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Autore: madotsuki888    29/09/2017    0 recensioni
"La morte era l'unico amore di cui aveva bisogno e dal quale aspettava solo di essere ricambiato".Nella frenesia della grande città portuale giapponese,il passato di Osamu Dazai si snoda tra gli affari della Port Mafia e gli incontri che cambieranno lui e il suo destino. In un mondo in cui prevale la legge del più forte, c'è ancora spazio per questo sconosciuto chiamato "amore"?
Genere: Azione, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Chuuya Nakahara, Doppo Kunikida, Gin Akutagawa, Osamu Dazai, Sakunosuke Oda
Note: Lime, Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!, Violenza
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Alla prima sigaretta del mattino,la città del porto si svegliò.

La bellezza di quell'alba, rosa come il carico di lenzuola di seta sporche del battello notturno, volava lontana come il palloncino dimenticato di un bambino. Scendevano in quei momenti gli uomini incravattati, che già gonfi di vino fin dal primo mattino, lasciavano le donne riccamente vestite, con cui avevano trascorso la notte, a sorreggere i loro passi ondeggianti come le onde. Tra le loro risate sguaiate e il suono dell'acqua che batteva sui remi,il piccolo corteo di malavitosi presto si dileguava in lontananza.

Ritornato il silenzio sul lavoro dei pochi mozzi e marinai presenti,dal battello un solo uomo scese per ultimo. In mano però non aveva nessuna valigetta ventiquattro ore piena di miliardi di yen,ma un'altra mano ancora:quella di una bambina. Era vestita in maniera molto simile alle donne di prima,ma quei costumi tradizionali dell'isola su cui era approdata non camuffavano le sue origini. I tratti occidentali del suo viso e la pelle di porcellana che sembrava rompersi al sole da un momento all'altro erano lì,nel loro acerbo splendore. Un bottino pregiato. Degno del boss della Port Mafia.

Camminavano lentamente,come immersi in un sogno,verso la scia di fumo che li attendeva sulla terraferma. Un giovane bellissimo appena maggiorenne,pieno di bende e dall'odore di polvere da sparo, fumava quieto e li attendeva. Stava seduto sull'orlo della banchina,incurante del pericolo, e anzi desideroso di poter essere spinto da un momento all'altro tra le braccia mortali del mare putrido del porto. Ma questo né l'uomo, né la bambina avrebbero potuto notarlo,nonostante il suo sguardo vuoto e perso nel silenzio, mentre la sigaretta si consumava tra le sue dita: le luci soffuse del nuovo giorno creavano sui suoi capelli bruni il riflesso di un'aureola, di un angelo. Il riflesso di qualcosa che lui non era.

Mentre loro si avvicinavano,egli fece per alzarsi. Il vento soffiava sul suo pesante cappotto marrone,lasciando scoperta la camicia scura,chiusa appena all'altezza del nodo della cravatta. Approfittò di quella brezza per lanciare via ciò che restava della Winchester: un filtrino consumato dal fuoco dei suoi pensieri,che galleggiava sull'acqua agitata perdendo il suo colore,non più' arancione come i pesciolini del Tanabata. La bambina doveva averlo notato,perché mentre gli sguardi dei due adulti,ora entrambi in piedi l'uno di fronte all'altro, si incontravano nel loro ancora burrascoso rapporto cane-padrone, lei aveva cominciato a fissarlo morbosamente,sporgendosi un po',ma senza mollare la mano del suo protettore. Ci mise poco a constatare che non si trattasse di chissà quale rarità,e con velocità fulminea portò i suoi occhi sul nuovo sconosciuto.

«Non ti si addice questo ruolo,Dazai».

La voce di quell'uomo,Ougai Mori,era più' profonda del paesaggio stesso,qualunque esso fosse. E qualunque suono emettesse, che fosse il fruscio di un'onda o il colpo sordo di una barca sul molo, non riusciva a scalfire l'autorità che ogni sua parola aveva se non lasciata stagnare alle orecchie di un interlocutore poco attento. Ma anche fosse esistita una persona del genere,la Port Mafia se ne faceva poco:i suoi discorsi non erano solo ordini,erano leggi che si imprimevano sulla carne e nei ricordi fin dal primo ascolto.

«Se mi permette,nemmeno a lei si addice andare a spasso con una bambina,boss».

Ougai sorrise compiaciuto della risposta. La piccola alzò la testa per osservare meglio come quel volto totalmente inespressivo stesse cambiando del tutto,ma era per lei difficile capire se quel rivelare i denti fosse un sorriso o un ghigno. Anche perché pochi secondi dopo stava già rispondendo affiatato,tra l'ammirazione e la cautela.

«Siamo quasi alla pari allora,ma ne hai ancora di strada da fare per arrivare al mio posto. Nonostante ciò,è stato molto premuroso da parte tua venire per scortarmi fin da qui. E' una cosa che denota molta umiltà da parte di un pezzo grosso della nostra organizzazione,quale tu sei. Lo apprezzo davvero molto.»

A quelle parole,Dazai abbassò lo sguardo e si spostò alla destra del boss per aprirgli la strada, come se fosse un valletto. Il suo passo felpato ed elegante era degno di un principe e perfetto per un assassino. Con la mano sul cuore come un maggiordomo, prometteva fedeltà e si compiaceva con se stesso della sua miseria.

«Si figuri,per me è cosa da nulla. Sapevo che voleva parlarmi, e i guardiani del secondo deposito ad est mi avevano detto che l'avrei potuta incontrare qui stamattina. Così...-»

«Puoi darmi dal tu. Te lo ripeto, non ti si addice. Sei anche un po' raccapricciante,a dirla tutta. Dai miei uomini preferisco avere più' risultati che cortesie. Ci siamo intesi?»

Dazai volse l'attenzione all'uscita del porto. Si girò di spalle, indeciso sul da farsi. Poi si mostrò di nuovo al boss, con lo stesso sguardo che riservava alle sue vittime, pieno di quel fascino fiero e indifferente alle convenzioni.

«Intesi».
 

         ***
 

Con lo stesso passo calmo e trionfante,il trio si dirigeva verso il quartier generale della Port Mafia:era "la Vetta",come spesso veniva chiamato dai membri stessi nelle loro conversazioni. Al loro passaggio per le strade deserte vi era silenzio,rigore e all'occorrenza inchini. Dopo aver attraversato gli innumerevoli ticchettii emessi dai sistemi di sicurezza,presero l'ascensore di vetro:era il modo che Ougai era riuscito a pensare in quel momento per non annoiare la bambina. Infatti appena quello partì,lei era già assorta nel paesaggio che cadeva giù' alla loro salita.

Arrivati all'ultimo piano, le porte dell'ascensore si aprirono sul buio più' totale. Il boss andò avanti, guardando dritto nell'oscurità e prendendo per mano la piccola che stranamente al suo tocco si calmò:le erano venuti i brividi e senza quel suo gesto, anche secondo Dazai che li seguì a ruota e l'aveva osservava, non si sarebbe mossa.

Arrivato in mezzo alla stanza,Ougi Mori schioccò le dita e allora tutte le tende che coprivano le pareti di vetro si aprirono insieme,rivelando la lussuosa stanza arredata dal gusto francese e la meravigliosa vista della città fuori.

«Dimmi un po' Dazai,preferisci l'Inghilterra vittoriana o l'America della guerra di secessione?».

Adorava fare quel tipo di domande,apparentemente innocue ma anche un po' personali. Nella Port Mafia stessa si diceva che Ougi amasse molto conversare con chiunque di cose di questo tipo,mantenendosi però sempre ambiguo. Sebbene ricoprisse la sua posizione,era un uomo molto curioso.

«Penso gli inglesi siano sempre eleganti in qualsiasi periodo storico».

«Capisco. Allora ho deciso». Si rivolse alla bambina. Chiuse le sue mani tra le proprie. Le sorrise.

«Da adesso tu sarai Elise. Ti piace?»

Lo guardò negli occhi. Annuì.

«Questa da oggi è casa tua,Elise. Potrai chiedermi tutto ciò che vorrai. Va bene?»

Per la prima volta,Elise parlò con Ougi.

«Va bene».

Dopo averla lasciata un po' sola ad avventurarsi nella sua nuova dimora,chiamò la governante e le chiese di portarla a cambiarla con i vestiti acquistati dalla Russia la settimana prima. Poi, mentre le due scendevano al piano di sotto, richiuse la metà delle tende che davano sul lato della sua scrivania,si mise a sedere e e riprese la sua espressione seria.

«Direi di tornare a te,caro Dazai. Ho un incarico diverso dal solito,ma che penso gradirai. Anche se,dati i tuoi trascorsi,chiunque stenterebbe a crederlo...».

Ed era vero. Si intuiva da come guardava in quel momento il boss che non era un malfidato qualunque. Forse la giovane età avrebbe potuto celare a occhi inesperti qualche passata efferatezza in più'. Ma nonostante questo,Dazai era un mostro anche per quelli già navigati nella malavita da anni: il fantasma di una persona a cui era stato tolto tutto, e che invece di un aiuto aveva ricevuto in cambio un pugno. Si sapeva poco e nulla sul suo passato,se intendiamo quello precedente alle sue gesta nella Port Mafia. Secondo alcuni era figlio di una coppia di commercianti benestanti vissuti nelle ricche periferie,che si erano dati la morte insieme per i troppi debiti, lasciando il loro unico figlio alle cure di orfanotrofio, che da lì a pochi mesi sarebbe fallito con i propri orfani per strada a far la fame. Per altri Dazai era una sorta di "purosangue", nato nella mafia stessa da un rapporto illecito durato una sola notte. Entrambe le versioni erano però plasmate sull'ammirazione dei vertici e dei briganti nei suoi confronti e la reputazione che si era costruito nella sua adolescenza (sempre se così la si poteva chiamare),piuttosto che su fatti e testimonianze reali.

«Sono tutto orecchie». Si mostrava passivo,ma comunque interessato.

«Si tratta di seguire una persona per un certo periodo di tempo. Un uomo. Ho deciso di chiederlo a te perché non ho ancora deciso sul da farsi. Ma se decidessi di passare alle maniere forti,so che solo tu potrai tenergli testa.»

Aprì il cassetto alla sua sinistra e ne tirò un libro: il Musashino. Lo prese per la costola e incominciò a scuoterlo fino a che da quelle pagine non cadde una foto. Era un po' ingiallita,ma ben conservata.

«Tieni,puoi prenderla». La posizionò sulla scrivania, con il volto stampato sopra verso Dazai.

Lui si avvicinò e la prese. La guardò per un attimo. Qualcosa lo turbava, ma poi mostrandosi incurante,se la mise in tasca senza protestare.

«Prima di accettare e andare via però, devi promettermi due cose. Primo:ti lascio la libertà di seguire il tuo modus operandi,ma entro tre mesi voglio avere dei risultati. E secondo...».

Ougi fece un attimo di pausa. Forse in maniera troppo teatrale e in fondo inutile,trovandosi davanti colui che annullava qualunque cosa con il suo tocco, che fosse un'Abilità o un'intera organizzazione.

«Se lo stato delle cose dovesse precipitare,vorrei che lo uccidessi. Siamo in un momento delicato per la nostra egemonia, e fare più vittime possibili di questo tipo sarebbe la cosa migliore».

Osamu Dazai si mise a ridere amaramente. Altro che principe. Lui era solo un seminatore di discordia come tanti in quella città senza speranza.

«Accetto l'incarico con gratitudine»

«Molto bene. Se ti va,fermati alla reception. E' arrivato un nuovo carico di Winchesters da dieci».

Come risposta,il giovane sorrise uscendo. A passi svelti entrò nell'ascensore e lasciò che le porte si chiudessero alle sue spalle.
 

                                                                                             ***
 

Con il calar della sera, Dazai scartò il pacchetto.

Erano quelle classiche,con la carta a righe e il tabacco messicano. Appoggiato a un lampione, stette lì ad ammirarle per un po' di minuti. Si era allontanato dalle strade trafficate e aveva preferito gustarsi la solitudine in un vicolo poco frequentato, in cui della vita della città si poteva sentire solo qualche suono lontano. Del resto,da quella parte c'era anche il luogo in cui era diretto.

Si portò una delle sigarette che aveva tanto contemplato alla bocca e la accese,mentre si incamminava per quelle vie solitarie. Cercava, in questi rari momenti di tranquillità,di provare a dare un senso a ciò che stava facendo. Ma era inutile. Lui aveva deciso di dimenticare il mondo là fuori.Era capitato in quel sistema in cui il più forte mangiava il più debole e ci si era adattato perfettamente. Non era male in fondo. Aveva tutto,la mafia lo faceva comunque andare avanti e provvedeva al suo sostentamento. Eppure in lui scricchiolava qualcosa. I pezzi non combaciavano,ma lui li avrebbe lasciati scontrarsi in quel modo dentro di sé:perché in fondo non c'era nulla di importante che valesse la pena proteggere. Se lui fosse morto,qualcun altro lo avrebbe rimpiazzato. Se lui avesse continuato a vivere,poca sarebbe stata la differenza. Avrebbe vissuto per sempre nelle tenebre,nell'ombra di una vita normale che non aveva mai avuto e che avrebbe potuto solo scrutare, negli occhi di chi non aveva mai preso in mano una pistola per uccidere.

Una vita in cui la sera vai al bar e bevi solitario per dimenticare. Ecco dove ora era arrivato Dazai, dove andava alla fine di ogni giorno in cui era ancora vivo come un disgraziato. Tempo di finire la sigaretta che già scende i gradini:e per ognuno di questi c'è una corda nel suo cuore che si spezza,un nodo alla gola da sopportare,lacrime da trattenere con un sorriso beffardo. Erano quelli i momenti in cui avrebbe preferito essere un debole tirapiedi,il cui destino è quello di essere ucciso con un colpo di pistola sulla fronte. In ogni momento,sperava nella morte. Perché era questo il suo segreto:non solo non la temeva, ma la desiderava con tutto se stesso e faceva qualunque cosa potesse renderla più vicina a sé. La morte per Dazai era l'unico amore di cui aveva bisogno e che aspettava solo di essere ricambiato.

Al bancone, il cameriere gli servì a malincuore il solito liquore. Ma il suo cliente sembrava così felice quando si rivolgeva a lui, che egli non era ancora riuscito a capire cosa fosse quella sensazione di gelo che provava nell'osservare la sua mano stringere il bicchiere.

Mentre l'orologio segnava le dieci, la porta colorata del locale si aprì,lasciando entrare un cliente meno allegro,ma dal volto più rilassato. Era poco più alto di Dazai,portava una giacca sul braccio e aveva i capelli rossicci. Si sedette a un posto di distanza da lui con disinvoltura e chiese educatamente al cameriere:

«Un bicchiere di Umeshu anche per me,grazie».

Dazai non lo aveva mai visto prima. Forse veniva dalla periferia. Eppure si sentiva in soggezione senza un preciso motivo. Alzò la testa dal bicchiere per guardare il nuovo sconosciuto. Ma se Elise non vedeva nulla negli altri,lui trovava un certo fascino nel modo in cui prendeva il suo bicchiere, così quotidiano e disinvolto.

Dazai si schiarì la voce.

«E tu chi sei?».

   
 
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