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Autore: Clockwise    22/09/2017    7 recensioni
Mycroft, negli ultimi tempi, era diventato un enigma sibillino in abito gessato. Si presentava a Baker Street con cadenza regolare, a giorni alterni, portando con sé scatole di biscotti, torte o pasticcini, sorseggiava il suo tè molto zuccherato battibeccando amabilmente con Sherlock, John e Mrs Hudson, si fermava per cena e una volta o due si era addirittura inginocchiato sul tappeto per costruire un puzzle con Rosie.
Mycroft, Sherlock, scatole di macaron indesiderati, John e Rosie – fare i conti con il mondo, (ri)trovare la strada.
[Post-S4]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Slash | Personaggi: John Watson, Mycroft Holmes, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Controprova
 
 
 
 
We are all in the gutter, but some of us are looking at the stars.
Oscar Wilde, Lady Windermere’s Fan
 
 
 
 
Sherlock Holmes amava essere un uomo metodico e pragmatico: ogni impulso dal mondo esterno andava etichettato e filtrato con cura fra gli scaffali della sua mente, tutto doveva avere un senso e un ordine – doveva mantenere il controllo sulla sua mente perché l’entropia del mondo non lo trascinasse via con sé. Il mondo andava analizzato e risolto, nella mente di Sherlock Holmes – altrimenti sarebbe precipitato nel caos.
Mycroft, negli ultimi tempi, era diventato un enigma sibillino in abito gessato. Si presentava a Baker Street con cadenza regolare, a giorni alterni, portando con sé scatole di biscotti, torte o pasticcini, sorseggiava il suo tè molto zuccherato battibeccando amabilmente con Sherlock, John e Mrs Hudson, si fermava per cena e una volta o due si era addirittura inginocchiato sul tappeto per costruire un puzzle con Rosie. Ogni volta che sentiva l’inconfondibile ticchettio dell’ombrello che accompagnava il passo misurato del fratello su per le scale, Sherlock si chiedeva cosa mai Mycroft stesse cercando di fare, quindi si ripeteva di non avere abbastanza informazioni per formulare ipotesi concrete e accantonava la domanda, cercando qualcosa per cui valesse la pena iniziare un battibecco. Fosse stato per i due fratelli, la situazione sarebbe probabilmente andata avanti all’infinito, se John, poco amante delle congetture, degli eventi inspiegabili e dei macaron, di cui aveva visto tre scatole in una settimana, non avesse semplicemente chiesto.
«Mycroft, non è per sembrare ingrato o scontroso, davvero, ma… perché?» domandò, sollevando davanti a Mycroft la confezione di dolci. I due si trovavano in cucina, al riparo, per il momento, dalle orecchie di Sherlock, impegnato a cercare di spiegare le basi della chimica organica a Rosie in soggiorno. L’uomo sollevò un sopracciglio, raddrizzando la schiena.
«I macaron sono dolci sfiziosi e poco calorici, e ho notato che sua figlia sembra provare per loro un particolare apprezzamento…»
«No, a mia figlia piacciono semplicemente perché sono colorati ed è molto soddisfacente spiaccicarli, non per il sapore, visto che due volte su tre non arrivano nemmeno alla sua bocca.»
Mycroft si accigliò. Lanciò istintivamente un’occhiata alla porta che dava sul soggiorno per cercare il supporto del fratello, come ogni volta che il lento e banale mondo di pesci rossi lì fuori si mostrava troppo frivolo e umano per lui.
«Capisco» mormorò, quando in realtà era più confuso che mai. Sherlock si materializzò in quel momento sulla soglia della cucina, Rosie in braccio intenta a chiacchierare tutta contenta.
«Non posso dire di esserne certo, ma ho il forte sospetto che Rosie abbia bisogno di una capatina in bagno, John.»
Allungò la bambina all’uomo, le braccia dritte e tese.
«È il tuo turno.»
John roteò gli occhi e sbuffò, schiaffando la scatola di dolci in mano a Mycroft e prendendo sua figlia in braccio. Storse il naso.
«Dio santo, Rosie…»
Si allontanò scuotendo la testa e parlottando con la figlia. In cucina, Sherlock aggrottò le sopracciglia davanti alla scatola di macaron.
«Di nuovo?»
Mycroft glieli porse, incerto, esitando per qualche secondo prima di rispondere, mentre Sherlock riempiva il bollitore.
«Non avresti detto anche tu che la piccola Watson li gradiva, a giudicare dalle sue reazioni entusiaste durante le mie ultime due visite?»
Il fratello si voltò con un macaron intero in bocca.
«No.»
Mycroft sollevò appena un angolo di labbra, in disappunto, quindi scosse la testa e si avviò verso il soggiorno. Si accomodò sul divano, prendendo il giornale che trovò sul tavolino e sfogliandolo ostentatamente, come a voler scacciare via lo scambio appena trascorso.
«Oh gioia. A volte dimentico quanto ridicolo e innocuo appaia il mondo, dai giornali. Si direbbe popolato da un branco di scimmie letterate occupate a tirarsi bucce di banana a vicenda. Quando si dice che l’ignoranza è una benedizione…»
Sherlock riapparve dopo qualche minuto, dietro un vassoio con il tè. Lo servì in silenzio, mentre Mycroft continuava a leggere il giornale, quindi sprofondò nella propria poltrona.
«John ha ragione.»
Mycroft sobbalzò appena, sollevando lo sguardo interrogativo su di lui.
«Prego?»
Sherlock si accigliò.
«Perché continui a venire qui? Cosa stai cercando?»
Il fratello si strinse nelle spalle, sollevando un sopracciglio, sardonico – eppure c’era una riga amara, fra le sue labbra.
«Non riesci a dedurlo?»
Sherlock roteò gli occhi.
«Non ho abbastanza elementi per farlo. Sai quanto sia sbagliato trarre conclusioni affrettate.»
Mycroft chinò il capo, concedendogli la vittoria. John rientrò in quel momento, Rosie fra le braccia. La bambina batté le mani, contenta di constatare che sia Sherlock che Mycroft – e soprattutto, i macaron colorati – fossero ancora lì. John la face sedere sul tappeto, in un fortino di pupazzi di pezza, quindi accettò con un sorriso la tazza di tè che Sherlock gli porgeva. Gli lasciò una carezza fra i capelli e si sedette a terra accanto alla figlia con un grugnito poco signorile. Sherlock allungò impercettibilmente i piedi scalzi davanti a sé, lasciando che John appoggiasse la schiena sulle sue gambe – inconsciamente, cercava il conforto di sapere che bastava allungare una mano per potergli sfiorare la spalla, la testa, il sorriso, sapere che anche John lo voleva e lo accettava tanto vicino.
Mycroft inclinò la testa di lato, assottigliando gli occhi. Misurò la distanza fra John, Sherlock e Rosie, la confrontò con le statistiche sull’invadenza dello spazio personale, con i dati raccolti negli anni riguardo la ritrosia fisica di John e Sherlock – sgranò gli occhi, la tazzina sospesa a mezz’aria.
Sherlock gli indirizzò un’occhiata interrogativa, a cui Mycroft rispose con una altrettanto inquisitoria. John sembrò captare il silenzio ispessirsi, perché sollevò lo sguardo su Sherlock e alzò una mano per cercare la sua, abbandonata sul bracciolo.
«Sherlock? Siete diventati anche telepatici adesso?»
Sherlock gli strinse la mano e scosse il capo.
«Mycroft è diventato lento, tutto qui. Ha tutti gli elementi per fare una deduzione, eppure ancora non ci arriva.»
John aggrottò le sopracciglia, lo sguardo altalenante fra i due. Mycroft scrollò le spalle.
«Contesto emotivo, Sherlock. Intorbidisce le acque. Lo sta facendo anche con te,» mormorò, piegando il capo di lato.
John strinse le labbra.
«No, ci rinuncio. Non ci capisco niente.»
Posò la tazza di tè semivuota, prese Rosie in braccio e la portò in cucina, preparandola per darle da mangiare. Sherlock e Mycroft, in soggiorno, continuavano a squadrarsi.
«A quando il lieto evento, fratellino? Ti prego, non farmi indossare un frac, sai che non mi donano.»
Gli occhi di Sherlock non accettarono lo scherzo, si incupirono appena.
«Mi credi veramente così convenzionale?»
No, Mycroft non lo credeva, ma fu soddisfatto di averci visto giusto, almeno in parte.
«Perché sei qui, Mycroft? Perché sei qui sempre più spesso?»
Mycroft sostenne lo sguardo del fratello per un po’, sfidandolo con gli ultimi brandelli di superiorità che gli erano rimasti. Ma c’era qualcosa di diverso in Sherlock – una fierezza ed un’umiltà che non conosceva, prima – che lo costrinsero a capitolare.
«Se preferisci posso ridurre la frequenza delle mie visite…»
«Non ti ho chiesto questo.»
Mycroft sospirò, osservando attentamente il tappeto.
«Sai, Sherlock, per molti anni ho creduto, a torto, di essere immune alle pecche del genere umano. Solo ora mi rendo conto che, così facendo, non ho fatto altro che costellare la mia esistenza e quella di chi mi sta intorno di dolori ed errori.»
Aveva ora di nuovo tredici anni e guardava casa loro bruciare neanche fosse fatta di cartapesta.
«Sono finito fuori strada, Sherlock, sono caduto nel torbido rigagnolo. E non riesco a risalire.» Sentiva Sherlock piangere disperato e chiamare Victor a gran voce mentre Eurus rideva, rideva e rideva.
Sherlock si rese improvvisamente conto dell’ingombrante manto di solitudine che Mycroft si trascinava dietro dall’infanzia, di quanto dovesse essere ormai zuppo e sporco, pesante e rovinato. Decidere di sollevarglielo dalle spalle e gettarlo via, in quello stesso istante, ed assicurarsi che non lo ritrovasse mai più, fu immediato, un tacito patto di fratellanza.
«Oh, siamo tutti nel rigagnolo, Mycroft.»
Sollevò lo sguardo sul fratello, ritrovando sua madre nella fronte decisa, suo padre nelle mani gentili, la sorella nel sorriso tagliente, sé stesso negli occhi fragili.
«Siamo tutti persi e soli, nel deserto, nella fossa, nel fondo di un pozzo.»
John alzò gli occhi su di lui dall’altra parte della stanza, il cucchiaio pieno di purè dimenticato a mezz’aria – Rosie protestò con veemenza, agitando i pugnetti, boccheggiando come un pesce, ma gli occhi di John rimanevano in quelli dell’altro, scrutavano, speravano, amavano. Sherlock sorrise con gli occhi e con tutto il viso, sentendosi più sicuro che mai nella sua vita – negli occhi di John sapeva ora leggere il dubbio, la speranza, il desiderio, l’amore, gli stessi che riempivano le sue vene e i suoi polmoni. Sospirò, sperando che quell’amore potesse nuotare fuori della sua bocca e baciare quella di John, quella di Rosie, spiegare loro la profondità della fede, della devozione e dell’amore che portavano il loro nome, al sicuro nel suo petto.
Sapeva di essere vissuto disperso nel vuoto per tutta la vita, vagando senza meta, senza speranza, nei deserti dell’universo – fino a che non aveva incrociato il vagabondare di John ed era stato irrimediabilmente attratto nella sua orbita. John e Rosie gli avevano dato una direzione, uno scopo e un significato – così tanto dello Sherlock Holmes che sedeva in quella sedia era merito loro, una loro creatura.
Sorrise.         
«Ma alcuni di noi guardano le stelle.»
 





***
Finirà mai questa mia fissa per Oscar Wilde e Sherlock Holmes? Probabilmente no.
Grazie a chi è arrivato fin qui!
A presto,
-Clock


Questa storia partecipa al contest '
Mr. Holmes, I suppose' di Setsy e MontyDeeks sul forum di EFP.
  
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