Mabon
Condivìdere v. tr. [comp. di con- e dividere] (coniug. come dividere)
– Dividere, spartire insieme con altri
Avvertenze: possibile presenza di stream of consciousness (alias enormi seghe mentali)
Le
foglie di tè ruotavano senza sosta su loro stesse,
macchiando
costantemente la chiara e pura acqua bollente che si preoccupava di
tenerle a galla.
Non
era sempre stato così?
Ogni
foglia che, danzando nel vento, cadeva nella sua vita finiva per
aggiungersi al mucchio, già abbastanza alto, che aveva
accumulato in
tutti quegli anni.
Perché
era questo che Darcy si ostinava a fare: accumulare.
Le
esperienze, di crescente intensità, sporcavano tramite
diffusione la
sua mente dando origine a nuovi, fastidiosi pensieri; gli stessi che,
nel momento in cui aveva un disperato bisogno di prendere sonno, si
rifiutavano di interrompere il proprio funzionamento.
E
finiva vittima delle conseguenze di essere tanto intelligente: era
consapevole di troppe cose, e tale consapevolezza la riduceva a
pensare in modo spropositato.
Tanto
da passare dal cercare il pelo nell'uovo nei piani di sua sorella
maggiore al chiedersi costantemente perché un ragazzo dagli
assurdi
capelli biondi seduto al bancone stesse continuando a lanciare
sguardi ammiccanti nella sua direzione. E se, effettivamente, stesse
guardando lei e non qualcos'altro.
La
mattina stessa il suo cervello l'aveva colta di sorpresa: si era
messo di buon'ora a macinare pensieri con un rendimento assurdamente
alto – forse aveva cominciato durante la notte, date le scure
occhiaie che aveva abilmente coperto con il correttore –
aggiungendosi al clima pesante e teso che aleggiava nella dimora in
cui viveva con le sorelle. A Mabon, l'equinozio d'autunno,
l'atmosfera era sempre la stessa, per quanti anni fossero passati dal
primo trascorso in tale maniera.
Condividere
era diventato un optional, e ciò non stava stretto a nessuna
delle
tre.
Quindi
Darcy si era ritrovata ad uscire da casa il prima possibile,
prendendo la decisione di infilarsi in uno dei suoi locali preferiti
nella città di Magix.
Per
quanto fosse un rischio inutile, ne aveva bisogno; quando si alzava
con le paturnie l'unica cosa che poteva risollevarla era l'infuso
fatto a mano che poteva trovare solo là. Bastava essere
particolarmente prudenti nel modificare il proprio aspetto e, forse
–
la probabilità era molto bassa ma c'era, eccome se
c'era –
nessuno l'avrebbe riconosciuta.
Così,
ben coperta per affrontare i primi venti freddi di settembre, aveva
camminato per dieci minuti all'ombra lungo le vie meno affollate
della capitale, guardando solo ed esclusivamente davanti a
sé.
E,
appena l'insegna che cercava fu nel suo campo visivo,
affrettò il
passo.
L'ultima
volta che si era trasformata in un luogo a rischio era stata scoperta
da Musa, che ne aveva riconosciuto i lineamenti e l'aveva
smascherata; si sarebbe anche messa a correre fino al locale per
evitare che ciò accadesse di nuovo.
Invece,
si era ritrovata all'interno in tutta tranquillità, a
trascorrere un
pomeriggio con sé stessa e nessun altro.
Alle
volte avrebbe pagato oro per avere silenzi simili; non quella volta.
Restare
sola con sé stessa voleva dire avere a che fare con un treno
di
pensieri parecchio lungo; uno di quelli ad alta velocità che
proseguiva in una sola direzione.
E
l'unico modo per fermarlo era lasciare che si schiantasse
violentemente contro la sua scatola cranica, non senza averla mandata
in paranoia per cose inutili come il fatto che chiunque fosse entrato
dall'elegante porta a vetri avrebbe potuto immediatamente
riconoscerla e consegnarla ai templari di Roccaluce.
Lucidamente
si sarebbe contraddetta in mezzo secondo: ma dopo lo schianto
raramente poteva definirsi lucida.
E
Mabon da anni era stato così, dall'attimo in cui lei e le
sue
sorelle furono costrette a lasciare la loro vecchia dimora per non
vivere nella stessa stanza con la sola compagnia del cadavere in
decomposizione della loro madre.
Prima
della sua morte Mabon aveva la parvenza di essere l'equinozio di
autunno di una normale famiglia che fosse abbastanza attaccata alle
tradizioni; la tavola imbandita di frutti, la condivisione di essi
per ringraziare l'ultimo raccolto prima del gelido inverno.
Il
profumo delle mele cotte risollevava il suo morale ed il cappio che
le antenate stringevano al collo della loro progenitrice si allentava
leggermente.
Era
tutto più caldo e godibile; per un attimo, sembrava molto
meno cupo.
Darcy
percepiva la loro presenza affievolirsi e poteva illudersi, almeno
per ventiquattro ore, che da tale giorno le avrebbero lasciate in
pace; fin quando non smise di farlo e la realtà la costrinse
a saper
contenere e sapersi
contenere.
Nessun
frutto aveva più decorato la tavola, il caldo colore delle
foglie
cadute si era tramutato in un quasi insopportabile grigiore che aveva
tinto le pareti del loro 'alloggio temporaneo' – non che la
situazione nella stanza di Torrenuvola in cui stavano risultasse
molto diversa – costringendola a passare un'altra
festività nella
sua tanto odiata ed allo stesso tempo adorata solitudine.
Era
comunque meglio che trascorrerla con le sorelle; l'unica lieve
differenza era il luogo.
Evitarsi
dentro casa o fuori, del resto, non cambiava molto la loro
condizione. Era
pur sempre un
evitarsi.
E
all'indomani sarebbe tornato quasi tutto alla normalità.
La
strega sollevò il cucchiaino dalla tazza, osservando come le
foglie
di tè rallentavano il loro moto fino ad arrestarsi. Poi
prese
qualche sorso, gustandosi l'amaro sapore che inebriava le sue papille
gustative.
Le
era mancato, per tutto quel tempo, l'unico infuso che era capace di
darle una quiete che raramente trovava in altro modo. Del
resto era preferibile all'idea
di doversi
abituare
altrove, e cercare un altro luogo dove fuggire nei momenti
particolarmente difficili.
Posò
con un delicato movimento la tazza ed alzò lo sguardo sul
fastidioso
ragazzino che, per sua fortuna, si era deciso a levare le tende; il
suo posto era
stato preso da
un ragazzo di corporatura ben più prestante, coperto da una
felpa
scura dal capo alla vita.
Pochi
gesti, qualche parola, ed il barista aveva già capito cosa
intendeva.
Darcy
deglutì.
Dopo
tale azione, non si azzardò a fare altro di più
rumoroso di un
respiro.
Non
le ci era voluto molto per capire che, infelicemente, il locale non
era più un posto tanto sicuro. Con tutta la calma di cui era
capace,
distolse lo sguardo e lo riportò sul suo infuso.
Quale
terribile errore, pensare che non sarebbe mai tornato in un posto
dove lei l'aveva, una volta, molto tempo prima, portato; non aveva
messo in conto l'incapacità di prendere scelte decisive del
soggetto, pensava di essere totalmente protetta una volta celatasi
all'interno della propria tana come un coniglio.
Lui
conosceva il suo profumo, la sua cadenza nel parlare e nel camminare,
era stato talmente attento nei particolari che ormai avrebbe potuto
riconoscerla anche in una sua eventuale trasformazione in un
individuo maschile. Stare attenta alle fatine era stato inutile:
avrebbe dovuto considerare la prevedibile mania di isolarsi,
così
tipica di Riven.
Una
delle non poche cose che aveva permesso alla loro relazione di
durare. Il problema stava nel fatto che nemmeno gli aspetti negativi
fossero pochi; due dei quali erano particolarmente persistenti.
Due
a caso.
Ma,
nonostante tutto fosse finito troppo in fretta e senza spiegazioni,
si era trovata costretta ad andare avanti. Per il proprio bene e,
soprattutto, per quello del suo orgoglio.
E
così aveva fatto, accettando la verità
– forse parziale, non era
mai arrivata ad una conclusione certa – sul fatto che a lei
non
importasse granché di Riven; oppure che non dovesse
interessarle
affatto.
Il
risultato, alla conclusione, era comunque lo stesso.
Lo
Specialista prese un bel sorso dalla bottiglia di Guinnes –
lo
sapeva per certo anche
senza
guardarlo,
prendeva sempre
quella – che gli era appena stata appoggiata sul bancone,
senza dar
accenno di volersi togliere il cappuccio, come se non gli piacesse
farsi vedere lì. Probabilmente non gli piaceva sul serio:
troppi
ricordi.
Sentirsi
vulnerabile non era solamente un'emozione odiata dalla strega, lo
sapeva fin troppo bene; eppure, dopo anni, sembrava che lui avesse
imparato a conviverci più di quanto l'avesse fatto lei
stessa.
L'eternità
che si era creata fra loro due era ormai palpabile, mentre lei
prendeva l'ennesimo, silenzioso sorso dalla sua tazza di tè.
Mai
come allora, i suoi pensieri smisero di produrre il fastidioso brusio
di sottofondo che popolava la sua testa.
Solo
il rumore della tazza sul piattino, i sorsi di birra che scendevano
in gola, la bottiglia sul bancone, la porta a vetri, la macchinetta
del caffè, ed ancora il tintinnare debole della ceramica.
Nessuno
dei due si mosse di un millimetro, Darcy poteva provarlo
scientificamente.
Il
sapore amaro e leggermente fruttato le invase di nuovo la bocca,
mentre con qualche sguardo controllò la situazione; il tutto
si era
fatto talmente ciclico e ripetitivo da cancellare la quiete stabilita
fino ad allora.
Con
i nervi a fior di pelle, si costrinse a respirare profondamente per
poter far meno rumore. Forse, era abbastanza lontano da non notarla.
Forse,
avrebbe voluto che la notasse.
E
se in tutti gli equinozi di autunno non aveva fatto altro che fuggire
dalla divisione creatasi fra lei e le sue sorelle, tale giorno aveva
scelto il posto più sbagliato per dimenticarsene.
Eppure
non levò nemmeno un dito per sottrarsi alla propria
condizione.
La
separazione aveva vinto, di nuovo.
Quando
Riven si alzò, intento a raggiungere l'uscita, Darcy non
fece nulla.
Stette
rigida al suo posto, ancora intenta a godersi ciò che
rimaneva del
suo caldo infuso, lasciandolo andare senza proferir parola.
Condividere
presupponeva un minimo di fondamento di fiducia, conoscenza base che
lei non aveva; e, non era assurdo domandarsi se l'avesse mai voluta
avere.
Condizioni
per l'uso:
Per
le avvertenze vedi sopra.
Aehm.
Ho provato a cimentarmi in una grossa serie di seghe mentali made in
Lady Darkness, con come sfondo la festività di Mabon: festa
celebrata durante l'equinozio d'autunno (infatti sono in ritardo,
chiedo venia ma l'università ha succhiato le mie energie
fino
all'osso) nella quale si condividono i frutti del raccolto iniziato
con Lughnasadh e che qui giunge al termine, segnando l'imminente
arrivo dell'inverno.
Pensando
alla condivisione ho ficcato dentro un po' di differenze fra passato
e futuro, ed in mezzo ci ho messo anche Riven perché, come
il
prezzemolo, fa schifo e si può mettere ovunque.
Sto
scherzando, il prezzemolo è buono.
Spero
vi possa piacere, anche se ho provato a liberare un po' di
più i
pensieri e spero non sia troppo confuso. Damn, anche io non le seghe
mentali.
Btw,
questa è la seconda della serie, arriveranno anche le altre.
Ma
non è questo il giorno.
Mary