio. Presto tornerò a Goldcrest.” Presto, non appena il Calore fosse passato e qualche buon’anima l’avesse scortata oltre le montagne. Le serviva aiuto, e gli umani erano parecchio solidali fra loro quando si trattava di sfuggire alla tirannia elfica. Le mani tremolanti del vecchio, intanto, seguitavano a spalmare il cataplasma ad un ritmo sempre più lento, “Devo mettermi in viaggio” sentenziò, seppur poco convinta. Di sicuro reggersi in piedi era un requisito fondamentale per incamminarsi verso il mare, insieme ad una saccoccia con del denaro ed una buona arma al fianco. L’essere Omega non aiutava, e nel pieno del Calore, poi. Vide l’ometto barbuto processare l’affermazione con la lentezza che contraddistingueva ogni suo movimento, “Ho faticato molto per tenere le guardie lontane. “Lo so, ma non ho scelta.” “Una scelta c’è sempre” bofonchiò, facendo un cenno di noncuranza con la mano. L’espressione disgustata della ragazza bastò come risposta, e l’anziano si mise a ridere. Alma si accorse che proveniva da un corvo appollaiato alla finestra - o meglio, buco nella roccia - solo quando la sua ombra si proiettò sul pavimento, oscurando il volto grinzoso del guaritore. “Ah, le bestiole nere non portano mai buone notizie.” L’allusione ad i capelli della sacerdotessa ed il tono scuro del suo incarnato furono difficili da ignorare, - Il pugnale - rimembrò infine, - il mio pugnale. Dov’è? - L’ondata di panico che aveva cercato di sopprimere fin dalla notte della fuga iniziò a riemergere, Era l’unico ricordo del mondo umano, l’unico regalo mai ricevuto in vita. In esso celava la promessa di spezzare le catene elfiche e tornare a casa, tra la sua gente, libera di amare ed unirsi ad un uomo degno di lei. Fece sgusciare una mano sotto al telo, nascosta dalla pelliccia, tastando il profilo della legna riposta a seccare alla ricerca dell’arma più idonea. Quando le dita toccarono qualcosa di morbido ebbe un sussulto. All’improvviso il suono di un corno riecheggiò nella vallata, accompagnato da urla allarmate e passi svelti. “Che ti avevo detto?” Il guaritore non si era scomposto minimamente, quasi sapesse che cosa li attendeva una volta lasciato il riparo nella roccia. Aveva abbandonato la postura da vecchio malandato, nemmeno fosse ringiovanito in un battito di ciglia. La ragazza sostenne il suo sguardo finché procedeva a tastare quello strano oggetto accatastato insieme alla legna, Un dito, un’unghia, l’orlo di una manica. Non appena capì cosa stava toccando, Alma costrinse le proprie gambe a sorreggerla e scostò il telo in un unico gesto, Il vecchio era morto. Il vecchio era davanti a lei. “Stanno arrivando gli elfi. Dovresti scappare” suggerì. Alla luce pallida del mattino riuscì finalmente a distinguere la tonalità inusuale delle sue iridi, Per Alma era più pericoloso della morte stessa. Era tutto ciò che presagiva la morte, con un carico di sofferenza che pareva non avere mai fine.
Un suo simile - fin troppo simile - sostava all’ingresso a spada sguainata, la lama lucida di sangue fresco a riflettere i primi bagliori del giorno. “Ti stai divertendo, fratello?” chiese in tono monocorde, così che non suonò né come un rimprovero né come genuino interesse. Alma non sapeva se quell’appellativo indicasse un vero grado di parentela o avesse a che fare con le loro usanze, ma la somiglianza dei tratti somatici “No, per niente. Ingannare gli umani è davvero troppo facile.” Il Var’Celen si voltò per un istante, giusto il tempo di mostrare alla ragazza un ghigno crudele. “Specialmente questa.” Perché l’aveva portata a Northpass? Sarebbe morta comunque, tanto valeva lasciare che il gelo dell’inverno facesse il suo corso. La regina diceva sempre che morire era facile, una scappatoia dai propri peccati, “Il vecchio Maestro sa un sacco di cose” disse il rapitore, avvicinandosi al cosiddetto fratello. “Questi ratti hanno scavato un nuovo buco sotto la montagna. L’albino chinò il capo ed uscì, la spada ben salda in mano come monito per le guardie che ora si tenevano a distanza, L’aveva ucciso per inpossessarsi del suo corpo, ed anche della sua testa. Quante volte aveva stroncato una vita per motivi tanto subdoli? La magia era caduta nelle mani sbagliate, Alma se lo ripeteva sempre. “Feccia immonda” sibilò la sacerdotessa, usando di proposito la sua lingua natìa. Un attimo prima fissava la sagoma malconcia del vecchio sull’uscìo, ed un attimo dopo la sua gola era stretta tra le dita del Var’Celen. “Dina, Morier.” Le intimò di fare silenzio, chiamandola pelle scura. “Ringrazia che il tuo Calore non sia ancora finito” proseguì, allentando la presa e spingendola contro la catasta di legna. “In questo momento la voglia di violarti è più forte di quella di ucciderti, ma chissà quanto durerà.” Le parole si confondevano al ringhio basso che gli ribolliva in petto, mentre scostava la pelliccia e faceva aderire ogni singola parte del suo corpo di predatore contro l’Omega indifesa. Perché mentre comandava al proprio corpo di scappare, quello seguitava a cercare un contatto con l’altro. La legna scricchiolò sotto il loro peso quando il Var’Celen la spinse giù, con la schiena premuta contro le cortecce ed i rami appuntiti. - Non voglio. Non così. Non adesso. - Chiuse il labbro inferiore dell’elfo in un morso, assaggiando il sapore del suo sangue in un misto di raccapriccio e soddisfazione. Lo sguardo confuso del consigliere durò solo per un fugace istante prima di divenire l’occhiata iraconda che più gli si addiceva. “Rasequinn” chiamò una voce piatta alle spalle del Var’Celen. Il fratello, stavolta con un nutrito seguito di soldati, attendeva disposizioni con il corpo di un giovane umano ai propri piedi. “Li abbiamo trovati” seguitò, incurante di ciò che aveva appena interrotto. Rasequinn - un nome che nella loro lingua significava artiglio bianco - mantenne l’attenzione sulla sua vittima “Li portiamo a Calilmarith. Tutti quanti.” Prese Alma per la vita, riportandola in piedi accanto a lui. Avrebbe barattato un’ora alle prigioni per uno stupro, cento volte meno umiliante e doloroso di ciò che l’attendeva in quella mefitica torre nera. Ma ormai aveva fatto la sua scelta. ‹ Note dell'Autrice › Halcyon |