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Autore: Flos Ignis    26/09/2017    2 recensioni
"Fanfiction partecipante al contest Power of music indetto da eleCorti sul forum di EFP"
Un climax di note strazianti, che ancora porta sofferenza e lacrime nell'animo di Leo Baskerville.
Nel giorno del compleanno del suo migliore amico, Elliot Nightray, Leo gli dedica un Requiem per sentire la sua presenza accanto a sé.
Una sonata per un amico perduto.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Elliot Nightray, Leo Baskerville
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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MY LONG LOST FIREND
 


Un sole meraviglioso si stava lentamente alzando dall’orizzonte, schiarendo a poco a poco un mondo adorno di mille colori. La vita ricominciò a scorrere destandosi dal torpore notturno, e i suoni della natura dissipavano dolcemente il silenzio di quell’aria tersa.

Qualcosa però interrompeva con violenza la pace e l’armonia di quel paesaggio: un nero maniero svettava imponente al centro di un immenso giardino, circondato da una fitta boscaglia che si perdeva oltre l’orizzonte.

Pietra su pietra, era stato costruito per dominare sul territorio circostante con nobiltà: nonostante le tetre apparenze, l’attenta cura del luogo e la febbrile vita della servitù donavano una certa serenità a quelle stanze, ammobiliate in modo essenziale ma raffinato… degno della casata che l’aveva occupata.  Degno dei Baskerville.

Le ampie vetrate donavano luce all’oscuro arredamento delle stanze, ma una di esse faceva eccezione da sempre, fin dal primo giorno in cui il capo famiglia l’aveva reclamata per lui solo.

Era isolata rispetto ai saloni e alle stanze da letto, con una sola entrata alla fine di un lungo corridoio. L’unico arredamento che la componeva erano delle pesanti tende nere che mantenevano in una penombra costante quelle mura spoglie. Ma il motivo per cui il giovane uomo dai capelli neri occupava quello spazio per la maggior parte del suo tempo libero era il pianoforte a coda situato al centro, unico vero elemento che caratterizzava la stanza.

Glen… anzi, Leo Baskerville in quel momento stava seduto sullo sgabello e passava le pallide dita su quei tasti, creando melodie meravigliose che spesso attiravano l’attenzione dei suoi familiari e della servitù: tutti loro, nel silenzio religioso ed estasiato di chi contempla un’opera divina, si fermavano dietro il pesante portone, a volte chiudevano gli occhi o si appoggiavano al muro, e godevano dell’armonia di note che regalava loro.

Nessuno di loro tuttavia, mai e poi mai, si sarebbe azzardato a disubbidire ad uno dei rari ordini che il loro amato capo dava loro: quello spazio era dedicato a lui… al suo amico, pianto ormai da lungo tempo, ma mai dimenticato.
 

Requiem di Mozart, III sequenza Lacrimosa, opera in Re Minore: sonata del piano a quattro mani, battuta in dodici ottavi.

La melodia inizia a diffondersi nell’aria, ma a differenza del solito nessuno si ferma vicino a quell’angolo del palazzo: due mani che suonano la più struggente delle musiche, narrando la storia di un’anima che sente il respiro della morte su di sé, mentre viaggia sulla barca di Caronte in prossimità del Regno dei Morti. Un pianto disperato, una preghiera alla divinità affinché i peccati possano essere perdonati.


 

Quel giorno sarebbe stato il suo compleanno: erano passati trent’anni dalla sua morte, e mentre il corpo di Leo era rimasto immune al tempo la sua anima era invecchiata a causa del dolore.

I suoi occhi lo piangevano anche in quel momento, quegli speciali occhi che potevano vedere la luce dorata dell’Abisso, gli occhi che Elliot aveva amato abbastanza per entrambi quando ancora lui li nascondeva dietro ciocche lunghe e spessi occhiali.

Se l’avesse visto in quel momento, a suonare da solo uno spartito per due, con le lacrime che gli bruciavano sulle guance senza che facesse nulla per cancellarle, senza dubbio gli avrebbe perforato i timpani a suon di improperi e l’avrebbe riempito di pugni.

Quasi gli scappò da ridere, perché per un attimo lo sentì quasi vivo accanto a lui.

L’armonia che stava tessendo con le sue agili dita sembrava richiamare quella nobile anima dall’Abisso: il Requiem prendeva vita solo una volta l’anno, solo per festeggiare il compleanno del suo amico nello stesso modo in cui l’avevano fatto quando ancora erano padrone e servitore. Quando ancora erano entrambi vivi, quando nonostante le norme sociali potevano essere semplici amici che sorridevano insieme, mentre suonavano in perfetta armonia per festeggiare insieme.

Senza il suo amico, quella musica risuonava monca, traballante. Incompleta come lui.

I giorni che aveva trascorso insieme al suo amico più caro erano stati i migliori della sua vita. Erano fonte di gioia per lui, anche ora dopo così tanti anni, ma al tempo stesso si sentiva spezzato, come se la sua parte migliore fosse svanita insieme alla vita del suo migliore amico.

Quella vita che aveva sacrificato per lui.

Non avrebbe mai dimenticato la sofferenza, l’incredulità, il patimento che lo avevano dilaniato quando lo aveva visto morente di fronte ai suoi occhi. Era disposto a tutto per impedire che lo abbandonasse, persino a lasciare che diventasse un Contraente Illegale, persino a nascondergli la sua nuova natura.

Si era rifiutato di venire a patti con la realtà: razionalmente sapeva tutto quello che stava accadendo, sapeva cosa si celava dietro gli inquietanti omicidi della famiglia Nightray, ma aveva negato quella verità a tutti, persino a sé stesso.

Ma alla fine Elliot era morto lo stesso, sempre per colpa sua. Avrebbe potuto aprire gli occhi, lui per primo e poi svegliare il suo padrone dalle illusioni che lo ghermivano, ma il suo timore di perderlo per sempre gliel’aveva impedito.
 

Requiem: un nome davvero adatto per quella musica straziante.

Si diceva che il suo compositore avesse scritto lo spartito su commissione di un anonimo di cui non sapeva nulla, tanto che ad un certo punto aveva creduto si trattasse di un emissario dell’Aldilà. Poco dopo era morto, e i suoi allievi avevano completato la sua opera per rendere omaggio al grande artista. Un requiem, per l’appunto… il suo canto del cigno, la più incantevole delle melodie, le più strazianti agonie concentrate tutte in quei tasti bianchi e neri. Emozioni talmente devastanti che una sola persona non bastava, necessitavano di due anime per prendere vita.

 

Un vorticare di note riempiva per l’ennesima volta lo spazio circostante, tutto intorno a lui. Il motivo per cui nessuno girava per quei luoghi  in quella particolare giornata, era il fastidioso motivo struggente che colpiva dritto al cuore per la sua incompletezza. Senza una seconda persona a suonare quello spartito, il risultato era acusticamente doloroso.

L’unica persona in grado di bilanciare quelle crome così acute era la stessa per cui si stava celebrando quel compleanno tanto particolare.

Leo però riusciva a sentirli, quei suoni bassi che sostenevano i suoi con forza… per questo continuava a suonare, dall’alba fino al tramonto: perché poteva sentire la sua presenza, le note di quella canzone che finalmente tornavano integre come il suo animo.
Il sole stava calando, e con la fine del giorno i più neri dei suoi pensieri facevano capolino.

“Mi dispiace, Leo.”

Le ultime parole di Elliot, il ragazzo con il cuore più nobile che avesse mai conosciuto, erano state per lui. Nonostante tutto il tempo passato, ancora non sapeva per certo in che modo dovesse intenderle.

Perché gli aveva chiesto perdono, quando la colpa di tutto era stata sua?

La sua stessa esistenza aveva fatto soffrire qualcuno di molto importante per lui. Il rimorso per averlo messo in pericolo, per non averlo salvato l’avrebbe accompagnato per sempre. Non si sarebbe mai liberato di quel peccato, anche se aveva imparato a conviverci.

Quel giorno di completa solitudine gli era necessario proprio per questo: aveva bisogno di ricordare i suoi peccati, di soffocare in quel mare oscuro di colpe, rimorsi e rimpianti.

Leo aveva molte responsabilità come “Glen”, come capo dei Baskerville, e l’aveva accettato ormai da molto tempo.

Per quelle poche ore però, poteva nutrire il suo lutto, soffrirne la mancanza senza remore per poi uscire e respirare di nuovo, pronto ad affrontare un altro giorno convivendo con quel dolore, appena un po’ più libero da quel peso.

Ormai la notte era calata, e con essa Leo capì che il momento della conclusione si stava avvicinando.

Premette con più decisione i tasti, ignorando la stanchezza che gli pervadeva i muscoli. La velocità dell’esecuzione era sempre maggiore, le note si fondevano in un climax fenomenale. Leo diede il massimo per superare se stesso, per infondere tutti i suoi sentimenti in quelle ultime, strazianti battute che preludevano la fine dello spartito… ma anche la fine di quella estenuante sessione musicale, della giornata, del tempo del lutto.

Quando l’ultima nota vibrò nell’aria la presenza di Elliot svanì, e con essa l’ultima lacrima di Leo cadde su quei tasti che l’avevano accompagnato nella sua discesa nell’inferno di dolore che aveva vissuto decenni prima, ma che ancora sembrava così fresco… una ferita mai cicatrizzata del tutto.

Aveva ancora nelle orecchie la melodia che aveva suonato così a lungo, e cullato da quella struggente musica e dal dolore agrodolce che aveva risvegliato in lui, si diresse nelle sue stanze.

Quella notte il fantasma del suo amico l’avrebbe accompagnato in un viaggio attraverso i ricordi che custodiva gelosamente, avrebbe rivissuto il loro primo incontro, lo sviluppo del loro rapporto, l’amicizia e la fedeltà che l’avevano caratterizzato, gli scontri e le angosce che avevano attraversato.

E infine, inevitabile come il destino, la morte che li aveva separati.

Ma andava bene così, sapeva che sarebbe accaduto.

Avrebbe rivissuto ogni avvenimento mille e mille volte, il bene e il male di ogni istante passato con il suo migliore amico. E avrebbe continuato a farlo per tutta la sua lunga vita, senza rimpianti o rimorsi, accompagnato da quella stessa sonata di cui lui rappresentava una sola metà.

Una pezzo incompleto, che tornava a sentirsi integro solo grazie ai ricordi del suo amico perduto.


 

  
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