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Autore: MySkyBlue182    26/09/2017    2 recensioni
Le persone che amava, Gerard le amava sul serio.
Seguito di Trust me
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Bob Bryar, Frank Iero, Gerard Way, Mikey Way, Ray Toro | Coppie: Frank/Gerard
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Macciao!
Okay, sì, veroverissimo sono in ritardo. Che strano, di solito io sono una persona così puntuale!!
Okay, scherzi a parte, e soprattutto avvenimenti pessimi a parte, diciamo che sono la solita ritardataria e basta.
Il capitolo qui sotto comunque è bello consistente, proprio come è nel mio stile ;D
Spero vi piaccia, spero la storia continui ad appassionarvi/interessarvi. Spero che stiate sclerando per bene per le foto dei nostri due fidanzati segreti!!!!!! Wow! Cioè, speriamo che Frnk prenda G per un orecchio e gli dica “rimetti su sta cazzo di band ché guarda come ti sei ridotto” -_- Gerard ha bisogno della sua band, ma non se ne rende conto… Vedo le foto con le fan e tipo lui è più imbarazzato di loro <3
Bene, dopo i miei pensieri sconclusionati passiamo al titolo del capitolo che è una canzone dei the killerzzzz e non un qualcosa che ha a che fare con jessica jones come credeva la mia adorata beta che, ringraziatela se questa storia è leggibile, perché io a volte scrivo come se stessi a casa mia a parlare con i miei amici :°°°°°°°°°°D certe cose non le ho cambiate lo stesso, comunque, perché sono troppo ribelle per questo mondo!
Bene, le mie idiozie le ho scritte, spero stiate bene, siate felici e non prendiate esempio dalle mie ff per le vostre storie d’amore che tutto ‘sto angst è bello solo da leggere, non da vivere, TRUST ME C:
Ah, sono sempre su twitter con il mio originalissimo nick per qualsiasi cosa vogliate scrivermi riguardo qualunque cosa, anzi, venite ché mi sento sola :C
Le recensioni comunque sono sempre ben accette, per favore amatemi, ne ho bisogno <3
 
 
-SkyBlue-
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
-PRTGMOI cap6
 
 
 
 
 
 
 
Smile like you mean it
 
 
 
 
Il supereroe che Gerard stava disegnando era un po’ troppo cupo, con quegli abiti scuri dalla stoffa traslucida, gli stivaloni che facevano così tanto gangster e poi la sua faccia, totalmente coperta da quella maschera da becchino e i canini sporgenti che spuntavano dalle labbra socchiuse in un ghigno.
Più che a un supereroe, assomigliava ad una specie di cattivo dei fumetti. Uno di quei personaggi troppo poco perfetti per essere visti come adeguati, troppo strani per essere presi come esempio, come un modello da seguire.
A vederlo dalla posa quasi forzata in cui era ritratto sembrava una di quelle persone che ci provano molto, questo bisognava riconoscerglielo, ma che in fondo non ne fanno una giusta, c’è sempre qualcosa che va storto, un impedimento, un errore, qualche evento che compromette la sua credibilità.
Magari poteva essere un antieroe, ma forse neanche quello, perché non sembrava nemmeno cattivo.
Era semplicemente un uomo comune, una persona qualunque che aveva momentaneamente creduto troppo in se stesso ed aveva creduto di poter salvare il mondo, era stato certo di possederne la stoffa, finendo per creare più danni di quelli che in effetti già esistevano.
Era solo una stupida persona che aveva provato ad indossare un costume, credendo che questo gli avrebbe infuso quella forza d’animo e qualche altro sentimento nobile che in realtà non aveva il potere di donargli.
Gerard accartocciò il foglio.
Stava quasi per lanciarlo nel secchio, quando ci ripensò e lo depositò di nuovo sulla scrivania.
Magari gli sarebbe potuto servire comunque a qualcosa. Tipo ad inserirlo in qualche storia ed esibire la sua ridicolezza. Avrebbe potuto mostrarlo come esempio da non seguire. Ecco, quello sì.
Il fatto era che avrebbe dovuto smetterla di ispirarsi a se stesso per creare un personaggio eroico e leggendario, non ne sarebbe mai venuto fuori nulla di buono da lui, sotto qualunque aspetto.
Avrebbe dovuto prendere ispirazione da altro, tipo da Mikey o…
Sospirò chiudendo gli occhi quando l’immagine di Frank gli venne in mente.
Ovviamente il suo cervello aveva una vasta scelta di immagini tra cui poter scegliere per ricordargli Frank, ma, altrettanto ovviamente, gli propose quella di qualche giorno prima, quella di Frank strafatto e febbricitante, mezzo svestito e delirante, con gli occhi sbarrati e lo sguardo vacuo ed allucinato.
Sospirò ancora, scacciando quell’immagine fastidiosa.
Era rimasto talmente colpito dal vederlo in quelle condizioni, che la sua mente non aveva alcuna intenzione di proporgli un’immagine diversa da quella. Continuava ad immaginare le stesse scene da giorni e se le sognava pure di notte.
Forse c’entrava il fatto che non si era più mosso da casa da quel giorno, notte o mattina, qualunque ora fosse stata e cercava di restarsene in camera da solo, perché non aveva voglia di interagire, era troppo occupato a pensare.
Al famoso centro di riabilitazione, lo psicologo gli aveva insegnato a razionalizzare gli eventi, o meglio, gli aveva spiegato che era importante farlo, che soltanto rivivendo e spiegandosi gli avvenimenti che lo avevano colpito sarebbe riuscito a sentirsi più leggero, a continuare a vivere senza sentirsi divorato dai mostri che erano scaturiti dai pessimi sentimenti che aveva provato inizialmente.
Su questo punto doveva ancora lavorare; in effetti lavorava ancora anche su altri mille punti, perché aveva capito i concetti, ma non riusciva a metterli in pratica. Anche la settimana prima, durante l’incontro con quel sant’uomo che si prendeva la briga di sopportarlo, aveva cercato di capire cosa lo avesse spinto a buttarsi su alcool e droghe, che cosa ci fosse stato alla base del suo tentativo di fuga dalla realtà. Per Gerard era importante, voleva capire da cos’era stato scaturito. Come era iniziato tutto.
 
Ovviamente il dottor Grant aveva subìto tutti i racconti sul vortice di sentimenti contrastanti e forse anche sbagliati che aveva provato quando era morta sua nonna, perché Gerard era convinto che il motivo fosse stato quello, che era stato troppo debole per affrontare tutto quel dolore, che non era stato preparato a restare solo, senza di lei, che del resto aveva iniziato a non importargli più niente e per andare avanti aveva ricorso ai metodi più sbagliati e disparati che aveva avuto a disposizione. Ma quell’uomo era risoluto, altroché se lo era, e con una sicurezza invidiabile gli aveva detto che no, quell’avvenimento aveva peggiorato sicuramente la situazione, ma non era stata la morte di Elena a renderlo così. Aveva aggiunto che secondo il suo parere, da come lo conosceva, Gerard fosse stato sempre così.
Gli aveva spiegato altre cose poi, dopo che Gerard si era calmato - perché cavolo, era suonato come un insulto, come una condanna, “sei così, fattene una ragione” aveva risuonato nella sua testa -, gli aveva spiegato che aveva questo terrore di non piacere al mondo radicato alla base della sua personalità, il suo sentirsi sempre inadeguato e mai all’altezza di chi gli stava intorno. Il pensiero aveva sfiorato la mente di Gerard, qualche volta, ma la mancanza di lucidità dovuta ai tranquillanti che prendeva per via della terapia gli aveva impedito di approfondire il concetto.
Ci aveva ripensato una volta solo, ci aveva ragionato così intensamente che, come al solito, ad un certo punto era arrivato a provare nausea e aveva deciso che non gli interessava, che avrebbe riprovato in un altro momento. Aveva addirittura provato la voglia di andare da sua madre a chiederle se lei ricordasse, se lei, durante la sua vita, avesse notato qualcosa che a lui sfuggiva. Poi, fortunatamente, aveva rinunciato anche a quella stupidaggine, pensando che forse sua madre in quel momento era felice di come stavano andando le cose, magari era certa che Gerard stesse finalmente bene e anche Mikey e che fossero con lei, al suo fianco e ‘fanculo a lui e alle sue paranoie che le avrebbero rovinato quel momento idilliaco.
 
In quei giorni, Mikey passava regolarmente per camera sua almeno sette o otto volte al giorno; cercava di farlo sorridere con qualche aneddoto divertente, lo informava di quello che accadeva fuori da quelle quattro mura e soprattutto gli raccontava delle condizioni di Frank.
Gli aveva detto che, quando lo avevano riportato a casa, Linda li aveva ringraziati e li aveva tranquillizzati spiegando loro della malattia che aveva Frank, che aveva pochissime difese immunitarie e che la febbre non era nulla di preoccupante, lei lo avrebbe curato. I deliri anche, niente di che, facevano parte del pacchetto chiamato febbre da cavallo. Insomma, non c’entrava nulla la droga, sarebbe stato in quelle condizioni lo stesso, il problema era solo e soltanto la sua salute cagionevole. Piccolo, delicato Pansy.
In quei giorni aveva avuto tantissima voglia di andarlo a trovare, ma non sapeva cosa Frank ricordasse o meno, magari lo odiava ancora, o forse ancora di più. Magari ricordava gli avvenimenti in modo distorto, avrebbe potuto farlo agitare e creare una di quelle belle litigate con i fiocchi proprio in casa sua, di fronte a sua madre. Non aveva voluto rischiare, gli bastava sapere che stesse bene, che si stava riprendendo e che aveva abbastanza persone che non lo lasciavano solo e gli volevano bene.
Mikey gli aveva raccontato che Jamia era sempre lì con lui, che forse non andava nemmeno a dormire a casa propria. Gerard come al solito aveva odiato sapere cose del genere, ma aveva finto che non fosse così e gli aveva domandato altro, per sviare il discorso e il dolore che gli provocavano quelle notizie pessime.
-Ehi Gee.- lo chiamò a gran voce, appunto, suo fratello, prima di aprire senza dargli nemmeno il tempo di rispondere.
Si voltò verso la porta, che aveva alle spalle, aspettando di vedere sbucare quello stambecco adorabile.
-Oh, ma sei sempre a quella dannata scrivania!- lo rimproverò, entrando e richiudendosi il battente alle spalle.
-Ti verrà la gobba.- cercò poi di intimorirlo.
-Ciao anche a te Mik.- rispose sarcastico, emettendo una risatina. Suo fratello rise.
-Quando usciamo?- gli domandò poi andando a sedersi sul letto.
-Niente scuse, stai diventando un cazzo di vampiro, qui non c’è manco più ossigeno.- elencò inventando motivi, senza dargli il tempo di poter rispondere.
-Non ho voglia di vedere ness- provò a dire.
-Solo io e te. Nessun altro.- precisò il suo piccolo Mikey premuroso. Voleva solo distrarlo ed era disposto a tutto, Gerard avrebbe dovuto arrendersi subito, ma provò di nuovo.
-No, Mik, è che dovrei fini- niente, non lo lasciò finire neanche stavolta.
-Non devi finire niente, quando torni avrai tutto il tempo.- gli spiegò, facendo crollare inesorabilmente le sue scuse infondate.
-Non sei andato nemmeno dallo psicologo, questa settimana.- gli fece notare. Era apprensivo, mai detto il contrario.
-Sì, no… è che l’ho sentito per telefono.- mise in chiaro tentennando.
-Ma davvero?- fece Mikey scettico.
-Giuro! Quando non vado è così amorevole che mi chiama per sapere perché non sono andato, e praticamente, fingendo indifferenza, mi fa una seduta telefonica.- gli spiegò con un sorrisetto. Non si spiegava la premura di quel dottore, sembrava fosse interessato a lui sul serio, non solo per lavoro.
-Che brava persona.- si espresse Mikey con un sorriso dolce.
-Sai perché?- gli domandò senza voler davvero ottenere una risposta, ma usando quel modo per dare un principio a ciò che voleva dirgli.
-Perché sei una persona fantastica. Sei strano, okay, ma sei davvero speciale e anche lui, che non ha nulla a che fare con te, a parte il lavoro, vuole che tu sia felice.- gli spiegò con sicurezza. Sembrava che sapesse ciò che diceva, aveva proprio lo stesso modo di fare di quel dottore, certe volte.
Gerard rimase in silenzio, colpito da quello che Mikey gli aveva appena fatto notare, perché lui non ci aveva mai  pensato. Magari non era nemmeno vero, quel che aveva detto suo fratello, ma era stato bello sentirselo dire.
-Come sta Frank?- passò agli argomenti importanti, togliendosi dalla testa tutti quei discorsi di dubbia certezza.
Mikey sorrise e lo guardò con uno di quei suoi sguardi teneri. Gerard non seppe decifrare se era dovuto al discorso di prima o al fatto che chiedeva in continuazione di Frank senza avere le palle di uscire da quella fottuta stanza e andarlo a trovare.
-Sta bene.- gli rispose.
-Si sta rimettendo, non ha più la febbre e vuole suonare.- riassunse ridacchiando e Gerard pensò che era tipico di Frank. Il solito concentrato di energia e voglia di fare; lo ammirava così tanto… forse pensava all’ammirazione, ma magari era uno di quei suoi modi sottili per dire che lo amava. Già, sicuro. Sospirò di nuovo per scrollarsi di dosso quelle sensazioni di adorazione miste a rabbia e gelosia.
-Chiede di te.- disse suo fratello con tranquillità puntandogli gli occhi addosso. Gerard restò di sasso, gelato nella sua posizione. Guardò a terra ovviamente, era più semplice non affrontare lo sguardo troppo eloquente di suo fratello.
-Ray e Bob come stanno?- chiese poi, cercando di concentrarsi sul altro.
-Cosa?- suo fratello lo guardò stralunato, ma proprio che sembrava come se gli avesse chiesto di aiutarlo ad accoppare qualcuno e seppellirlo insieme.
-Ray e Bob, sai il nostro chitarrista e il nostro batter- fece ironico prima che Mikey lo interrompesse, furibondo.
-Gee la devi smettere e che cazzo!- esplose inizialmente.
-Cosa credi di risolvere a startene qui, chiuso in camera come una liceale delusa dal primo ostacolo che la vita le ha presentato e, soprattutto, facendo finta che Frank non esista?- gli chiese quasi urlando, ma quelle non erano neanche domande, lui lo stava rimproverando.
-Io non sono una ragazzina.- iniziò a difendersi debolmente.
-Non lo sono tanto per cominciare perché sono un ragazzo, poi perché ho quasi trent’anni e-
-Non esagerare.- sputò Mikey scacciando le sue parole con una mano.
-Sai quello che ho passato e non me ne sto qui, chiuso nella mia stanza, perché ho scoperto che il mondo forse è troppo duro per me.- stava iniziando ad arrabbiarsi, non era possibile che dovesse difendersi anche da suo fratello.
-Invece è proprio così, cara la mia sorellina dal cuore infranto.- gli disse quasi con cattiveria. Magari non lo era nemmeno, ma non gli ci voleva anche Mikey a farlo sentire patetico, bastava e avanzava la sua coscienza.
-Cerco solo di proteggermi.- ammise pensando che il mondo, sì, era troppo duro per lui, non sarebbe mai stato in grado di affrontarlo a testa alta e con le sue armi sguainate.
-Anche evitare Frank è per proteggerti?- domandò Mikey a bruciapelo.
Gerard portò velocemente lo sguardo sul suo viso, fulminandolo.
-Sì.- disse fra i denti. Chi poteva spiegargli che da quando era tornato stava pregando anche gli dei pagani affinché lo aiutassero a stare lontano da Frank, affinché lo proteggessero dai propri desideri.
-Che cazzo ne sai tu, Mikey?- sussurrò distogliendo lo sguardo con rabbia. Forse avrebbe pianto presto.
-Ah, io? Beh, niente, no?- controbatté ironicamente, facendo silenziosamente riferimento all’amicizia che lo legava a Frank, a tutte le volte in cui lui era andato a confidarsi e a sfogarsi, a tutte le volte che anche Gerard lo aveva fatto, coinvolgendolo anche più del dovuto.
-Ti dico una cosa: evitarlo non ti porterà da nessuna parte, lui continuerà a provare le stesse cose per te, come tu, dalla tua tristissima stanza, non smetterai di pensarlo e di immaginare quanto sarebbe bello avere un rapporto normale.- gli spiegò in malo modo. Era così arrabbiato che se Frank avesse preso possesso del corpo di suo fratello non ne sarebbe rimasto stupito.
-Quello che cerco di dirti è che devi smettere di farti spaventare dal mondo. Non sei solo, non lo sarai mai, devi vivere. Sii te stesso e non privarti di quello che vorresti, ti farai solo del male.- ritentò usando un tono tutt’altro che ostile, sembrava un’altra persona rispetto a quella di pochi secondi prima. Forse aveva perso il controllo, Gerard faceva sclerare anche i santi, pensò.
-Mikey, lo so. Hai ragione. Probabilmente dovrei avere del coraggio da qualche parte, è che non riesco proprio a trovarlo, sai?- voleva essere una risposta acida, avrebbe dovuto essere un commento ironico, un qualcosa che avrebbe dovuto esprimere un “fatti i cazzi tuoi”, qualcosa di sprezzante. Invece il sorrisetto sarcastico che avrebbe voluto fare si trasformò in una smorfia, il suo sguardo astioso si deformò ed iniziò a piangere.
Sapeva che non c’era motivo per cui nascondersi da suo fratello, anche se lo aveva appena trattato di merda. Poteva fidarsi di lui, lui non lo avrebbe mai lasciato, evidentemente cercava solo un modo per scuoterlo da quello stato catatonico in cui era caduto al primo vero problema che gli era capitato non appena uscito dal centro di riabilitazione.
Voleva aiutarlo e sapeva come colpirlo affinché reagisse alla vita.
-Ehi, Gee, no , io…- balbettò alzandosi dal letto e raggiungendolo.
-Io… dov’è finito mio fratello, quello che mi urlava contro quando lo rimproveravo e che alle accuse rispondeva con i fatti?- chiese cercando di tirarlo su di morale.
-Non volevo… pensavo di farti ragionare, di attaccarti come ho sempre fatto, così da spingerti a dimostrare che mi stavo sbagliando.- gli spiegò e Gerard lo sapeva benissimo, non avrebbe mai reagito così prima. Ma ora era diverso e si era scoperto molto emotivo, molto fragile anche.
-Non è colpa tua.- lo tranquillizzò tirando su con il naso.
-So cosa volevi ottenere, è solo che io… ecco, io non sono pronto. Non mi sento abbastanza forte, non ce la faccio a lasciarmi tutto alle spalle e ad iniziare a vivere decentemente. Ho paura.- gli confidò tra le lacrime.
Mikey lo abbracciò di slancio e gli accarezzò la schiena per tutto il tempo in cui pianse le lacrime che non era più in grado di trattenere.
-Gee, sul serio, se avessi saputo che avresti reagito così non ti avrei mai attaccato in quel modo. Sei così diverso…- parlò contro la sua spalla mentre continuava a tenerlo stretto e ad accarezzarlo.
Era diverso Gerard. In fondo lo era sempre stato, in un modo o nell’altro, ci fosse mai stata una persona, durante la sua vita, che avesse pensato che era un ragazzo comune, come tutti gli altri. E Elena gli diceva sempre che risiedeva in questo la sua bellezza, il suo essere speciale: il suo essere diverso. Ma il mondo, gli altri esseri umani che non lo conoscevano davvero e si fermavano alle apparenze, loro che pensavano di lui? Quella diversità era sicuramente qualcosa che veniva vista come un difetto e Gerard se n’era sempre vergognato. Forse un giorno sarebbe stato in grado di dimostrare che quello era un pregio, che lui era speciale, come diceva sempre sua nonna, ma il punto era che nemmeno lui stesso ci credeva e allora quella parola sarebbe suonata sempre come un insulto, anche se l’aveva pronunciata suo fratello.
-Sei diverso rispetto a prima, a tre mesi fa, intendo.- decise di mettere in chiaro Mikey che ne sapeva sempre fin troppo dei suoi ragionamenti.
-Lo so.- gli rispose sussurrando, sorvolando su quanto aveva appena pensato.
-Sei fragile, ma sei più umano. Non era possibile, prima, che io ti riprendessi per qualche comportamento sbagliato e tu mi ti scagliassi contro come una furia. È più normale così, Gee.- gli spiegò cercando di rassicurarlo su ogni parte di frase che gli aveva detto.
Mikey ci teneva che Gerard non pensasse mai cose sbagliate, avrebbe passato giorni interi a parlargli e spiegargli le cose per scongiurare il pericolo che lui fraintendesse. Era così dolce da parte sua, ma Gerard era certo che avesse rovinato la vita anche a lui, a suo fratello che diceva di amare così tanto. Lo aveva sempre fatto preoccupare.
Continuò a piangere silenziosamente.
-Credo che Frank non desidererebbe altro che tu entrassi dalla porta di camera sua.- gli confidò restando sempre lì, col petto contro il suo e le braccia che lo circondavano riscaldandolo e non facendolo sentire solo.
Gerard non rispose, non sapeva cosa dire, non era certo nemmeno di ciò che gli stava dicendo Mikey, se glielo aveva detto Frank oppure se lui lo pensava.
-Me l’ha detto.- confermò come se stesse nella sua testa, a passeggiare tra le parole che scorrevano al suo interno.
-Cosa ti ha detto?- domandò d’istinto.
-Ogni volta che vado, chiede dove sei, cosa stai facendo, se stai bene, insomma, tutte le cose che chiedi anche tu di lui!- ridacchiò mentre raccontava e lo lasciò andare, certo che la crisi fosse terminata.
Gerard lo stette ad ascoltare con la faccia bagnata e gli occhi arrossati, le labbra socchiuse e uno sguardo pieno di troppi sentimenti e speranze. Da come lo guardava suo fratello, era certo che ispirasse tenerezza.
-Fa continue allusioni al fatto che siano venuti a trovarlo proprio tutti, tranne te. Ha paura di averti deluso.- gli spiegò.
Gerard sbarrò gli occhi, Frank non poteva pensare certe cose. Non poteva, tanto per cominciare, perché Gerard aveva deluso Frank per anni interi, Frank non avrebbe mai potuto deluderlo, aveva commesso un errore, okay, ma lui non si sarebbe mai sentito in diritto di sentirsi tradito, di credere che Frank fosse una brutta persona. Gerard non sarebbe mai stato nella posizione di poter giudicare qualcuno, tantomeno Frank. E poi, anche volendo fingere di essere la persona perfetta che non era mai stata, non si sentiva davvero deluso, era triste, quello sì, aveva provato un dolore quasi fisico nel vedere Frank in quelle condizioni, avrebbe voluto essere quell’eroe che si era finto tempo prima e salvarlo da se stesso e dai suoi sentimenti troppo travolgenti, ma non era arrabbiato con lui. Sperava che Frank non fosse deluso da lui, invece. Sperava davvero che potesse comprendere la sua decisione di non volerlo vedere, di capire. Ancora una volta.
-Digli che non lo sono, che non potrei mai permettermelo, che non sono nessuno per giudicarlo.- vomitò quelle parole senza nemmeno respirare, lo guardò fiducioso, come se suo fratello avesse il potere di sistemare le cose, come se potesse rassicurare Frank al posto suo.
-Lo so. Gliel’ho anche spiegato, ma lui non ci crede perché dice che altrimenti saresti andato a trovarlo, invece lo odi, quindi non vuoi nemmeno vederlo.- gli spiegò e non addolcì la pillola, e questo fece pensare a Gerard che quello era il nuovo metodo che Mikey stava usando per scuoterlo.
Gerard si lamentò sospirando perché tutto ciò che avrebbe voluto era la felicità di Frank e come al solito stava fallendo, era come quel falso supereroe mascherato da cattivo che non ne faceva una giusta. Forse avrebbe dovuto seriamente prendere in considerazione il fatto di smettere di sentirsi nella posizione di rendere felice qualcuno. Non ne era in grado, ecco tutto.
Continuò a piangere, che ormai era diventato un professionista nel farlo.
-Dio, Gee…- suo fratello era evidentemente troppo colpito dal suo comportamento e troppo coinvolto dal suo dolore.
-Dimmi che posso fare, non so vederti così. Non mi sembri nemmeno tu.- disse tornando ad abbracciarlo.
Gerard lo strinse.
-Scusa.- singhiozzò sentendosi misero. Quel cazzo di psicologo gli aveva insegnato a piangere e a tirare fuori le proprie emozioni in quel modo ed ora sembrava che i suoi condotti lacrimali fossero come dei tubi mal riparati che al primo problema si rompevano di nuovo perdendo di brutto.
-No, non ti scusare. Fa bene piangere, è meglio che ti sfoghi così anziché urlare e sbraitare roba senza senso.- cercò di rincuorarlo, ma Gerard a quel punto non sapeva più se quel che gli stava dicendo era solo per farlo calmare o perché lo pensava realmente.
-Chiedi scusa a Frank da parte mia. Io…- poi sospirò e lasciò le braccia di suo fratello, aveva bisogno di darsi un tono, si sentiva troppo patetico. Un conto era disperarsi per conto suo, un altro era farlo davanti agli altri, anche a suo fratello, facendolo sentire a disagio.
-Perché non provi a farlo tu?- gli chiese dubbiosamente, con dolcezza.
-No, no, Mikey. Non saprei che dirgli e poi mi sembra ridicolo presentarmi lì dopo giorni e giorni che avrei potuto farlo. È stato male e non ci sono stato, ora sta bene mi sembra davvero da idiota andare proprio adesso.- ammassò confusamente, cercando di spiegare a Mikey tutto quel groviglio di dubbi che aveva in testa.
-Credo che a Frank non importerebbe nulla di quanti giorni sono passati.- riprovò cercando di rassicurarlo. Gli passò le dita sul viso asciugando le lacrime che ancora se ne stavano lì a farlo sentire ancora più patetico.
-Non… Mikey, lo hai detto tu che c’è sempre Jamia, c’è chi si prende cura di lui. Io non c’entro niente.- balbettò distogliendo lo sguardo.
-Una volta era lei che non c’entrava niente…- lasciò in sospeso suo fratello.
-Dannazione Gee, vai lì fuori e riprendi la tua vita in mano.- sbottò sospirando subito dopo. Era frustrato, Gerard notava, ma non voleva ferirlo, non dopo aver visto che sapeva piangere come una ragazzina disperata.
-Credo che essere consapevole di starne vivendo una sia il massimo che io possa fare, forse un giorno riuscirò anche a fare qualcosa per renderla migliore. Tu ti sei sempre aspettato troppo da me, Mikey.- gli disse fiducioso; suonava triste perché aveva appena finito di piangere, o forse non aveva ancora del tutto smesso, ma era felice dei traguardi che aveva raggiunto.
-Perché so di quello di cui sei capace. Sei la persona più forte che io conosca, Gee.- gli confidò con uno sguardo pieno d’amore e sincero, ma Gerard semplicemente pensava che Mikey lo avesse sempre idealizzato eccessivamente, lui non era forte per niente.
Ma era sconcertante quanto riuscisse ad essere un fratello fantastico e comprensivo, così gli buttò di nuovo le braccia al collo e lo strinse in segno di ringraziamento.
-Ti voglio bene.- gli sussurrò accanto all’orecchio.
-Anch’io e scusa.- rispose Mikey con una voce rotta. Gerard sperò che non iniziasse a piangere anche lui, altrimenti avrebbe potuto allagare la camera.
-Di niente Mik, sei fantastico.- glielo disse.
-Tu lo sei e io credo in te. Ricordalo sempre.- glielo confidò come una di quelle frasi piene di aspettative, quelle che le ascolti e senti che sì, ha proprio ragione quella persona che ti sta dicendo quella cosa, ce la farai. Sperò davvero che sarebbe stato così e sperò che Mikey avrebbe lasciato presto la sua stanza, ché doveva elaborare troppe notizie.
E per elaborare intendeva piangere.
 
 
 
 
 
Quando il telefono squillò, non comprese subito da dove provenisse il suono, visto che non lo sentiva da giorni. Gerard non era esattamente il tipo che usava il cellulare in continuazione, e in più non riceveva chissà quante telefonate o messaggi, quindi a volte, come in quel caso, dimenticava anche di averne uno.
Abbassò il volume dello stereo e si allungò verso il comodino per afferrare il telefono e rispondere; nel farlo si stese sul letto e pensò velocemente a chi potesse essere: Mikey era passato a trovarlo qualche ora prima, e aveva visto anche Ray, che era con suo fratello. Forse era Bob, dato che era tornato a casa già da qualche giorno.
Il pensiero si soffermò sull’unica persona che mancava all’appello e immaginò che, se Frank non aveva telefonato fino a quel giorno, non lo avrebbe fatto proprio in quel momento; il motivo era lo stesso per il quale si sentiva ridicolo lui, ad andare a trovarlo dopo che era stato male per quasi due settimane. Magari era un ragionamento che valeva soltanto per lui, ma non credeva comunque che fosse Frank, perché beh… Frank non aveva più il suo numero di telefono. Niente Gerard in quel dispositivo.
Sbuffò.
-Pronto?-
-Oh, sì, ciao Bri. Sì, tutto bene.- rispose al manager. Si sentivano regolarmente, avrebbe dovuto perfino immaginarlo che fosse lui.
-Ah, domani?- domandò preoccupato.
-No, nessun problema. Sì, posso avvertire io gli altri. Okay, grazie, sì. Bene, a domani.- lo salutò ponendo fine alla telefonata.
Sospirò socchiudendo gli occhi, non si aspettava già una riunione con la casa discografica. Cavolo, erano trascorsi così pochi mesi dalla fine del tour.  
Brian gli aveva spiegato che la casa discografica aveva fretta di avere tra le mani un nuovo album e avrebbe fatto qualunque cosa perché riuscissero a farglielo avere il prima possibile.
L’idea c’era, ne avevano parlato tra loro e dovevano definire i dettagli. Poi c’erano vari testi che Gerard aveva scritto, ma non credeva che fossero tutti buoni, anzi, ne avrebbe cestinato la maggior parte senza dar loro un’opportunità. Comunque avrebbe dato una chance ad ogni frase, perché aveva intenzione di far leggere tutto anche agli altri.
Ora avrebbe dovuto avvertire i suoi amici e, cosa più importante, doveva riordinare le idee.
Voleva essere preciso e credibile quando avrebbe esposto l’idea della parata nera, non voleva suonare macabro e nemmeno triste. Aveva trascorso la sua intera vita sentendosi affibbiare certi aggettivi, era ora che cercasse e trovasse le parole giuste che servivano a spiegare le proprie idee, non voleva più essere travisato. Non si parlava più di lui, aveva una band, dei ragazzi che vivevano con lui e condividevano un sogno, soprattutto aveva dei fan. C’erano delle persone che stavano ad ascoltarlo, c’era gente che si ispirava a loro, che alle parole che ammassava insieme gli dava un peso.
Gerard non era più quel venticinquenne chiuso nella sua stanza, in mutande, a disegnare fumetti e ad approssimare frasi per comporre una canzone, no, ora quelle frasi avrebbero dovuto essere chiare, limpide. Non poteva più sbagliare.
Decise di partire dalle cose basilari così riprese il telefono e cercò in rubrica il numero di Bob: era quello più lontano, doveva avvertirlo al più presto.
Telefonò anche a Ray e poi bloccò il movimento automatico sul nascere, si passò il cellulare tra le mani, avrebbe dovuto chiamare Frank.
Percepì il proprio cuore aumentare il ritmo, un nodo allo stomaco lo fece boccheggiare. Cazzo, si trattava solo di una telefonata, eppure sembrava che dovesse fare chissà cosa. Non osava immaginare cosa sarebbe accaduto nel momento in cui si sarebbero rivisti. Erano trascorse quasi due settimane e Gerard non si capacitava di che cosa avesse fatto in quel tempo. E soprattutto come avesse fatto a stare lontano da Frank, senza nessun aiuto, stavolta.
C’era stato un periodo, all’inizio della loro strana relazione, in cui non facevano che trovare pretesti per baciarsi o per saltarsi addosso a vicenda. Andavano alla sala prove mezz’ore prima degli altri per stare insieme e fare cose… tutto finché Gerard non decise che stavano esagerando, o almeno lui.
Aveva iniziato a dire a Frank che era suo, lì, in quel periodo, lo aveva chiamato per la prima volta Pansy. E aveva fatto un sacco di altre cose al limite della coerenza, diceva a Frank che loro due non erano niente e poi, appena ne aveva la possibilità, lo travolgeva e quasi lo divorava per la voglia che aveva di sentirlo suo. In quel periodo aveva creduto di star esagerando e le reazioni infastidite che Frank aveva avuto a volte glielo avevano confermato. Così aveva deciso di stargli lontano, di lasciarlo stare, ché forse non era quel principio di bella relazione che aveva creduto.
Non era più andato presto alle prove, aveva cercato di non avere più momenti in cui potessero rimanere soli, così sarebbe stato al sicuro, così era certo che non avrebbe aggredito Frank dimostrandogli quanto fosse importante, quanto era innamorato, perché forse sì, lo era già a quei tempi.
E quel periodo era stato uno dei più difficili della sua vita, aveva iniziato a bere e a stordirsi come e quando poteva, perché era l’unico modo per stargli lontano. E neanche in quelle condizioni, comunque, ci riusciva, Frank era una tentazione così potente e non solo a livello sessuale. Per assurdo non ci avrebbe nemmeno fatto sesso per non macchiare le cose fantastiche che provava per lui con qualcosa di fisico e animalesco. Eppure poi, rendendosi conto che non sarebbe mai riuscito a spiegargli cosa provava per lui e quanto erano sbagliati insieme, lo assaliva e non ne aveva mai abbastanza. Frank non gli bastava mai. Avrebbe passato la sua intera esistenza ad ascoltarlo, a parlarci, a baciarlo e a guardarlo con lo sguardo innamorato che, ne era certo, non sarebbe mai cambiato. Gerard sarebbe sempre stato innamorato di Frank.
Probabilmente era stato creato apposta, non aveva mai visto nessuno guardarlo come lo faceva lui stesso, nemmeno la cara Jamia lo guardava così. Forse era per quello che la odiava così tanto.
Si portò di nuovo il telefono davanti agli occhi e iniziò a scorrere la rubrica alla ricerca del numero di Frank. Le dita tremavano mentre cercava mentalmente il coraggio per premere il pulsante invio.
Pensò che doveva smettere di riflettere, che certe cose andavano fatte senza ragionare, che certe cose, soprattutto in determinate circostanze, dovevano essere vissute spontaneamente. In alcuni casi, addirittura, bisognava mettere da parte il anche il passato e le incomprensioni, certe volte doveva agire solo il cuore.
Mentre ascoltava gli squilli rimbombargli nella testa, immaginò che il consiglio che si era appena dato avrebbe dovuto metterlo in pratica anche nelle settimane precedenti, avrebbe dovuto correre da Frank, sincerarsi che stesse bene, non farselo raccontare da suo fratello e dai suoi amici. Quella era una di quelle occasioni in cui avrebbe dovuto mettere da parte tutto.
 
Quando Frank rispose, Gerard era concentrato a maledirsi per quanto tempo impiegava nel capire le cose.
-Pronto?- chiamò di nuovo la voce di Frank.
Gerard aveva dei fremiti allo stomaco talmente forti che quasi avrebbe voluto vomitare.
-Gee?- lo chiamò Frank dolcemente.
E quello fu il colpo di grazia perché allora il suo numero lo ricordava a memoria, perché allora aveva voglia di parlare con lui, considerando il tono che aveva usato.
Perché lo aveva chiamato “Gee”.
E quello, per Gerard, equivaleva a quei nomignoli dolci che si usano tra fidanzati, nonostante molti lo chiamassero in quel modo.
Cercò di schiarirsi la voce.
-Fr… Frank.- lo chiamò cercando di non risultare ridicolo.
-Hey, Gee, tutto okay? Stai bene?- gli domandò in fretta, forse preoccupato dal tempo che aveva impiegato a rispondere.
-No, sì. Cioè, sto bene.- ammassò insieme, apparendo proprio come non avrebbe voluto: un idiota.
-Ti volevo dire per domani...- iniziò cercando di riprendere sicurezza, ma poi si ricordò di come stavano le cose e quindi, forse, c’erano cose più importanti da dirgli prima.
-Ma tu, Frank, come stai?- domandò così, interrompendosi.
Sperò che Frank non pensasse che quella conversazione facesse schifo e chiudesse la chiamata.
Attese una sua risposta che non tardò ad arrivare.
-Bene, sto bene.- confermò tranquillo.
Gerard immaginò un sorriso addolcirgli i lineamenti del viso. Conosceva i suoi toni di voce, ne sapeva fin troppo delle varie modulazioni della sua voce e quel tono era tenero, come se tutto quel cumulo di discorsi ininterrotti a lui fossero piaciuti.
-Ormai sono tornato come nuovo, stamattina sono andato anche a fare delle commissioni con mia madre.-aggiunse ridacchiando.
-Davvero?- se ne uscì Gerard non sapendo cosa dire.
Era felice comunque.
-Sì, davvero. Poi, ehi, sono passate due settimane.- gli fece notare Frank e Gerard sperò che quella precisazione non fosse stata un’allusione per fargli pesare che lui non c’era stato.
Gerard credeva che però non fosse così, il tono colloquiale di Frank ne era la conferma.
-Beh, bene, sono felice.- gli disse per farglielo sapere
-Sai, in questi giorni ho chiesto di te a Mikey…- accennò sperando che Frank avrebbe capito.
-Sì, lo so.- confermò senza aggiungere niente.
-Ho chiesto anch’io di te.- gli raccontò parlando con dolcezza.
-Sì, lo so.- gli rubò la risposta sentendosi a disagio.
Il fatto era che si sentiva in colpa, che Frank aveva chiesto sue notizie perché era malato e non poteva uscire di casa, Gerard non aveva scuse, lui avrebbe potuto fare qualunque cosa e invece era rimasto chiuso in camera, impaurito pure dai suoi stessi pensieri.
Forse se Frank avesse avuto voglia di interagire con lui, avrebbe potuto fargli una telefonata… ma Gerard non era certo nella posizione di recriminargli qualcosa.
-Gee ci sei?- lo chiamò Frank
Ancora Gee. Il cuore gli stava martellando in gola.
-Sì, ci sono.- boccheggiò.
Il fatto era la voce di Frank. La voce di Frank per telefono era tipo il risultato di un’equazione alla seconda, forse anche alla terza. Era qualcosa a cui Gerard non si sarebbe mai abituato.
- Okay. - sussurrò Frank e Gerard sospirò impercettibilmente perché i sussurri lo mandavano ancor più fuori di testa.
- Cosa stavi dicendo di domani? - gli chiese il suo chitarrista per riprendere la conversazione.
- Ah, sì, giusto. - si ricordò Gerard. Lo aveva chiamato per quello e per poco non se ne dimenticava.
- Domani abbiamo una riunione con la casa discografica, ho già avvertito tutti. Brian dice che probabilmente ci faranno un po’ di pressione per farci mettere a lavoro al nuovo album.- gli raccontò ogni dettaglio che sapeva.
- Uhm, c’era da immaginarselo. - fu il commento di Frank.
- Comunque io sono pronto, per me va bene.- lo rassicurò.
- Bene. Bene. - confermò Gerard, a corto di cose sensate da dire.
- Allora ci vediamo domani alle quattro lì? -
- O hai bisogno di un passaggio?  - ci ripensò.
- No, va bene vederci lì, non preoccuparti.- rispose il suo chitarrista.
- Okay, allora a domani. - gli disse per salutarlo.
Forse avrebbe aggiunto un “ti voglio bene”, come faceva sempre alla fine delle loro telefonate. Magari avrebbe potuto scappargli pure un “ti amo” e sarebbe stato legittimo, ma non lo fece succedere e stette in silenzio attendendo il saluto di Frank.
-A domani, Gee.- rispose dopo una manciata di secondi. Forse anche lui stava pensando a quel ti voglio bene mancante.
Probabilmente Frank stava per porre fine alla chiamata e se i comportamenti di Gerard fossero stati coerenti lui avrebbe dovuto fare lo stesso, ma la sua bocca agì da sé.
- Frank? - lo chiamò di nuovo.
- Sì. - e lui rispose subito, come se avesse avuto la cornetta ancora attaccata all’orecchio.
- Ti voglio bene. - sussurrò Gerard parlando talmente vicino al telefono da averci strusciato le labbra.
Frank rimase in silenzio per un attimo, sicuro che fosse un attimo, anche se a Gerard sembrava un’eternità.
Percepì uno sbuffo d’aria dall’altra parte, forse un sorriso, magari un sospiro, qualcosa che non riuscì a decifrare.
- Ti voglio bene anch’io, Gee. - si espresse infine.
- Tanto. - aggiunse dopo pochi secondi che furono davvero scenici.
A Gerard arrivò un calore immenso addosso, tutto insieme ed ovunque.
- A domani. - concluse il suo chitarrista.
- A domani. - rispose Gerard con la gola secca.
 
 
 
 
 
 
- Ecco, abbiamo fatto tardi. - bisbigliò scocciato accanto alla spalla del fratello entrando nella stanza e notando che già erano presenti tutti.
- Ah, eccoli, sono arrivati! - li accolse l’osservazione di Brian che fungeva allo stesso tempo da saluto e rimprovero.
- Salve, sì, le strade a quest’ora… - lasciò in sospeso suo fratello tentando di scusare entrambi con un motivo pressoché scontato, banale e pure falso.
Nessuno sembrò interessarsi alle scuse di Mikey campate un po’ per aria e Gerard e suo fratello si approssimarono a prendere posto su una delle sedie libere che erano rimaste. Le due persone che rappresentavano la casa discografica stavano passandosi dei fogli tra le mani e a Gerard non venne nemmeno la curiosità di sapere di che si trattasse dopo essersi accorto di essere finito con la sedia accanto a Frank.
Prese tempo salutando i suoi amici e mentre si metteva a sedere poggiò la tracolla a terra, tra le due sedie, posando la guancia sul tavolo e usando quel movimento per guardare Frank dal basso, ipotizzando che lui non potesse accorgersene.
Frank lo stava già guardando e inciamparono l’uno nello sguardo dell’altro. Gli sembrò uno di quegli interessanti e bellissimi momenti che in realtà durano una manciata di secondi, ma sembrano scorrere a rallentatore. Non riuscì nemmeno a puntare esattamente gli occhi verdi in quelli di Frank perché ogni dettaglio del suo viso catturava la sua attenzione, a partire da quelle sopracciglia così perfette ed espressive e finendo con le sue labbra, quel maledetto labret che era sempre stato una delle principali fonti di attrazione per lui. Oltre al fatto che aveva sempre voglia di baciarlo, piercing o meno.
Bene, lo avrebbe trascinato e portato da tutt’altra parte e forse anche Frank pensava ad una cosa del genere a giudicare da come lo guardava. Gerard ne sapeva fin troppo delle occhiate e degli sguardi di Frank.
In quei pochi secondi aveva potuto pensare e capire così tante cose? Non lo sapeva, ma si tirò a sedere e guardò tutti i presenti con un’espressione confusa. Stordito.
Quella cotta di proporzioni cosmiche che aveva per Frank non gli sarebbe mai passata, sicuro. E forse anche perché non c’entrava nessuna cotta. Mh.
- Volete spiegarci meglio cos’avevate in mente per il nuovo album? - domandò in tono colloquiale uno dei tizi della casa discografica.
- Gerard. - lo chiamò Brian come per interrogarlo.
Da dove avrebbe potuto cominciare?
- Allora. - iniziò incerto, gli serviva qualcosa su cui posare l’attenzione e parlare liberamente senza guardare né in faccia, né negli occhi le persone che attendevano la sua risposta. Sembrava un esame ed esprimersi a testa alta e senza imbarazzo non era il suo forte. Ed era il frontman di una band, che stranezze!
Gli vennero in mente i disegni che seguivano la linea di idee che avrebbero tradotto in canzoni per l’album e così si abbassò a raccogliere la tracolla da terra e si affrettò a tirarli fuori.
Li dispose a caso sul tavolo e seguendo le linee scure delle immagini si disse che poteva incominciare a parlare. Voleva essere chiaro, non essere travisato e tantomeno essere considerato macabro o triste. Okay, faceva parte della sua personalità essere macabro e triste, non ci riusciva proprio a scrivere una canzone senza tirare in ballo sangue, ossa e vampiri, ma questo era diverso, questo progetto era più profondo, significava molto per Gerard e voleva assolutamente che le persone capissero i suoi intenti.
- L’album sarà un concept. - partì dalle cose basilari.
- Ci sarà il “paziente” che sarà il protagonista della storia. Sta morendo di cancro e di lui non si saprà quasi nulla, né sesso, né età. Il dettaglio importante è che sta per morire. - ops, era stato brutale, pazienza.
- Oh. - pronunciò qualcuno sospirando, come se fosse colpito. Gerard era certo che non ne fosse colpito in maniera positiva, ma doveva continuare.
- L’album ripercorrerà la sua vita - stava continuando, ma qualcuno lo interruppe.
- Come, scusa, di cancro? - domandò quel qualcuno di prima, o forse no. Gerard commise l’errore di alzare lo sguardo sul suo interlocutore e l’espressione sconcertata mista a qualcosa come il disgusto lo colpì così tanto che forse non sarebbe stato più in grado di proseguire.
Cazzo, si era ripromesso di non fare più caso alle espressioni delle persone con cui parlava, tanto lo deludevano sempre.
- Lascialo continuare, è un concetto figo. - disse Brian sventolando la mano davanti al viso dell’uomo e scoccando un sorriso incoraggiante a Gerard.
- Non capisco cosa ci possa essere di figo in una storia di uno che muore di cancro. - domandò la stessa persona sempre con quell’espressione contrariata.
Gerard boccheggiò per un attimo, le parole scorrevano veloci nella sua testa e non riusciva a tenere le redini della sua lucidità. Era perso, non sapeva cosa controbattere, come, in quale modo.
- Infatti non è figo. - sibilò suo fratello con sicurezza, un velo di fastidio gli dipingeva il viso, poi rivolse l’attenzione a Gerard e la cattiveria che aveva usato per difendere i suoi concetti si dissolse in una smorfia dolce, sorrise quasi e gli fece un cenno con la testa.
Mikey gli stava dicendo che era tutto okay, che doveva continuare, che non doveva permettere a nessuno di farsi screditare. Avevano una certa potenza, gli sguardi di Mikey.
- Perché la vita in realtà fa schifo. - confermò allora, annuendo, mentre sistemava i disegni senza ragione, come se poi quel commento sarebbe volto a suo favore.
Riprese a guardare i disegni e stavolta non avrebbe più permesso a nessun commento avverso di farlo andare in iperventilazione e quasi cedere.
Tra gli atteggiamenti più importanti ed utili che avrebbe dovuto imparare a sfoggiare, spiccava la convinzione: doveva esserlo, doveva credere in se stesso. O, perlomeno, doveva imparare a fingere di esserlo, a non farsi sgretolare e spezzare da critiche negative e sostenerle come se fossero stati complimenti, e poi, da solo, avrebbe anche potuto permettersi di sentirsi ferito ed umiliato.
Poteva incominciare con la finzione, poi sarebbe arrivata la consapevolezza, la sicurezza reale e autentica. Almeno sperava.
- Il paziente non ha tempo, quello che gli rimane è scandito dai rintocchi della parata nera che lo sta attendendo. – disse, guardando il disegno dello scheletro con il tamburo attaccato sul proprio petto.
- E si sa, quando si ha tutto non si apprezzano le piccolezze, solo dopo capisci quanto sono importanti. Il paziente è a metà di questa condizione, è ancora vivo, ma è quasi morto. Quindi ripensa alle sue esperienze, al tempo che ha sprecato a preoccuparsi del giudizio degli altri, ai problemi che ha affrontato, all’amore, alla morte che si avvicina, alla sua famiglia, agli errori che ha commesso. E sarà bello, brutto, angosciante, spensierato e tetro. Sarà un mix di emozioni contrastanti ed opposte, proprio come è la vita.- finì di dire pensando che forse era riuscito a riassumere bene il discorso.
- Ma è un argomento… - il tizio della casa discografica ci pensò un po’ prima di esprimersi.
- È brutto. – disse in un sospiro, alla fine.
- La morte è brutta. - pronunciò come se nessuno l’avesse potuto sapere. Certo che era brutta, che cazzo.
- Un’osservazione arguta. - gli fece notare Brian con un po’ di ironia.
- No, è che forse dovrebbero lanciare dei messaggi diversi, forse dovrebbero concentrarsi su argomenti più allegri. Sai, non credo che un disco che parla di un argomento tanto triste possa affascinare le persone. - disse senza mezzi termini. Non era stato brusco e aveva usato anche un tono pacato, ma Gerard stava già sentendo insinuarsi piccoli dubbi che avrebbero presto strisciato nella sua mente, tra i suoi pensieri, finendo per crescere e dilagare ed ingoiare tutto.
Ecco cosa gli provocavano certi tipi di critiche. Non si parlava di un gusto contrastante sulla t-shirt che indossava o su cosa aveva ordinato al fastfood, lì erano in gioco le sue idee, i suoi sogni e a Gerard, soprattutto in quel momento, erano la sola ragione che fosse rimasta.
La parata nera era il suo sogno fin da bambino, l’aveva immaginata così tante volte. E quando aveva sul serio iniziato a disegnarla era come se avesse potuto finalmente ammirare quelle immagini dopo avercele avute da tutta la vita solo nella testa. Era un po’ come certe opere d’arte che puoi guardare soltanto sulle pagine patinate dei libri e poi di colpo vai al museo e le vedi sul serio lì, di fronte a te. Uno stupore.
Poter accompagnare quelle idee a della musica era un passo ancora più importante, le avrebbe rese non solo più vere, ma ancora più forti, solenni. Quel disco doveva essere l’alter ego della band e di se stesso.
- Gerard forse vi conviene pensarci meglio. - gli consigliò poi, sempre lo stesso uomo che aveva mosso le prime critiche.
- Non devo pensarci, è questo che voglio fare. - sbottò senza pensarci. Se i suoi sogni erano importanti allora doveva combattere.
- Voglio fingermi un soldato della parata nera e cantare di una persona qualunque che sta morendo, come ne muoiono a milioni ogni giorno, voglio raccontare di questa malattia devastante che ti fa compiere una metamorfosi, voglio urlare che non c’è più tempo, che il mondo fa schifo, che è pieno di problemi e che nella maggior parte dei casi la morte sopraggiunge proprio per chi se lo merita di meno. Voglio far compiere un viaggio alle persone che ascolteranno il disco, voglio coinvolgerle e stravolgerle, voglio raccontare loro questa storia, farle arrabbiare, commuovere, disperare. - vomitò guardando negli occhi l’uomo che voleva distruggere l’imponente castello di sabbia che avrebbe voluto ergere fin da quando era bambino. Doveva essere forte.
- E poi farle tornare tranquillamente alla propria vita. - aggiunse prendendo un bel respiro.
- Vorrei tanto che finito di ascoltare il disco si guardino un po’ intorno, ripensino alla storia struggente del paziente che non ha avuto scampo e si confrontino con lui. La loro vita è migliore, tanto per cominciare perché ne hanno una. Perché potranno porre rimedio ad uno sbaglio che hanno commesso, perché potranno correre da chi amano e dirglielo, perché potranno fare tutto ciò che vogliono, perché nessun orologio rintocca i minuti che gli restano da vivere, nessuna parata nera li sta aspettando. - concluse, sperando che dopo quel discorso incasinato, disordinato e quasi urlato fosse riuscito a spiegarsi meglio.
 - Hai… hai detto che farete parte della parata nera. - balbettò guardando Gerard stranito. Ancora.
Aveva fatto un cazzo di lunghissimo discorso articolato e lui si era soffermato alla prima frase.
- Sì, la band sarà composta dai nostri alter ego. Faremo parte dell’esercito della morte. - disse deciso, dio, era così arrabbiato che si sarebbe messo a sbraitare al cielo o forse a piangere.
- Che senso ha fingervi morti? - domandò incredulo.
- Che senso ha fingersi vivi? - domandò alzando un po’ la voce e alzandosi pure dalla sedia già che aveva tutta quell’agitazione sparsa per il corpo che lo stava facendo quasi tremare.
- Non capisco. - sussurrò il tizio.
- Sai quanta gente c’è in giro che sopravvive anziché vivere? Sai quante persone si sentono vive soltanto perché compiono quelle stupide azioni che la convenzione vuole che accadano? Crescere, studiare, metter su famiglia, lavorare per accumulare soldi solo per spenderli e potersi illudere di possedere qualcosa davvero e sentirsi fintamente felici. La vita è molto più complessa di così, molto più bella. È molto più di questo. - domandò all’aria, guardando le file di macchine che stazionavano nel traffico sulla strada che costeggiava il palazzo. Non voleva assolutamente risposte. Doveva continuare.
- Ci sono persone che hanno poco o niente, nella vita, ma hanno dei sogni e lottano per raggiungerli ed esaudirli. Questo voglio dire. Voglio dire che bisogna avere degli obiettivi, che qualunque cosa accada bisogna essere forti ed andare avanti e che si devono apprezzare le piccole cose. Voglio mostrar loro la morte, voglio esserlo, fingermi morto, per essere più convincente, e poi, terminato il concerto, mi auguro che tornino alle loro vite di sempre e che le apprezzino, finalmente. - disse con una ritrovata calma, che di sicuro derivava dal fatto che non stava guardando negli occhi nessuno; forse era riapparsa dopo aver voltato le spalle a tutti ed essersi affacciato alla finestra. Era così in pace, ora, in quegli ultimi minuti, che avrebbe preso le ante della finestra, le avrebbe spalancate e si sarebbe buttato giù dal settimo piano. Così, senza motivo, tanto quel che doveva dire lo aveva espresso.
Si scontravano così tanti pensieri incoerenti e contrastanti nella sua testa da farlo diventare matto, certe volte. Non che ci fossero motivi per buttarsi giù, erano soltanto pensieri, immaginari mondi paralleli in cui faceva pazzie incontrollate.
Comunque doveva finire ancora il discorso, doveva mettere in scena la parata nera e prima di tutto comporla, quindi non era il momento di farsi corteggiare dalla morte.
- Cosa ti fa pensare che i ragazzi che vengono ai vostri concerti non apprezzino le loro vite? - domandò ancora quel tizio curioso, a Gerard sarebbe proprio piaciuto sapere come si chiamava.
- Come ti chiami? - gli chiese quindi, forse aveva l’aria di un pazzoide da come lo guardava con quel fare allarmato.
- Mi chiamo Lukas. - gli rispose alla fine, restando in attesa.
- Bene Lukas, non siamo propriamente una band neomelodica che canta di cazzate adolescenziali e primi amori che ti fanno scoppiare il cuore. - gli fece.
- Siamo quelli che fino ad ora hanno detto la verità a quei ragazzi, siamo quelli che sono stati feriti, bullizzati, che sono stati a tanto così dal morire. - gesticolò più del dovuto, terminando con un gesto che racchiudeva pochi centimetri tra il pollice e l’indice.
- Chi ci ascolta non ha la vita rose e fiori, ho visto con i miei stessi occhi i tagli sulle braccia di alcuni di loro e, cazzo, io li voglio salvare. -
Dio, lui era Gerard Way, aveva formato quella dannata band sulle macerie che aveva visto l’undici settembre a New York, quello che si era ritrovato una pistola puntata alla testa, quello che per poco non si sarebbe ucciso con le proprie mani, che volevano da lui, che si sarebbero aspettati?
Gerard aveva deciso che lo scopo dei My Chemical Romance sarebbe stato quello di prendere le esperienze negative e trasformarle in arte, in canzoni, in parole urlate e sussurrate nelle orecchie di chi aveva avuto esperienze simili. Ogni band ha i fan che si merita, credeva Gerard, e ne aveva visti a frotte di ragazzi disadattati e strani, di persone problematiche che fuggivano dalla quotidianità con la loro musica. Lui aveva un ruolo in tutto ciò, Elena glielo aveva sempre detto che era destinato a qualcosa di grande e, anche se sulle prime aveva creduto che sua nonna gliel’avesse detto perché lo amava e come ogni familiare stretto voleva esaltarlo e renderlo in qualche modo speciale, dopo il successo con la band e la sua ritrovata sobrietà e lucidità aveva iniziato a pensare che forse aveva avuto ragione, che forse aveva tra le mani un piccolo potere e doveva sfruttarlo. Poteva essere comunque una specie di supereroe, strano, okay, ma voleva provarci.
- E insomma, tu credi di salvarli raccontando loro la storia di uno che muore di cancro. - riassunse ancora Lukas, il tizio della casa discografica, quello stronzo che, dio santo, sembrava fosse idiota, o forse sordo.
Gerard pensò che quella era una di quelle persone a cui aveva fatto riferimento prima. Niente obiettivi, niente valori, solo concentrato sulle proprie idee di businessman e preoccupato di accumulare denaro. Non gliene fregava proprio niente, delle idee di Gerard.
Stava quasi per urlare qualcosa a caso tanto per sfogare un po’ di frustrazione, per poi dire a Brian che forse sarebbe stato il caso di cercare un’altra casa discografica quando l’altro uomo che fin’ora aveva soltanto ascoltato i discorsi senza mai intervenire decise di prendere parola.
- Scusate, scusa Lukas, ma secondo me ti sta sfuggendo qualcosa di importante. - cominciò.
- Diciamo sempre che non se ne può più dei soliti album incentrati sui temi e i concetti più banali di sempre e ora che abbiamo tra le mani qualcosa di diverso, una storia da raccontare la buttiamo via perché è troppo triste per attirare la massa? - domandò alzando le sopracciglia con aria interrogativa e alzando le mani. A Gerard quel gesto ricordò Frank, così si voltò a guardarlo.
Ce l’aveva praticamente di fronte, seduto, mentre Gerard era ancora davanti alla finestra, stavolta girato di spalle ai vetri. Ascoltava rapito il discorso dell’uomo che aveva iniziato a parlare evidentemente in sua difesa ed aveva il braccio destro tatuato che teneva il peso del viso assorto. Aveva quei bellissimi occhi dal colore indefinito che puntavano la figura dell’uomo che discuteva col suo socio e sicuramente Gerard si stava perdendo qualche frase essenziale e qualche discorso importante, ma Il ciuffo nero che ricadeva sbarazzino sull’occhio destro di Frank, al momento, aveva la sua completa attenzione.
Le labbra.
Frank non ci faceva nemmeno caso sicuramente, ma giocava in continuazione con il piercing, usando la lingua ed i denti e a volte si mordicchiava il lato del labbro inferiore e Gerard dovette farsi violenza per distogliere lo sguardo dall’oscenità di pensieri che gli provocava quel gesto fatto con così tanta naturalezza ed innocenza da farlo sentire il solito pervertito, ogni dannata volta.
- Io gli do una possibilità, per me sarà un messaggio potente. Preferisco rischiare per produrre un disco che ha una storia da raccontare, anche se non c’è niente di certo circa l’impatto che avrà sul pubblico. Meglio azzardare per qualcosa di costruttivo che avere la strada spianata dalle solite stupide certezze vuote e senza valore. - concluse e Gerard restò di stucco.
Primo perché era stato a fare lo stalker e non aveva seguito il resto del discorso che magari era stata una cosa figa e lui se l’era persa per consumare Frank con lo sguardo, e poi perché non riusciva a credere che qualcuno stesse parlando in quel modo della parata nera, della sua parata nera. Nemmeno nelle sue più rosee aspettative si sarebbe immaginato di ascoltare certe dichiarazioni.
‘Fanculo Lukas e le sue idee da stronzo opportunista.
Si lanciò verso l’uomo che aveva appena terminato quel discorso e si ritrovò a stringergli la mano sentitamente. Lui era un tipo che non fingeva di essere vivo, aveva qualcosa da fare al mondo, anche fosse stato produrre il loro album.
- Grazie… -
- Connor. - gli ricordò quello, ma a Gerard venne il dubbio che non avessero fatto alcuna presentazione.
- Dovete iniziare a lavorarci però. - gli disse per incoraggiarlo.
- Sì, certo. - gli assicurò e Mikey e gli altri cominciarono a dire la loro raccontando delle sessioni che avevano fatto e di qualche traccia che forse era già stata appena creata.
Non definirono le tempistiche al momento, perché avrebbero dovuto riprendere presto le date che avevano lasciato in sospeso e già ne avevano lasciate andare troppe, tutto per colpa sua, tra l’altro.
 
 
- Certo che, porca troia, quel Lukas mi sembrava demente!- se ne uscì Mickey mentre tutti e cinque camminavano con calma nel parcheggio del palazzo dove avevano appena lasciato manager e rappresentanti della casa discografica.
Ray probabilmente rispose qualcosa, ma a Gerard sfuggì perché era troppo concentrato sul coraggio da cui si sentiva pervadere quel giorno e di conseguenza gli era venuta la voglia di chiedere a Frank se potessero parlare un po’.
Fermò il suo tragitto e si voltò verso Frank che era subito dietro di lui e che si bloccò sul posto quando Gerard smise di camminare. Stava quasi per parlare e Frank lo stava anche guardando, ma Bob, che era tutto preso a parlare con Mikey, non si accorse dei due ragazzi davanti a lui che avevano smesso di camminare, così si scontrò con la schiena di Frank che, preso alla sprovvista balzò in avanti e finì quasi addosso a Gerard. Quasi.
Maledizione, era troppo indietro e Frank lo sfiorò soltanto con un braccio senza badarci molto, poi si voltò per dirne quattro a Bob che però si ritrovò Ray contro la schiena. Mikey riuscì a schivare quel tamponamento a catena che aveva causato Gerard. Quasi gli veniva da ridere e infatti alla fine rise, seguito a ruota da tutti i suoi amici che, dopo essersi ripresi da quel piccolo shock ed essersi voltati l’uno dietro all’altro per rimproverarsi a vicenda, scoppiarono a ridere per quella situazione ridicola che era accaduta.
-Gerard devi pagare i danni a tutti!- sentenziò suo fratello dalla fine della fila.
Gerard riprese a ridere e per un momento si sentì così leggero che si stupì di trovarsi realmente nel proprio corpo.
Comunque ripresero a camminare, passandogli accanto, ma Frank era rimasto dov’era ed era tornato a guardarlo. Forse si aspettava qualcosa da Gerard, ma dallo sguardo che aveva Gerard capì che forse doveva dirgli qualcosa anche lui. Ma non si decideva ad aprire bocca.
Gerard gli sorrise e decise che forse era arrivato il momento che facesse lui il primo passo.
- Ti devo parlare. - sputò in fretta, la stessa che usò Frank per dire la stessa identica frase.
Inevitabilmente scoppiarono a ridere all’unisono, che scena imbarazzante!
Nello scrollarsi di dosso un po’ d’imbarazzo mosse lo sguardo intorno a sé e vide Mikey fargli un cenno interrogativo.
- Ti aspetto in macchina. - quasi urlò suo fratello.
- Digli che ti riaccompagno io. - gli disse Frank e quando Gerard si voltò a guardarlo vide il suo viso dipinto in una smorfia tra lo speranzoso e la supplica. Restò a guardarlo per qualche secondo, qualsiasi espressione su quel viso lo faceva imbambolare. Sarebbe rimasto ore intere a guardarlo, come faceva quando erano in tour e Frank gli si addormentava accanto e lui restava impalato a fissarlo senza che nessuno lo scoprisse.
-Mik, torno con Frank.- disse a voce alta tornando a prestare attenzione a suo fratello che inarcò le sopracciglia con fare interrogativo. Di nuovo.
Comunque, poi, tirò su un pollice in modo affermativo e lo salutò, seguito anche da Bob e Ray. Salutò anche Frank.
Gerard tornò a dedicare la sua attenzione a Frank e lo trovò che si guardava intorno.
- Andiamo a sederci laggiù? - domandò indicando un muretto che delimitava il parcheggio e costeggiava il palazzo.
- Okay. - affermò e si incamminarono.
Appena arrivati nessuno dei due si mise a sedere, anzi, si posizionarono uno di fronte all’altro, ma si notava quanto fossero uno più imbarazzato dell’altro. Che poi non era nemmeno imbarazzo, Gerard si sentiva totalmente agitato, non sapeva nemmeno come avrebbe potuto cominciare il discorso.
- Allora. - fece per iniziare, ma Frank ripetè esattamente la stessa parola nello stesso istante.
Si guardarono negli occhi e risero.
- Dai, vai tu. - continuò Gerard, ma ormai sembravano sincronizzati e Frank anche stavolta disse la stessa cosa.
Stavolta scoppiarono proprio in una fragorosa risata, dio che cosa esilarante!
- Cazzo! - imprecò Frank tra le risate.
- Dimmi tu. - propose in fretta mentre Gerard ancora rideva.
- No, inizia tu. - controbatté Gerard a quel punto. Non che non volesse parlare più, però se anche Frank voleva dirgli qualcosa che incominciasse lui, almeno poteva capire che cosa pensava per poi esprimersi meglio.
- Okay. - Frank sospirò.
- Ecco, allora, io volevo dirti che mi dispiace. - riassunse guardandolo negli occhi.
Gerard lo fissò incredulo. Frank pensava ancora che fosse colpa sua, credeva ancora che avesse qualcosa da farsi perdonare quando, tra loro due, l’unico che si era sempre comportato di merda era stato sempre e solo lui.
- No, ehi, a me dispiace. A me. - marcò bene il pronome personale per gettare le basi del discorso che avrebbe voluto fare, di ciò che avrebbe voluto dirgli dopo.
- Perché a te? - domandò Frank cominciando a gesticolare più del dovuto, segno che si stava agitando.
- Sono io quello che vi ha fatti morire di paura, che si è fatto cercare per un giorno intero. Io sono dispiaciuto e – cazzo - non avresti dovuto vedermi in quelle condizioni. - imprecò camminando avanti e indietro per scaricare la tensione da cui sicuramente era invaso.
- Frank, è okay. Tu mi hai visto così per così tanto tempo… cosa vuoi che sia una volta? - cercò di rassicurarlo anche se non era propriamente la verità. Quell’unica volta era valsa come cento, non smetteva di venirgli in mente in quelle condizioni quando lo pensava. Ne era rimasto devastato.
- Non volevo. - sospirò Frank con aria colpevole.
- Non lo avrei mai voluto e non c’entra il passato e le condizioni in cui ho visto te. - disse senza soffermarsi sui dettagli. Comunque la sua espressione era triste, e sicuramente per svariati motivi, ma altrettanto sicuramente c’entrava anche il ricordo che aveva di Gerard strafatto.
-Ti giuro che non accadrà più, è stata tutta colpa della febbre. In aggiunta a tutto il resto, ovvio. - mormorò l’ultima parte con un disagio quasi tangibile. Era così mortificato che Gerard si sarebbe disperato. Lui non si era mai sentito in quel modo, o forse nemmeno di quello si ricordava.
-Cosa ti fa pensare che sia tu a dover essere dispiaciuto in tutta questa storia? - gli domandò poi Frank, curioso e confuso.
- Beh, ecco... – dio, se era a disagio ad esprimersi!
Eppure aveva parlato come un fottuto registratore fino a poco prima. Sospirò, prendendo un tiro dalla sigaretta che aveva appena acceso.
- Sei stato male due settimane. Bloccato al letto. Io avrei potuto venire da te. Avrei potuto essere lì e venire a parlarti, a farti compagnia. A fare quello che hanno fatto tutti gli altri. - quasi sbraitò elencando quelle azioni così stupide e banali a cui aveva rinunciato perché era un fottuto codardo. Era così arrabbiato che sembrava che se la stesse prendendo con qualcun altro, manco non fosse stata colpa sua.
- E invece… - sussurrò come sfinito, guardandosi le converse perché si sentiva così misero…
Avrebbe potuto spiegare cos’aveva fatto, ma francamente non aveva fatto proprio nulla, a parte auto commiserarsi, piangere e fare cose inutili chiuso in camera sua. E Frank poteva immaginarlo benissimo, anzi, sicuramente Mikey gliel’aveva perfino raccontato. Patetico.
- Non importa. - sussurrò Frank con le mani affondate nelle tasche dei jeans.
- Io… io lo so di non essermi comportato bene, non me lo meritavo nemmeno che venissi a trovarmi, cazzo. - gli spiegò animandosi.
- Anzi, sai cosa? Hai fatto bene a non venire, credo di aver capito meglio che devo smetterla con queste cazzate. - lo rassicurò inveendo contro se stesso. Ma Gerard non ne era affatto convinto, non era così.
Sospirò e prese l’ultimo tiro dalla Marlboro rossa. Non era vero niente, non aveva fatto bene, non aveva mai preso una cazzo di decisione giusta nella sua vita, tantomeno in quel caso.
- Tu non mi hai mai lasciato solo. - gli ricordò, cercando di riassumere in quella frase tutto il supporto che gli aveva dato durante quegli anni.
- Era diverso. - mormorò Frank guardandolo dritto negli occhi. Era così sicuro di ciò che stava dicendo, così convinto che Gerard avesse sempre più drammi in confronto a chiunque ed essere giustificato ad essersi ridotto in certi modi. Frank lo aveva sempre scusato, gliel’aveva sempre fatta passare liscia, anche se a volte si incazzava, anche se lo insultava e lo cacciava, poi tornava sempre a tenerlo fra le braccia, a stringerlo e a dirgli che andava tutto bene. Ad amarlo anche quando non lo meritava.
- Era peggio e avrei meritato peggio. - disse ad alta voce riflettendo tra sé e sé.
- Vivevamo insieme, dove potevo andarmene? - gli domandò, inarcando le sopracciglia, forse Frank stava provando a credere in ciò che diceva, ma secondo Gerard erano ancora valanghe di scuse.
Lo guardò scettico, per poi riabbassare lo sguardo a terra, non ce la faceva a guardarlo mentre lo difendeva in quel modo, era una cosa così dolce e struggente.
- Me ne sono andato. - aggiunse puntandogli gli occhi addosso, Gerard se ne accorse ancor prima di tornare ad osservarlo. Stava alludendo a più cose, e stava alludendo alle volte in cui aveva provato a scappare togliendoselo di torno.
A Gerard venne istantaneamente in mente quella volta in cui l’aveva chiuso fuori dalla stanza. Era devastato, quella sera, e aveva fatto qualcosa che non doveva fare e si sentiva terribilmente in colpa, l’unica cosa che aveva desiderato era mettere gli occhi su Frank, perché era la sua figura che la sua mente gli aveva proposto mentre scopava con chissà chi. Poi si era reso conto che non era Frank e si era sentito un verme. Dio, quante cose orribili aveva fatto.
- L’avevo meritato anch’io. - annuì Gerard.
- Non sei l’unico che ha distrutto tutto. - disse Frank con rabbia e stava parlando di loro, si capiva.
- Jamia esiste perché io me ne sono andato. - si sputtanò per bene e quella era una di quelle cose che Gerard aveva sempre odiato. Odiava quell’errore di Frank, ma poi, lucidamente, si era reso conto che anche quella storia era stata colpa sua, altroché non era stato l’unico. Lo era stato eccome.
Ma parlarne non sarebbe servito a riportarli indietro nel tempo per permettere a Gerard di prendere la decisione giusta, quindi andava bene così.
- Senti, Frank, ascolta, Jamia è una brava ragazza. - sospirò senza guardarlo negli occhi.
Sfregò la punta della converse sul mozzicone spento della sigaretta a terra e lo trucidò sull’asfalto.
Era interessante come il filtro bianco venisse fuori dalla carta tutto intero, come se non lo stesse schiacciando.
No, non era vero un cazzo, non gliene fregava assolutamente nulla di quel filtro, stava solo concentrandosi su qualcosa per dire a Frank quello che stava per dirgli.
- Io sono contento che tu l’abbia conosciuta, qualcuno evidentemente ha voluto regalarti qualcosa di bello, una volta tanto. - disse contrapponendo la ragazza innamorata a se stesso, la causa di ogni casino nella vita di Frank.
- Io penso che dovresti provare a metterti seriamente con lei, potrebbe essere la volta buona che trovi un po’ di felicità e… - stava dicendo un cumulo di fandonie, Frank lo bloccò.
- No, ehi, aspetta. Non mettere in mezzo Jamia che non c’entra niente, io volevo parlare con te. Di te, di me, cazzo, Gee. - sbottò irritato. Sbuffò alla fine senza nemmeno terminare la frase.
Gerard alzò lo sguardo da terra e lo guardò mentre si agitava, camminando alla rinfusa.
- Volevo parlare di noi. - terminò, probabilmente guardandolo, ma questo Gerard non poteva dirlo, dal momento che aveva abbassato di nuovo lo sguardo a terra.
Quel pronome gli fece più male di uno schiaffo, forse lo colpì più di un bacio, non ne era rimasto impassibile, ecco tutto.
Il fatto che Frank racchiudesse loro due in un nome, in qualcosa, lo fece emozionare.
Aveva detto bugie tante quante ne aveva sparate Gerard. Aveva detto di odiarlo e aveva anche cercato di farglielo capire con i gesti, lui aveva finto che non gli importasse, che loro due e quello che c’era stato fosse soltanto acqua passata. Invece la verità era che entrambi continuavano a soffrire l’uno per l’altro, per la lontananza, per quel che c’era stato e che avrebbe potuto esserci se solo Gerard fosse stato un ragazzo sano e meno problematico.
Si sentì così tanto triste che si sarebbe disperato.
Frank doveva cogliere quello che la vita gli stava offrendo, Gerard pensava che Jamia non avrebbe retto ancora per molto. Era innamorata di Frank, di questo ne era certo, ma le sfuriate che le aveva visto fare mentre cercavano Frank scomparso gli avevano reso chiaro il fatto che probabilmente lei era stata disposta ad aspettare, forse lo avrebbe fatto ancora per un po’, ma non sarebbe rimasta lì in eterno nell’attesa che Frank scegliesse definitivamente lei e mandasse al diavolo Gerard.
Forse a Frank non conveniva sprecare quell’occasione, anche se odiava ammetterlo forse lei poteva essere quella giusta per lui.
- Ma almeno provaci, pensaci! - disse forse con troppa enfasi, sull’orlo della disperazione.
Si mise ad armeggiare con i propri capelli per camuffare tutta quell’ansia da cui si sentiva investito senza rimedio. Poi si decise ad affrontare la visione di Frank che non aveva risposto, sembrava non accingersi nemmeno a farlo e non emetteva nemmeno un sospiro. Partì dal basso, rivolgendo la propria attenzione a cominciare dalle Vans nere che indossava, poi i jeans, le ginocchia scoperte su cui si soffermò anche troppo, il busto fasciato da una t-shirt a cui non badò molto per concludere quel tour visivo – e anche sensoriale considerando ciò che gli si scatenava dentro soltanto posandogli gli occhi addosso -.
Frank lo guardava già ed era pronto ad accogliere la sua occhiata nervosa controbattendo con uno sguardo abbastanza risentito da sembrare quasi incazzato.
Solo quando parlò, Gerard si rese conto che era incazzato davvero.
- A che cazzo devo pensare, mh? - gli domandò senza voler ricevere davvero una risposta.
Gerard capì e restò in silenzio.
Lo guardò tirare fuori le mani dalle tasche dei Jeans e cominciare a gesticolare per la rabbia.
- Non voglio provare a fare niente, non devo pensarci, cazzo, io non voglio stare con lei, lei non è nemmeno tra le possibilità. - riassunse senza aggiungere ipotetici soggetti con cui eventualmente comparare Jamia, ché in quel momento forse Frank aveva capito che non era il caso. O forse no.
- Voglio stare solo. - “ci sei solo tu” urlavano gli occhi di Frank che erano sempre così chiari e trasparenti, ma Gerard ovviamente preferì non ascoltarli e distogliere lo sguardo, sospirò, troppo preso da troppi sentimenti.
Sospirò anche Frank e si avvicinò pericolosamente allo spazio vitale di Gerard.
- Scusa. - sussurrò posandogli le mani sulle braccia che Gerard teneva abbandonate lungo i fianchi.
Le fece scorrere per qualche volta su e giù e lo guardò negli occhi.
Gerard avrebbe tanto voluto essere forte e risoluto ed essere indifferente agli occhi cangianti di Frank che oggi erano così verdi e limpidi, ma ne rimase coinvolto, ne era fin troppo coinvolto.
Era così imbambolato che forse aveva pure la bocca socchiusa come un baccalà, Frank prese a mordicchiarsi il labret e poi ci passò nervosamente la punta della lingua.
Gerard era già sul punto di baciarlo e ‘fanculo a tutti i ripensamenti che avrebbe avuto in seguito.
Ma Frank probabilmente prese quella sua mancanza di vitalità come disinteresse, come un rifiuto, che cazzo, e si postò facendo qualche passo indietro.
In fondo era meglio così, meglio essere tramortito da quello sguardo e non essere più capace di interagire e correre il rischio di dire e fare cose che non avrebbe dovuto.
Tanto avrebbe dovuto imparare a tenere a bada le sue voglie incoerenti, a tenersele per sé, e quindi meglio cominciare il prima possibile. Con Frank avrebbe dovuto passarci la vita, avrebbero vissuto insieme e un modo per scrollarsi di dosso tutto quel magnetismo e senso di appartenenza che sentiva nei suoi confronti avrebbe dovuto pur trovarlo. E pure se avesse dovuto usare mezzi di fortuna, come in quel caso, sarebbe andato bene lo stesso. L’importante era stargli lontano e conoscendo l’incapacità di Frank a stare solo, si sarebbe presto ritrovato tra le braccia di Jamia senza il minimo sforzo da parte sua.
- No, io… - provò a dire senza sapere come continuare.
- È che tutti insistono con ‘sta storia che io debba mettermi con lei, che è così giusta, così brava, così innamorata. - elencò infastidito.
- Ma nessuno si domanda cosa voglio io. - buttò lì esasperato mentre Gerard si ritrovò ad annaspare nel suo stesso respiro, ché forse aveva preso troppa aria o troppo poca.
Dio, non era capace nemmeno di respirare, con Frank davanti, se avesse cominciato ad immaginare a come cazzo avrebbe fatto mai a viverci insieme nelle prossime settimane si sarebbe sentito male, avrebbe sciolto la band e infine avrebbe cambiato stato o nazione, tanto per essere sicuro di non avere assolutamente occasione di rivederlo.
Era assolutamente patetico.
Fece finta che il suo maledetto nome non fosse il desiderio di quel chitarrista punk che aveva di fronte e fece lavorare quei due neuroni innamorati, che si fangirleggiavano addosso a vicenda, che aveva in testa.
- Beh, sì, hai ragione. È che chi ti vuole bene cerca di darti i consigli che reputa migliori. - sparò a caso pensando ai consigli che Mikey dava lui.
Chissà se diceva le stesse cose anche a Frank o se cercava di tenerglielo lontano.
Che ragazzo misterioso che era Mikey.
- Sì, ma… - provò a controbattere Frank, ma poi si bloccò, come se di quel discorso che stava per fare non gliene fregasse poi molto.
- Bene, okay, non me ne frega un cazzo di questo. - confermò con una mezza risata, infatti, dopo qualche secondo di riflessione.
Molto bene.
-Già.- sorrise anche Gerard senza ragione, ma poteva darsi che ne avesse fin troppe.
- Vorrei solo che smettessimo di avercela l’uno con l’altro. - mise in chiaro Frank con un tono un po’ affranto, facendo un movimento con le sopracciglia perfettamente modellate che atteggiarono la sua espressione in preoccupazione.
Gerard si allarmò all’istante.
- No, ehi, baby, io non ce l’ho con te. - rispose prontamente troppo preso emotivamente per pensare a cosa gli scappasse di bocca.
L’aveva detto? L’aveva sul serio chiamato così?
Benissimo, sperò che Frank non ci facesse caso, cosa un pelino improbabile, e sperò pure che quella chiacchierata sarebbe finita presto ché di quel passo gli avrebbe fatto una dichiarazione d’amore, gli avrebbe cantato una bella canzone e poi si sarebbe inginocchiato chiedendolo in sposo.
Aveva fatto pure un passo verso di lui per rispondergli e rassicurarlo di non avercela con lui, quindi ora Frank lo guardava con uno sguardo pieno d’aspettativa e molto, molto vicino, circa tre passi.
- Ecco, insomma, io non ce l’ho con te. Non sono arrabbiato. - tossicchiò e anche se aveva buttato da poco una sigaretta decise che quello era il sacrosanto momento di fumarsene un’altra, perché era decisamente troppo agitato.
Cercò di sembrare tranquillo e con nonchalance si frugò nelle tasche alla ricerca dell’accendino, distogliendo l’attenzione da tutto quel casino che aveva combinato.
Ma Frank non si fece ostacolare né dai suoi gesti inutili per camuffare l’imbarazzo che stava provando, né dal vano tentativo di riformulare la frase tralasciando l’appellativo dolce con cui l’aveva chiamato.
- Gee… - sospirò e gli si addossò completamente.
Lo strinse in un abbraccio inaspettato e Gerard per l’emozione e il maremoto di sentimenti che stava provando non si mosse nemmeno, restò impalato a subire le braccia tatuate del suo chitarrista che lo stringevano e la sua testa che gli era finita all’altezza del collo.
Era così adorabile, Frank, quando lo abbracciava e, data la sua statura, non riusciva mai a sovrastarlo, ed era ancora più adorabile quando doveva baciarlo e faceva leva sulla punta dei piedi per arrivare all’altezza di Gerard.
Era uno dei tanti particolari che amava di Frank, il fatto che fosse così, di quella statura, mentre lui aveva trascorso la sua intera vita a lamentarsene. Non capiva quanto fosse perfetto.
Provò ad espandere i polmoni per scaricare un po’ di agitazione e magari muovere le dannate braccia e rispondere a quell’abbraccio senza farsi tramortire sempre da tutto quello che provava per Frank. Inspirò e l’odore di Frank lo investì completamente, socchiuse gli occhi beandosi di quel profumo e di tutto quel calore che emanava il corpo di Frank. Era così bello avercelo addosso…
 
Finalmente riuscì ad alzare un braccio e glielo posò all’altezza dei fianchi, ché se avesse voluto alzarlo troppo verso la schiena avrebbe corso il rischio che Frank lo lasciasse.
Tremò appena posando la testa sulla sua, mentre con l’altro braccio era rimasto immobile, la mano nella tasca dove pochi attimi prima cercava l’accendino.
- Come mi hai chiamato. - disse Frank svariati centimetri sotto la sua bocca. E non era nemmeno una domanda. Così come Gerard non gli avrebbe mai chiesto come mai lo avesse chiamato “Gee”, ci avrebbe solo pensato ed esclamato nella propria testa “dio, come mi ha chiamato!”
Gerard sospirò un po’ troppo carico e forse tremò ancora.
Chissà Frank cosa stava pensando quando gli disse: -Gee, ti sto solo abbracciando, giuro che non voglio nient’altro. – sussurrando, senza prendersi la briga di guardarlo negli occhi, e meglio così, perché Gerard era pronto a tutto e desiderava tutto, ma forse impalato in quel modo, mezzo morto com’era, magari stava dando l’impressione a Frank che temesse si spingesse oltre e non lo voleva.
Non sapeva assolutamente se stava sbagliando tutto come al solito, ma per una volta Frank non voleva nient’altro da lui se non un abbraccio da amico e senza implicazioni quindi, dio, erano settimane che sperava sarebbe arrivato presto quel momento, quindi non voleva assolutamente rovinarlo.
Era stanco di litigare con Frank, aveva una fottuta paura di perderlo, di perderlo sotto ogni punto di vista.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa in verità, magari ringraziarlo, ma Frank gli aveva appena detto che voleva solo abbracciarlo e che non avrebbe fatto nient’altro, quindi non gli pareva quello il momento dei ringraziamenti.
- Scusa. - quindi gli scappò dalle labbra, senza averlo nemmeno pensato.
Comunque se lo meritava per svariati motivi, quindi poteva andare bene.
Frank si mosse nell’abbraccio, ma ancora non aveva deciso di ritrarsi, di lasciarlo andare e guardarsi finalmente in faccia.
- Dimmelo ancora, per favore. - gli parlò sul collo e una valanga di brividi gli si propagarono un po’ ovunque e gli stava sfuggendo il senso della richiesta di Frank; voleva che gli chiedesse di nuovo scusa?!
- Chiamami ancora come mi hai chiamato prima. - mise in chiaro Frank, prima che Gerard gli chiedesse di nuovo scusa, facendo una gran bella figura.
Il fatto era che, cazzo, avrebbe voluto dire che si era semplicemente sbagliato, che non doveva dargli importanza, che non significava niente.
Poi quell’appellativo aveva talmente tanto valore che non voleva che Frank lo usasse come un appiglio per continuare a sperare in loro, non voleva che pensasse che Gerard lo stesse facendo.
Non ce la faceva a dirlo di nuovo con tutte quelle consapevolezze che aveva, anche se avrebbe fatto e detto qualunque cosa per rendere felice Frank.
- Frank. - mormorò sospirando.
Dio, era tutto così difficile.
Il chitarrista lo strinse più forte e sospirò a sua volta.
- Scusa. - pronunciò a disagio e lo lasciò andare facendo qualche passo indietro, restando con la testa bassa.
Gerard era talmente colmo d’ansia ed agitazione che si sarebbe lasciato svenire, anche perché ora non sapeva proprio che diamine aspettarsi. Riprese a cercarsi nelle tasche sigarette ed accendino.
- Dammi una sigaretta. - gli chiese Frank e santi vizi ché almeno li toglievano dall’impaccio della situazione.
Gerard, comunque, era già pronto a fingere che non fosse accaduto assolutamente nulla.
Fumarono per un po’ in silenzio, scrutandosi distrattamente a vicenda di tanto in tanto, poi Frank decise di parlare.
- Gerard, tanto lo so cosa vuoi. - gli disse con sicurezza guardandolo negli occhi. Aveva uno sguardo deciso, consapevole, anche un po’ beffardo, eppure Gerard riusciva a percepire quella nota di tristezza di cui era intriso quello sguardo.
Per un attimo pensò che sarebbe stato bene allarmarsi. Insomma, Frank aveva detto di aver capito ciò che voleva. Ma poi pensò che se Frank avesse realmente capito che ciò che voleva era solo e soltanto lui, conoscendolo, non sarebbe stato triste, avrebbe avuto lo sguardo sorridente senza farsi aiutare nemmeno da un sorriso con le labbra. Non ce n’era bisogno, Frank quando era felice aveva gli occhi che lo dimostravano. Quegli occhi erano davvero in grado davvero di ridere.
- Cosa voglio? - gli domandò guardandolo un po’ incerto. Non era del tutto sicuro di ciò che aveva appena finito di pensare.
- Vuoi che io te diventiamo amici. – disse, abbassando lo sguardo a terra. Si notava che quel pensiero lo infastidiva, ma Gerard sapeva che era la cosa giusta, sapeva che l’amicizia era l’unico sentimento che meritava di legarlo a Frank.
Sospirò moltissimo, ma senza darlo a vedere. Era dura stare per pronunciare quella bugia. Gli diceva solo bugie da quando era tornato dal centro di riabilitazione. E forse Frank non meritava questo, ma Gerard aveva iniziato a pensare che forse era meglio qualche bugia rispetto alla sofferenza che gli avrebbe causato un’eventuale relazione con lui.
- Sì, hai ragione. - confermò senza puntare lo sguardo nel suo. Non era in grado di essere un attore tanto virtuoso.
- Lo voglio anch’io, Gerard. - lo stupì Frank.
E forse era falso, forse anche lui stava dicendo una bugia, forse si stavano comportando da veri coglioni rinunciando a tutto ciò che li legava, ma probabilmente era la scelta più giusta che potevano prendere.
-Allora amici?- gli domandò ancora Frank allungandogli quella sua porno mano tatuata. Gerard restò a guardarla per un po’, perso a pensare a quanto gli sarebbe piaciuto avere quella mano sul viso ad accarezzarlo, intorno al suo torace ad abbracciarlo.
Ma poi decise che l’importante era tenerla quella mano, in qualunque modo gli fosse stato possibile, anche se da amico.
- Amici. - mormorò l’ennesima bugia sentendo il cuore in pezzi.
Forse aveva lo sguardo liquido, e forse ce lo aveva anche Frank, e forse stavano sbagliando tutto e sarebbe arrivato un giorno, prima o poi, in cui lo avrebbero capito, ma per il momento si aggrapparono l’uno alla mano dell’altro.
E questa sembrava la cosa più importante per entrambi.
  
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