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Autore: Mary Rosemary    24/09/2017    8 recensioni
Alle volte avrebbe pagato oro per avere silenzi simili; non quella volta.
Mabon da anni era stato così, dall'attimo in cui lei e le sue sorelle furono costrette a lasciare la loro vecchia dimora per non vivere nella stessa stanza con la sola compagnia del cadavere in decomposizione della loro madre.
Prima della sua morte Mabon aveva la parvenza di essere l'equinozio di autunno di una normale famiglia che fosse abbastanza attaccata alle tradizioni; la tavola imbandita di frutti, la condivisione di essi per ringraziare l'ultimo raccolto prima del gelido inverno.
Il profumo delle mele cotte risollevava il suo morale ed il cappio che le antenate stringevano al collo della loro progenitrice si allentava leggermente.
Era tutto più caldo e godibile; per un attimo, sembrava molto meno cupo.
Darcy percepiva la loro presenza affievolirsi e poteva illudersi, almeno per ventiquattro ore, che da tale giorno le avrebbero lasciate in pace; fin quando non smise di farlo e la realtà la costrinse a saper contenere e sapersi contenere.
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Darcy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'The Wheel of the Year'
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Mabon



Condivìdere v. tr. [comp. di con- e dividere] (coniug. come dividere)

Dividere, spartire insieme con altri



Avvertenze: possibile presenza di stream of consciousness (alias enormi seghe mentali)




Le foglie di tè ruotavano senza sosta su loro stesse, macchiando costantemente la chiara e pura acqua bollente che si preoccupava di tenerle a galla.
Non era sempre stato così?
Ogni foglia che, danzando nel vento, cadeva nella sua vita finiva per aggiungersi al mucchio, già abbastanza alto, che aveva accumulato in tutti quegli anni.
Perché era questo che Darcy si ostinava a fare: accumulare.
Le esperienze, di crescente intensità, sporcavano tramite diffusione la sua mente dando origine a nuovi, fastidiosi pensieri; gli stessi che, nel momento in cui aveva un disperato bisogno di prendere sonno, si rifiutavano di interrompere il proprio funzionamento.
E finiva vittima delle conseguenze di essere tanto intelligente: era consapevole di troppe cose, e tale consapevolezza la riduceva a pensare in modo spropositato.
Tanto da passare dal cercare il pelo nell'uovo nei piani di sua sorella maggiore al chiedersi costantemente perché un ragazzo dagli assurdi capelli biondi seduto al bancone stesse continuando a lanciare sguardi ammiccanti nella sua direzione. E se, effettivamente, stesse guardando lei e non qualcos'altro.
La mattina stessa il suo cervello l'aveva colta di sorpresa: si era messo di buon'ora a macinare pensieri con un rendimento assurdamente alto – forse aveva cominciato durante la notte, date le scure occhiaie che aveva abilmente coperto con il correttore – aggiungendosi al clima pesante e teso che aleggiava nella dimora in cui viveva con le sorelle. A Mabon, l'equinozio d'autunno, l'atmosfera era sempre la stessa, per quanti anni fossero passati dal primo trascorso in tale maniera.
Condividere era diventato un optional, e ciò non stava stretto a nessuna delle tre.
Quindi Darcy si era ritrovata ad uscire da casa il prima possibile, prendendo la decisione di infilarsi in uno dei suoi locali preferiti nella città di Magix.
Per quanto fosse un rischio inutile, ne aveva bisogno; quando si alzava con le paturnie l'unica cosa che poteva risollevarla era l'infuso fatto a mano che poteva trovare solo là. Bastava essere particolarmente prudenti nel modificare il proprio aspetto e, forse – la probabilità era molto bassa ma c'era, eccome se c'era – nessuno l'avrebbe riconosciuta.
Così, ben coperta per affrontare i primi venti freddi di settembre, aveva camminato per dieci minuti all'ombra lungo le vie meno affollate della capitale, guardando solo ed esclusivamente davanti a sé.
E, appena l'insegna che cercava fu nel suo campo visivo, affrettò il passo.
L'ultima volta che si era trasformata in un luogo a rischio era stata scoperta da Musa, che ne aveva riconosciuto i lineamenti e l'aveva smascherata; si sarebbe anche messa a correre fino al locale per evitare che ciò accadesse di nuovo.
Invece, si era ritrovata all'interno in tutta tranquillità, a trascorrere un pomeriggio con sé stessa e nessun altro.
Alle volte avrebbe pagato oro per avere silenzi simili; non quella volta.
Restare sola con sé stessa voleva dire avere a che fare con un treno di pensieri parecchio lungo; uno di quelli ad alta velocità che proseguiva in una sola direzione.
E l'unico modo per fermarlo era lasciare che si schiantasse violentemente contro la sua scatola cranica, non senza averla mandata in paranoia per cose inutili come il fatto che chiunque fosse entrato dall'elegante porta a vetri avrebbe potuto immediatamente riconoscerla e consegnarla ai templari di Roccaluce.
Lucidamente si sarebbe contraddetta in mezzo secondo: ma dopo lo schianto raramente poteva definirsi lucida.
E Mabon da anni era stato così, dall'attimo in cui lei e le sue sorelle furono costrette a lasciare la loro vecchia dimora per non vivere nella stessa stanza con la sola compagnia del cadavere in decomposizione della loro madre.
Prima della sua morte Mabon aveva la parvenza di essere l'equinozio di autunno di una normale famiglia che fosse abbastanza attaccata alle tradizioni; la tavola imbandita di frutti, la condivisione di essi per ringraziare l'ultimo raccolto prima del gelido inverno.
Il profumo delle mele cotte risollevava il suo morale ed il cappio che le antenate stringevano al collo della loro progenitrice si allentava leggermente.
Era tutto più caldo e godibile; per un attimo, sembrava molto meno cupo.
Darcy percepiva la loro presenza affievolirsi e poteva illudersi, almeno per ventiquattro ore, che da tale giorno le avrebbero lasciate in pace; fin quando non smise di farlo e la realtà la costrinse a saper contenere e sapersi contenere.
Nessun frutto aveva più decorato la tavola, il caldo colore delle foglie cadute si era tramutato in un quasi insopportabile grigiore che aveva tinto le pareti del loro 'alloggio temporaneo' – non che la situazione nella stanza di Torrenuvola in cui stavano risultasse molto diversa – costringendola a passare un'altra festività nella sua tanto odiata ed allo stesso tempo adorata solitudine.
Era comunque meglio che trascorrerla con le sorelle; l'unica lieve differenza era il luogo.
Evitarsi dentro casa o fuori, del resto, non cambiava molto la loro condizione. Era pur sempre un evitarsi.
E all'indomani sarebbe tornato quasi tutto alla normalità.
L
a strega sollevò il cucchiaino dalla tazza, osservando come le foglie di tè rallentavano il loro moto fino ad arrestarsi. Poi prese qualche sorso, gustandosi l'amaro sapore che inebriava le sue papille gustative.
Le era mancato, per tutto quel tempo, l'unico infuso che era capace di darle una quiete che raramente trovava in altro modo.
Del resto era preferibile all'idea di doversi abituare altrove, e cercare un altro luogo dove fuggire nei momenti particolarmente difficili.
P
osò con un delicato movimento la tazza ed alzò lo sguardo sul fastidioso ragazzino che, per sua fortuna, si era deciso a levare le tende; il suo posto era stato preso da un ragazzo di corporatura ben più prestante, coperto da una felpa scura dal capo alla vita.
Pochi gesti, qualche parola, ed il barista aveva già capito cosa intendeva.
Darcy deglutì.
Dopo tale azione, non si azzardò a fare altro di più rumoroso di un respiro.
Non le ci era voluto molto per capire che, infelicemente, il locale non era più un posto tanto sicuro. Con tutta la calma di cui era capace, distolse lo sguardo e lo riportò sul suo infuso.
Quale terribile errore, pensare che non sarebbe mai tornato in un posto dove lei l'aveva, una volta, molto tempo prima, portato; non aveva messo in conto l'incapacità di prendere scelte decisive del soggetto, pensava di essere totalmente protetta una volta celatasi all'interno della propria tana come un coniglio.
Lui conosceva il suo profumo, la sua cadenza nel parlare e nel camminare, era stato talmente attento nei particolari che ormai avrebbe potuto riconoscerla anche in una sua eventuale trasformazione in un individuo maschile. Stare attenta alle fatine era stato inutile: avrebbe dovuto considerare la prevedibile mania di isolarsi, così tipica di Riven.
Una delle non poche cose che aveva permesso alla loro relazione di durare. Il problema stava nel fatto che nemmeno gli aspetti negativi fossero pochi; due dei quali erano particolarmente persistenti.
Due a caso.
Ma, nonostante tutto fosse finito troppo in fretta e senza spiegazioni, si era trovata costretta ad andare avanti. Per il proprio bene e, soprattutto, per quello del suo orgoglio.
E così aveva fatto, accettando la verità – forse parziale, non era mai arrivata ad una conclusione certa – sul fatto che a lei non importasse granché di Riven; oppure che non dovesse interessarle affatto.
Il risultato, alla conclusione, era comunque lo stesso.
Lo Specialista prese un bel sorso dalla bottiglia di Guinnes – lo sapeva per certo anche senza guardarlo, prendeva sempre quella – che gli era appena stata appoggiata sul bancone, senza dar accenno di volersi togliere il cappuccio, come se non gli piacesse farsi vedere lì. Probabilmente non gli piaceva sul serio: troppi ricordi.
Sentirsi vulnerabile non era solamente un'emozione odiata dalla strega, lo sapeva fin troppo bene; eppure, dopo anni, sembrava che lui avesse imparato a conviverci più di quanto l'avesse fatto lei stessa.
L'eternità che si era creata fra loro due era ormai palpabile, mentre lei prendeva l'ennesimo, silenzioso sorso dalla sua tazza di tè. Mai come allora, i suoi pensieri smisero di produrre il fastidioso brusio di sottofondo che popolava la sua testa.
Solo il rumore della tazza sul piattino, i sorsi di birra che scendevano in gola, la bottiglia sul bancone, la porta a vetri, la macchinetta del caffè, ed ancora il tintinnare debole della ceramica.
Nessuno dei due si mosse di un millimetro, Darcy poteva provarlo scientificamente.
Il sapore amaro e leggermente fruttato le invase di nuovo la bocca, mentre con qualche sguardo controllò la situazione; il tutto si era fatto talmente ciclico e ripetitivo da cancellare la quiete stabilita fino ad allora.
Con i nervi a fior di pelle, si costrinse a respirare profondamente per poter far meno rumore. Forse, era abbastanza lontano da non notarla.
Forse, avrebbe voluto che la notasse.
E se in tutti gli equinozi di autunno non aveva fatto altro che fuggire dalla divisione creatasi fra lei e le sue sorelle, tale giorno aveva scelto il posto più sbagliato per dimenticarsene.
Eppure non levò nemmeno un dito per sottrarsi alla propria condizione.
La separazione aveva vinto, di nuovo.
Quando Riven si alzò, intento a raggiungere l'uscita, Darcy non fece nulla.
Stette rigida al suo posto, ancora intenta a godersi ciò che rimaneva del suo caldo infuso, lasciandolo andare senza proferir parola.
Condividere presupponeva un minimo di fondamento di fiducia, conoscenza base che lei non aveva; e, non era assurdo domandarsi se l'avesse mai
voluta avere.



Condizioni per l'uso:
Per le avvertenze vedi sopra.
Aehm. Ho provato a cimentarmi in una grossa serie di seghe mentali made in Lady Darkness, con come sfondo la festività di Mabon: festa celebrata durante l'equinozio d'autunno (infatti sono in ritardo, chiedo venia ma l'università ha succhiato le mie energie fino all'osso) nella quale si condividono i frutti del raccolto iniziato con Lughnasadh e che qui giunge al termine, segnando l'imminente arrivo dell'inverno.
Pensando alla condivisione ho ficcato dentro un po' di differenze fra passato e futuro, ed in mezzo ci ho messo anche Riven perché, come il prezzemolo, fa schifo e si può mettere ovunque.
Sto scherzando, il prezzemolo è buono.
Spero vi possa piacere, anche se ho provato a liberare un po' di più i pensieri e spero non sia troppo confuso. Damn, anche io non le seghe mentali.
Btw, questa è la seconda della serie, arriveranno anche le altre.
Ma non è questo il giorno.


Mary

   
 
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