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Autore: Me91    23/09/2017    6 recensioni
"Primo posto al contest indetto da E. Comper sul sito: ‘Cronache di Cacciatori’"
Nell'Antica Grecia è in corso una spietata caccia a un malefico mostro.
Tra miti e Dei, breve frammento di vita di due cacciatori e la loro missione.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Così è giusto

 

Prologo

 

Il mito racconta di Neilos, un umano la quale bellezza faceva invidia agli Dei, tanto che costellarono la sua esistenza di sciagure e malasorte: dalla morte della sua amata madre, alla perdita totale dell’udito a causa di un incidente e un incendio che distrusse la casa dove abitava. Neilos, disperato, si rivolse proprio a quegli Dei che avevano reso la sua vita così terribile, chiedendo perdono e implorando la loro pietà. E Zeus, impietosito dalle sue sincere lacrime, lo trasformò in statua, posizionandolo ai piedi di una bellissima scalinata che conduceva ai due lati di un raffinato giardino di un ricco signore di Atene.

Dalla sua posizione previlegiata, da far invidia a tutte le altre statue del curato giardino, poteva godere di una vista meravigliosa sulla magnifica fontana che, con la sua vasca rettangolare, l’acqua limpidissima e le colonne bianche, era vanto del suo proprietario nei confronti dei propri ospiti. Inoltre, ogni notte, la luna stessa scendeva a rinfrescarsi tra quelle acque stupende, sotto forma di fanciulla dai lunghi capelli argentei. Nuda e bellissima, faceva capolino da dietro le brillanti colonne di marmo, lanciava un timido sguardo a Neilos e, con un piccolo sorriso, gli dava poi le spalle, estasiandolo con la sua bellezza mentre lentamente andava ad immergersi nelle fresche acque.

Neilos si era follemente innamorato della fanciulla, ma purtroppo, per la sua condizione, non poteva raggiungerla per immergersi con lei. Nelle notti di luna nuova, al buio, intonava dei dolci canti rivolti alla sua amata, aspettando con trepidazione il giorno successivo per poterla rivedere.

Le altre statue del giardino, gelose dello speciale scambio di sguardi che si dedicavano i due, si rivolsero agli Dei, chiedendo di poter punire Neilos, colpevole di aver sedotto la luna con la sua bellezza. Phthonus, spirito dell’invidia e della gelosia, accolse la loro richiesta e, proprio in una notte di luna nuova, diede vita a tutte le statue tranne Neilos. Queste, chi armato di spada perché rappresentate un vecchio guerriero, chi brandendo una pietra raccolta a terra, come alcune eleganti dame, circondarono Neilos e lo colpirono con le loro armi: un fendente di spada gli spaccò di netto un braccio, delle pietre gli sfigurarono il viso, altri colpi creparono il brillante marmo che lo componeva, rovinando di fatto la sua perfetta bellezza. Infine le statue tornarono ai loro posti prima dell’alba.

La notte successiva la luna scese alla fontana e, come solita fare, alzò lo sguardo verso Neilos. Si portò quindi una mano alla bocca, esterrefatta da ciò che gli era accaduto. Subito dopo si tuffò in acqua e scomparve, tornando in cielo a piangere.

Delle lacrime illuminarono anche ciò che restava degli occhi del povero Neilos e si fecero strada sul suo volto sfigurato, scivolando poi verso terra. Alla vista del suo pianto, la luna si disperò ancor di più, elevando i suoi lamenti al cupo cielo notturno.

Furono proprio quei lamenti a risvegliare l’imponente statua di Artemide che riposava quieta al tempio a lei dedicato posto poco distante da quel giardino. Alle deboli luci delle candele che infiammavano il lucente corpo di marmo della Dea, i suoi occhi si volsero in alto e ascoltarono con attenzione il pianto della luna. Con crepitii ed echi sinistri, l’imponente statua di tre metri scese dal piedistallo su cui era posta, per poi battere con risoluzione un piede a terra, ergendosi con fierezza e decisione. La Dea, devota al luminoso astro notturno, aveva pronta la sua vendetta.

Con regale e imponente passo raggiunse il giardino e si pose alla sommità dell’elegante scalinata. Da quel punto posto in alto aveva così un’ottima visuale. Brandì quindi il suo lucente arco e caricò una freccia, poi, con terribile sguardo, la scagliò in direzione della prima statua posta in un loculo e raffigurante una dama dai lineamenti delicati: la freccia raggiunse la dama al petto e, con indicibile violenza, la trafisse, spezzandola a metà. Mentre la dama crollava a terra con un terribile suono, i suoi lineamenti si trasfigurarono, mostrando un’espressione terrorizzata. Artemide si volse allora alla sua destra e scoccò con freddezza la seconda freccia, centrando il volto di un’altra dama poco distante. Altre frecce partirono con violenza dal suo arco, portando distruzione tra le statue del giardino. Terminate le frecce, la Dea avanzò con lenta eleganza in direzione di una scultura rappresentante un fiero guerriero che ergeva in alto la sua spada. Con un gesto deciso, la Dea strappò via l’arma dalla mano del guerriero e, ruotandola in aria, la calò con decisione sul suo capo, spaccando con un rombo testa e spalla dell’uomo in tanti pezzi. Si diresse poi verso le ultime statue rimaste e, a colpi di fendenti con la sua nuova arma, portò a termine il suo compito. All’ultimo colpo la spada che teneva in mano si ruppe a causa della forza con cui l’aveva utilizzata; senza scomporsi, la Dea lasciò cadere a terra i pochi frammenti che le erano rimasti in mano e si voltò quindi verso Neilos.

Con calma si avvicinò a lui e vi si fermò davanti. Dopo averlo osservato per qualche istante ed aver verificato che le lacrime sul suo volto erano di pura gratitudine nei suoi confronti, allungò una mano per poi posarla sul petto crepato della povera statua. Non appena le sue dita di marmo sfiorarono Neilos, questo scomparve in un turbinio di tante luci che, ruotando su loro stesse, furono sospinte dalla Dea verso il cielo. Qui si aggrapparono al manto celeste e composero una nuova costellazione, quella dell’umano di cui si era innamorata la luna, che ora poteva godere della vista del suo amato tutte le volte che appariva nel cielo stellato. 

 

Tra tutti i miti sulla Dea Artemide, quello della luna e la statua innamorati è di gran lunga il preferito di Sibilla. La donna, a sua volta devota alla Dea della caccia, vive in fondo una vita simile a quella dello sfortunato Neilos: un’intera esistenza costellata di maledizioni e sofferenze e un amore impossibile da realizzare, se non in sogno mentre osserva il cielo stellato.

E il suo amore è là, a cavalcare al suo fianco su quel destriero bianco; lo intravede tra le fronde del bosco, illuminato dalla calda luce del tramonto. Il corpo che sussulta al ritmo dei respiri del cavallo, i ricci capelli corvini che rimbalzano ad ogni passo e lo sguardo attento mirato davanti a sé. Quello di Sibilla invece, di sguardo, distratto dal vorticare di pensieri che affollano la mente della giovane guerriera, indugia sulla figura di quel cavaliere che corre tra gli alberi.

Elios, bello come il sole da cui prende il nome, non sarà mai suo.

Un breve sospiro e la fanciulla torna a guardare di fronte a sé, cercando di riordinare i pensieri.

È certa di quell’affermazione, in quanto un compito arduo sta per attenderli, da cui non crede di aver speranze ad uscirne viva.

A poche ore dalla notte profonda, sono infatti giunti alla loro destinazione. Sono i loro cavalli a percepire per primi il pericolo di quel luogo: le forti zampe si irrigidiscono improvvisamente e gli animali, con respiro nervoso, si vanno a fermare alla soglia della buia grotta che si apre subito dopo quella fitta boscaglia.

I due cavalieri si affiancano per osservare quel buio impenetrabile. Un vento gelido risale l’oscurità e lambisce le loro membra, strappando ad entrambi un breve e nervoso brivido di freddo. A quel punto i due si guardano negli occhi, leggendo un velo di terrore in entrambi.

«Sei pronto?» sussurra rocamente Sibilla, infastidendosi nel constatare che la sua voce sta leggermente tremando.

«No.» il sorriso di Elios è teso e ironico «Ma abbiamo scelta?»

«Tu ne hai.»

La ragazza allunga la mano e la va a posare sul braccio del compagno, guardandolo intensamente e in modo malinconico.

«Ne hai, Elios. Non venire. È una cosa che io devo fare.»

«Noi siamo una cosa sola.» ribatte lui con decisione, mettendo la sua mano su quella di lei «E non lascio a te tutto il divertimento.»

Lei storce le labbra con fare seccato.

«Sei un maledetto guastafeste.» decreta scendendo dal cavallo con un agile balzo.

Elios mostra un piccolo sorriso per i modi della donna e scende a sua volta.

Dopo essersi assicurata di aver smontato tutto dal suo destriero, Sibilla si sistema meglio in spalla la faretra con le frecce e, stringendo con forza l’arco, muove il primo passo verso la grotta.

Immediatamente Elios è al suo fianco e la prende per mano; dopo un fugace sguardo di intesa, i due si immergono correndo nell’oscurità.

La porta degli Inferi è stata varcata e la loro visita non passerà inosservata.

  
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