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Autore: RodenJaymes    26/09/2017    7 recensioni
Fanfiction scritta per il contest "Inu No Taisho" indetto dal gruppo Facebook "Takahashi Fanfiction Italia"
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Durante un breve incontro con quella che è stata la sua compagna, il Gran Generale rievoca i momenti più intensi che hanno condiviso, ragionando sulle ragioni della loro rottura.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, inu taisho
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Contest sponsorizzato da “Writer's Wing”.
Fanfiction scritta per il contest “Inu No Taisho” indetto dal gruppo Facebook “Takahashi Fanfiction Italia.
Prompt: Il matrimonio infelice fra Inu No Taisho e la madre di Sesshomaru. Come si sono conosciuti e perché si sono sposati.
 
 

Acqua e veleno

 
“Tra morire di sete e bere dell'acqua che si sa avvelenata,
non c'è scelta: si berrà sempre.”
Emmanuel Carrère, Bravura.
 
 
 
  «Odori di un’altra, mio buon Generale. Lo sento.»
Fu un sussurro calmo, ovattato quasi. Un fruscio leggero di vesti di seta e un profumo intenso e conosciuto accompagnarono quelle parole.
Inu sollevò il capo e incrociò lo sguardo dorato e beffardo di quella ch’era stata la sua legittima moglie. La sua figura, aggraziata e slanciata, era in piedi accanto a lui, i capelli argentei le ricadevano pallidi e lucenti sulle spalle, due grosse ciocche appuntate appena alla base della nuca sostituivano le solite acconciature elaborate. Il bel viso di porcellana era velato di un’espressione enigmatica, quel sorriso affettato ch’era sempre stato parte di lei, dal loro primo incontro. Era bella, Inukimi; era bella e non era per nulla stupida, Inu lo sapeva. Era consapevole di non poterla ingannare, di non poter  accampare inutili scuse, infimi giochetti, sudici sotterfugi. E comunque, non era sua intenzione farlo, non ve n’era neanche più bisogno.
 «So che puoi sentirlo.»
Fu la semplice risposta che volle darle. Non una parola di più né una di meno.
Inukimi allargò il proprio sorriso, come se l’affermazione non l’avesse colpita. Non in apparenza, almeno. Si sedette accanto a lui sul bordo in pietra della grossa fontana, quella che ornava centralmente i sontuosi giardini del suo palazzo; i lunghi capelli seguirono il movimento di quel corpo longilineo e invitante, sgusciando sulle spalle e la schiena come chiari e infiniti corsi d’acqua. Ed eccola lì, vicina, felina ed eterea. Una creatura che sembrava quasi fatta di nulla, ineffabile e inafferrabile. E così gli era sembrata la prima volta che l’aveva vista, proprio in quello stesso posto che adesso li ospitava in quel momento, molto tempo dopo, cresciuti, induriti e cambiati.
 
In principio, fu una fragranza. Fu un profumo irresistibile ad attirare la sua giovane attenzione. Dolce e intenso, carezzevole come il vento, lascivo come un’illusione. Gli solleticò le narici e lo inebriò istantaneamente, costringendolo a seguirne la scia in quei labirintici e sfarzosi giardini vestiti di colori autunnali. Passo dopo passo sentiva di avvicinarsi sempre di più e bramava di scoprire chi possedesse quell’odore che lo stava letteralmente facendo ammattire.
Quella fu la prima volta che la vide. In prossimità di una grossa fontana in pietra – centro dei giardini – vide una figura longilinea ed eterea stagliarsi contro l'oscurità della notte. Era di schiena, i capelli, che la luce della Luna faceva sembrare argento lavorato, erano raccolti con un fermaglio impreziosito e lasciavano scoperto il collo da cigno, niveo e invitante.
Naturalmente, la fanciulla dovette avvertire la sua presenza poiché si volse istantaneamente, mostrando un viso oltremodo bello, ornato da un sorriso sibillino e costruito, una curvatura che gli sembrò immediatamente nascondere chissà quali segreti.
Inu No Taisho riconobbe immediatamente sulla fronte e sugli zigomi dell’eterea creatura i segni inequivocabili della sua discendenza: quella mezzaluna sulla fronte e quelle strisce violacee sugli zigomi ne facevano componente degli Ishii.
Rimasero per un po’ a fissarsi, nessuno dei due che avesse momentaneamente l’interesse di proferire parola. Si studiavano e si osservavano, mangiandosi con gli occhi, lei con quell’aria beffarda e ironica, lui affascinato e incuriosito. Inu si accorse che la demone teneva fra le mani un mazzo di quelli che, a giudicare dall’aspetto, sembravano essere crisantemi. E la bella sconosciuta gli sembrò improvvisamente buffa, ferma lì, accanto alla grossa fontana, intenta ad osservare i suoi crisantemi. Si lasciò sfuggire un ghigno e il sorrisetto furbo della fanciulla di fronte a lui assunse una nuova sfumatura inquietante.
 «Se state per chiedermi cosa io ci faccia qui, tutta sola, lontana dalla festa a palazzo, sappiate che mancate di originalità.»
Inu rimase un attimo perplesso davanti alla sfacciataggine della fanciulla. Poi, allargò il proprio ghigno e si avvicinò progressivamente alla demone, fino ad essere a pochi passi da lei.
 «Se devo essere onesto, mia signora, stavo proprio per farlo.», confessò il giovane demone. «Ma è un bene che mi abbiate distolto dalla cattiva figura che stavo per fare.»
 «Sarebbe stato un vero peccato. Un giovane così bello eppure così noioso…», rivelò con un’alzata di spalle. Infine, senza più dargli attenzione, si sedette sullo spesso bordo della grande fontana.
Inu aggrottò le sopracciglia, ancora una volta colpito da quel suo essere così sfrontata. Aveva dei modi a tratti fanciulleschi ma, se si osservava bene, si poteva capire che di inconsapevole, nei gesti di quella demone, v’era ben poco.  
 «Devo invitarvi a sedere?», domandò poco dopo, sollevando gli occhi furbi e dorati verso di lui.
Inu sorrise e si avvicinò un altro po’.
 «Se ne avete piacere.»
 «In realtà, devo ancora comprendere se la vostra presenza può essere per me un piacere oppure no. Intanto, sì, potete sedervi. E, magari, dirmi qualcosa che non mi faccia pensare che voi siate davvero noioso. La bellezza non potrà salvarvi sempre, no?»
Il giovane demone si sedette accanto alla fanciulla, se pur lievemente discosto. Non sapeva se sentirsi incuriosito o vagamente offeso dalle sue parole. Provava sensazioni contrastanti al riguardo. Era insolita nel modo di porsi, irritante e affascinante al contempo. Decise ben presto che, in quel momento, la curiosità era maggiore e prevaleva sul fastidio.
 «Risulto noioso se vi dico che i crisantemi sono i fiori che prediligo?»
 «Non se argomentate la vostra preferenza.», chiarì la demone lanciandogli una strana occhiata. Tornò poi a spiumacciare il suo mazzolino, senza interesse, mentre aspettava la risposta che tanto voleva.
Inu si portò la mano al mento e prese a guardare dritto di fronte a sé. Si disse che doveva solo esplicare la propria motivazione, nulla di più.
 «Ho sempre pensato che i crisantemi fossero emblema dell’integrità. Sono gli unici fiori a spuntare e crescere durante l’autunno. E, nonostante la difficoltà, cercano comunque di non farsi guastare dal gelo e dalle intemperie.»
Il demone si volse verso la fanciulla degli Ishii e la trovò a sorridere; quella curvatura, però, non sembrava più esprimere un enigma o parole non dette. Soltanto un’apparente tranquillità.
 «È una motivazione alquanto interessante, devo concedervelo. È un giudizio così diverso dal mio, più puro oserei dire.»
 «Voi perché prediligete i crisantemi, mia signora?», chiese allora il demone con una visibile curiosità.
 «Perché sono dei fiori soli.», rispose lei in un sospiro, come se quella semplice affermazione le procurasse inspiegabile stanchezza.
Inu aggrottò le sopracciglia e si sporse leggermente verso la fanciulla, senza aver capito.
 «Come dite?»
 «I crisantemi sono dei fiori soli, per via della loro crescita solitaria durante questa stagione impietosa. E solo chi è capace di sopportare la propria solitudine e di conquistare la propria indipendenza può raggiungere la felicità. Ecco perché li prediligo.»
 «Il vostro ragionamento è molto triste, mia signora, ma anche arguto e interessante.», concesse Inu, lievemente colpito da quella semplice confessione che sembrava avere un retrogusto amaro.
  «Si dà il caso che io non sia una persona noiosa.», snocciolò semplicemente la fanciulla, prima di dedicare ad Inu un altro enigmatico e conturbante sorrisetto. Separò poi un crisantemo dal suo mazzo e lo porse al demone, prima di alzarsi in piedi. «Devo ritirarmi, adesso. Inukimi della casa degli Ishii è il mio nome, mio signore. Lo avete meritato. Io, però, non voglio sapere il vostro.»
Sparì in poco tempo, senza dargli alcuna possibilità di replica.
Inu trasalì e sbarrò gli occhi mentre assaporava sulla lingua quelle poche parole, mentre associava quel volto a quel nome pronunciato di fretta, nome che si accorse di conoscere già.
Quel nome corrispondeva a quello della donna che, anni addietro, quand’era ancora un ragazzino, il padre gli aveva comunicato sarebbe diventata la sua legittima consorte.
 
La demone aprì di scatto il ventaglio che portava nella mano destra e quel rumore improvviso sottrasse Inu a quei fugaci ricordi. Memorie distanti nel tempo ma sempre vivide, sopite chissà dove e riportate a galla semplicemente dal profumo di lei, dalla bellezza del luogo.
Benché non vi fosse la minima calura, Inukimi prese a sventolarsi con flemma, regalando ad Inu un nuovo sguardo indecifrabile, gli occhi socchiusi dietro le lunghe ciglia nere, la fronte marmorea appena aggrottata per chissà quale pensiero passeggero. Lo sguardo si fissò poi sui susini, i ciliegi e le altre piante che riempivano e abbellivano i giardini.
E al Gran Generale bastò quella semplice sequela di gesti, lenti e consequenziali – forse studiati –  per accorgersi, nonostante tutto, d’essere ancora sensibile al suo fascino, sensibile all’aggrottarsi di quella fronte e sensibile al suo profumo, quel profumo forte e avvolgente ch’era il primo vero ricordo che aveva di lei. E gli fu facile realizzare che, probabilmente, una parte di lui non avrebbe mai perso il debole per il fascino che Inukimi esercitava su chiunque entrasse a contatto con lei.
Si scostò di poco, fu un riflesso quasi incondizionato, come se fosse abbastanza. Quanto era illogico avanzare di fronte alle più pericolose e spietate creature demoniache e indietreggiare davanti ad una donna.
 «Non ti aspettavo, sai?», chiese retoricamente Inukimi dopo quell’attimo di silenzio, il cinguettare
degli uccelli, poco distanti, e il lento movimento del ventaglio che accompagnava quelle parole. «Incredibile tu abbia trovato il tempo di passare. È sempre divertente, comunque, constatare che non sei morto durante i tuoi scontri, mio buon Generale.»
Il tono della demone era pacato, ma sempre velato di quel pungente sarcasmo che la caratterizzava. Inu era sempre stato infastidito da quella sua aria ironica e distante, come se tutto potesse sfiorarla ma mai veramente colpirla. Ed era sempre stato quello il problema, uno fra i tanti. Mai nulla le appariva davvero importante da spendervi l’ebbrezza di un’emozione. Neanche lui. Ormai, comunque, rifletté che non aveva più importanza e quelle parole, che un tempo avrebbero recato sicura stizza, lo fecero invece sorridere. Socchiuse gli occhi, Inu No Taisho , come ad invocare bonariamente pazienza, anche se non ne aveva realmente bisogno. V’era stato un tempo in cui nessuno quanto Inukimi aveva avuto il potere di farlo ribollire d’ira in un istante; ma non era più così. Si volse a guardarla ma lei continuò a fissare i susini e i fiori, prima di volgersi anch’ella a sua volta.
 «Non punto a lasciare questo mondo tanto facilmente. Tengo a questa pelle, Inukimi. Pelle che, oltre tutto, è bella dura. Speri forse che non abbia più possibilità di farti visita?», domandò Inu e l’ombra del sorriso, che già gli piegava appena le labbra piene, si accentuò inevitabilmente.
Inukimi ghignò e in quella curvatura impietosa vi erano tutte le parole che non diceva, Inu lo sapeva.
 «Talvolta.», disse con un candore irriverente, da bambina quasi, come se non avesse appena espresso ad alta voce il pensiero che – talvolta – le faceva sperare di non vederlo tornare vivo. «Poi, però, mi ricordo di non avere eccessiva preoccupazione o interesse per la tua sorte. E allora mi quieto.», fece spallucce e tornò a sorridergli, continuando a sventolare senza posa.
Il Gran Generale sospirò sonoramente ma non si arrabbiò né s’indispettì. Prese quelle parole per ciò che erano: semplice espressione del modo di porsi da teatrante della sua storica consorte. Unito ad una buona dose del pacato menefreghismo che non l’aveva mai abbandonata, certo.
 «Sei sempre così gentile che potrei rischiare di commuovermi.»
Inukimi si abbandonò ad una breve risata, argentina e soave, proprio come Inu la ricordava. Se quel suo sorriso affettato ed enigmatico era sempre in bella vista, le risate genuine, invece, erano rare da parte della demone e il Gran Generale godette di quel suono inaspettato più del consentito.
Seguì il silenzio, alterato solo dal suono del ventaglio, dallo stormire delle fronde mosse dal vento; un silenzio riempito di nulla, di inconsistenze, il silenzio tipico di chi ha troppo da dirsi o, al                    contrario, troppo poco.
 «Ad ogni modo, Sesshomaru non è qui al momento.», lo informò ad un tratto la demone e chiuse il ventaglio di scatto con uno schiocco sordo e repentino. «Puoi aspettarlo dentro.»
Inu No Taisho scosse lievemente la testa e, al pensiero del figlio, la bocca si increspò in un lieve sorriso. Dopo ogni campagna militare – interventi sempre più numerosi e parecchio ravvicinati in quegli ultimi anni – il Gran Generale giungeva al “Palazzo sulle Nuvole**” degli Ishii, famiglia di appartenenza di Inukimi, per fare visita al figlio. Ed era solo in quei momenti che gli toccava rivedere anche quella che – in via apparente – sarebbe sempre stata considerata come sua legittima compagna. In realtà, entrambi non giudicavano più l’altro consorte da anni.
 «Dov’è il ragazzo?»
 «Dove pensi che possa essere? A tirar di scherma, ovviamente. Si trova sotto la supervisione di quel tuo piccolo demone, Myoga. Fa pratica e cerca di affinare la sua tecnica con alcuni componenti maggiori della mia guardia. Come se ne avesse bisogno.»
Il tono di Inukimi era scocciato quasi, come se stesse rimarcando l’ovvio, il palese, ciò che ancora il suo amato rampollo non voleva comprendere: d’essere forte abbastanza.
 «Tra poco dovrai portarlo con te, è giunto il momento.», gli ricordò poi e la voce della demone, adesso, era vagamente più seria. «Non potrai più negargli le battaglie, freme per prendervi parte. È grande abbastanza ormai.»
Inu strinse le labbra e trattenne a stento uno sbuffo; una cosa di Inukimi ch’era ancora capace di irritarlo era la sua apprensione apparentemente inesistente per Sesshomaru. Saperlo impegnato nelle campagne militari sembrava dare un senso d’inquietudine soltanto a lui. Infatti, nonostante fosse orgoglioso dei progressi del figlio, della sua indiscutibile forza e bravura, una parte di lui – remota ma presente – sperava di tenerlo lontano da quel mondo, quasi sperasse non ne dovesse mai prendere parte. Inukimi, invece, sembrava avrebbe potuto accompagnare personalmente il figlio in battaglia, se solo avesse potuto; era forse più impaziente di lui. Per quel giovane rampollo, Inu lo sapeva, provava inestinguibile e fiero orgoglio e non vedeva l’ora che si mostrasse al mondo per come lei lo aveva allevato e cresciuto: un letale e preciso condottiero. 
 «Non voglio negarglielo di certo.», si affrettò a replicare il Gran Generale, il tono che – adesso – mostrava l’evidente fastidio. «Aspettavo solo che fosse il momento giusto.»
 «Per te non lo è mai. Non lo sarà mai.», ribatté Inukimi, le parole che colpivano Inu soffici e gelide come fiocchi di neve. «Sono contenta che lui non ti somigli, Inu.»
 
 «Spero che non ti somigli per nulla, Inu.»
Inukimi lo disse con astio e un sorriso crudele mentre, lentamente, accarezzava il proprio ventre appena rigonfio, testimonianza della creatura che le stava crescendo dentro.
Il Gran Generale digrignò i denti, in preda all’ira, e strinse forte i pungi, tant’è che le nocche diventarono bianche. Quanto gli costava dover tenere testa a quella donna, quella donna impossibile, crudele, apatica. Insofferente e insoddisfatta, sempre vuota di qualcosa. Ma di cosa?
 «Spero che gli esseri umani fuggano alla sua vista, non voglio che si comporti come te. Sarà crudele, un flagello per ogni essere che intralci il suo cammino.»
 «Auguri crudeltà a questa creatura che non ha ancora visto il mondo. Io non ti permetterò di renderlo come te.»
Inukimi detestava la sua cordialità nei confronti degli esseri umana, la odiava. Se non l’avesse conosciuta bene, avrebbe detto addirittura che ne fosse in qualche modo gelosa. Ma non doveva illudersi che le importasse per altro che non fosse un capriccio; mai nulla poteva colpirla e lui non era una priorità.
La demone indurì i tratti del bel volto e lo guardò con un odio che Inu credette di non averle mai visto sfoggiare così apertamente. Si teneva il ventre gonfio come fosse stato qualcosa che stesse cercando di proteggere da un male maggiore. Era arrabbiata, Inukimi, e per un attimo sembrò perdere la composta regalità che da sempre l’aveva caratterizzata. Poi, come se niente fosse, la fronte si appianò e l’austerità s’impadronì nuovamente della sua espressione senza che più alcuna emozione vi facesse capolino.
 «Com’è che si dice? Avrà acqua e veleno da questo mondo. Ne avrà molta, come noi, come tutti. E, lui o lei che sia, berrà. Dovrà bere e non avrà scelta o il mondo lo inghiottirà. Ma per bere si deve essere forti, Generale, e tu non lo sei abbastanza. È per questo che deve essere come me. Tu hai sempre sperato di avere soltanto acqua, il veleno non l’hai mai sopportato. Ecco il tuo veleno, Generale. Io sono il tuo veleno.»
Inu contrasse la mascella e mangiò con poche falcate lo spazio che lo separava dalla consorte. La prese per le spalle e impresse una certa forza, sicuro comunque di non farle male. Inukimi sorrise davanti il suo viso oltremodo crucciato, sorrise della sua rabbia, e lui sentì d’odiarla in quel momento come mai prima d’ora. Non l’aveva mai capito, non l’aveva mai voluto, non ci aveva mai provato. Era sempre stata solo apparenza. Null’altro.
 «Essere veleno? È questo il tuo prezzo, Inukimi? È questo il tuo prezzo per la mia voglia d’essere felice?», glielo disse guardandola negli occhi, oro nell’oro.
Inukimi gli gettò le braccia al collo, inaspettatamente, con un fare lascivo e delizioso, un fare che il Generale No Taisho non riescì subito ad interrompere, nonostante l’indisposizione evidente.
La demone avvicinò il viso al suo, il suo profumo così insistente che gli inondava le narici e il gonfiore di quel ventre – quella creatura tanto bramata – che premeva contro il suo addome.
 «È il prezzo della nostra inettitudine.», gli sussurrò contro le labbra.
 
Inu sospirò, quel ricordo ch’era ancora così vivido e presente nella sua memoria, evocato dalle parole di Inukimi. Era stata una delle loro peggiori litigate, una delle poche, causata in origine dalle loro marcate divergenze sul trattamento degli esseri umani. Inukimi lo aveva definito molle di spirito, lo aveva accusato di non comportarsi come un vero demone e aveva espresso orrore anche solo all’idea che il figlio potesse comportarsi come lui. Quelle parole lo avevano fatto innervosire oltremodo, tracciando la prima vera linea di stacco fra lui e Inukimi.
Il Gran Generale si trovò inspiegabilmente a riflettere, però, che il loro rapporto – oltre che per altre altrettanto evidenti ragioni –  era stato logorato più dal silenzio e dalla mancanza di comunicazione che li aveva sempre caratterizzati, che da quelle terribili – ma rare – litigate. Provò un moto di improvvisa tristezza, ma si decise ad arginarlo. Non era stata un’unione felice, entrambi lo avevano sempre saputo. L’allontanarsi l’uno dall’altra e lo spostamento di Inukimi al suo palazzo di origine era stata la scelta migliore.
 «Non importa che non mi somigli, Inukimi, è pur sempre ancora un ragazzo. E tu non provi alcuna preoccupazione? Non ti pesa il fatto che venga sporcato da questo mondo?»
Il Gran Generale aveva finalmente espresso quel pensiero ad alta voce. Vide la demone sorridere lievemente e scostare una ciocca di capelli che, per colpa del vento, le era finita sulle labbra.
 «Non ricordi cosa diceva tuo padre, Inu?», domandò Inukimi volgendosi verso di lui, l’attenzione per un attimo distolta dai susini in fiore. «Il mondo è acqua e veleno. O bevi o muori di sete. E non hai scelta, devi bere. Sesshomaru non verrà mai sopraffatto, non morrà mai di sete. Lui è come me, lui è fatto per bere. Si sporcherà e saprà tollerarlo. E io non temo quel momento.»
 
«Il mondo è acqua e veleno, figliolo. O bevi o soccombi alla sete. E davanti alla prospettiva di morire di sete o bere acqua avvelenata, si berrà sempre.»
Il giovane Inu ascoltava il discorso del padre in silenzio. La teoria dell’acqua e veleno era ben impressa nella sua mente fin dalla più tenera età, fin da quando ne aveva memoria. Tuttavia, faceva fatica a condividerla in quel frangente; sapeva di dover tollerare il veleno per poter godere dell’acqua, di dover tollerare le brutture del mondo per poter godere delle bellezze, di non dover soccombere senza aver bevuto, senza aver resistito. Però, l’idea di un matrimonio combinato gli faceva storcere il naso più del dovuto. Era ancora troppo giovane ed era indomito, quel veleno gli era comprensibilmente amaro; ma non poteva rifiutare un ordine del padre.
 «La famiglia degli Ishii è potente tanto quanto la nostra. Quando raggiungerete l’età adatta, l’unione fra te e la figlia di Inuchi** Ishii, Inukimi, porterà innumerevoli vantaggi per entrambi. Capisci che è necessario? Capisci che ne va della salvezza della nostra famiglia e dei nostri territori?»
Inu annuì, fiero, e abbassò di poco il capo quando il padre gli si parò davanti. Il Gran Generale Sesshomaru pose le mani sulle spalle del figlio e quello si sentì vagamente sgomento per ciò che gli era stato appena imposto ma, al contempo – in una strana ambivalenza – sentì montare l’orgoglio. Era la prima vera azione che poteva compiere per dare un aiuto al padre e alla propria famiglia di appartenenza. Decise che non lo avrebbe deluso.
 «Che tu possa tollerare l’acqua e il veleno.»


Inu chiuse gli occhi sotto il peso di quel ricordo e rizzò le spalle in un gesto involontario, pensando alla figura del padre. Era vero, Inukimi era stata per lui acqua e veleno. Fresca e chiara acqua all’inizio e, successivamente, soltanto amaro e scuro veleno. Un veleno, però, assuefacente che spesso, in un modo a lui sconosciuto, lo spingeva a chiederne ancora, nonostante ne avesse abbastanza. Ad un certo punto, però, non era più riuscito a tollerare, nessuno dei due era più riuscito a tollerare.  Il silenzio, le cose non dette, le cose non fatte, tutto cominciò a pesare. Tutto veniva accantonato, reso invisibile dalla reciproca incapacità affettiva e comunicativa.
Il groviglio di incomprensioni taciute diventava sempre più consistente e, al contempo, invisibile come un grosso accumulo di polvere nascosto con cura sotto uno spesso tappeto emotivo.
Il giovane Inu non era fatto in quel modo, non era come lei; eppure, ben presto, al modo di lei si adeguò. Era a tratti burbero, lo era davvero, ma era bravo con le parole e per lui le emozioni, se pur non sempre facili da esprimere, avevano forma e colore, presenza ed essenza; ma con quella donna non vi riusciva. Ogni volta che tentava di esternare, di mostrare il colore di ciò che provava, la sua consistenza, sentiva la netta presenza di un muro. E, giorno dopo giorno, si convinse che era il nulla ciò che provava.
Inukimi era uno spettro distratto, avvolta nell'inquietudine di non avere ciò che voleva. E cosa voleva? Bramava qualcosa che, Inu l'avrebbe capito dopo molto tempo, forse non sapeva neanche lei cosa fosse. Probabilmente era la libertà, quella voglia di staccarsi da ogni cosa, di fuggire da quella gabbia dorata che ormai era la sua vita – costretta in un palazzo non suo, fra cose non sue, fra gente non sua. Non che, comunque, Inukimi avesse mai accennato a ciò. Il suo modo d'essere e di porsi, spesso, non coincideva con ciò che sentiva intimamente, con i propri pensieri. Ma questo nessuno lo seppe mai; era brava a nascondere ciò che la feriva profondamente sotto una coltre fatta di freddo sarcasmo e facezie irriverenti.
L'immaturità affettiva, le emozioni inespresse, le divergenze di pensiero e l'incapacità di comunicare portarono il loro rapporto a logorarsi giorno dopo giorno, sempre di più. Lui convinto che lei non avesse mai avuto il minimo trasporto nei suoi confronti. Lei, intimamente inviperita per la propria condizione, che contemporaneamente s'accorgeva che lui le stava sgusciando fra le dita come acqua ma che, di fatto, riteneva fosse meglio così. Cominciarono a covare risentimento, rabbia, frustrazione. E con le loro mani si distrussero.
Si cercavano di rado e sempre in amplessi furiosi e passionali che consumavano con una bramosia carica e avvolgente. L'unica cosa che gli rimaneva e, ben presto, non avrebbero avuto neanche più quella. La decisione fu presa un giorno d’inverno, senza troppi preamboli, senza troppe parole.
Inukimi espresse il desiderio di non vedere più il viso del consorte, di allontanarsi da lui quanto più le fosse possibile. Lo disse con la solita calma farcita di irriverenza e il Gran Generale non obiettò né ostacolò la sua volontà di fuggire.

«Ci siamo sciolti come neve.», aveva commentato distrattamente Inukimi, poco prima di andar via. Gli occhi fissi sulla coltre bianca che cadeva, lenta e incessante. «E la neve è incantevole, ma tutti sanno che non dura.»

Era stato meglio sciogliersi, lo credevano entrambi, lo pensavano davvero. Per lungo tempo non si erano visti, il Gran Generale continuava a venir a trovare il figlio ma sempre accuratamente distante dalla sua ormai persa consorte. Quando lui giungeva al “Palazzo sulle Nuvole”, Inukimi sembrava dissolversi. Poi, a poco a poco, ricominciarono ad avere brevi e radi contatti. Nessuno dei due ne faceva accenno, ma sapevano entrambi che la motivazione era l’amato figlio. Ancora bambino, ancora fragile, ancora non in grado di capire che era stato il veleno a prevalere in ciò che i suoi genitori avevano bevuto. Ancora non meritevole di avere del veleno a sua volta.
  «Padre. Siete qui.»
La voce di Sesshomaru riscosse Inu dai suoi innumerevoli pensieri e Inukimi dal suo incessante e flemmatico sventolare. Entrambi si alzarono e rivolsero gli sguardi ambrati sul figlio.
Inu sorrise al ragazzo; v’era l’ombra della sorpresa sul suo giovane viso e il Gran Generale ne fu contento. Rifletté ch’era davvero cresciuto parecchio dall’ultima volta che aveva avuto opportunità di vederlo.  
 «Tua madre mi ha detto che ti stai allenando con assiduità.», cominciò allora in tono serio e si avvicinò al figlio. «Perché non vai a recuperare la spada e mostri anche a me cosa hai imparato?»
Sesshomaru annuì e si allontanò, quell’accenno di insolita sorpresa che sembrava ancora animargli i tratti. Mentre il giovane andava via, il Gran Generale si volse verso Inukimi e si accorse che la demone lo stava già osservando con espressione serafica.
 «Lo porterai con te.», e non era una domanda.
 «Forse.»
Inukimi sorrise; quel “forse” per lei era già un assenso.
 «Alla fine, tutto questo non è stato un completo disastro. Sesshomaru è stata l’acqua in tutto quel veleno.», lo disse con candore e noncuranza, guardando il figlio allontanarsi, quasi come avesse fatto un commento sul tempo.
Inu annuì, senza poterle dare torto, mentre anche lui contemplava Sesshomaru allontanarsi verso il palazzo. Erano entrambi convinti che Sesshomaru fosse l'unica cosa a legarli ancora ma, nel profondo, sapevano entrambi che non era così. Sarebbero per sempre rimasti uniti dalla loro razione di acqua e veleno, da quella parte di mondo che avevano condiviso e che li aveva sporcati, ancora giovani, insieme. E questo, nonostante tutto, non avrebbero mai potuto cancellarlo. Neanche volendo.


Note:
** Palazzo sulle Nuvole: ho voluto dare un nome - e anche una mia personale idea di struttura - al palazzo della Signora Madre che compare nell'episodio 176 di "Inuyasha" ("Sesshomaru nell'aldilà).
**Inuchi: se non ho preso una cantonata e ho unito bene le parole e i segni

Angolo autrice.
Salve a tutti! Avevo l'angolo autrice già scritto ma l'ho perso e adesso mi tocca rielaborarlo! :o poco male! 
Ad ogni modo, parto col dire che sono incerta di questo lavoro e spero possa essere di vostro gradimento. Ho scelto questa struttura insolita, sbalzata, basata sul ricordo, perché ho pensato potesse ben prestarsi alla resa della traccia. I ricordi non seguono un flusso temporale stabilito, per come sono accaduti negli anni, ma vanno per rievocazione di un odore, luogo, qualcosa che viene detto. 
Spero che la relazione fra Inu e Inukimi, ciò che gli è accaduto, la rottura e soprattutto la relazione e il rapporto che hanno con Sesshomaru (il quale compare sia in un ricordo che nella chiacchierata simbolica fra i due perché - a mio parere - è il fulcro per il quale ancora si incontrano e nuovamente si parlano) risulti coerente a voi tanto quanto lo è nel mio cervello. E niente, premo pubblica ora o mai più! Un bacio!
Alla prossima!
RJ.  
  
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