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Autore: OkinoLinYu    23/09/2017    0 recensioni
In un mondo dove le persone con i superpoteri sono uscite allo scoperto, Dana desidera solo essere normale. L'incontro con Roger farà nascere in lei una nuova forza interiore e un sentimento che va oltre l'amore.
(Liberamente ispirato all'universo Marvel)
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Sovrannaturale
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Era passata una settimana da attivista quell'incontro, non si erano scambiati né indirizzo né numero di telefono, si erano salutati ed erano tornati alle loro vite.

 

Dana era un'assistente di biblioteca alla NYU, dove frequentava un master in letteratura medioevale inglese. Le sue giornate erano scandite dalla solita routine: sveglia, colazione da Starbucks, viaggio in metro per arrivare, lavoro, pausa pranzo – la maggior parte delle volte con Annie- lezione, viaggio di ritorno, cena da asporto o quello che trovava in frigo -se riusciva a fare la spesa- doccia e poi letto. Solo nei weekend usciva a svagarsi con gli amici dell'università o, spesso, ragazzi abbordati Annie che avevano un amico da sistemare. Dopo il loro fugace incontro non aveva quasi più pensato a quello strano ragazzo, totalmente immersa nel suo stress da perfetta newyorkese. Fu il caso o il destino che un venerdì, rincasando prima dal lavoro, in metropolitana lo rivide, seduto da solo, con lo sguardo assorto e malinconico. Lei non era tipo da andare a salutare gente che a stento conosceva, così restò in disparte ad osservarlo. In quel contesto non aveva nulla di strano, ma più l'osservava, più la ragazza riusciva a percepire una sorta di alienazione interiore emanata da quel giovane, il suo modo di porsi, così pacato e tranquillo, il suo modo di vedere il mondo circostante, con attenzione a tutti i dettagli, e poi le onde che emanava, le trasmettevano una sensazione a lei familiare. Quella stessa sensazione che provava ogni volta che era costretta a rapportarsi direttamente con degli sconosciuti. La paura e il timore che potessero scoprire la verità sul suo conto, il non essere accettata, persino la paura, erano tutti sentimenti perfettamente conosciuti, che quel giovane sembrava condividere. Entrambi rifiutavano il mondo circostante e la gente che lo popolava.

 

Spinta da questi profondi pensieri, fece qualcosa che non si sarebbe mai aspettata di fare, decise di seguirlo. Scese alla sua stessa fermata e, stando attenta a non farsi riconoscere, camminò dietro di lui – a debita distanza- per tutto il tempo. Roger si fermò in una palestra, una poco conosciuta, non grande e nemmeno piena di attrezzi all'avanguardia. Lei rimase un po' fuori, indecisa sul da farsi. S'era fatto buio, gli atleti cominciavano ad uscire, ma lui non era tra quelli. Prendendo coraggio e con il cuore che le batteva all'impazzata, Dana entrò, silenziosa e attenta si mise a cercare il ragazzo. Lo vide che tirava pugni ad un saccone, con delle fasce sulle nocche e la canottiera impregnata di sudore. Si avvicinò un po' di più, restando sulla soglia ad osservarlo, con il rumore dei pugni non si era accorto della sua presenza. Li tirava con gran foga, sempre più forti, tanto che la ragazza ebbe paura che il sacco potesse rompersi da un momento all'altro. I suoi timori furono subito fondati. Dopo un pugno ben assestato, il saccone volò contro il muro, producendo un forte tonfo e lasciando una profonda crepa. Il ragazzo stava prendendo fiato.

 

«Oh ma porc...» imprecò a denti stretti con una mano davanti la bocca per lo stupore.

 

Lui si girò e la vide. All'inizio non la riconobbe, poi lei abbozzò un saluto con la mano e un mezzo sorriso, avvicinandosi. Quando le fu a pochi passi si ricordò.

 

«Dana, giusto?» 

 

«Si, proprio io» rispose imbarazzata.

 

Ci fu un interminabile ed imbarazzante silenzio, lui si sfilava le bende dalle mani, lei fissava il parquet.

 

«Che...che cos'è successo?» chiese titubante indicando il sacco per terra.

 

«Credo che l'attacco fosse difettoso» provò a giustificarsi lui, dandole le spalle.

 

Ci pensò un po' su. «Non è possibile, ero qui da un po' e menavi pugni come un pazzo....eppure reggeva!»

 

Lui si voltò di scatto, stupito.

 

«Scusa scusa, non ti stavo spiando!» si affrettò a dire portando le mani avanti. «Non sono una stalker...solo che...» si bloccò.

 

«Solo che, cosa?» domandò leggermente infastidito.

 

«Ti...ti ho visto sulla metro e...non so come ti ho seguito» si grattò nervosamente una guancia, era rossa d'imbarazzo.

 

Lui la guardò sconcertato.

 

«Di solito non faccio queste cose ma tu...tu mi sembravi così simile a me» abbassò il tono di voce sul finire della frase.

 

«Simile?»

 

Annuì. «E quello non fa che confermarlo...» indicò il sacco.

 

«Come fai a dirlo?» chiese lui, incrociando le braccia al petto e mettendosi di fronte a lei.

 

La ragazza fece un passo indietro, leggermente preoccupata.

 

«Ecco...» mille pensieri cominciarono a correre nella sua mente, si guardava nervosamente attorno, sentiva i battiti accelerati del suo cuore; «Promettimi che manterrai il segreto» disse seria.

 

Lui per tutta risposta la guardò interrogativo.

 

«Oh chissene!» sbottò alzando gli occhi al cielo.

 

Portò avanti la mano destra e la tenne tesa in direzione del ragazzo.

 

Lui alzò un sopracciglio, confuso. «Ebbene?» chiese dopo qualche secondo.

 

Con la coda dell'occhio vide qualcosa muoversi alla sua destra, all'altezza delle spalle, si voltò di scatto e constatò –con suo immenso stupore- che c'era un manubrio da palestra che svolazzava intorno a lui.

 

Repentino si girò verso Dana e la vide concentrata su quel peso, la mano ancora tesa che ne seguiva i movimenti. Tornò subito all'oggetto volante.

 

Dopo aver librato per qualche secondo davanti al suo viso, cadde a terra con un forte rumore metallico, lui si scostò appena in tempo per far si che non gli finisse su un piede.

 

«Scusa» disse lei affannata, il braccio era sceso e si asciugava la fronte sudata con il dorso della mano destra.

 

Roger era rimasto a bocca aperta. Guardava alternativamente il peso a terra e la giovane.

 

«Che cosa sei?» chiese ad un tratto.

 

Quella domanda fece crollare le grandi aspettative che la ragazza aveva riposto in lui. La sua espressione cambiò radicalmente, da carica di speranza a pregna di profonda delusione. Il sogno che lui potesse essere come lei si era infranto così com'era stato creato.

 

«No...n..nulla» balbettò. Cominciò a guardarsi attorno con ansia, le sue poche certezze erano crollate, si era esposta così ad uno sconosciuto e non riusciva a sopportarlo.

 

«Scusa» disse frettolosamente; Si voltò e iniziò a correre verso la porta.

 

Roger, non contento della risposta, si fiondò ad acchiapparla, prendendola per un braccio. «Aspetta» disse facendola voltare.

 

Così notò che stava piangendo, e tanto anche, le guance erano già tutte bagnate e gli occhi pieni di quel liquido salato. Lei si divincolò, ma la presa del ragazzo era forte.

 

«Scusami, davvero» esclamò lui vedendola così sconvolta.

 

Dana non rispose, si limitò ad asciugarsi le guance con la mano libera. Lui lasciò la presa.

 

«Ti prego, perdonami, non volevo farti star male» dal suo tono di voce si capiva che era realmente dispiaciuto. La ragazza lo apprezzò.

 

«Ti scongiuro, non farne parola con nessuno» volle assicurarsi almeno di questo.

 

«Si si, non ti preoccupare. Però, per favore, fammi rimediare a quello che ti ho fatto» era così galante e premuroso, come pochi di quei tempi.

 

Lei rimase in silenzio, la testa china.

 

«Permettimi di offrirti la cena» esclamò serio.

 

Lei tirò su col naso e acconsentì. 

 

Dopo essersi lavato e cambiato, uscirono insieme dalla palestra e si diressero verso una tavola calda. Si sedettero ad un tavolino che dava sulla vetrina del locale. Erano l'uno di fronte all'altra, ma Dana non aveva il coraggio di guardarlo in faccia. Ordinarono, lei una Cesar Salad, lui una bistecca. Dopo attimi di un silenzio imbarazzante lui prese la parola per primo.

 

«Ti prego di perdonarmi per la mia reazione. Ma mi hai colto alla sprovvista» cercò di giustificarsi.

 

«Non fa niente, è comprensibile» esclamò rassegnata, sospirando.

 

«Anche...anche io sono diverso» disse dopo qualche minuto di silenzio, guardando la strada.

 

Lei alzò lo sguardo, interrogativa.

 

«Questo l'avevo capito» disse ironica. «Pensavo fossi come me!»

 

Lui la fissò e stava per pronunciare la stessa domanda di prima, ma fu anticipato,

 

«Sono una Mutata» disse d'un fiato, come per togliersi un grosso peso tenuto nascosto da troppo tempo.

 

Lui spalancò gli occhi. Finalmente aveva capito. Non aveva mai visto un mutato di persona, anzi, pensava fossero molto più strani e spaventosi.

 

«Sono così dalla nascita, non posso farci nulla» disse alzando le spalle. Poi catturando la sua attenzione gli fece notare l'impercettibile ricrescita dei suoi capelli, lui notò il verde, sorrise incredulo.

 

«Già. C'è chi è più fortunato di me e può nasconderlo per molti anni, altri invece non hanno modo di passare inosservati, e forse anche per questo motivo hanno deciso di uscire allo scoperto. Io mi sono dovuta adattare...» si era sciolta un po' ed aveva cominciato a prendere la cosa sul ridere.

 

Arrivarono le loro ordinazioni e la conversazione fu interrotta dalle bocche piene.

 

«Invece tu?» chiese pulendosi la bocca con un tovagliolo.

 

Lui la guardò stupito.

 

«Si, non è da tutti sfondare un sacco da boxe» ridacchiò.

 

«In effetti...» sorrise imbarazzato. Decise anche lui di vuotare il sacco. «Non so di preciso cosa mi sia successo, un giorno volevo colpire un tizio ma lo mancai, per sua fortuna, perché colpii il muro dietro di lui, distruggendolo. Pensa se fosse stato il suo cranio!» sorrise imbarazzato.

 

Dana era sbalordita, rimase con la forchetta a mezz'aria. «Quindi tu non sei nato con questa...superforza?»

 

«No» si incupì.

 

«Ti hanno fatto degli esperimenti scientifici?»

 

«No...» si sentiva a disagio con tutte quelle domande, lui non era tipo da fare confidenze al primo che passa.

 

Dana notò il suo disagio e restò per un attimo in silenzio.

 

«Non sarai mica una spia nemica in incognito?» disse ridendo. «O lo sei?» chiese, d'improvviso seria.

 

Lui ridacchiò e trasse un profondo respiro. La tensione si era allentata.

 

«Ti capisco se non vuoi parlarne, non è una cosa semplice»

 

Lui scosse la testa e la guardò intensamente. Lei si perse nei suoi occhi cerulei, così profondi e intensi, che per qualche secondo perse la cognizione dello spazio e del tempo, dimenticandosi di tutto.

 

«Non c'è molto da raccontare sul mio conto» disse tristemente. «Ero un ragazzo normale che una mattina si è svegliato con dei poteri sovrumani...»

 

Lei rimase un attimo in silenzio.

 

«Vuoi fare a gara chi è più sfigato?» esclamò lei scherzosa.

 

Lui la fissò perplesso.

 

«Sono una mutata, ho i capelli verdi, se la gente lo venisse a sapere mi lincerebbe e sono persino stata adottata» disse ironica, con un sorrisetto sulle labbra.

 

Si fissarono e poi scoppiarono entrambi a ridere. Una risata liberatoria e senza pensieri.

 

«In effetti sarebbe una bella gara» disse lui tra un riso e l'altro.

 

La serata procedette tranquilla, continuarono a parlare delle loro vite, del mondo circostante e della continua sensazione di straniamento che entrambi provavano. A fine cena si salutarono promettendo di rivedersi.

   
 
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