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Autore: Sacapuntas    28/09/2017    0 recensioni
Sin dal giorno in cui il suo sangue si è mescolato agli scoppiettanti carboni ardenti, Eric Coulter ha la reputazione di essere il ragazzo più spietato, rude, indifferente e gelido della suo nuova Fazione. La sua fama lo precede, ma la cosa non sembra disturbarlo minimamente, e si gode i suoi vantaggi da Capofazione in completa solitudine. Ma a volte basta solo una parola di troppo, un profumo particolare e due grandi occhi ambrati per stravolgere e riprogrammare la mente di qualcuno.
Sentitevi liberi di aprire, leggere e, se la storia vi appassiona, lasciare una recensione, mi renderebbe davvero felice!
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Eric, Four/Quattro (Tobias), Nuovo personaggio
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 17 - Pulviscolo




Continuando a chiaccherare, Elizabeth, tra le altre cose, mi ha rivelato che Jonathan si allena la mattina, in palestra, qualche ora prima di sedersi con gli altri in mensa.
E mi ha anche detto -cedendo all'imbarazzo e alle mie domande insistenti- che l'Intrepido in questione, stamattina, l'ha provocata di nuovo, spingendola contro una delle colonne di pietra del grande dormitorio degli iniziati.
Mi confessato -senza troppe cerimonie- che l'avrebbe probabilmente sfregiato con il suo coltellino, forse anche ferito, se solo l'avesse trovato. Penso che sia una fortuna che ieri sera mi sia dimenticato di tirarlo fuori dalla tasca dei jeans e restituirglielo.

Ma questo episodio non ha fatto altro che aumentare la mia determinazione. Avevo già deciso di non dire nulla a Max della Simulazione di Jonathan -solo di minacciarlo e divertirmi un po' nel farlo-, ma non è stata una decisione così facile come sembra.
Ovviamente, il mio passato mi è stato, per una volta, d'aiuto.
Fa ancora male ricordare di come ho accusato Amar di essere un Divergente, ed è stato proprio quel dolore che mi tormenta da quel maledetto giorno e che mi tormenterà per sempre che mi ha convinto a non ripetere lo stesso tragico, infido, viscido errore una seconda volta. Sarebbe stato troppo, persino per uno come me.

Inoltre  -ma questa è un'idea che ho evitato di sviluppare per colpa del mio orgoglio- ho ripensato alle parole di Samuel, mentre cercavo di capire quale fosse la cosa giusta da fare. Ovvero che "Elizabeth mi renderà una persona migliore", ed io sto facendo tutto questo per lei. Per evitarle lo stress di dover fronteggiare ogni giorno lo sfacciato biondo, per rendere le sue Simulazioni meno insostenibili.
Alla fine gliel'ho detto, delle mie intenzioni. Non le ho detto ovviamente in che modo avrei messo fine alle continue molestie di Jonathan, ma le ho assicurato che l'Intrepido non l'avrebbe infastidita mai più.

La palestra è fresca e deserta, e l'odore pungente del sudore si mischia a quello dolce e asfissiante della polvere. Mi chiudo la porta a doppio battente alle spalle, bloccandola con un tubo di metallo per impedire a qualsiasi persona di entrare. O uscire. Non è un piano che va reso pubblico, il mio.
Non si muove nulla, nell'enorme sala illuminata soltanto da deboli luci al neon bianche, e non si sente nessun rumore, se non quello degli scarponi sulla pietra del pavimento e i pugni di Jonathan che si scagliano contro il sacco da boxe.
Il mio piano non mi fa schifo, ma mi turba parecchio. Più che altro, la facilità con cui l'ho elaborato mi fa sentire strano e a disagio. Ormai ho sviluppato una tale rapidità nell'ingegnarmi in strategie subdole e meschine che se Elizabeth potesse leggermi nella mente ne rimarrebbe disgustata.

L'Intrepido biondo colpisce con forza il bersaglio più e più volte, ed io sono abbastanza convinto che stia immaginando Elizabeth al posto di quel sacco di sabbia arancione. Jonathan Royston, il Divergente, l'incubo segreto di Elizabeth, il ragazzo che ha picchiato sua sorella minore, il preferito di Max. L'iniziato che prova attrazione nei miei confronti. Quanti appellativi può avere un singolo sedicenne?
E soprattutto, cosa diavolo ci trova Jonathan in me? Spero solo che il piano vada bene, oppure io mi troverò a dover districarmi da una situazione molto, molto complicata.
Controllo un'ultima volta la palestra, accarezzando la sua vasta grandezza con lo sguardo, e tiro internamente un sospiro di sollievo. Come speravo, non c'è nessuno, oltre a noi.

L'Intrepido mi dà le spalle, è vestito con dei pantaloncini larghi neri che gli arrivano fino al ginocchio ed una lunga canottiera senza maniche dello stesso colore. Si passa una mano fra i lunghi riccioli sudati, tenendo le dita incastrate nei capelli per qualche secondo mentre riprende fiato.
"Il Primo Modulo è già finito, non hai l'obbligo di allenarti." esordisco ad alta voce, facendolo sussultare e girare di scatto. La sua mano libera i riccioli dalla sua stretta di ferro, e i suoi occhi spaventati e confusi incontrano subito i miei.
"Non è un obbligo: è un passatempo." prima di rispondere, Jonathan si schiarisce la voce e fa spallucce, sfiorando con lo sguardo le mie braccia nude per poi prendere uno straccio e asciugarsi i capelli ed il corpo. Il desiderio, nei suoi occhi, è così palese che non posso fare altro che tentare di celare una smorfia contrariata. È un piano stupido, questo.

"Ma davvero?" cerco di mantenere un tono freddo e minaccioso, per non destare sospetti. "E cos'altro fai, per passatempo?"
"Che fai, Eric? Stai cercando di rimorchiarmi?" nel suo tono c'è sarcasmo, forse anche disprezzo, ma un piccolo sorriso gli curva le labbra, e lui cerca di nasconderlo torcendo la testa da un'altra parte, approfittandosene per passarsi l'asciugamano sul collo.
"Dipende." dico con voce profonda, e l'Intrepido sposta immediatamente lo sguardo su di me, allarmato. Internamente esito, poi, però, mi ricordo che lo sto facendo per il bene di Elizabeth, ed allora proseguo, fissandolo negli occhi. "Tu ci staresti?"

Questo è un pessimo piano. Eppure rinuncerei a tutti i miei punti da Capofazione per poter scattare una foto alla faccia di Jonathan in questo momento. L'asciugamano -stretto in una morsa letale dalla mano del ragazzo- ha bloccato la sua frenetica corsa, fermandosi sulla spalla dell'iniziato che ora ha gli occhi sgranati nella palese manifestazione di uno stupore che non riesce a nascondere. Ha le labbra serrate, incapace di dire nulla, e la mascella contratta in una smorfia indescrivibile.
"Sei diventato tutto rosso, Royston." rido in risposta al suo imbarazzo, avvicinandomi. Ogni singola cellula del mio corpo mi sta urlando, implorando di allontanarmi, e anche di rinuniciare a uno dei piani più crudeli della storia dei piani crudeli.
"Mi sono appena allenato." si giustifica, passandosi lo straccio sulla nuca e indietreggiando ostentando indifferenza, anche se ho notato che la sua voce si è fatta parecchio più acuta, e che il suo petto sta cominciando ad alzarsi e abbassarsi più veloce di prima.
Elizabeth aveva ragione: Jonathan Royston si è preso una cotta per me, e l'idea è così ridicola che mi fa venir voglia di scoppiare a ridere, poi a piangere, ed infine uscire dalla palestra sbattendomi con violenza la porta alle spalle.

Quando la schiena di Jonathan si appiattisce contro una delle sei colonne di pietra della palestra, capisco che è il momento giusto. Mentalmente comincio a maledire me stesso, perchè se sono arrivato a dover fare questo per mettere Elizabeth al sicuro, è impossibile scendere più in basso.
Alla fine mi trovo costretto a spegnere i pensieri, anche perchè sto fissando Jonathan da qualche secondo senza dire nulla, poco più di un metro che ci separa, considerando come valida l'idea di andarmene senza fornire spiegazioni. Ora o mai più, mi dico, mentre le mie gambe quasi si irrigidiscono, tanto è forte la voglia di scappare.

Ormai non posso più tornare indietro, anche perchè ci sono soltanto pochissimi centimetri a separare il mio viso da quello dell'iniziato, tant'è che riesco a percepire il suo respiro caldo e affannoso sulla mia pelle. Appoggio una mano contro la colonna, proprio affianco alla testa del biondo. Non provo neanche a muovermi, sia perchè non fa parte del piano, sia perchè sono segretamente terrorizzato da quella vicinanza così sbagliata, e mi limito a fissare i miei occhi su di lui, uno sguardo talmente indecifrabile che, per un istante, persino Jonathan esita, preso alla sprovvista da un gesto che neanche nei miei sogni -o incubi?- più strani avrei mai immaginato.

In meno di una frazione di un secondo, Jonathan si sporge in avanti e le sua labbra screpolate incontrano le mie. Sgrano gli occhi, colto di sorpresa e momentaneamente sprovvisto di lucidità, perchè nella subitaneità del momento non mi accorgo che le dita sottili dell'Intrepido stanno armeggiando freneticamente con la cinghia della mia cintura, cercando di slacciarla.

Spingo via Jonathan con violenza, accompagnando il gesto con un furioso grugnito contrariato, e lo faccio sbattere di nuovo contro la dura e fredda pietra della colonna.
Ora l'Intrepido mi guarda stranito e basito dal fatto che io l'abbia respinto sul più bello. L'iniziato ansima -Dio, spero non per l'eccitazione- ed io faccio qualche passo indietro, guardandolo dall'alto verso il basso.
Non so se questa rabbia è vera o mi sto solo attenendo al piano, ma non sono sicuro che mi sia piaciuto il fatto che Jonathan abbia pensato che volessi sul serio limonarmi con lui. Mi ha fatto sentire... strano, una sensazione talmente inspiegabile e soprattutto spiacevole da essere motivo di cento imprecazioni tutte differenti e originali.

"Allora è vero." sibilo, il volto rosso di rabbia "A te piacciono i ragazzi e, peggio ancora, ti piaccio io."
"Non è così." balbetta, passandosi una mano dietro la nuca ed evitando il mio sguardo a tutti i costi.

Mi dispiace che lo stia facendo sentire in questo modo, fuori posto, anormale, un maniaco perverso, non è così che dovrebbe sentirsi qualcuno attratto dal proprio stesso sesso. Sto per lasciare perdere, poi mi ricordo che ho di fronte Jonathan Royston, lo stesso ragazzo che nella Simulazione ha tentato di violentare la mia ragazza, e allora la rabbia mi riaccende l'animo. Era da tanto che non mi sentivo così. Da quando è arrivata Elizabeth, per la precisione.
Inoltre, non mi sono fatto baciare da un iniziato per poi andarmene senza completare il piano.

"Non è così?" grido, la mia voce rieccheggia da una parete all'altra della grande palestra. "E allora dimmi, Royston, per caso vai a fare pompini a qualsiasi Intrepido ti capiti sotto tiro?" alzo ancora di più il tono della voce, godendo della sua espressione terrorizzata, preoccupato che qualcuno lo possa sentire.
Si porta l'indice tremante alle labbra e cerca di mormorare un "Silenzio, per favore", ma le sue parole sono spezzate dal panico.

"Oh, hai paura? Hai paura che urli all'intera città che Jonathan Royston ha appena provato a scoparsi il Capofazione? Cosa penserebbero gli altri? Cosa penserebbero i tuoi genitori?" chiedo furioso, alzando la voce sulle ultime parole. Jonathan scatta in avanti, ed ora è abbastanza vicino da permettermi di vedere le lacrime che luccicano immobili nei suoi occhi.
"Nessuno... Lo deve sapere... Tantomeno i miei genitori..." sussurra, la voce rotta dalla paura. Mi dispiace, vorrei dirglielo, ma lotto con tutte le mie forze per non farlo.
Prendo un profondo respiro, bloccando le mie stesse parole in gola, poichè altrimenti rovinerei questo piano tanto meschino quanto necessario, ed è l'ultima cosa che voglio dopo questo casino.

"Potrei anche tenere la bocca chiusa, su quello che è successo poco fa." mormoro infine, e gli occhi del ragazzo si illuminano di speranza. "Ad una condizione, che dovrai accettare senza far domande."
"Qualsiasi cosa, va bene... Va bene qualsiasi cosa." risponde lui, velocemente, accavallando una parola sull'altra.
"Devi smetterla di assillare la Candida." dico, tutto d'un fiato, prima che la determinazione in me si spenga.
"La Candida." ripete lui, incredulo, anche se la tremarella lo scuote ancora come un budino.
"La tua omosessualità non è l'unico segreto di cui sono a conoscenza." gli ricordo minaccioso. Jonathan deglutisce. "Cosa direbbe Max, se scoprisse che sei un Divergente? Ti do un piccolo indizio, non avresti più bisogno di nascondere i tuoi segreti, perchè saresti morto. Oppure ti ritroveresti a fare pompini agli Esclusi e, sai, lì le malattie sessualmente trasmissibili sono molto più frequenti e pericolose."

"Era un'informazione segreta... Riservata solo ad un certo numero di persone..." i suoi sembrano quasi singhiozzi, alternati a sospiri carichi di ansia e terrore puro. "Tu come puoi sapere-"
"Ti ho detto di non fare domande." lo afferro per la nuca e stringo finchè l'iniziato non emette un gemito di dolore. "Elizabeth ti renderà una persona migliore." la voce del Candido, per qualche motivo, mi riviene in mente proprio in questo momento. Sto terrorizzando a morte un iniziato, minacciandolo di rovinagli la vita se non eseguirà l'ordine che gli ho appena impartito.
Erano tutti atteggiamenti che aveva il vecchio Eric, quello spietato, cattivo, senza cuore, senza Elizabeth. Ed io ho paura di poter cedere di nuovo alla piacevole sensazione che mi provocava fare del male, fisico o psicologico, a qualcuno di indifeso come lo è Jonathan adesso.

Lo lascio andare con uno strattone, scacciando quei pensieri, ed il ragazzo barcolla prima di appoggiarsi alla colonna alle sue spalle: sospetto che, se si allontanasse dal pilastro, le sue gambe cederebbero e lui rovinerebbe sul duro pavimento di pietra.
"Sì, la Candida." ripeto "Devi lasciarla stare. Anzi, dovrai anche chiederle scusa per tutto quello che le hai fatto."
"Ma-"
"Oppure lo dirò a tutti, ragazzo mio." lo interrompo "Lo saprà ogni singolo Intrepido di questa Fazione, di tutte le età, di tutte le religioni, lo sapranno anche quelli delle altre Fazioni. Anche i bambini dei Livelli Inferiori. Mi prenderò personalmente l'incarico di rendere la tua vita un inferno, se non fai esattamente quello che ti ho chiesto. E se scopro che hai fatto il mio nome -e fidati, lo saprei- ti strangolerò con le mie stesse mani e ti darò in pasto agli Esclusi." lo fisso come se potessi incenerirlo con lo sguardo. "È una promessa."

Jonathan annuisce, incapace di pronunciare anche solo una sillaba. Evita di guardarmi negli occhi, fissando piuttosto l'asciugamano per terra con spento interesse, ancora appoggiato con una mano alla colonna come se potesse franare per terra da un momento all'altro.

"Senti, Jonathan, io non ti giudico. Io non penso che tu sia uno scherzo della natura, che tu sia disgustoso solo perchè ti piacciono i maschi. Io non penso che tu sia diverso, sono gli altri che non capiscono che sei un ragazzo normale, semplice, esattamente come tutti i tuoi coetanei. Sono gli altri che sono disgustosi perchè ti giudicano senza conoscerti. Non dovresti sentirti male tu di te stesso, dovrebbero essere gli altri a rendersi conto che hai bisogno di affetto e comprensione tanto quanto ne hanno bisogno loro."
L'Intrepido mi guarda, la stessa espressione sconfitta e addolorata, come se avesse appena perso l'occasione di una vita. Quando, dopo secondi senza ricevere una risposta, mi rendo conto che non ho pronunciato neanche una singola parola di quello che ho pensato, mi affretto a girarmi e andarmene, lasciandomi alle spalle una giovane recluta in lacrime.

Non sono stato capace di dirgli che non era lui il problema.
Non sono stato capace di  rassicurarlo.
Non sono stato capace di dire quello che pensavo davvero di lui.
Non sono stato capace.

***

Oggi, al tavolo, Samuel ha chiesto se poteva sedersi accanto a me. "Da qualcosa dovremmo pur cominciare", è stata la sua giustificazione in risposta al mio sguardo stralunato. E quindi, ora sono seduto fra il Candido e Quattro, entrambi parlano amichevolmente di un argomento che non mi interessa e che comunque non comprendo, forse di legge o qualcosa che ha a che fare con il governo.
La loro conversazione mi ricorda che domani si terrà l'assemblea fra le Fazioni, che discuteranno se sia appropriato o meno permettere che l'Erudito Daniel Wolves di lasciare il suo lavoro ed essere ammesso fra gli Intrepidi. C'è così tanto lavoro da fare, ed io non riesco a togliermi dalla bocca il disgustoso sapore della bocca di Jonathan. Ho persino mangiato del purè di patate, preferendo quella consistenza vomitevole al ricordo del bacio con l'Intrepido.
Elizabeth è seduta davanti a me, e sta gesticolando animatamente per spiegare ad Alice e a Richard qualcosa che, col trambusto della mensa, non riesco a cogliere.

"Tu cosa ne pensi?" mi chiede Samuel all'improvviso, distogliendomi dai miei terribili pensieri.
"Dipende da cosa stavate parlando." rispondo, poggiando il bicchiere sul tavolo dopo aver bevuto della birra.
"Quattro sostiene che sia stupido che i Pacifici non abbiano un Capofazione, a me invece sembra una bella idea." spiega, indicando il Rigido seduto alla mia sinistra.
"Be', a dirla tutta io non..."
"Scusate se vi interrompo."

Alzo subito lo sguardo, riconoscendo la voce triste e roca di Jonathan Royston, in piedi dietro Elizabeth. Se penso che poche ore prima le sue mani erano corse eccitate alla mia cintura, ed ora è così vicino ad Elizabeth e potrebbe potenziamente dirle tutto... Dannazione, sento che sto per impazzire di nuovo.
La ragazza si gira, dal momento che tutti -me compreso- hanno lo sguardo puntato su di lei, come se aspettassero una sua imminente reazione. Quando i suoi occhi ambrati incontrano quelli chiari dell'iniziato, il cibo per poco non le va di traverso.
"Jonathan." dice lei, la voce profonda e quasi minacciosa che ora ha assunto un'intonazione simile a quella di una domanda. Il ragazzo ignora lo sguardo confuso di tutti i presenti, soprattutto il mio.

"Elizabeth." risponde lui. I suoi pugni si stringono tanto da far diventare le nocche bianche. "Mi dispiace. Mi sono sempre comportato da idiota con te, e non avrei dovuto farlo, così come non avrei dovuto colpirti, umiliarti, provocarti, minacciarti, sbeffeggiarti, gridarti contro, prendermi gioco di te... Be', insomma, sai cosa ti ho fatto. Ti devo delle scuse che spero accetterai." la sua voce è meccanica e palesemente forzata, come quando costringi due bambini che non si possono tollerare a fare la pace.
A dir la verità, non avrei mai rivelato a nessuno i segreti di Jonathan, semplicemente perchè non mi importa un fico secco che gli piacciano i ragazzi. Ma la sua Divergenza... Quello è ancora un segreto di mia competenza.

La Candida rimane immobile, il busto appena girato per osservare l'Intrepido, la forchetta ancora fra le dita sottili e la bocca piena di carne che non sembra capace di ingoiare. Quando lo fa, però, i suoi occhi sfiorano tutti coloro seduti al nostro tavolo, e si soffermano su di me più del dovuto. Assottiglia le palpebre, come fa quando sospetta qualcosa. "Tu non me la racconti giusta": questo è quello che mi sta comunicando col lo sguardo.
"Spero che potremmo gettare le armi e provare a..."
"...essere amici?" sputa fuori la Candida, aggrottando le sopracciglia, come se Jonathan le avesse appena rivelato di volerla uccidere lentamente nel sonno.
"No, provare a tollerarci a vicenda."

Mi volto alla mia destra, verso Samuel, dandogli un colpetto con il gomito per catturare la sua attenzione.
"Ti suona familiare?" gli chiedo a bassa voce, indicando con la forchetta Jonathan. Samuel ride e annuisce, e l'Intrepido mi rivolge uno sguardo interrogativo, come a chiedere "Sto andando bene?", ed io per tutta risposta gli sorrido e gli faccio l'occhiolino, godendomi l'imbarazzo che gli tinge le guance di rosso.
"Accetto le tue scuse, e anche la tua proposta di provare a tollerarci. Mi devo scusare anche io, comunque. Dopotutto, ti ho rotto un dito." dice Elizabeth all'improvviso, un sincero sorriso amichevole le curva gli angoli delle labbra. Conosco i sorrisi falsi di Elizabeth, quelli affilati che usa per schernire la gente, e quello che ha adesso non appartiene a quella categoria. "Anzi, vuoi unirti a noi? Stavamo parlando di lotte corpo a corpo... Penso che sia un argomento che ti interessi, vero?"

"Sì... Sì, è così." sorride sinceramente sorpreso Jonathan, mentre Richard gli fa spazio e l'intrepido siede accanto ad Elizabeth. Dallo sguardo dell'Erudito, capisco che poco prima stavano parlando di tutto, tranne che di allenamenti.
Ma Elizabeth sa sempre cosa dire, per farsi piacere da una persona.
O per farsi odiare.
Più spesso è la seconda.

Le conversazioni continuano piacevolmente, al nostro tavolo occupato da un'improbabile compagnia. Elizabeth ha fatto del suo meglio per cercare di far sorridere Jonathan con qualche battuta o racconto divertente, e ci è anche riuscita un paio di volte, beandosi dell'apparente innocenza che i mezzi sorrisi dell'Intrepido trasmettevano. Ma il ragazzo è mentalmente altrove, probabilmente ancora in palestra, schiacciato contro la colonna assieme al rude e spietato Eric.
Samuel si è rivelato un ottimo compagno con cui parlare. Il Candido, mi duole ammetterlo, è dotato di un'empatia e di un grande animo buono, ed è questo che apprezzo di più di lui. Ogni tanto guarda ancora Elizabeth con occhi sognanti e tristi, quasi stesse osservando il suo più grande sogno svanire lentamente come polvere gettata al vento.

"Non vuole perderti." mormoro sperando che nessun altro a parte lui mi senta. "Forse non ti ama in quel modo, ma non sopporterebbe l'idea di non averti accanto. Me l'ha detto lei."
"Prima o poi me ne farò una ragione. Prima di amare gli altri deve imparare ad amare se stessa." abbassa lo sguardo "Quindi, se vuoi farla innamorare di te, Eric..." sussurra, esitante "...falla sentire la ragazza più spettacolare del mondo. Non dovrebbe essere difficile." aggiunge poi, a voce più bassa, guardando con occhi dolci e tristi la Candida, che ora sta ridendo allegramente con Jonathan e Alice, come se le crudeltà alle quali ha dovuto assistere -ed esserne spesso diretta vittima- non l'avessero mai sfiorata.

***

"L'avresti mai immaginato? Jonathan è un tipo simpatico, dopotutto. E suppongo tu non mi dirai che cosa gli hai combinato, prima che lui venisse a chiedermi scusa." sta ridendo Elizabeth, mentre supera l'ingresso dell'appartamento.
La piacevole luce dorata del tardo pomeriggio entra dalla grande finestra, creando un rettangolo di sole sul pavimento polveroso, sopra il quale il pulviscolo danza leggiadro e quasi invisibile.

Chiudo la porta a chiave, lentamente, con calma, ammaliato dalla bellissima e sensuale creatura nella mia stanza, anche conosciuta con il nome di Elizabeth Ride. Non importa quanta luce possa illuminare questo appartamento, lei sarà sempre più luminosa e raggiante.
Elizabeth è la ragazza che, quando passa e cammina con quella sua andatura sciolta e minacciosa, tutti si girano per guardare, indecisi se quella sia la creatura più bella o pericolosa che abbiano mai visto.
Ed è la stessa ragazza con gli occhi da felino, di quel particolare castano ambrato dalle mille sfumature dei più svariati colori, che ti fa mettere in discussione l'ardente bellezza dei tramonti estivi.

Daniel me l'ha detto, sono un ragazzo fortunato. Dopotutto, ho la ragazza dei miei sogni nel mio appartamento, un radioso sorriso sul suo viso perfetto, che mi fissa intensamente come a chiedersi "Cosa diavolo sta facendo il mio ragazzo lì impalato, invece di venire qui e darmi le attenzioni che merito?".
E allora accontento la sua tacita richiesta, anche perchè è fisicamente doloroso starle lontano per più di qualche minuto.
Mi avvicino a lei, attraversando la stanza a grandi passi per poter stringerla fra le braccia il prima possibile, come se stesse per scadere un conto alla rovescia ed alla fine lei possa svanire nell'aria polverosa della stanza.

Mi ancoro ai suoi fianchi morbidi, tirandola a me mentre lei incrocia le braccia dietro la mia nuca, e ci baciamo con passione e desiderio, le nostre menti ed i nostri corpi che danzano spensierati come il pulviscolo che svolazza agitato, sospeso nel vuoto del mio appartamento.
Con una mano le accarezzo i capelli, spingendola ancora di più verso di me come se in un attimo potesse sfumare via, lasciandosi dietro solo il suo piacevole profumo di primavera.
Elizabeth mi ha donato così tanto, andando oltre le apparenze, sfidando con coraggio il giudizio degli altri e salvandomi da neanche io so cosa. Mi ha accolto nel suo cuore, rivelandomi segreti che solo in pochi erano degni di conoscere. Mi ha mostrato tutto ciò che rende la vita degna di essere vissuta e assaporata fino all'ultimo secondo.

Mi ha insegnato che la persona che ero un tempo non fa di me ciò che sono ora, e che posso sempre cambiare, basta che io lo voglia.
Tutto questo l'ho imparato da una sola, piccola, esile Candida.
Ed ora la stringo fra le mie braccia.
E mi sento stupido, perchè so che merita di sentirsi dire quanto io la ritenga unica e insostituibile.

"Vorrei dirti una cosa." interrompo il nostro bacio, catturando la sua attenzione e la sua curiosità. Apre i suoi enormi occhi che ardono di passione, puntandoli sui miei. È passato un po', da quando l'ho conosciuta a fondo, eppure il suo sguardo mi mette ancora in soggezione. Probabilmente, perchè non so mai cosa c'è dietro a quelle dolci iridi da predatore, e quale pensiero contorto sta mettendo alla prova il suo sistema nervoso. "Però forse... Dovrei aspettare ed esserne sicuro, prima di dirtelo."
"Non abbiamo mai aspettato per essere sicuri di qualcosa, fino ad ora, lo sai." mi accarezza la guancia con una mano, rassicurandomi come se fossi ancora un bambino nelle vesti di un Erudito spaventato.
"Elizabeth Ride," le prendo la testa fra le mani, assicurandomi che la sua attenzione sia rivolta soltanto a me e alle mie labbra, che ora stanno pronunciando, con lancinante lentezza, le parole che sogno di dire a qualcuno da più tempo di quanto mi piaccia ammettere. "Ti amo."

Un silenzio di tomba devasta la stanza. Negli occhi di Elizabeth compare il debole luccichìo di una marea di lacrime, e la loro umida scia segna subito entrambe le guance. La Candida si porta una mano alla bocca, reprimendo un sospiro emozionato, e poi al petto, come a fermare la disperata corsa del suo cuore, che sta cercando di liberarsi dalla sua piccola gabbia toracica per congiungersi al mio e dimostrare con i gesti ciò che a parole è impossibile esprimere.
Si limita ad annuire velocemente, più e più volte, prima di lasciare che le lacrime facciano il loro corso sulla sua pelle pallida. La afferro per le spalle e la tiro verso di me, cullandomela al petto e accarezzandole i capelli.
"Ti amo anche io." sussurra cercando di contenere un tenero fremito, mentre ricambia l'abbraccio e si stringe a me. "Ti amo anche io, Eric."

In un attimo, le labbra di uno cercano quelle dell'altra, frettolose, agitate, forse anche timorose che qualcosa possa andare storto, rovinando questo momento che anche agli occhi del più crudele Erudito sembrerebbe perfetto.
La sollevo, senza interrompere il nostro bacio passionale, e la faccio stendere sul letto, accompagnando il movimento con una carezza sulla schiena e togliendo la mano soltanto quando sento la sua pelle liscia aderire al materasso.

Elizabeth mi accarezza i tatuaggi sul collo, morde il mio labbro inferiore, facendo tintinnare il piccolo piercing ad anello. Quel flebile suono, quasi impercettibile, con tutto il frastuono dello schiocco dei nostri baci, accende in me una fiera consapevolezza.
Siamo Intrepidi, liberi come il vento e coraggiosi a tal punto da scambiarsi questi sguardi intensi e parole potenti come quelle che pochi secondi fa sono uscite dalla nostra bocca.
Ed è proprio la stessa bocca che ci impegniamo a mordere, martoriare, violare con baci e dichiarazioni soffiate sottovoce.
E siamo Intrepidi, entrambi, insieme.

"Voglio che tu sia il primo." mormora lei, sicura, mentre afferra le mie mani e se le porta ai fianchi, guidandole sulle sue gambe fasciate dai jeans neri e sul suo petto, coperto da una canottiera sportiva che non fa la dovuta giustizia al suo corpo stupendo. Faccio fatica a respirare, ora, lo sguardo che guizza dai suoi occhi alla striscia di pelle che si sta pian piano rivelando a me. "Non voglio nessun altro, solo te, Eric."
Elizabeth afferra i lembi della mia maglietta, ed io me la sfilo immediatamente, non aspettando neanche una sua richiesta. Incapace di staccare lo sguardo dal mio corpo, la Candida fa scivolare una mano sul mio petto, scendendo poi all'addome e soffermandosi sui passanti dei jeans. La guardo, la mano ancora sui suoi fianchi quasi completamente nudi, e lei ricambia sorridendo, prima di stamparmi un pudico bacio sul petto, in corrispondenza del cuore.

Alcuni secondi dopo, tutte le barriere di tessuto e cuoio sono eliminate, evaporate, svanite. Resta solo la carne, i sospiri e i nervi tesi come corde di violino. Mi impegno a baciare ogni centimetro di pelle di Elizabeth, sussurrandole complimenti di tanto in tanto. Non voglio che pensi stupidaggini del tipo di non essere all'altezza di un Capofazione, soprattutto perchè, anche adesso, nuda e vulnerabile in ogni senso immaginabile, sento nel profondo che Elizabeth è ancora molto, molto più grande e coraggiosa di me.
"Farà molto male?" chiede, con un filo di voce, torturandosi l'interno della guancia con i denti.
"Un po'. Ma se vuoi che mi fermi, basta che tu lo dica." le bacio la fronte, il naso, le labbra "Non vorrei mai farti del male."
"Lo so." dice "E mi fido di te."
"Ti amo, Elizabeth, sei la cosa più bella che mi sia mai capitata." mi lascio sfuggire, poco prima di prendere anche quel piccolo stralcio di innocenza che era rimasto in lei. Sento le sue unghie scavarmi nella pelle, e subito segue un gemito, forse di dolore, forse di piacere. Forse entrambi.

*

Quando ho detto che Elizabeth non sarebbe stata la prima ragazza con la quale sarei andato a letto, di certo non mentivo. Ma, in mia difesa, posso dire che fare l'amore con lei è stato come rifarlo per la prima volta, speciale, intenso, unico, come se fosse diventato di nuovo un territorio a me sconosciuto, come se mi fossi spinto nuovamente oltre i miei limiti autoimposti.
Ed ho mantenuto la mia promessa, sono stato accorto e attento ad ogni sua minima reazione, fermandomi quando vedevo che il dolore le faceva storcere la bocca in una smorfia non compiaciuta, e animandomi quando mi sospirava nell'orecchio o mi baciava con passione.
Ho intravisto un sorriso, nell'atto, e ho dovuto trattenermi dal fermarmi a contemplare quella visione paradisiaca. Ho baciato ogni singola goccia di inchiostro sulla sua schiena, dimenticando per un attimo che per quel tatuaggio rischierebbe una minaccia per insubordinazione e, dunque, la morte.
Mi sono dimenticato tutto, facendo l'amore con Elizabeth, e non mi sono mai sentito meglio in tutta la mia vita. Leggero, spensierato, completo.

Elizabeth è stesa accanto a me, quasi dormiente, appoggiata alla mia spalla con un braccio sul mio addome. La luce argentea della sera le illumina lo sguardo, rendendolo misterioso e quasi inquetante. Abbiamo passato tutto il giorno in stanza, lei non si è presentata in Sala Simulazioni, ma oggi questo non è importante. Ciò che importa, ora, è che io e lei siamo insieme, nello stesso letto, e che questa giornata è stata perfetta.

Quando mi guarda, le sfioro con le dita la dolce curva della sua schiena, tracciando schemi invisibili in corrispondenza dei simboli delle Fazioni tatuati sulla sua pelle. Posa un bacio sul mio petto, proprio sul tatuaggio che legge la scritta "Be brave", sii coraggioso, il primo tatuaggio che io abbia mai avuto. Elizabeth appoggia il mento sulla mia spalla e sorride beatamente. Se questo non è coraggio, penso guardandola, allora vuol dire che non ne conosco per niente il significato.

"Non ho parole per descrivere quanto mi è piaciuto." farfuglia, forse anche lievemente imbarazzata, accarezzandomi la guancia. "È stato meravigliosamente perfetto. E tu... Sei stato così premuroso, con me."
"Te l'ho detto, non ti farei mai del male."
"Lo sai, dalla prima volta che ti ho visto sul cornicione mi sono ripromessa di doverti conquistare."
"Conquistare me?" ridacchio, anche se sono lusingato dalle parole della Candida. "Dovresti rivedere i tuoi gusti, Elizabeth."
"Be', ho visto che mi guardavi." dice, sorridendo maliziosamente. Ride e mi stampa un bacio sulla guancia. "E ho cominciato a guardarti anche io. Ho capito che eri uno tosto, e allora ho pensato: "Se voglio fare colpo su di lui, devo per forza essere la Prima a Saltare". E così l'ho fatto." spiega, con un tono di voce innocente, ma capisco dalla sua espressione che è chiaramente fiera di quello che ha fatto. "E ora siamo qui, quindi direi che ha funzionato..." la sua voce si affievolisce quando conclude la frase, ed un tenero imbarazzo le tinge le guance di rosso.

La guardo in silenzio, gli occhi appena spalancati dallo stupore. L'ha detto. L'ha detto.
 "Hai saltato per me?" sorrido incredulo.
"Certo! Perchè mai avrei dovuto farlo, altrimenti?"
"Perchè sei coraggiosa." spiego.
"Eric, me la stavo facendo sotto dalla paura! Buttarmi in quella voragine... Avrei potuto schiantarmi e diventare frittata di Candida."
"Hai saltato per me." ripeto, ancora incapace di crederci. Penso di averlo ripetuto anche una terza volta, perchè lei ride divertita e volta il mio viso verso di lei.

"Sì, ho saltato per te, perchè mi sei piaciuto sin dal primo momento che ti ho visto. Mi è piaciuto osservarti di nascosto e quando ho capito che provavi qualcosa per me... Insomma, l'ho trovato strano, all'inizio, pensavo sempre che avresti dovuto smetterla di fissarti con me e guardare le modelle che giravano per la Residenza. Anche se sarebbe stato controproducente per i miei fini. Poi ho capito che eri... affascinato..." pronuncia quella parola con riluttanza, come se si sentisse a disagio. "...dal mio modo di pensare. E hai sbloccato qualcosa in me. Hai apprezzato ogni mia singola qualità e accettato ogni mio singolo difetto. E ora che abbiamo fatto..." gesticola con le mani, indicando le lenzuola attorcigliate attorno ai nostri corpi. "Mi sento così..."
"...Intrepida?" le sorrido, intenerito dalle sue parole.
"Intrepida." sussurra lei. Mi bacia a lungo, prima di riportare i suoi splendidi occhi su di me. "Ti amo"

La bacio sulla fronte, ancora non abituato a rispondere ad una frase del genere.
"Eric, vorrei... Insomma, posso..." chiede all'improvviso, quasi imbarazzata, fissando lo sguardo sulle mie labbra. "Posso dormire con te, stanotte?"
Sospiro, e strizzo gli occhi nella penombra in direzione dell'orologio analogico appeso al muro, cercando di intravedere anche solo vagamente la posizione delle lancette.
"Dovresti essere al dormitorio, Elizabeth, lo sai che ci sono degli orari da rispettare. Non voglio che ti cacci nei guai." le ricordo dolcemente, stampandole un bacio in fronte.
"Non mi farò scoprire. I ragazzi mi copriranno le spalle." si affretta a rassicurarmi "Ti prego, voglio solo addormentarmi e risvegliarmi con te. Inoltre, il dormitorio puzza di umido."

Ci penso su: sono perfettamente consapevole che questa non è una cosa prudente, ma d'altra parte anche a me piacerebbe l'idea di dormire stretto ad Elizabeth, accarezzarle i capelli fino a farla addormentare per poi guardare il suo dolce viso rilassato, ipnotizzato da quella singolare bellezza che tanto la caratterizza.
"Va bene." mormoro, le labbra ancora appoggiate sulla sua fronte "Solo per stanotte. Non ti permetterò di rischiare un'altra volta."
"Stai mentendo." ride "A te stesso, più che a me."
"Proprio così." dico io, spostandola su di me.

La cullo stringendola al mio petto, aspettando che il suo respiro si faccia più regolare e il suo corpo si abbandoni completamente a me. Le bacio i capelli, inspirandone il tipico profumo selvaggio di primavera, misto a quello del vento indomabile. Quasi senza volerlo, dopo qualche minuto, comincio a parlare, mormorando piano per evitare di svegliarla.

"Sei una creatura così perfetta che a volte mi verrebbe da odiarti. Nella mia testa non riesco a smettere di ringraziarti per aver deciso di cambiare Fazione." le mie parole si perdono dell'umida oscurità della stanza. Confessarle quanto lei significhi per me è molto più facile, quando lei non può sentirmi. "Senza di te, non sarei nulla."
Le dita di Elizabeth si muovono stanche e impercettibili, salendo dal mio petto fino alla linea del mio collo, accarezzando i tatuaggi e lasciando gelide linee invisibile sulla mia pelle.
Ha sentito tutto, ed io mi sento come un bambino colto con le mani nel contenitore dei biscotti. Vulnerabile, spaventato, pronto ad una battuta su quanto io sia ridicolo o quanto sia pericoloso quello che ho detto.

Ma Elizabeth non dice nulla, e posso quasi percepire il suo sorriso abbozzato nell'oscurità, e mi rendo conto che non ho nulla di cui vergognarmi, perchè le ho semplicemente detto la pura verità. Le accarezzo la mano, ancora poggiata sul mio collo, e fisso il soffitto con un sorriso imbarazzato ma soddisfatto.
Voglio sentirmi così per sempre.
Forse, per me, c'è ancora speranza. 
   
 
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