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Autore: CHAOSevangeline    28/09/2017    8 recensioni
{ Viktuuri | Mermaid!AU }
[Dal testo]
« Ti avevo detto che non sarei scappato. »
« Ho pensato comunque che lo avessi fatto », rispose franco Viktor. « Sei mio prigioniero, se volessi scappare… »
« Ma non voglio », lo interruppe Yuri.
« Perché no? »
A Viktor non importava nemmeno di trovarsi sul ponte della nave, dove chiunque avrebbe potuto vederli parlare, i volti più vicini di quanto fosse conveniente.
« Perché mia madre mi ha raccontato una nostra leggenda, una volta », spiegò Yuri. « Dice che verrà un periodo di pace, prima o poi, tra umani e sirene. Che uno di noi farà la differenza. Non ho nulla da perdere, e se non resto con te non posso cambiare nulla. »
Genere: Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Mermaid Tales




I.
 


Il suono del mare aveva sempre avuto qualcosa di ipnotico, per Viktor; quando era calmo sapeva essere ancor più di conforto di una costante come il silenzio.
Il suono del mare era presente, continuo, ma non turbava la quiete abbastanza da farsi riconoscere, al contrario della talvolta prepotente assenza di suoni. Era un calmo compagno che Viktor poteva immaginare intento a camminare al suo fianco, sul ponte tirato a lucido del maestoso vascello in legno massiccio.
Erano per mare da quasi un mese, lui e la sua ciurma. Le correnti erano state tanto favorevoli da far mormorare a gran parte dell’equipaggio qualche previsione sul glorioso futuro da navigatore del rampollo della casata Nikiforov.
Erano giunti al largo delle ultime coste insulari dell’Asia da una settimana ormai, e da quel momento le giornate di Viktor e del suo quartiermastro si erano composte di carte geografiche, compassi e bussole per tracciare e seguire una rotta dettata unicamente dall’istinto.
Non era difficile raggiungere la propria meta, il largo dell’oceano. Ciò che metteva in difficoltà era attendere, avere la fortuna necessaria per trovare ciò che cercavano.
Forse la ciurma era stata troppo ottimista e avventata nel convincersi che avrebbero raccolto il loro bottino quasi strada facendo, senza nemmeno fermarsi e compiere il minimo sforzo; neanche il loro trofeo di caccia fosse tanto stolto da gettarsi dritto tra le loro braccia.
Viktor aveva vissuto a corte tutta la propria vita e questo tempo era stato più che sufficiente a vedere uomini su uomini fare ritorno a mani vuote, venire additati perché incapaci di catturare il requisito necessario per il rito di passaggio che dava lustro alla sua gente.
Come era giunta l’ora per tutti quegli uomini, adesso era arrivata anche per Viktor.
La sola differenza era la gravosità delle aspettative adagiate sulle sue spalle, più elevate rispetto a quelle nutrite per gli altri: Viktor era un principe, un giovane uomo che ben presto sarebbe divenuto re.
Ma se per una guardia ciò che stava cercando lui era solo un superfluo bottino per guadagnare del prestigio in più, per Viktor era una questione di vita o di morte. Per lui, così come per tutti i suoi sudditi: un insuccesso avrebbe voluto dire che il loro futuro re ancora non era in possesso dei requisiti per governare.
Non si trattava solo di qualche battuta su un fallimento, su una presa in giro da locanda di cui tutti si sarebbero scordati quando qualcun altro non si fosse dimostrato all’altezza; c’era in gioco il futuro del regno che gli spettava di diritto.
Il suo popolo non poteva rimanere senza un sovrano.
Le dita di Viktor scorsero sul parapetto intarsiato. L’indice stuzzicò uno smeraldo incastonato nel legno senza nemmeno guardarlo. Era il punto della nave da cui preferiva osservare il mare, quello: a metà esatta del ponte, dove poteva scrutare le cose senza la posizione privilegiata di chi guardava l’orizzonte da prua e senza sentirsi il meno favorito, a poppa.
Avrebbe avuto un orizzonte diverso per ogni punto della nave da cui sceglieva di guardarlo, quello era solo il suo preferito. Gli piaceva pensare che non cambiasse.
Viktor conosceva a memoria ogni pietra, ogni intaglio del legno della sua nave.
Il palmo scivolò sulla coda di un tritone, che brillava di scaglie di zaffiro.
Il suo popolo credeva che il numero di pietre ad impreziosire un vascello fosse il requisito decisivo per far pendere l’ago della bilancia verso la vittoria del capitano dell’impresa. Più erano le pietre, maggiore era la fortuna.
Suo nonno Yakov aveva fatto del proprio meglio per assicurare a Viktor la riuscita di quel viaggio.
Un sospiro uscì dalle labbra schiuse dell’uomo.
Le spalle erano appena coperte da una giacca di velluto rosso, che Viktor aveva sistemato su di esse giusto per proteggersi dalla quieta brezza marina che gli sferzava il volto. Le ombre degli zigomi sporgenti e della mascella decisa erano accentuate per contrasto dalla cascata argentea che erano i suoi capelli. Nessun impedimento tratteneva la fluente chioma dell’uomo, lasciata libera sulle spalle e sulla schiena.
Il mare aveva inghiottito da ore il sole, così come aveva inghiottito la rete di corda spessa che lui stesso aveva contribuito ad intrecciare.
Viktor adorava occuparsi della prima ora del turno di guardia: era l’unico momento della giornata in cui poteva davvero stare in pace a pensare.
Avrebbe dovuto scegliere con cura, poi, i marinai da inimicarsi perché costretti al turno notturno di guardia, quando lui sarebbe rientrato.
Il buio era uno svantaggio per loro, che si muovevano sulla superficie del mare, ma lo era anche per qualunque cosa vivesse e nuotasse sotto di loro; dovevano essere pronti ad ogni evenienza e il ponte non poteva rimanere sguarnito.
Viktor sfiorò le fibre scure della corda, umide e pregne di salsedine.
L’avrebbe tanto voluta tagliare.
Solo un disertore, qualcuno che voleva compromettere la sua impresa, avrebbe potuto compiere un gesto del genere. Ma nessuno avrebbe potuto giustiziare l’intera ciurma senza una prova certa di chi fosse stato.
« Ancora niente? »
Christophe lo credeva frustrato per la caccia infruttuosa.
Lo credeva così tanto frustrato che ormai le sue continue domande erano diventate insopportabili.
« Nessuno ha iniziato ad urlare agli uomini di uscire, perciò direi che la situazione è piuttosto tranquilla. »
Christophe era un suo vecchio amico e suo padre il chiaro esempio di un uomo che aveva guadagnato prestigio solcando i mari; altrimenti una famiglia nomade come la sua non sarebbe mai stata accettata.
Christophe era il suo quartiermastro, selezionato appositamente da Yakov per le, a detta sua, abilità intrinseche del suo sangue.
Viktor era convinto che Christophe sarebbe salito su quella nave anche a costo di nascondersi nei barili di scorte per il viaggio.
« Quindi sei nervoso. »
Gli occhi azzurri di Viktor si alzarono e guardarono il cielo stellato.
Nel muoverli gli era parso di vedere la corda tendersi, ma era stata semplicemente un’impressione. Dettata dal timore che fosse accaduto davvero, dal desiderio che non fosse così.
« Sei tu che mi rendi nervoso. Sei ansioso di tornare a casa? »
« Tu non lo sei? »
« No », rispose Viktor. « Se stare qui significa potermi scordare che al mio rientro dovrò tornare a cercare qualcuno con cui governare quando sarà il momento, allora che mi diano pure per disperso. »
Un colpo sulla fiancata della nave.
Viktor abbassò gli occhi, ma sia lui che Christophe non batterono ciglio. Il mare trasportava continuamente loro contro detriti; un uomo aveva addirittura pescato un messaggio in bottiglia scritto in un’altra lingua.
Era la lettera, la cosa più interessante: chissà cosa volevano dire i simboli impressi sulla carta. Viktor non avrebbe di certo speso il viaggio cercando di tradurla, magari non lo avrebbe nemmeno mai fatto, ma il marinaio in questione aveva gettato a mare il messaggio preferendo l’uso pratico della bottiglia, con cui aveva reso portatile la propria razione di vodka.
Il capitano lo avrebbe almeno conservato.
« Essere il principe inizia a starti stretto, Viktor? »
« Chi lo sa », rispose l’uomo dai capelli argentei. « Magari smetterà quando potrò mandare allo scatafascio il paese emanando leggi discutibili. »
Era sempre serio, quando scherzava. Era il suo modo di fare battute.
Prima che Christophe potesse ribattere con una risata comprensiva, però, la corda accanto alla mano di Viktor si tese ancora, questa volta così tanto da far credere all’uomo di averne udito il suono forzato.
Un rapido scambio di sguardi e subito Christophe corse a chiamare il resto della ciurma.
« Ne abbiamo preso uno! »
Tra le onde spumeggianti sotto di loro, Viktor avvertì un’agitazione tale da rendere il suono del mare decisamente meno invitante.
Bracciate. Codate.
Qualsiasi movimento necessario a liberarsi.
Nel nero del mare, solo la schiuma bianca dava luminosità.
Viktor aveva sempre saputo mantenere il sangue freddo, ma finché la rete si sollevava in autonomia grazie al meccanismo di pesi e leve di cui ogni nave del suo paese era munita, si rese conto di non esserne in grado.
Solo i passi concitati degli uomini lo riscossero e le mani di Viktor si aggrapparono ad una delle estremità della cima per attirare la trappola a bordo, quasi ad affrettare il processo.
C’era una strana eccitazione nello scoprire se finalmente fosse giunto all’obiettivo per cui era lì, ma aveva anche paura. Paura perché non voleva davvero catturare qualcosa, pur essendo consapevole che fosse necessario per sé, per il proprio popolo.
Per una volta nella vita Viktor non riusciva ad essere egoista.
Le mani bruciavano intorno alla fune, i palmi arrossati. Ogni movimento delle braccia corrispondeva ad un urlo degli uomini e gli incitamenti di Christophe, per quanto gridati, giungevano ovattati alle orecchie di Viktor.
Era lì.
C’era davvero qualcosa, in quella rete.
Si dimenava, incastrato tra le corde. Le braccia si dibattevano così come avevano in acqua.
Gridava.
Chiedeva aiuto, di lasciarlo andare.
Era straziante.
Con un ultimo sforzo, la rete ormai pesante fu sulla balaustra e subito dopo sul ponte, per il continuo muoversi del nuovo arrivato a bordo. Cadde dalla balaustra con un tonfo.
Viktor lo osservò.
Le dita della creatura erano strette intorno alla corda, nel vano tentativo di allargare la fitta rete in modo da liberarsi.
Le scaglie cangianti rilucevano sotto le fiamme delle lanterne.
Un tritone.
Tutta la pelle del suo corpo, umana o animale che fosse, era coperta d’acqua. Viktor giurò che le gocce sotto i suoi occhi fossero però lacrime.
Si sentiva un mostro.
« Viktor… »
Era la voce di Christophe.
Viktor conosceva la prassi e con un altro capitano quella creatura avrebbe incontrato la morte in pochi istanti: la sua voce poteva essere letale per tutta la ciurma.
La mano di Viktor si avvicinò alla cintura, le dita sfiorarono la fondina contente la pistola.
Gli occhi del tritone si sgranarono, ma continuò a non dire nulla, scuotendo la testa.
La mano di Viktor raggiunse poi un altro gancio, da cui pendeva una lunga striscia di stoffa.
Si avvicinò e dopo essersi chinato sul tritone che ancora si dimenava, Viktor si fece largo con le mani tra le corde. La presa più lenta della rete gli costò un colpo di pinne alle caviglie, ma fu abbastanza rapido da stringere il bavaglio intorno alle labbra della creatura prima di ricevere altri colpi.
Voleva solo mantenere calma la ciurma, perché non aveva sentito nulla che non fosse una richiesta d’aiuto o una supplica provenire dalle labbra del nuovo arrivato a bordo: non vedeva perché ucciderlo.
Solo un braccio del tritone scappò alla presa delle corde e con una mano riuscì a colpire involontariamente la guancia di Viktor. Dal graffio che risultò per quel colpo, che non era altro se non un disperato tentativo di aggrapparsi a qualcuno nonostante fosse il suo stesso aguzzino, non fuoriuscì che una goccia di sangue.
Viktor non aveva fatto una piega, ma lo stesso non si poteva dire di Christophe. Il calcio della sua arma colpì la nuca della creatura, che rovinò a terra.
Viktor alzò lo sguardo.
Non era mai stato tanto indignato come in quel momento del viaggio.
« Ho forse detto che era necessario? » sibilò.
Christophe, dal canto suo, parve avvertire il pericolo.
Viktor si chinò sulla sua preda, in silenzio.
« Facciamo rotta verso casa », disse solamente Viktor, mentre le braccia si avvolgevano intorno al corpo del tritone per sollevarlo. « Partiamo subito. »
In quel momento voleva solo sfuggire dal mare il più possibile.


 


Calore.
Era una sensazione strana, per Yuri: l’oceano era accogliente, tiepido.
Ma mai così caldo.
Gli sembrava quasi che un fuoco stesse divampando accanto a lui. Sapeva di cosa stava parlando: aveva visto una nave affondare, una volta, distrutta dallo stesso olio che doveva fruttare a chiunque vi fosse a bordo una fortuna.
Aprì gli occhi su un soffitto scuro, di legno. Sembrava lo stesso di quella nave che aveva visto affondare, ma sapeva così poco, di elementi della terra ferma, da non esserne certo.
Mosse le braccia e le scoprì libere dall’impaccio delle corde.
Se solo non avesse avvertito quel calore e visto quel soffitto, Yuri si sarebbe convinto che quello che aveva appena interrotto era in tutto e per tutto un incubo.
« Sei sveglio. »
Si tirò a sedere in fretta e furia.
A qualche metro da lui, dietro una scrivania che era tutt’uno con il pavimento, c’era l’uomo dai capelli argentati che aveva graffiato.
L’istinto di Yuri fu quello di premersi contro la testiera del letto, agitato.
« Stai calmo, io… » L’uomo si era alzato, dirigendosi verso di lui. « È troppo tardi ormai, ma non avevo intenzione di farti del male. »
Aveva ancora il bavaglio.
L’uomo avvolto nella blusa color avorio lo raggiunse e si chinò.
« Ti tolgo questo, d’accordo? »
Yuri rimase immobile. Tremava come una foglia, terrorizzato.
Le dita altrui raggiunsero il nodo dietro la sua nuca, sfiorarono appena i suoi capelli e ad ogni tocco il tritone trasalì, terrorizzato.
Voleva solo andarsene, scappare, tornare a casa. Ma non poteva.
Quando il laccio di stoffa fu lontano dalle sue labbra, si strinse nelle spalle.
« Sai, tutti i miei uomini pensano che sia fondamentale uccidere subito un tritone o una sirena appena sale a bordo. Usano la loro voce per giocare con la mente delle persone, a detta loro. » Viktor si chinò. « Ma tu non l’hai fatto. Ti sarebbe stato più utile che gridare. »
Così vicino, Viktor riusciva a vedere gli occhi castani della creatura. Aveva davvero pianto, arrossati e gonfi com’erano. Credeva di averlo udito singhiozzare anche nel sonno.
Ancora nessuna risposta.
Viktor non era spazientito.
« Non puoi parlare? »
Nemmeno un cenno.
« Magari nemmeno mi capisci. »
Un piccolo sospiro da parte del russo prima che si sollevasse, solo a quel punto il tritone raccolse il coraggio necessario per dire qualcosa.
« Ti capisco e… posso parlare », mormorò.
Nell’espressione di Viktor parve accendersi qualcosa che l’altro non riuscì a definire. Curiosità? Una leggera gioia nell’aver ricevuto risposta?
Si chiese perché si stesse anche solo interessando all’emozione provata dal suo carnefice.
« Come ti chiami? »
Viktor era tornato con il volto all’altezza di quello del tritone, cosa a cui quest’ultimo non era davvero abituato: anche sotto strati e strati d’acqua le gerarchie esistevano come esistevano in qualsiasi villaggio costiero o d’entroterra. Nessuno gli si avvicinava mai troppo: era sempre stato abituato ad essere guardato dall’alto.
I suoi simili erano l’unico esempio che avesse mai avuto, ma si sarebbe aspettato che anche gli umani si comportassero allo stesso modo, soprattutto con qualcuno di diverso come lui. Dopotutto questo raccontavano le leggende.
« Yuri. »
« Io sono Viktor. »
Il rumore delle onde tornò ad essere l’unico protagonista della conversazione.
Viktor sapeva di dover dire qualcosa, magari per giustificare le azioni che agli occhi di quella creatura, no, di Yuri dovevano apparire tanto immotivate. Odiava le domande, odiava dovere delle risposte agli altri, ma quella volta sarebbe stato ben felice che Yuri lo interrogasse anche tutta la notte. Chissà, magari così anche Viktor sarebbe stato in grado di fare chiarezza sulle proprie intenzioni, di elaborare un buon piano per quando sarebbero arrivati a casa.
Ma se queste erano le speranze di Viktor, Yuri era di tutt’altro avviso: non credeva nemmeno di essere nella posizione di fare domande, non credeva di averne il diritto.
Questa sua convinzione si vedeva dal modo in cui, seduto sul letto, si era rannicchiato in un angolo, contro la parete di legno, quasi aver osato occupare più spazio del necessario mentre dormiva fosse oltre ciò che poteva permettersi.
Le lanterne che illuminavano la stanza e la calma di cui Viktor non disponeva la prima volta che lo aveva visto gli permisero di notare delle piccole fessure ai lati del collo di Yuri. Dovevano essere ciò che usava per respirare, ma i segni sulla pelle erano tanto sottili che Viktor non riusciva davvero a trovarli brutti.
I tratti del volto erano orientaleggianti, un paio di grandi occhi castani a mandorla, il volto tondo e le labbra carnose, insieme al naso leggermente schiacciato.
I capelli corvini, che Yuri aveva azzardato portare indietro una mano perché non gli coprissero il viso, parevano brillare di una luce bluastra, quasi alcuni dei sottili fili della sua chioma fossero del colore del mare.
Ciò che davvero affascinava Viktor, però, era la coda di Yuri: non era troppo robusta e forse proprio in questo stava la sua bellezza.
Le due pinne all’estremità inferiore, così come quella che spuntava da sotto il corpo di Yuri, parevano quasi fatte di un prezioso tessuto velato, impreziosito dalle nervature che davano loro forma.
Le scaglie cangianti, le pinne, erano un continuo gioco di azzurri e di blu, di turchesi e argento che incantava Viktor.
Aveva visto diverse sirene nella propria vita, portate come pegno delle caccie alla corte di suo nonno. Eppure non una di esse respirava o aveva negli occhi lo stesso bagliore vitale che poteva ancora vantare Yuri.
Erano delle creature maestose, eleganti anche al di fuori della propria casa, il mare.
Si chiedeva se fosse l’unico umano a pensarlo.
Vide la coda di Yuri muoversi e a quel punto capì che forse fissarlo in quel modo lo aveva messo a disagio.
C’era una domanda che ronzava prepotentemente nella testa di Yuri, che martellava forse più forte della paura.
Come negli occhi di Viktor c’era la luce della curiosità, anche nella sua testa ce n’era.
Voleva sapere perché lo avesse risparmiato, perché invece del bavaglio non avesse usato un proiettile. Perché stesse compiendo quello che era un atto di fiducia del tutto immotivato, senza avere la garanzia che fosse innocuo.
Anche se avesse potuto, Yuri non avrebbe ordinato a Viktor di uccidersi, a differenza della maggior parte dei suoi fratelli e sorelle.
Yuri non avrebbe nemmeno lasciato uno di loro da solo nella trappola in cui lui stesso era caduto, complici le tenebre del mare; anche a costo di essere catturato a propria volta avrebbe fatto il possibile per aiutare.
Aveva passato gli ultimi attimi a fissare Viktor solamente con la coda dell’occhio, non volendo osare di più. Poi aveva visto le sue dita muoversi e il suo corpo si era irrigidito.
La mano dell’uomo era terribilmente vicina alla sua coda, eppure il piccolo sussulto di Yuri lo aveva frenato.
Gli occhi celesti di Viktor avevano subito interrogato Yuri, quasi a chiedergli mutamente il permesso e in tutta risposta, anche se con confusione, la pinna caudale di Yuri si era mossa, lentamente, ondeggiando.
Il cuore martellava ancora nel petto, ma Yuri stava cominciando a sentirsi più rilassato.
Le dita calde di Viktor sfiorarono le scaglie della sua coda e il tritone rimase in silenzio.
Qualcosa, nella mente di Yuri, scattò.
Quel tocco in cambio di qualcos’altro, pensò.
« Perché mi hai risparmiato? »
Un filo di voce, ecco cos’era uscito dalle sue labbra. Yuri non aveva la forza necessaria per qualcosa che richiedesse più energie. La lieve scossa che aveva percorso il suo corpo dopo le dita di Viktor lo aveva convinto che forse tentare un dialogo con quella domanda non avrebbe avuto delle tremende conseguenze, che Viktor non si era scordato di ucciderlo in virtù della curiosità, ma che non aveva mai avuto intenzione di farlo.
« Perché non sono salpato con l’idea di uccidere qualcuno », rispose Viktor.
Le labbra si erano mosse quasi da sole, come se la risposta fosse già pronta nella sua mente. Non aveva staccato gli occhi dalla coda di Yuri, soltanto i polpastrelli, prima di puntare il proprio sguardo in quello della creatura.
Le scaglie erano strane al tatto, sembravano ruvide, ma anche scivolose, quasi vi fosse una trama segreta che le sue dita riuscivano a malapena a sentire prima di scivolare altrove.
Avrebbe voluto sfiorare anche le pinne, ma aveva temuto potesse essere troppo.
« Per quello che vale, mi spiace averti fatto una cosa simile », aggiunse. « Ma non posso lasciarti andare. »
Le spalle di Yuri si afflosciarono a quella scoperta. Non disse nulla, annuì soltanto, un sorriso amaro ad incurvargli le labbra.
« Questo lo immaginavo. »
La paura, che mai si era spenta, tornò a rimontare con rapidità all’interno del corpo di Yuri. Sentì le stesse lacrime tempestose di poco prima minacciare di scorrere nuovamente lungo i suoi zigomi, ma si trattenne, si aggrappò al lenzuolo per riuscire a trattenersi.
Forse a qualcun altro sarebbe parso codardo, eppure Yuri non vide alcuna ragione nel singhiozzare, nel dibattersi: Viktor era stato molto chiaro.
E Viktor era una persona decisa. Yuri non poteva saperlo, ma lo sentiva.
Decisa, ma con un cuore.
Il russo fu costretto ad alzarsi, il volto coperto da una maschera di indifferenza che i suoi occhi tradivano completamente.
« Dormirai su una branda. Devo asciugare il materasso. »
Yuri sussultò e annuì. Avrebbe voluto approfondire dove Viktor avrebbe trascorso la notte, ma quando lo vide chinarsi per sollevarlo si limitò a reggersi a lui.
Doveva averlo già spostato così: le sue scaglie erano intatte, nessun segno di escoriazione sulle braccia, esclusi i lividi dovuti a dove le corde avevano stretto troppo.
Quando Viktor lo adagiò sul suo nuovo giaciglio parve accorgersene, come Yuri si accorse della sua espressione costernata.
L’uomo si voltò per occuparsi di ciò che doveva.
Grazie al cielo aveva un impiego che lo obbligava a dare le spalle a Yuri: la vista del tritone lo logorava un poco ogni volta. L’idea di aver privato della libertà qualcuno lo feriva, ma non c’era molto che potesse fare, al momento, per essere perdonabile.
Viktor non era una persona poco loquace, ma non sentiva sempre il bisogno di riempire il silenzio.
Non come allora, almeno.
« Puoi stare nella mia cabina, di giorno », cominciò. « Il viaggio per tornare indietro non sarà troppo lungo. Dovrei portarti io sul ponte, ma se vuoi prendere una boccata d’aria penso sia meglio che tu lo faccia di notte: credo che la ciurma si agiterebbe e vorrei evitare un attacco di panico come quello di Christophe. »
Che dovesse scusarsi anche per quello?
Se ne scordò del tutto per l’immagine che si stagliò davanti ai suoi occhi. Dopo essersi voltato, le lenzuola del proprio letto in mano, gli occhi di Viktor si scontrarono con qualcosa che non avrebbe mai creduto di poter vedere.
La coda di Yuri, che lo avvolgeva da quella che per un normale umano sarebbe stata la sommità dei fianchi, iniziò a svanire. Lentamente, in un modo che Viktor non avrebbe saputo descrivere.
Sembrava quasi che qualcuno stesse lentamente tirando le sue pinne, facendo scivolare le scaglie come fossero stoffa lungo quelle che, Viktor se ne rese conto quando ormai fin troppa pelle era in vista, erano proprio delle gambe.
Lunghe, snelle e affusolate.
Yuri aveva iniziato a guardarsi intorno, facendo scorrere gli occhi lungo le costine dei libri: non sentiva il bisogno di controllare a vista Viktor, non più. Non avrebbe cambiato nulla.
Quando iniziò a sentirsi osservato e si voltò, dando fondamento alla propria sensazione e accorgendosi poi del cambiamento del proprio corpo, Yuri sussultò.
Non ci aveva pensato.
Senza nemmeno tentare di coprirsi guardò Viktor.
« Succede quando le nostre code si asciugano, perciò… »
Le scaglie intanto parevano essersi ritirate fino agli alluci di Yuri, allora della sua coda era sparita ogni traccia, come se non ci fosse nemmeno mai stata.
L’azione più brusca che Viktor avesse compiuto fino ad allora fu gettargli contro il lenzuolo umido, prima di raggiungere l’armadio.
I suoi occhi avevano indugiato troppo sul corpo di Yuri e troppo a lungo, con troppa attenzione.
Il tritone non aveva apertobocca.
« Ti avrei coperto prima, se me lo avessi detto! »
Un cipiglio confuso fu la nuova espressione di Yuri.
« Noi non ci copriamo mai. »
Viktor gli porse una blusa e dei pantaloni.
« Ma noi sì! »
Forse più che di quell’insolita abitudine delle sirene, Viktor avrebbe dovuto preoccuparsi del fatto che il suo prigioniero avesse un paio di gambe con cui muoversi liberamente per la nave.





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È da un po' che non mi faccio vedere nel fandom di Yuri on Ice e mi dispiace un sacco.
Mi sono ritrovata con diverse idee in cantiere, ma non riuscivo ad arrivare con nessuna storia ad un punto che mi permettesse di postarla senza timore di lasciare tutto a metà: oramai mi sono abituata ad avere almeno un buon 50% di fanfiction completa prima di pubblicarla, ma non riuscivo a raggiungere questo traguardo.
Grazie al cielo pochi giorni fa l'ispirazione mi ha colta e sono riuscita ad arrivare quasi alla conclusione di questo racconto, una minilong che avrà bisogno di diverse rifiniture, ma che almeno mi sono lasciata convincere a pubblicare.
Convincere perché tutt'ora mi rende incerta, come mio solito quando scrivo qualcosa.
Questa idea è partita come una fiaba raccontata sottoforma di one-shot, una di quelle lunghissime, ma comunque autoconclusive. Poi non so cos'è successo e si è trasformata in una storia a capitoli che di fiabesco ha solo le sirene, dato che non mi pare di essere stata troppo clemente con nessun personaggio.
Evitando di rendere queste note più lunghe del capitolo stesso, mi auguro davvero che questo primo capitolo vi sia piaciuto o che quantomeno vi abbia incuriosito abbastanza da voler proseguire la lettura della storia. Spero anche vi vada di dirmi cosa ne pensate: mi fareste infinitamente contenta!
Se riesco a seguire la tabella di marcia che mi sono imposta dovrei riuscire a pubblicare un capitolo nuovo a settimana, giusto per non lasciar intercorrere troppo tempo tra una pubblicazione e l'altra.
Grazie a chiunque abbia letto fino a qui e alla prossima!
   
 
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