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Autore: _Charlie_    28/09/2017    2 recensioni
Il pericolo incombe.
Le streghe della Congrega si preparano a fare ritorno.

Arya Mason è una ragazza di sedici anni che vive a Rozendhel, Virginia. Ha lunghi capelli color rosso ciliegia, occhi verdissimi, e un passato da dimenticare. Una Visione, una Chiave ed un Portale segneranno l'inizio di una guerra da cui non potrà tirarsi indietro.

Ma quali sono le schiere del Bene? Innanzitutto, esistono davvero?
Genere: Azione, Fantasy, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 44:


Rozendhel

 

Il manto della notte era trapunto di minuscole stelle d'argento. Il pallido volto della Luna, quieto, disegnava i lineamenti della guerriera – gli occhi ridotti a due fessure di smeraldo, i capelli che assecondavano le fruste del vento, umide e appiccicaticce.
Sedeva all'amazzone sul dorso della creatura, come se abituata o troppo sciocca per valutarne i rischi. Mentre contemplava l'orizzonte, mentre sfuggiva all'oscuro dedalo di pini sottostante, la sua mente le concesse un unico pensiero, l'unico appiglio al quale si sarebbe aggrappata per non arrendersi alla morte. Avrebbe combattuto, difeso la sua città ed evitato che la legge dell'Universo tornasse ad impadronirsi di una quarta Arya Mason.

Il pensiero mutò e prese le sembianze di una bambina.
Poi, ancora, divenne una nuvola nera.
Deglutì.
Mano a mano che si avvicinavano e la vegetazione diradava, l'atmosfera si faceva più lugubre. Abbandonato Agosto, si ritrovarono nell'abbraccio di un eterno inverno.
Quinn, a qualche metro di distanza, la pelle verde e le zanne affilate, gracchiò e sbatté velocemente le ali: adesso, dinanzi a loro, si profilavano i tetti di Rozendhel, con il bianco sulle marsigliesi in laterizio e le finestre chiuse, avvolte dalle tende.
Le strade erano vuote, il terreno infestato da cartacce varie ed i lampioni mal funzionanti ne completavano il quadro.
Arya percepì un brivido di freddo invaderle la pelle.
« È tutto troppo tranquillo » rifletté ad alta voce, sperando che Rhaego la comprendesse: « cosa credi che... »
Arya Mason.
Il sibilo di un ofide, gelido e ormai ben noto, inquinò la sua mente.
Il drago emise un ruggito. Era probabile che l'avesse sentito anche lui.
D'improvviso, la notte divenne ancora più scura e tutto ciò che avevano intorno appassì. L'aria si fece pesante, riempiendosi di sghignazzi e fruscii pericolosi.
Finalmente. Riprese Morgante. Ti stavo aspettando.
« Dove sei? » Abbaiò Arya, feroce tanto quanto Rhaego: « smettila con questi inutili trucchetti! Voglio incontrarti! »
Oh, no. Tu non conosci le regole del gioco. Tu non decidi niente.
E, infatti, in men che non si dica, vennero circondati. Figure incappucciate, arpie, creature dell'Inferno, erano tutti sospesi a mezz'aria.
Arya incontrò lo sguardo di Quinn, anche lei intrappolata in quell'infausto cerchio.
« Non ti preoccupare » le disse in un sussurro: « è una cosa da niente ».
Rhaego ruggì una seconda volta, irritato, scosse il capo ed eruttò fiamme, incenerendo almeno trenta di quei loschi individui.
Arya, per poco, non venne disarcionata e fu dunque quello il momento in cui scelse di rimediare alla sua posizione scorretta. Si tenne con le unghie alle squame frastagliate, strinse le ginocchia ed evitò che una fattura la colpisse. Un istante di sollievo e poi si ricominciò.
Scintille multicolori, getti di luce cozzarono in ogni lato; dal basso, doveva certo apparire come un magnifico spettacolo pirotecnico!
Una figura incappucciata, schivando le scie di fuoco, perse la sua mantellina ed Arya ebbe l'opportunità di identificarne i tratti somatici. Era Gregov.
« Bastardo! » Urlò: « Nox... ».
Ma Rhaego la precedette, ruotando il testone. L'uomo, arso vivo, si contorse fino a terra, schiantandosi e colorando la neve di rosso.
In poco meno di cinque minuti, la minaccia fu estinta ed un silenzio carico di tensione si originò tutt'attorno.
Arya conosceva bene le doti del drago, ma mai si sarebbe aspettata una carneficina simile in un lasso tanto minimo. Lo carezzò, guardinga, mentre lui, nervoso, disegnava circonferenze invisibili tra le nuvole e la polvere.
Quinn, sconcertata alla stessa maniera, li seguì senza proferir alcun suono.
Da terra, invece, iniziavano ad accendersi i primi fuochi, sorgevano le grida da battaglia e i versi rauchi dei lupi. L'Esercito del Fuoco Aureo stava procedendo a ritmo serrato. Presto, la Rozendhel dei demoni sarebbe caduta.
« Avviciniamoci! » Ordinò Arya: « Morgante si troverà di certo nella residenza dei Lloyd! »
Ma ancor prima che Rhaego potesse completare la manovra, un grido disperato infranse la scena.
Volarono frecce, nuovi incantesimi e armi di ogni tipo.
Quinn ululò dal dolore, precipitando contro il tetto di una casetta e macchiandolo di sangue.
« NO! » Gridò Arya, allungando un braccio come se il gesto potesse in qualche modo salvarla.
Da bravi sciocchi avevano favorito il piano dei demoni, abbassando la guardia e accostandosi sempre più al terreno. Erano sotto attacco.
Richiamarono entrambi delle lingue di fuoco, rispettivamente rosse e dorate. La luce svelò i nemici.
Era un'orda di uomini quella che si stagliava sui tetti – tutti armati di balestre e archi.
« Sono stati confusi, Rhaego! » Tentò Arya, mentre il drago spalancava di nuovo la sua terrificante gola nera: « SONO ESSERI UMANI! RHAEGO! »
Le costruzioni presero fuoco, i cittadini coinvolti morirono o rotolarono dalle tegole – rifugiandosi tra i cumuli di neve.
Rhaego, furioso come la vera creatura che era, calò in picchiata ed incenerì qualsiasi elemento, vivo meno, che gli si presentasse dinanzi.
Era avido di vendetta. Una tempesta nera che non distingueva il buono dal marcio, che avrebbe commesso una strage.
« FERMATI! » Arya affondò le unghie nelle sue carni – una ferita da niente che non gli procurò alcun dolore. « DEVI FERMARTI! »
Le vie che un tempo era solita attraversare, il forno degli Harris, il Sunny-Valley, si sbriciolarono. Il fragore dei cittadini soffocò tra le nubi della devastazione.
Non c'era alcun modo di sterzare! Arya imprecò.
Vide Abbey Hart, la vedova, sgusciare fuori dalla propria abitazione – un pigiama di flanella indosso, e i capelli ridotti ad un intrico di rovi. La poveretta non ebbe neanche il tempo per cacciare un grido che venne immediatamente consumata dalle fiamme.
Esplosero i pavimenti, caddero i soffitti.
Con gli occhi colmi di pianto, Arya ritenne urgente arrampicarsi sul dorso della belva e raggiungere così la giuntura di un'ala. La Spada di Meera, come se consapevole dell'accaduto, salì dal suo fodero per volontà propria e lo colpì una, due, tre volte.
Rhaego arrancò, gli artigli infossati nelle mura di una villetta.
« PERCHÉ?! PERCHÉ NON MI HAI DATO ASCOLTO?! » Lo rimproverò la guerriera, in grado adesso di scivolar giù dalla sua groppa e fronteggiare le conseguenze di quel triste atto.
Le case erano state spazzate via, i bambini piangevano avvolti in coperte di lana, mentre i sopravvissuti, armati di secchi d'acqua, tentavano di compiere l'impossibile.
Arya, simile ad un'automa, con il volto ridotto in mille pezzi e oscurato dalla fuliggine, si spinse per la strada. Ignorò il lamento di Rhaego e sfilò accanto agli uomini, alle donne, scavalcando i cadaveri e aprendosi un varco tra le macerie e i resti di una città in malora.
La guerra stava proseguendo lontano da lì, riusciva a percepirne i rumori. Non le interessava.
Un signorotto, con la barba folta e piaghe ai lati delle labbra, indicò l'ombra che aveva causato tutto quel delirio, ma non ebbe alcuna reazione. I suoi pensieri erano stati confusi... i pensieri di ogni persona, presumibilmente, erano stati incantati.
Come previsto, Morgante si dimostrava il dittatore di una città fantasma, di sole ed uniche marionette.
I demoni che Arya incontrò – aracnidi dalle forme smisurate, grossi quanto la sua vecchia cameretta e dotati di quattro paia d'occhi – non tentarono nemmeno una volta di ostacolarla. Si limitarono a seguirla con lo sguardo, attenti.
In fondo ad un viale, poi, c'era una donna dai lunghi capelli rossi. Assurdo non notarla con quella corona di spine, l'abito antico dalle maniche ampie, il corpetto aderente e la gonna a ruota, gli orli balzati. Sorrise, le mani giunte sul petto.
« Abbiamo assecondato il vostro gioco, non è vero? » Domandò Arya, stanca: « sapevate che io avevo un drago... sapevate che è una creatura facilmente irritabile e avete fatto di tutto pur di farle perdere il controllo. Sapevate già tutto ».
Castigo annuì, divertita.
« Dove vuoi portarmi, adesso? »
« Avevi chiesto un incontro con Morgante, o erro? »
Arya non rispose, avanzando di qualche passo.
Dunque, Castigo fece un segno ad un paio di Demoni-Senza-Nome di acchiapparla per le braccia e aprì il corteo.
Il tragitto sarebbe stato intenso, forse anche più lungo di quanto Arya ricordasse.
Fu come sprofondare in un vecchio incubo: il cuore le batteva a mille e la mente, in un attimo, trovò sensati gli interrogativi che in principio era solita proporre Taissa. Dove termina l'azzurro del cielo? Perché esistiamo?
Si concesse uno sguardo altrove, scoprendo individui pallidi e antichi ergersi in quel mucchio di disperati. Erano quieti, muti e... di certo non appartenevano alla sua epoca. Un uomo, la cui presenza annebbiava tutte le altre, le riservò un'occhiata cupa. Aveva i capelli rossicci, dalle calde sfumature, le orecchie a sventola ed un paio di gambe invisibili.
La ragazza, la guerriera, sua figlia, sul confine che divide la dimensione della vita dalla morte, gli sorrise. In una tacita promessa, gli giurò che tutto sarebbe andato bene.
Proseguirono, evitando i tratti più pericolosi. Quando s'imbatterono nel cadavere di un lupo mannaro, un erede di Daoming, Castigo comandò di svoltare all'istante.
Era di somma importanza che nessun soldato dell'Esercito del Fuoco li seguisse, che notasse quella loro passeggiata.
Poi, giunsero a destinazione.
La villa dei Lloyd si alzava solitaria su una collina, infestata dall'edera e imbiancata a calce.
Attraversarono il cortile spoglio, nella cui ombra sembrava gorgogliare anche una fontana, sfilarono accanto alle guardie poste sulla soglia dell'ingresso – due umani confusi – e si spinsero dentro.
Arya, incapace di distinguere altri elementi che non fossero i contorni di Castigo, venne afferrata ancora per un polso e condotta al piano soprastante. Non una candela, non una luce ad infrangere quell'oceano di buio pesto.
Bussarono ad una porta.
La voce di Morgante sibilò: « avanti ».
Come per magia, o per magia stessa, la maniglia di bronzo si abbassò da sola.
Lo studio che una volta era appartenuto al signor Lloyd era un trionfo di demoni, tutti spiaccicati contro le pareti di destra e sinistra, l'uno accanto all'altro. Sghignazzarono alla vista della guerriera, intonando cori dispregiativi e sputandole persino sopra la cappa quando Castigo la obbligò a farsi avanti.
Morgante si trovava al centro, illuminato dai raggi della Luna che filtravano attraverso il vetro del lucernario. Fletté le labbra in un sorriso privo di gioia, gli occhi che gli lampeggiavano di rosso mentre i capelli d'argento gli scivolavano sulla schiena, ordinati. Era addobbato con una divisa bianca, costellata da bottoni di diamanti, le spalline d'oro e appuntite. I calzoni erano stretti e ne delimitavano i fianchi, la virilità per nulla accentuata.
Con il volto rapito verso quella scena, levò una mano – simile ad una tarantola – e, immediatamente, tutti i demoni si zittirono.
« Mio Signore » latrò Castigo, inginocchiata: « come avevate desiderato, ecco a voi l'Ex-Custode della Chiave e attuale Guardiana del Fuoco Aureo, la sopravvissuta: Arya Mason ».
Fischi e insulti.
Morgante dovette ordinare nuovamente il silenzio.
« Preferite che io vi incanti? » Sibilò, velenoso: « che vi renda delle marionette? È una questione che riguarda solo me e la Guardiana del Fuoco Aureo ».
Arya indugiò, consapevole del fatto che non sarebbe mai uscita viva da quella casa.
Velocemente, passò in rassegna ogni angolo e ogni volto, accorgendosi così di una figura umana... o meglio, di ciò che ne era rimasto. La donna, priva di sensi, era accovacciata contro una parete – nuda, calva e la pelle viola di lividi.
Ci volle del tempo prima che riuscisse finalmente a riconoscerla. Era lo spettro di Tamara Lloyd.
« Eccoci qui » esordì Morgante, le braccia allargate: « per l'ultima volta ».
Arya sfidò il suo sguardo. « Hai paura di me per caso? Che io ti possa fare del male? »
I demoni scoppiarono in una fragorosa risata.
Morgante stavolta acconsentì. « Come, prego? »
« Be' » iniziò lei, mascherando l'agitazione: « non speravo certo in un incontro tra me, te e altri mille ».
« Oh, non ti curar di loro. Sono solo testimoni » rispose lui: « sarò io ad ucciderti ».
Si studiarono cautamente, fuoco e ghiaccio. Un incontro che l'Universo aveva aspettato per centinaia e centinaia di anni.
Ogni muscolo di Arya era teso, le dita pronte per scagliare una fiamma.
Morgante, al contrario, aveva le braccia rilassate lungo i fianchi – convinto che nulla avrebbe potuto scalfire la sua propria minaccia. Si mosse in avanti e poi indietro. Quando tornò a parlare, la sua voce terrorizzò anche le mura. « Come hai fatto a scampare alla caduta della Dimensione? »
Arya valutò la domanda. Non c'era alcun motivo di mentire, alcuna ragione per non rispondere.
Era la resa dei conti. Niente più strategie o inutili segreti.
« Zehelena aveva previsto un'eventualità simile » disse: « si è aperto un varco, una sorta d'uscita d'emergenza ».
« Ed Hazelle? »
« Lei è morta. Non ha voluto seguirmi ».
Si alzò una voce sconosciuta: « è una menzogna! »
« E per quale motivo? » Ribatté Arya, severa: « perché dovrei mentire? Non ha più alcun senso! »
Morgante la schernì: « vero! Un condannato a morte non dice mai le bugie ».
A quel punto, un altro lamento si levò dalla folla. Era la prigioniera. Si stava svegliando.
I demoni la ignorarono.
« I Frammenti? Dove sono? »
Arya affondò indice e pollice all'interno del borsello, tirandone fuori il primo: « li ho tutti. Ne manca solo uno. Quello della biblioteca ».
Morgante, ipnotizzato, si avvicinò.
Arya retrocesse: « no! Prima voglio che tu mi dica una cosa ».
« Ovvero? »
« Se la conquista di Rozendhel ti importava tanto, perché hai lasciato che il mio drago la distruggesse? »
I presenti risero sguaiatamente.
Morgante lo concesse ancora. « Mi importava fino ad un certo punto. Questa è stata sempre e solo una guerra psicologica! Ti abbiamo tolto tutto ciò che avevi, ti abbiamo fatto piovere sulla testa brandelli di carne, ti abbiamo condotto alla distruzione della tua stessa città. Ti abbiamo indebolita. Volevamo solo che tu perdessi il senno ».
« Non ci siete riusciti completamente ».
« Ah, no? » Morgante la schernì di nuovo: « e allora per quale motivo ti trovi qui stanotte? »
Un ennesimo gemito. Tamara, adesso, del tutto sveglia, aprì la bocca sdentata e gridò forte – come se vittima di una chissà quale pena.
Era impossibile non prestarle la dovuta attenzione.
Arya trattenne un conato di vomito.
« Castigo! » Chiamò Morgante, rabbioso: « falla star zitta! »
Castigo, annuendo energicamente, si mosse in direzione della prigioniera, venendo immediatamente raggiunta da due demoni – un essere gobbo, il cosiddetto Vusan, e un'arpia, le cui ali erano imbrattate di sangue.
« Tirala su! » Esclamò Castigo, e Vusan obbedì.
« Vi prego... » implorò la donna, il seno deformato dai morsi e le cattiverie subite: « vi prego... no... ».
Inutile. Fatica sprecata.
L'arpia sguainò una zanna e la avvicinò alla sua gola.
Arya distolse lo sguardo. Non avrebbe mai voluto assistere ad uno spettacolo del genere, ad una vigliaccheria tanto esagerata quanto priva di precedenti. Quando il corpo cadde a terra, sgraziato, non capì che cosa fosse successo.
Morgante strillò e i demoni tuonarono come un nubifragio a ciel sereno.
« NO! »
Lampi di luce ed un solo, lungo ruggito di gloria.
Castigo era a terra, gli occhi affacciati sull'Inferno – le mani giunte attorno al collo, come per evitarne la fuoriuscita del liquido.
Quinn, con gli artigli imbrattati, afferrò sua madre per un polso.
« Quinn...? » Domandò Tamara, sconvolta nel riconoscerla nei tratti del mostro: « che cosa ti è successo...? »
Vusan, in preda al panico, cadde a terra, strisciando verso i piedi di Morgante.
« Lurido idiota! Nox Mordre! »
Arya incontrò gli occhi di Quinn per l'ultima volta. Il suo gesto era stato tanto coraggioso quanto affrettato e stupido. Era riuscita a sopravvivere, a raggiungere la sua vecchia dimora prima ancora che lo facesse lei e, mimetizzandosi tra i demoni, aveva atteso il momento opportuno.
Poco prima che le due venissero colpite dalle maledizioni più disparate, Arya riuscì ad intendere un loro silenzioso messaggio. Fuggi.
« Credevo di averti persa » disse Tamara in un trionfo di lacrime e muco: « oh, mia piccola Quinn... »
Avvolte in un delicato abbraccio, abbandonarono il caos e la devastazione di questo mondo.
Morgante ululò, gettandosi a terra e recuperando una mano di Castigo.
Arya, invece, ripose il Frammento nel taschino, ingurgitò una piuma di Bartek e, sbocciate le ali, si andò a schiantare contro il vetro del lucernario, volando via, nella notte.
Il vento della libertà le carezzò le gote, i fuochi di Rozendhel le incendiarono gli occhi.
Pregò silenziosamente affinché l'Universo non considerasse quella fuga un atto di pura codardia. Se fosse rimasta lì dentro, sarebbe di certo morta. Il suo piano aveva imboccato giusto una breve deviazione. Avrebbe comunque richiamato Incubo e ucciso Morgante.
« DOVE CREDI DI ANDARE? »
Una sagoma avvolta da un misterioso fumo nero prese a rincorrerla.
Arya richiamò il Fuoco Aureo e glielo sparò contro.
« STUPIDA RAGAZZINA! » Morgante lo evitò, in preda alla collera: « VIENI QUI E AFFRONTA IL TUO DESTINO! »
Bombe di luce cozzarono nell'aria.
La giovane, venendo colpita, precipitò al suolo in una spirale di terrore.

 

 

 

 

 

  
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