Un ponte perfetto tra
ragione e cuore
Dimenticare
Elizabeth Hardy non fu esattamente facile, non fu come il naturale rimarginarsi
e cicatrizzarsi di una ferita superficiale sulla pelle.
Talvolta,
chiudendo le palpebre e aprendo la mente, ne rivedeva nitidamente i particolari:
i capelli dorati, lunghi e pieni di morbidi boccoli da accarezzare, il profilo
delicato del viso, i lunghi abiti scuri, le sue mani delicate che tentavano di
prendere un libro da uno scaffale della biblioteca e il sorriso amabile che ella
riservava solo a lui, quando l’aiutava a capire qualcosa, quando lo vedeva
interessarsi vivamente alle invenzioni bislacche e discretamente geniali del
vecchio zio.
La morte
prematura della graziosa nipote del professor Waxflatter era ancora vivida nella
mente instancabile di Sherlock Holmes, il dolce ricordo di Elizabeth era capace
di scaldargli piacevolmente il cuore, e allo stesso tempo di stringerglielo in
una morsa dolorosa.
La riteneva una
pura contraddizione, questa, legata all’organo pulsante che teneva in vita ogni
essere vivente.
Era proprio
vero, allora, che “il cuore ha le sue
ragioni e la ragione non le conosce”.
Però la logica,
le deduzioni, gli indovinelli, gli enigmi si rivelarono invero l’unica medicina
in grado di lenire tutto il dolore provato e la tristezza repressa, l’unico
stimolo positivo, l’ultima ancora di salvezza.
E Sherlock
crebbe, divenne un uomo singolare con la forte convinzione che i sentimenti
facessero parte di quelle categorie estranee, di quelle materie da scartare,
inutili per il suo lavoro unico.
Questo soltanto
perché, in fondo, desiderava che la carissima e gentile Elizabeth restasse la
prima e l’unica donna di cui si fosse mai innamorato.
Elizabeth era
morta e il suo cuore, il cuore di Sherlock Holmes, era stato sepolto nella
fredda terra insieme a lei. Ne rimaneva solo un residuo essenziale, un riflesso
distorto in uno specchio apparentemente perfetto, nulla di più. Risanato in
parte dal suo lavoro di consulente investigativo, votato all’unica amicizia che
nemmeno lo scorrere incessante del tempo aveva arginato.
Il caro Watson
era sinceramente dispiaciuto di non aver avuto le competenze necessarie ad agire
tempestivamente per tentare di salvarle la vita in quell’occasione: dove ella
aveva fatto da scudo al suo amico, mostrandosi più coraggiosa e altruista di
lui.
Nonostante
tutto, i due ragazzi si erano congedati circondati da un paesaggio sì nostalgico
– la scuola era il luogo in cui tutti e tre si erano conosciuti – ma anche pieno
di nuove speranze e aspettative migliori.
*
Il dottor John
Watson stava disfacendo i bagagli dopo il suo veloce trasferimento
nell’appartamento a Baker Street, quando giunse alle sue orecchie un suono
vibrato, intenso e malinconico. Pensò che Sherlock Holmes, rispetto al loro
primo incontro nel dormitorio scolastico, era migliorato parecchio a suonare il
violino. Lo raggiunse con la speranza di non aver ridestato in lui ricordi
tristi, quando gli aveva annunciato con una certa soddisfazione di aver messo
per iscritto la loro prima avventura, avvenuta molti anni prima, titolandola
“Piramide di paura”. Lo osservò maneggiare con cura e attenzione l’archetto
sopra lo strumento musicale, poggiato fra il collo e la spalla sinistra. Lo
ascoltò in silenzio, poiché per l’ex ufficiale medico non ci fu bisogno di
parole: la musica sapeva comunicare in modo eloquente. La musica rappresentava
intimi ricordi, il violino la sua mente eccezionale. E l’archetto diveniva,
semplicemente, un ponte perfetto tra ragione e cuore.
Non era escluso
che, dopo quell’esecuzione toccante, sentita e magistrale, sarebbe tornato a
essere il solito Holmes razionale, straordinario e indifferente a null’altro che
non fossero i suoi casi, ma per il momento il buon Watson preferì non
interromperlo. Per poter rimanere nell’illusione effimera di un sentimentalismo
appena riemerso dal suo amico.
_________
Disclaimer:
I personaggi citati non mi appartengono e non ho scritto a scopo di
lucro.
La
mia scelta
è ricaduta su questo film e su questo Holmes che, per me almeno, è il più
sentimentale, sensibile e innocuo fra i vari Holmes che abbiamo avuto il piacere
di vedere sul grande e sul piccolo schermo.
Quando
ho scritto la parte finale e la definizione ‘ex ufficiale medico’ riferita a
Watson, intendevo fare un riferimento all’inizio del romanzo Uno studio in rosso, dove viene
introdotto così.
Spero
vi piaccia, anche se si tratta di un breve omaggio a questo intramontabile
personaggio della letteratura poliziesca ^^