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Autore: Elis9800    29/09/2017    3 recensioni
Kageyama Tobio è un geniale avvocato dal cuore di pietra.
Totalmente disinteressato a chi lo circonda, s’imbatte per puro caso in un medico dall’odioso sorriso perennemente stampato sul volto.
Quando una sistematica esistenza perfezionista e solitaria ne incontra una libera da schemi e sprizzante vitalità…
Un ferreo autocontrollo saprà resistere alle sconcertanti conseguenze dello scontro?
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[Future!AU]
[KageHina]
[side!BokuAka] [side!KuroKen] [side!IwaOi]
[14/15, epilogo in arrivo!]
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Karasuno Volleyball Club, Nuovo personaggio, Shouyou Hinata, Tobio Kageyama
Note: AU, Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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I

Un imperfetto scambio di idee





 
“Si può sapere quanto diavolo debba ancora aspettare? Ho un’arringa in tribunale tra poche ore e non posso certamente presentarmi in queste condizioni! Quanto ci vuole perché qualcuno si decida finalmente a riaggiustarmi il braccio?!”

Gli strepiti di Kageyama si fecero sentire per tutta la sala d’aspetto del pronto soccorso, provocando l'esponenziale aumento dei singhiozzi di parecchi infanti in braccio alle loro mamme.

“Vuole abbassare un po’ la voce? Spaventa i bambini in questo modo” sbottò con tono schietto e sbrigativo una signora sulla quarantina, che stringeva al petto un fagottino di coperte pesanti da cui sbucava un piccolo visetto piuttosto pallido.
“D'altronde è inutile che si lamenta tanto, qui aspettiamo tutti il nostro turno” intervenne stancamente un’altra, il volto sfiancato fisso sui due gemelli di circa tre anni ricoperti di pustole, che parevano non essere intenzionati a rimanere fermi un singolo istante.

Il viso dai lineamenti ben definiti di Tobio assunse un’espressione sprezzante.

“Peccato che i suoi bambini non debbano vincere una causa che sarà di fondamentale importanza per il loro studio legale” pronunciò velenoso, lanciando un’occhiata gelida alle faccine martoriate e spensierate.
La donna rimase interdetta a quelle parole e non seppe cosa ribattere a quel giovane uomo vestito di tutto punto, dalla camicia bianca inamidata ai neri pantaloni attillati, con quei gelidi occhi blu capaci di perforare persino un muro di cemento.
Certamente era una figura che stonava all’interno del rumoroso e fin troppo movimentato reparto ospedaliero di primo soccorso, in cui venivano convogliati potenziali pazienti di tutti i generi: da coloro che non si reggevano in piedi a causa di uno svenimento fino alle vittime di traumi, sanguinanti con estrema copiosità.
Più che scomporre o turbare il giovane, tuttavia, la vista di quell'ambiente lo infastidiva.  
Persone assolutamente banali racchiuse in un comunissimo ospedale urbano. 
Niente che potesse anche solo minimamente stimolare il suo interesse.
Se avesse avuto possibilità di scelta, non sarebbe nemmeno giunto in quella struttura. 
Avrebbe certamente selezionato una clinica con personale altamente qualificato, in cui venisse perlomeno assegnata una stanza a ciascun paziente, non come quel raduno di malati pericolosamente contagiosi.
Chissà se avrebbe potuto intentare una causa contro l’ospedale, rifletté cupamente.
 


Dopo ulteriori venti minuti trascorsi a incenerire con lo sguardo ogni individuo finalmente ricevuto dai medici di turno, il giovane esaurì ogni briciolo di pazienza, già limitata, rimastagli in corpo.
Si alzò di scatto dalla poltroncina color crema, custodita gelosamente per tutta la durata dell’attesa, e si diresse a passo minaccioso verso la postazione dell’infermiere di guardia, piazzandosi davanti alla spessa lastra in vetro che ne divideva gli ambienti.
“Le hanno già assegnato un codice, signore?” chiese con molta gentilezza il ragazzo dal camice verdino e un grazioso neo sotto l’occhio.
“Certo, esattamente un’ora e mezzo fa!! Si può sapere cosa diamine aspettate a chiamare qualcuno dei vostri medici per procurarmi un gesso?! Non credo ci voglia poi molto, no?!” sbraitò, le vene che pulsavano sulla fronte semi scoperta dai liscissimi capelli corvini. 

L’infermiere mutò il sorriso cortese in un’espressione imperturbabile. 

Si portò i capelli argentei dietro le orecchie con estrema compostezza, come se non avesse appena udito nessuno urlargli proprio davanti al naso.
“Se non dovesse averlo notato, signore, la sala è colma di casi molto più urgenti della sua… frattura al braccio, presumo? I nostri medici staranno sicuramente occupando il loro tempo a salvare qualche vita, mentre a me lei sembra che stia benissimo… anche se, personalmente, le prescriverei un calmante, sembra piuttosto nervoso. Ah, e se le appare come una cosetta da niente, perché non prova ad aggiustarsi le ossa da solo? Risparmierebbe certamente molto del suo preziosissimo tempo” cinguettò con un candidissimo sorriso a trentadue denti, che si conficcò come una lama affilata nello stomaco di Tobio, riuscendolo perfino a zittire per qualche secondo.
Prima che potesse riaprir bocca per protestare, un uomo dalle spalle larghe e corti capelli castani sbucò dalla porta a due battenti che collegava la sala d’aspetto del pronto soccorso ai reparti interni, entrando poi con foga nel cubicolo in cui sedeva il grazioso infermiere. 

"Suga! E' in corso un’epidemia, tutti i bambini arrivati qui provengono dallo stesso asilo… ho bisogno di personale in più, non riusciremo mai a visitare tutti i pazienti in tempo” esalò concitato e con tono esausto quello che doveva essere il medico, asciugandosi la fronte imperlata di sudore con il grande avambraccio color caffellatte.
Tobio poté percepire un senso d’autorità non indifferente nonostante la statura non troppo elevata e gli stanchi occhi scuri.

“Finalmente qualcuno se n’è accorto! E’ da ore che lo ripeto” sbottò dunque il corvino dopo qualche secondo, nuovamente furente e sul piede di guerra.
La sua presenza fu notata solo in quel momento dal nuovo arrivato che, dopo avergli scoccato un’occhiata indagatrice, chiese sottovoce a Sugawara “Ci sono problemi?”
Venne però udito ugualmente dalle orecchie fin troppo sensibili di Kageyama, che ripartì con il suo mantra.
“Sì che ci sono problemi! Non so se si è capito bene, ma è di vitale importanza che io sia in tribunale tra meno di un’ora! Non sono uno che non ha nulla da fare comequesti qui” abbaiò, indicando con la mano sana la calca di persone malaticce che colmavano il salone.
Se avesse avuto a disposizione qualche altro secondo per elaborare la frase, sicuramente il medico non avrebbe lasciato correre quell’enorme mancanza di rispetto, ma fu preceduto dalla donna con il fagotto di coperte tra le braccia, che strillò esasperata. 
“Per l’amor del cielo, cedo volentieri il mio turno a questo qui se me lo levate di torno! Non fa altro che sbraitare come un isterico da quando ha messo piede qua dentro!”
Kageyama le avrebbe volentieri risposto a tono se non avesse udito con le proprie orecchie l’infermiere rispondere con un sospiro “Va bene, va bene, non si preoccupi signora, farò il possibile” e non avesse afferrato il telefono, premendo numeri a lui sconosciuti.
 
Dopo aver discusso per vari minuti con diversi interlocutori, alla fine Suga riattaccò l’apparecchio, espirando rumorosamente ma lasciando intendere un’espressione vagamente vittoriosa.

“Sono riuscito a trovare Shimizu e Hinata, saranno qui a minuti. Non è certo un’intera squadra di medici, ma è il massimo che ho potuto rintracciare, Daichi. Senza contare ovviamente che sono entrambi molto qualificati!” esclamò con un sorriso e il suo intero volto parve emanare tranquillità.
Anche il viso del castano sembrò più sollevato.
“Meglio di niente. Shimizu ci sarà di grande aiuto, essendo un’infettivologa. Credo che riuscirà a scovare la causa dell’epidemia in men che non si dica…” stava riflettendo ad alta voce, quando si accorse che non solo il corvino si trovava ancora lì davanti a loro, ma sul volto aveva stampata un’espressione omicida. 
Non che lo spaventasse davvero, ci voleva ben altro per intimorire Sawamura Daichi… solo che, in quel frangente, non aveva né il tempo né la voglia di perdere la pazienza. 
Anche perché avrebbe certamente terrorizzato i bimbi lì presenti.
“Di lui, invece, si occuperà Hinata” sbottò quindi in modo conciso, degnando quel prepotente a malapena di un’occhiata.
Suga, tuttavia, parve perplesso.
“Non avresti più bisogno del suo aiuto qui? E’ pieno zeppo di bambini… e poi, non credo che si troverebbe molto bene con questo qui” sibilò sottovoce al medico che, però, sollevò una mano come per scacciar via quella possibilità.
“Hinata è in grado di cavarsela con tutti. Non sarà un problema, per lui, trattare con uno scorbutico” sentenziò Daichi uscendo rapidamente dal cubicolo dopo un cenno di saluto al collega, per poi sparire nuovamente dietro la porta a doppio battente.
“Sempre che questo tizio accetterà di farsi curare da Shoyo" rifletté l’infermiere, grattandosi il mento con le dita sottili, pensieroso.
 

 
Mentre Tobio si mordeva il labbro dall’impazienza, controllando e ricontrollando il suo orologio per scorgere l’ora e stringendo di tanto in tanto i denti quando si ricordava del dolore pulsante all’avambraccio destro, udì una vocetta squillante chiamare il suo nome.
Si voltò di scatto, trattenendosi dall’emettere qualche verso sconnesso per il sollievo…
E per poco non prese la drastica decisione di sistemarsele davvero in autonomia le ossa, scappando via da quella gabbia di matti.
A qualche metro da lui si ergeva in piedi un’esile figura, una folta zazzera color carota e un sorriso allegro sul volto dai lineamenti delicati.
Dovette sforzarsi per evitare che i propri occhi fuoriuscissero dalle orbite.
L’unico dettaglio che distingueva quel… quel ragazzino dall’essere scambiato per uno studente delle medie, o del primo anno delle superiori se proprio voleva essere generoso, era il camice bianco che indossava e che quasi strisciava sul pavimento lucido.
Il medico, poiché dedusse che doveva trattarsi di lui, dovette scambiare lo stato di trance in cui era piombato il corvino per qualche strano sintomo, considerando che gli si avvicinò subito con un movimento fulmineo, afferrandogli il polso e contandone i battiti con lo sguardo rivolto all’orologio colorato sul braccio.
Le iridi blu di Tobio si posarono su quella mano rosea che a malapena arrivava a circondargli il polso.
Dannazione, ma quanto era piccola? 
Confrontata con la propria, sarebbe stato come porre a paragone il palmo di un padre con quello del figlio.
“Sembra tutto regolare” trillò quella creatura dai capelli rossi, sollevando il capo e sorridendogli incoraggiante.
Tobio non riusciva proprio a comprendere se si trattasse di uno scherzo.
Spostando appena il capo, riuscì ad adocchiare una donna dal camice perfettamente stirato uscire dalla medesima porta da cui era sbucato fuori il medico dalle spalle larghe di poco prima. 
La scorse dirigersi verso i bambini dalla faccia coperta di pustole e parlare pacatamente con la madre dal viso provato mentre carezzava la testolina mora delle due creaturine esagitate con tocco esperto.
Ecco, quella sì che possedeva l’aria di un dottore, asserì mentalmente Tobio, assegnando punti bonus agli occhiali discreti poggiati sul piccolo naso e l’elegante coda di cavallo che le raccoglieva i capelli corvini.
Mentre si domandava se fosse stato possibile proporre un cambio, udì la voce squillante sotto di sé esclamare in tono stranamente serio “Mi scusi, ma lei non parla, per caso? Perché sa, non sono molto bravo con il linguaggio dei segni… dovrei chiamare un interprete”
“Ma mi prende in giro?!” sputò immediatamente fuori, pizzicato nell’orgoglio da quella dichiarazione totalmente inappropriata. 
Istantaneamente il nanerottolo rosso ebbe un guizzo e indietreggiò celermente di qualche passo.
“Chiedevo soltanto, signor… Kageyama, giusto?” domandò un po’ timoroso, riavvicinandosi appena di qualche centimetro.
“Viene con me? Così vedo che posso fare per quella che sembra una brutta frattura?” aggiunse poi con tono vivace. 
Il legale rimase interdetto per qualche secondo. 
Pareva che quel rosso strambo stesse chiacchierando con un amico e non con un paziente piuttosto isterico.
Non avendo altra alternativa, comunque, Tobio si ritrovò suo malgrado a seguirlo.
 


“Ahia!” si lamentò Kageyama mentre il medico gli esaminava il braccio tumefatto e dolorante.

Gli occhi nocciola dell’altro si posarono sul volto iracondo del corvino, inarcando le sopracciglia fini.
“Ma come, uno grande e grosso come lei si fa male per così poco? Ahh, se avessi io la sua statura! Potrei sopportare di tutto!” esclamò scherzoso, muovendo l’arto del paziente in alcune strane angolazioni.

Almeno ne era consapevole, pensò un po' malignamente Tobio, squadrando per l’ennesima volta quello strano piccolo uomo.
Insomma, lui era ben conscio della propria altezza un po’ sopra la media, ma quello lì rasentava proprio il suo opposto. 
Poteva esser alto un metro e sessantacinque… costringendo lui di conseguenza a squadrarlo dall’alto in basso.
Non che solitamente guardasse le persone in maniera differente. 

“Che ha combinato per procurarsi una frattura dell’ulna, probabilmente composta?” trillò a un tratto il pel di carota, riscuotendolo dai suoi pensieri.

Tobio lo fissò in tralice. 
Come diamine era riuscito a diagnosticare la frattura se ancora non aveva ottenuto l’esito della radiografia eseguita solo pochi minuti prima?
E poi, a che importavano a quel nanerottolo i fatti suoi?

“Non sono affari che la riguardano” grugnì ostile, cercando di scacciare prepotentemente via l’immagine di lui che volava letteralmente dalle scale del proprio appartamento, scivolato su un giocattolo che la fastidiosa bambina del piano di sopra aveva sbadatamente dimenticato sull’orlo del primo gradino, causando a Kageyama un volo dell’intera rampa di scale.
Non a caso quel giorno ogni bambino che incontrasse gli dava su i nervi ancor più del solito. 
“E comunque, come fa ad esser così sicuro della diagnosi?” rincarò la dose, scettico.
Shoyo parve non scuotersi minimamente da quell’atteggiamento ostile e, anzi, assunse un sorriso ammiccante.
“In questi anni ho visto così tante fratture che sono arrivato a riconoscerle con un solo tocco!” spiegò con una naturalezza disarmante che, per chissà quale bizzarra ragione chimica, provocò l'accelerarsi improvviso del battito cardiaco del giovane avvocato.
“Ma lei è sempre così sorridente?” borbottò, dopo aver trascorso qualche minuto a osservare l’espressione rilassata e pacifica che quel tipo aveva stampata in volto mentre gli articolava l’avambraccio. 

Fu proprio mentre studiava i suoi movimenti che notò la targhetta bianca posta sulla tasca destra del camice all’altezza del cuore, su cui svettava inciso a caratteri cubitali in un rosso sgargiante “Dr. Hinata”, avvolto da tanti puntini colorati.
Ma che razza di professionalità era la sua?!

“Svolgo il lavoro che mi piace, quindi… beh, sì, sorrido spesso! Perché, le da fastidio?” rispose il medico con la stessa spontaneità di poco prima, provocando nel corpo di Tobio nuovamente quella strana e inspiegabile sensazione.

Perché quel tizio pareva così maledettamente felice? 
Insomma, stava solo mettendo a posto il braccio di un paziente sconosciuto.
Quell'atteggiamento, a lui incomprensibile... sì, lo infastidiva. 

“In questo momento mi irrita ogni cosa che possa causarmi un ulteriore ritardo. Quindi si sbrighi” ribatté brusco, distogliendo lo sguardo da quegli occhi sgradevolmente luminosi.
Il viso del rosso, inaspettatamente, non si scompose a quella frase tagliente. 
Al contrario, divenne curioso e piantò le iridi nocciola in quelle dell'altro, il quale fu vivamente colpito che quel ragazzetto non si fosse offeso per i suoi modi risaputamente sgarbati.
“Non deve tardare per via del suo lavoro? Di cosa si occupa?” chiese genuinamente interessato mentre stringeva delicatamente il gesso intorno alla pelle morbida di Kageyama.
Tobio lo fissò attentamente per qualche altro secondo, prima di grugnire lapidario “Cause legali, sono un avvocato.”
“Wooow, già così giovane? Deve essere bravo” sciorinò il rosso con una semplice e immediata deduzione.
“Così dicono” commentò soltanto il corvino, distogliendo lo sguardo.

Era la verità. 
Kageyama Tobio era sia il più giovane avvocato del suo studio legale, sia il più promettente. 
Gli erano già state affidate numerose cause, la maggior parte delle quali brillantemente vinte. 
Solo in alcune determinate circostanze il loro esito pareva cambiar rotta vertiginosamente…

“Che modesto! Quindi ha fretta perché vuole andare ad aiutare il suo cliente, Kageyama-san?” domandò, un po’ ingenuamente a dire il vero, Shoyo, guardandolo entusiasticamente negli occhi.

Tobio dovette sopprimere una risatina ironica.
Desiderava sbrigarsi... per andare ad aiutare il tizio che gli era stato assegnato?

“M’interessa vincere la causa, signor Hinata” ribatté, sprezzante.
Il rosso assunse un’espressione strana, che Tobio non seppe decifrare.
Abbassò rapidamente lo sguardo, dedicando improvvisamente tutta la propria attenzione alla fasciatura.
“Quindi… lei considera il suo mestiere solo un modo per ottenere merito personale?” domandò sommessamente.
Kageyama storse la bocca. 
Ma di che diavolo ciarlava quell’idiota?
“Beh, è normale voler vincere” saettò, seppur, inaspettatamente, con minor sicurezza del consueto.

In fondo, aveva sempre funzionato così. 
Gli unici interessi di Kageyama consistevano nel mettere in mostra tutto il proprio potenziale, escogitando perfette strategie per far crollare la parte avversaria dando sfoggio di tutta l'arte appresa durante gli studi mista al suo personale talento, per poter schiacciare miseramente la controparte.
Che soddisfazione più bella doveva esservi, nella sua professione?

“Non dovrebbe essere il suo unico scopo” osservò Shoyo mentre trafficava con alcuni strani strumenti sanitari.

Tobio ripensò rapidamente alle cause vinte, all’appagamento immenso derivato dall'aver conseguito l'obiettivo, dall’aver battuto l’avversario… e alle volte in cui aveva penosamente fallito, sopraffatto sia da colui che si rivelava sempre il migliore in quel campo, sia dalla propria inadeguatezza.
Strinse i denti e il sangue tornò a circolargli con maggior impeto nelle vene al pensiero di come Oikawa Tooru, quello strabiliante avvocato nato dal nulla, che aveva sputato sangue per riuscire a costruirsi una strada all’interno della carriera forense… lo battesse sempre.
Ogni. 
Dannata. 
Volta.
In ogni maledetta occasione in cui ci fosse lui a occupare il ruolo della difesa o dell’attacco… Kageyama poteva sempre considerarsi vinto.
Doveva ancora migliorarsi, studiare di più, esercitarsi maggiormente per raggiungere il suo livello…
 
“Certo che no. Bisogna anche voler battere con tutto se stesso l’avversario” sibilò dunque al termine di quell'impetuosa riflessione.

Resosi conto che il medico non accennava a sollevare lo sguardo dal suo braccio ormai quasi interamente ingessato, aggiunse “Insomma, per voi non funziona allo stesso modo con le malattie? Non v'importa sconfiggerle e proseguire con la ricerca?” chiese, come se il paragone fosse abbastanza ovvio.
Il rosso sollevò finalmente i grandi occhi nocciola.
“Sì, quello è un aspetto importante…” mormorò piano, tanto che il corvino dovette quasi chinarsi verso di lui per udirlo chiaramente.
“Ma il nostro compito non è soltanto curare una malattia. Lì o si vince o si perde, senza possibilità di scampo. Un medico… un medico cura una persona. Una persona con sentimenti e pensieri… e, in questo caso, per me si vince, sempre!” rispose con ardore e gli occhi gli brillarono di un’intensità tale da poter rimanere folgorati.
Tobio non riuscì tuttavia ad afferrare quel concetto astratto.
Notando lo sguardo confuso del giovane legale, Shoyo cercò di spiegarsi meglio.
“Io… io voglio aiutare i miei pazienti, prima di dedicarmi soltanto a ciò che li fa star male. La persona e la sua malattia... non sono la stessa cosa”
Il corvino storse il naso, sbuffando.
“Nel lavoro non c’è bisogno di certi sentimentalismi” sputò acidamente.
“Ciò significa che a lei... non interessa davvero che le persone che le si rivolgono riescano ad ottenere giustizia?” esalò Shoyo con espressione atterrita.

Kageyama aggrottò la fronte, percependo uno strano peso sul petto palesarsi fastidiosamente. 
Perché diavolo quelle parole suonavano tanto cacofoniche da quello strambo con i capelli rossi? 
Non aveva mai assegnato rilevanza a inezie come quelle, prima d'allora.

“Il lavoro è lavoro. I miei clienti non sono miei amici” sentenziò.
“Quindi… non ricorda nemmeno uno dei loro volti?” quasi gemette il medico, la faccia contratta in una smorfia troppo deforme per poter adattarsi al suo visino delicato.
A Kageyama quella sì che parse una domanda assurda.
“Non ho mica una macchina fotografica al posto del cervello” borbottò, stranamente sulla difensiva.  
“Eppure ricorda tutti i codici giuridici a memoria, no?” ribatté Hinata con semplicità.
Okay, adesso Tobio ne aveva abbastanza.
“Senta dottore, il punto è che non m’importa, okay? Non m’interessa stabilire un legame con quelle persone. È solo lavoro, fine della storia”
Poi però aggiunse, ridacchiando sarcasticamente e con un sorriso un po’ inquietante, “Non vorrà mica farmi credere che lei stringa amicizia con i pazienti! Magari che sappia addirittura i nomi di qualcuno, eh!”
Shoyo rimase in silenzio, ma la sua espressione divenne improvvisamente di ghiaccio.
“No. Non di qualcuno. Li ricordo tutti” sibilò con inaspettata freddezza, allontanandosi dal lettino in cui era seduto il corvino e porgendogli un foglio con su scritte le indicazioni per il rilascio e i farmaci da assumere.

“Ho terminato. Adesso può tornare al suo lavoro. Spero che vinca la causa, signore” si congedò con distacco.

Ma prima di uscire dallo studio, scoccò a Kageyama un’occhiata di appena qualche istante.
Un’occhiata che, tuttavia, Tobio non seppe scrollarsi di dosso per molto, molto tempo. 
Quegli occhi nocciola… non freddi, non sdegnati come ci si poteva aspettare da una rivelazione del genere… 
Solo tanto, tanto tristi.
Alla fine, il corvino era davvero riuscito a offenderlo, quello scricciolo di medico. 
Non nel modo in cui ci si sarebbe aspetto, però.
Hinata Shoyo non era scappato a gambe levate appena resosi conto del caratteraccio innato di Kageyama Tobio. 
Non si era incupito per qualche battuta tagliente e priva d’ogni senso del tatto.
No, sembrava ferito nel profondo, a livello persino personale… per quel suo attribuir poca rilevanza alle persone?
Mah, che persona stramba.

Comunque, per le ore a seguire, a Tobio sarebbe soltanto importato d'aver finalmente il braccio ingessato.
 
Aveva fretta di scontrarsi con il suo acerrimo rivale.
Aveva una causa da vincere.
 
 






 
Note finali: si vede che non ne capisco nulla di medicina? Si vede così tanto? (Credo che mi ispirerò non poco a Dr. House...) 
Non credo proprio che in Giappone il pronto soccorso funzioni come da noi (per noi io intendo la mia città, i cui ospedali sono tipo una bolgia infernale). 
Ho quindi mischiato un po’ di roba e continuerò sicuramente a combinare pasticci, dunque perdonatemi i probabilissimi errori che compirò. 
Okay, detto questo… emh, non credo nemmeno io di aver incominciato una storia a più capitoli. Non è assolutamente nel mio stile… però mi son detta che, prima o poi, tutto si deve provare, no? (No, forse no in effetti).
Alcune delle frasi pronunciate da Hinata sono tratte dal film "Patch Adams", dunque non sono (sfortunatamente) farina del mio sacco. 
Ci terrei tantissimo a ricevere il vostro parere su questo primo capitolo un po' sperimentale, va benissimo qualsiasi tipo di feedback! 
Bacini.
   
 
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