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Autore: MonicaX1974    30/09/2017    0 recensioni
Raccolta di storie brevi che parlano d'amore ispirate ad una canzone.
Potete trovare la raccolta completa su Wattpad, intitolata Decibel
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Sorrido mentre mi avvicino al parapetto del tetto di questo edificio. L'ultima volta che ci sono stata non ero di certo dell'umore che ho oggi.

Quattro anni fa ero qui sopra, distrutta moralmente e fisicamente. Nella mia testa regnava la disperazione e la paura. Ero terrorizzata dal tornare a casa. Ero terrorizzata da lui, da Jimmy.

Quando l'ho conosciuto me ne sono innamorata all'istante. Era bello, con un fisico atletico, simpatico, premuroso. Nessuno, prima di allora, mi aveva mai fatta sentire come solo lui riusciva a fare e, quando mi confessò che provava le stesse cose per me, mi sentii al settimo cielo.

Ci siamo fidanzati quasi subito ed eravamo inseparabili, facevamo insieme ogni cosa, sentendo la necessità di avere l'altro sempre accanto. Quando era lontano non smetteva mai di scrivere o di chiamarmi, e trovavo romantico da morire che lui non riuscisse a stare senza di me. A poco a poco ho iniziato a trascurare gli amici perché per me c'era solo lui, non mi serviva nient'altro per essere felice, fino a che, anche la mia migliore amica, ha dovuto arrendersi al fatto che io non volessi nessun altro che non fosse lui.

Credevo che tutto questo fosse positivo, perché ero convinta che lui fosse la mia anima gemella, nient'altro contava al mondo, e man mano che passava il tempo, ho iniziato a trascurare anche i miei genitori, mia sorella, tutte le persone che mi volevano bene. Jimmy stava diventando l'unica persona della mia vita, e nemmeno me ne rendevo conto, perché mi sembrava giusto che dovesse essere così.

Ma i problemi sono iniziati dopo la convivenza. Aveva iniziato a mostrare una insensata e non giustificabile gelosia. Jimmy ha iniziato a diventare opprimente. Se ricevevo un messaggio, mi prendeva il telefono per leggerlo prima di me, e se inizialmente mi stava bene perché non avevo niente da nascondere, in seguito ho iniziato a rendermi conto che non era giusto che lui lo facesse, perché non gli ho mai dato motivo di essere geloso, ma non mi oppone i, perché le poche volte che ho tentato di dirgli qualcosa, lui alzava la voce e odiavo litigare con lui, non sopportavo farlo arrabbiare, e allora gli chiedevo scusa anche se non avevo fatto niente di male.

Poi ha iniziato a pretendere che lo avvisassi di ogni mio spostamento, anche solo se uscivo sul pianerottolo per andare dalla vicina, e poco alla volta, ho smesso anche di uscire solo perché non si arrabbiasse con me. L'ho sempre amato, anche quando mi urlava contro che ero una poco di buono pur non avendo mai fatto nulla di male, anche quando mi impediva di uscire, anche quando mi impediva di parlare con i miei colleghi al telefono, anche quando mi seguiva di nascosto, o quando controllava la mia posta.

L'ho amato anche la prima volta che mi ha schiaffeggiata.

Si è scusato, ha pianto, ha detto che non sapeva cosa gli fosse preso, che non si sarebbe ripetuto mai più, e io gli ho creduto. 
Gli ho creduto ogni volta, ma ogni volta tornava tutto come prima, e poi le cose sono anche peggiorate. I lividi, e i segni che avevo sul corpo erano gli stessi che avevo nell'anima, anzi, quelli erano anche peggio. Ho iniziato a credere che tutto quello che stava accadendo fosse colpa mia e, se mi fossi comportata meglio, non avrei attirato più le sue ire, ma per quanto facessi, per quanto mi sforzassi, niente sembrava renderlo felice.

Non parlavo ormai più con nessuno perché avevo allontanato tutti, e avevo paura delle conseguenze se avessi ripreso i contatti con qualcuno. Ero completamente plagiata, ed ero convinta di dover fare tutto quello che lui voleva o diceva. Fino a quando, un giorno, lui è tornato a casa più ubriaco del solito, perché era quello che faceva tutti i fine settimana, e a forza di calci e pugni, sono finita distesa sul pavimento. Ho perso conoscenza, e mi sono risvegliata in ospedale, con una flebo attaccata al braccio e dolore ovunque. Mi aveva portata Jimmy, dicendo che avevo avuto un incidente. Ero sola nella stanza in quel momento, e in quel preciso istante ho deciso che tutto quello doveva finire, non ero più in grado di sopportarlo, né il dolore fisico, né quello psicologico.

Mi sono alzata dal letto, ho staccato la flebo, e senza badare se ci fosse qualcuno nei dintorni, mi sono infilata in corridoio fino ad arrivare alla porta delle scale. Avevo addosso solo un camice, ma non mi importava in quel momento, perché da lì a breve sarei stata meglio.

Ho iniziato a salire i gradini, lentamente, cercando di cancellare ogni pensiero dalla mia testa. Non volevo pensare alle cose brutte, e non avevo niente di bello a cui aggrapparmi, perché era come se Jimmy avesse resettato i miei pensieri e la mia vita. Restavo concentrata, con lo sguardo solo sui miei piedi nudi che continuavo a guardare, scalino dopo scalino.

Non so quanti piani ho salito, ma quando sono arrivata davanti alla porta che dava sul tetto, ho sorriso. Un sorriso triste, ma pur sempre un sorriso. Niente avrebbe potuto fermarmi dallo smettere di sentire dolore.

Ho afferrato la maniglia, l'ho abbassata senza fretta. In quel momento pensavo solo a smettere di soffrire, e da lì a poco, sarebbe successo. Mi aspettavo di vedere una luce abbagliante arrivando dalle scale poco illuminate, e invece il cielo era nuvoloso, pioveva a dirotto, ma andava bene così, era giusto così, come se la pioggia stesse lavando via il mio dolore.

Ricordo che feci un passo all'esterno, ed ebbi un attimo di esitazione per il freddo della pioggia che iniziava a scendere su di me, ma mi ripresi quasi subito. Non avevo niente per cui lottare, volevo solo scappare da tutto. Poi, un altro passo seguì il secondo, poi un terzo, un quarto, e ancora... fino a raggiungere il parapetto. Ero, ormai, completamente fradicia, ma mi sentivo bene, era come se la pioggia stesse purificando il mio corpo. Chiusi gli occhi, e inspirai profondamente. Mi parve di sentire una voce urlare, ma il rumore della pioggia battente, era troppo forte per distinguere se fosse la realtà o meno, e alla fine non mi interessava se ci fosse qualcun altro sul tetto. Io volevo solo andarmene, e volevo farlo in fretta.

Salii sul basso muretto che dava sul vuoto, venti piani, forse di più, non ne avevo nessuna idea, ero solo sicura che fosse l'altezza giusta per sparire in un attimo, ma non appena il mio piede si staccò dal suolo per andare verso quella che credevo la salvezza, qualcuno mi afferrò con forza per le braccia e mi tirò indietro.

Oggi il cielo è sereno, come mi sento io da quando William è entrato nella mia vita. Ero proprio qui davanti, sul cornicione, pronta a cancellare la mia vita, quando per la prima volta le sue mani mi hanno salvato. Ha continuato a salvarmi nei giorni che sono seguiti a quel momento, e negli anni che sono seguiti a quel giorno.

Controllo la borsa frigo che ho portato con me, e vedo che è tutto a posto, poi verifico l'orario, non manca molto e io non sto più nella pelle.

Sento un rumore alle mie spalle, mi giro, ma è solo il vento. Noto però la tettoia dove lui quel giorno mi portò dopo avermi presa in braccio quando ero ormai sull'orlo del precipizio. Rivedo la stessa scena di allora, con lui che mi tiene fra le sue braccia, che mi accarezza il viso per togliermi i capelli che si erano appiccicati a causa della pioggia, e senza alcuna evidente ragione mi strinse tra le sue braccia, tenendomi stretta, come a non farmi scappare. Poi iniziò a piangere, ed io con lui.

Singhiozzi mi scuotevano il petto, lacrime, ed ero completamente abbandonata fra le sue braccia, senza alcuna forza di reagire, senza nessuna voglia di sapere chi lui fosse, o perché mi avesse salvata, mentre quell'uomo mi cullava accarezzandomi la testa. Non disse una parola, non mi chiese il motivo del mio gesto, non mi disse perché si trovava lì, niente di niente, e a me stava bene così, perché stavo bene fra quelle braccia, e non volevo pensare ad altro.

Non ricordo per quanto tempo restammo lì sopra in quella posizione, so che ad un certo punto, lui mi prese di nuovo in braccio, e io mi strinsi al suo collo, mi portò giù per le scale, si fermò ad ogni piano per chiedere se quello fosse il mio reparto, e ad ogni piano continuava a promettermi che sarebbe andato tutto bene.

Ci ho creduto, e non ho sbagliato a fidarmi di lui, anche se non è stato così semplice all'inizio.

Mi riportò fino al letto della mia stanza, chiamò un'infermiera e si assicurò che si sarebbero presi cura di me. Tornò il giorno successivo a trovarmi, ma trovò Jimmy al mio fianco, e capì subito quello che stava succedendo tra di noi quando si avvicinò per salutarmi e Jimmy lo aggredì. William uscì dalla mia stanza, mentre con gli occhi lo imploravo di restare. Mi guardò, e non so come, capii che non mi stava abbandonando, sarebbe tornato. Mi spiegò, poi, che se ne andò solo per non crearmi ulteriori problemi.

Ed è esattamente quello che fece. Tornò quando fui sola e, senza essere invadente, mi convinse a parlare. Piano piano iniziai a sentirmi meglio, iniziavo a fidarmi di nuovo di qualcuno, ma il terrore si impossessò di me quando si avvicinò il giorno delle dimissioni. Sarei dovuta tornare a casa con il mostro, ed ero sicura che tutto sarebbe ricominciato da capo. William si accorse del mio stato d'animo, e un'altra volta mi persuase a confidarmi con lui, fino a che mi fece ragionare seriamente.

Non tornai mai a casa mia. William parlò con sua sorella e, dopo molte insistenze, convinse entrambe che per me, la soluzione migliore, era trasferirmi a casa di lei, e così feci. L'appartamento che condividevo con Jimmy apparteneva solo a lui, non ho avuto nessun problema a non farci più ritorno, tranne per quella volta in cui tornai per prendere la mia roba, ma William non mi lasciò sola neanche in quel momento. Mi accompagnò lui, diceva che voleva assicurarsi che non mi capitasse niente, perché se era su quel tetto per impedirmi di commettere una stupidaggine, significava che il destino l'aveva messo sulla mia strada per prendersi cura di me. Non gli chiesi mai niente in quel periodo, perché ero troppo spaventata per voler capire il motivo per cui continuasse a starmi vicino. Ero completamente annientata, nello spirito e nella volontà, l'unica cosa che mi importava, era non rivedere mai più Jimmy.

Io e Annie, la sorella di William, siamo andate d'accordo fin da subito. Sembrava fossimo amiche da tutta la vita, e non la ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che ha sempre fatto per me. In lei ho trovato un'amica, una sorella, un'alleata fidata con cui poter condividere i miei pensieri, e non smetterò mai di essere in debito con lei. Non potrei ripagarla nemmeno fra un milione di anni.

Annie mi ha aiutata a rivolgermi ad un'associazione che si è occupata di me e della mia situazione. Mi hanno aiutato a trovare un nuovo lavoro, a cambiare numero di telefono, e a modificare ogni cosa che potesse farmi rintracciare un'altra volta da quel mostro con cui vivevo. Perché solo un mostro può arrivare a distruggere fisicamente e psicologicamente la persona che dice di amare.

Il nuovo lavoro è stata una scoperta per me, il contatto ravvicinato con le persone mi spaventava e mi elettrizzava allo stesso tempo. In realtà ogni piccola cosa era una scoperta, come se ogni minima cosa che facessi durante la giornata, non l'avessi mai fatta in vita mia. All'inizio ero spaventata da tutto, uscire da sola mi terrorizzava, la suoneria del telefono mi faceva sobbalzare, sentire qualcuno che alzava la voce mi metteva ansia, ero preoccupata di sbagliare qualcosa sul lavoro e di subire conseguenze catastrofiche, ma con l'aiuto della mia psicologa, e quello di Annie e Will, ho iniziato a sentirmi bene sul serio, anche se tutto questo processo è stato lungo e faticoso.

Iniziai a frequentare anche un corso di pugilato. Ero arrabbiata con Jimmy per quello che mi aveva fatto, ed ero arrabbiata con me stessa per averglielo permesso per troppo tempo. Credevo che fare a pugni riuscisse a far sfogare la mia rabbia, ma mi sbagliavo. Più i miei guantoni colpivano l'avversario, più volevo farlo, e il mio rancore sembrava non placarsi mai. Dopo una lunga e dettagliata discussione con il mio allenatore, mi indirizzò ad un corso di autodifesa, e fu la scelta migliore che feci in quel periodo, perché mi aiutò a rafforzare la sicurezza e la fiducia in me stessa.

Ad un tratto i miei pensieri vengono interrotti dal suono del mio cellulare che mi avvisa dell'arrivo di un messaggio. È Will.

Sei già arrivata?

Sorrido nel leggere le sue parole, perché è stato lui a dirmi di venire qui, senza dirmi né il motivo, né quando sarebbe arrivato, sono sicura però che il suo orario d'ufficio sia quasi finito, ma ad ogni modo mi fido di lui, ciecamente, nello stesso modo in cui mi sono fidata di lui il giorno che mi ha salvato la vita, e nello stesso modo in cui continuo a fidarmi di lui ogni giorno, perché ogni giorno mi salva la vita.

Sono proprio qui, e ti sto aspettando.

Mi dirigo verso la tettoia, il sole mi sta bruciando la testa, e mi siedo sul piccolo muretto, cerco un po' d'ombra, aspettando la sua risposta, che non tarda ad arrivare.

Bene, l'hai portata?

Sicuramente si sta riferendo alla bottiglia che mi ha lasciato vicino alla macchina parcheggiata nel garage, stamattina prima di andare al lavoro, e che ho messo nella borsa frigo dopo aver letto il suo biglietto.

Tu, questa bottiglia, e il posto dove ti ho vista per la prima volta. Oggi. Aspettami. –W

Ho preso in mano la bottiglia e ho sorriso. Non sono un'intenditrice, ma sembra un vino molto costoso.

Certo che sì.

La tolgo dalla borsa per un attimo e la osservo, non sono una bevitrice, anzi detesto particolarmente l'alcool, ma per lui posso fare un'eccezione. Probabilmente se qualcuno mi vedesse in questo momento, potrebbe pensare che le mie intenzioni non siano molto chiare, e invece non sono mai stata così decisa e sicura come oggi. Negli anni ho riacquistato fiducia e stima di me stessa, ed è principalmente grazie a Will che tutto questo è potuto succedere. Se lui non fosse stato su questo tetto nello stesso momento in cui c'ero io, oggi non sarei qui a chiedermi cosa stia per succedere di così misterioso, ma così eccitante allo stesso tempo.

Non manca molto. Non andare da nessuna parte senza di me.

Metto a posto la bottiglia, il mio sorriso è ancora più ampio, gli rispondo e poso di nuovo il telefono in borsa. Non so cosa stia per succedere, ma qualunque cosa sia, succederà con lui, e sono sicura che sarà meravigliosa. Lo immagino sorridere intento a digitare i messaggi che mi ha appena scritto, quel sorriso che ho adorato dal primo momento in cui gliel'ho visto sul volto. E l'ho adorato perché, per più di un anno dopo averlo conosciuto, il broncio sul suo viso sembrava non volersene andare, ma quel giorno, quando sorrise per la prima volta, capii che qualcosa stava cambiando.

Avevo iniziato a fare da baby sitter a suo figlio nelle serate in cui lui doveva fermarsi più del solito in ufficio. Aaron è un bambino meraviglioso, molto intelligente, molto attivo e creativo, ed ha imparato a parlare molto presto. Ricordo che una sera, eravamo impegnatissimi in una delle sue mille opere d'arte che pretendeva di appendere alle pareti della sua cameretta. C'erano pennarelli ad acqua sparsi per tutto il pavimento della stanzetta, perché il piccolo artista era instancabile. Avevo cercato di metterlo a dormire, ma non ne voleva sapere. All'età di tre anni era già pronto a decidere per conto suo. Comunque, quella sera avevo deciso di accontentarlo, ma i suoi disegni sembravano inesauribili. Tra fogli e pennarelli si distingueva a fatica il pavimento, e quando Will è rincasato, non appena l'ho sentito salire le scale, mi sono alzata in piedi per andargli incontro, ma quando sono arrivata vicino alla porta della cameretta che dava sul corridoio, ho messo il piede su un pennarello e sono scivolata per terra sul pavimento lunga distesa proprio davanti ai suoi occhi.

Lì per lì, sembrò preoccupato, ma poi lo vidi sorridere, sorrisi anch'io, e quando il suo sorriso diventò una risata, mi resi conto che anche in lui qualcosa stava cambiando, stava tornando lentamente alla vita, perché se io avevo cercato di togliermi la vita, quel giorno, lui era quasi morto dentro. Cercava di farsi forza solo per il figlio, perché il giorno in cui io stavo per compiere la più grande cazzata di sempre, lui aveva appena perso sua moglie.

Infilo la mano nella borsa, alla ricerca della lettera che mi scrisse più o meno un anno e mezzo fa, e che da allora porto sempre con me, non me ne separo mai.

Mai.

La apro lentamente, e la sua calligrafia leggermente tremolante, mi riporta alla mente lo stato d'animo con cui la scrisse. Parole cariche di sentimenti di ogni tipo, occupano ogni spazio di questo foglio, ed è incredibile come ogni volta in cui le leggo, riescano a farmi emozionare.

Rosie,

mi trovo qui seduto a scriverti, quando in realtà ho del lavoro da portare a termine, ma oggi mi è quasi impossibile riuscire a lavorare. Sono combattuto, confuso e turbato.

La prima cosa a cui ho pensato stamattina sei stata tu, e questo mi capita già da diverso tempo. Mi sento in colpa nei confronti di Nicole, perché quando l'ho sposata, le ho promesso che le sarei stato fedele sempre, ed è quello che ho fatto ogni giorno della mia vita che ho vissuto insieme a lei, ma tu sei riuscita ad aprirti un varco nel mio cuore senza che io facessi niente perché accadesse e, adesso, sono felice che tu ci sia riuscita.

Quel giorno, quando ero sul tetto dell'ospedale a piangere, disperato, perché Nicole se n'era appena andata, portata via troppo presto da una malattia che non le ha lasciato l'opportunità di crescere suo figlio insieme a me, e ti ho vista, non ho potuto fare altro che cercare di proteggerti. È stato come se salvando te, stessi salvando me stesso.

La vita di Nicole era appena scivolata via tra le mie dita, non avrei permesso che un'altra vita andasse sprecata.

Non so neanche dirti quante volte sono stato sul punto di crollare, di mollare tutto, ma poi, come per un segno del destino, ogni volta arrivavi tu, e con il tuo sorriso mi ricordavi che c'era ancora speranza. Ogni volta in cui credevo che non sarei riuscito a sopportare oltre, mi davi un motivo per reggere ancora il dolore. Sei stata come una piccola fiammella di una candela che lottava per stare accesa, contro un vento impetuoso che cercava di spegnerla, e sei stata come una guida per me. Ho continuato a seguire quella fiammella che è riuscita a soffocare il vento ed è diventata una fiamma viva e potente, per sé stessa e per quelli che le stanno accanto.

In tutto questo tempo ho avuto costantemente la sensazione di annegare, mi sentivo sopraffare dal mio dolore, dalle difficoltà che incontravo con Aaron, dalla vita senza Nicole, ma tu eri sempre lì, ad offrirmi un ramo per salvarmi. L'ho afferrato ogni volta che ne ho avuto bisogno, e oggi sono qui grazie a te.

Il posto che occupi nel mio cuore, te lo sei conquistato poco alla volta, giorno per giorno, come un fiume che scava il suo letto, lentamente, ma inesorabilmente, e ora non cambierei una virgola di quello che abbiamo.

Quel giorno sul tetto, credevo che tutto fosse finito, che non avrei più vissuto un amore travolgente, e invece il destino, ci ha messo l'uno sul cammino dell'altra, e ho intenzione di non lasciarmi scappare questa opportunità di essere felice. Ora l'ho capito.

Rosie, mi hai dato una ragione per amare ancora, perché quando sono accanto a te mi fai sentire migliore, perché quando guardo i tuoi occhi e vedo la speranza che hai nel futuro, so che per noi il sole splenderà ancora.

Insieme abbiamo sofferto, abbiamo pianto, abbiamo condiviso i momenti peggiori della nostra vita, ora, insieme, sono sicuro che possiamo farcela, possiamo affrontare di nuovo il mondo con il sorriso. A me basta avere il tuo.

Voglio viverti Rosie

Tuo Will

Non avevo mai ricevuto una lettera così bella e intensa, così ricca di sentimenti, così piena d'amore, e fino a quel momento, non avevo immaginato che nel suo cuore e nella sua mente ci fosse un tale conflitto interiore. Ricordo quella sera in cui cenammo a casa sua insieme al figlio Aaron e alla sorella Annie per festeggiare il compleanno di William. Gli regalai un diario affinché riuscisse a liberarsi dei sentimenti negativi che si portava dentro e di cui faticava a parlare. Ogni volta che gli chiedevo come si sentiva, lui rispondeva sempre che era tutto ok, che stava bene, ma era ovvio che non fosse così, e passavo tutto il tempo a cercare di ricambiare ogni singola cosa che lui ha fatto per me, a cercare di salvarlo, perché Will è un uomo meraviglioso, che merita tutto l'amore del mondo.

Ci fu una sera in cui lo trovai a casa sua, seduto per terra in cucina, con la schiena appoggiata al frigo, il viso rigato di lacrime, gli occhi gonfi e rossi. Mi sedetti accanto a lui, misi un braccio sulle sue spalle, lui si lasciò andare, appoggiò la testa sulle mie gambe, e pianse ancora mentre gli accarezzavo la testa.

Era la prima volta che lasciava uscire tutto il dolore per la morte della moglie dopo due mesi dalla sua scomparsa. Fino ad allora aveva tenuto tutto dentro, ma quella sera si era trovato in difficoltà a preparare la cena per Aaron che aveva appena un anno, e fu la goccia che fece traboccare il vaso. Le lacrime e i singhiozzi gli scuotevano il petto, e lo strinsi a me come fece lui quella volta sul tetto, senza dire niente.

Mi raccontò poi che sua moglie scoprì di avere un cancro due mesi dopo aver saputo di essere incinta. Non volle affrontare nessuna cura, perché voleva portare a termine la gravidanza senza alcuna conseguenza per il bambino che portava in grembo. Ma la malattia la portò via dopo appena un anno di vita del figlio.

Guardo l'orario sul display del cellulare, è passata quasi un'ora da quando sono su questo tetto, e l'immagine di me, Will e Aaron che illumina lo schermo mi fa sorridere. Eravamo andati alle giostre, e non avevo mai visto padre e figlio così spensierati e sorridenti come quel giorno. Il piccolo Aaron sulle spalle del padre, entrambi con le braccia alzate verso l'alto, sono una delle immagini più belle che conservo di quella giornata.

Un'altra delle immagini che ho più a cuore di quel giorno, non si trova nella galleria fotografica del mio telefono, ma è ben impressa nella mia mente, sempre davanti ai miei occhi.

La sera stessa, quando insieme mettemmo a dormire il piccolo, ma già grande Aaron, dopo averlo salutato, lasciai Will dare la buonanotte a suo figlio, ma mi bloccai appena fuori dalla porta non appena sentii la voce del piccolo. Non volevo origliare, ma è stato più forte di me, come se non potessi più muovermi.

«Papà, io voglio bene a Rosie, e tu?»

«Anch'io voglio bene a Rosie.»

«Papà... posso chiamare Rosie mamma?» Per un attimo c'è solo silenzio, un attimo nel quale credo di aver smesso di respirare.

«Aaron, tu ce l'hai già una mamma, anche se non può essere qui con te, anche se non puoi vederla, ma ti assicuro che lei lo avrebbe voluto tanto, tantissimo. Non se ne sarebbe mai andata se avesse potuto scegliere.» Mi si stringe il cuore a sentire quelle parole, forse la mia presenza non è un bene per Aaron. «Ma sono sicuro che se continuerai a chiamarla Rosie, lei continuerà a comportarsi come se fosse la tua mamma.»

«Davvero?» L'entusiasmo nella voce di Aaron mi fa commuovere.

«Certamente, devi sapere che la mamma, prima di andarsene, mi ha fatto conoscere Rosie, così che avrebbe potuto prendersi cura di noi, e non saremmo mai rimasti soli.»

Quella sera ero fuori dalla porta di quella cameretta, con le lacrime agli occhi, poi mi allontanai per lasciarli soli, e prendere una boccata d'aria. Scesi al piano di sotto, e mi accomodai sul dondolo della veranda. L'aria fresca della sera mi stava aiutando a riprendermi, non volevo far vedere a Will che stavo piangendo, non avrei saputo giustificarlo.

Credo fossero passati meno di dieci minuti, quando lui mi raggiunse sedendosi al mio fianco. Non ricordo per quanto tempo restammo in silenzio, poi ad un tratto Will allungò una mano sulla mia, e la strinse, facendo intrecciare le nostre dita. Quella fu la più bella sensazione che provai dopo tanto tempo. Non disse niente, nemmeno io lo feci, perché ero troppo presa dalla sensazione della mia mano nella sua, e volevo solo godermi ogni secondo con lui. Ad un tratto si alzò, e mi fece alzare con lui, pronunciò soltanto il mio nome, prima di fare unire le nostre labbra, nel nostro primo e romanticissimo bacio.

Quel bacio ha cancellato ogni ferita, ogni dubbio, e tutto il dolore che avevo provato fino a quel giorno, portando nella mia vita una nuova speranza, quella voglia di amare che mi sembrava persa per sempre.

Con lui ho vissuto le mie prime volte più belle. Il primo appuntamento romantico al cinema, il primo bacio sotto la pioggia, la prima lezione di ballo, la mia prima corsa in moto attaccata stretta al suo corpo, la prima recita scolastica di Aaron, la prima notte in cui mi sono sentita amata davvero.

È ancora il telefono a riportarmi alla realtà. Questo posto è un pozzo di ricordi, e stanno venendo a galla tutti insieme.

Posso chiamarti?

Il messaggio è di Annie, e mi chiedo perché mi abbia fatto una tale richiesta. Non perdo tempo a risponderle, faccio partire immediatamente la chiamata.

«Annie tutto a posto? Aaron?» Oggi passava lei a scuola a prenderlo perché io avevo appuntamento qui con William.

«Tranquilla tutto a posto, solo che Aaron voleva salutarti.» Sorrido al pensiero del piccolo ometto di casa.

«Passamelo» le dico sorridendo, anche se non possono vedermi. «Ehi piccolino, tutto bene?» Ormai l'ho detto, spero che non si arrabbi.

«Rosie ho cinque anni, non sono piccolino, sono fra i più grandi a scuola.» Me lo dice continuamente che il prossimo anno andrà alle elementari, che adesso è grande, e sorrido ancora di più al pensiero della sua espressione mentre afferma le sue verità.

«Scusa, hai ragione. Tutto bene?» È strano non essere con lui per cena.

«Sì, volevo darti la buonanotte, zia Annie mi ha detto che dormirò qui, perché non me l'hai detto?» Dormirà lì? Questa mi è nuova.

«Aaron, tesoro, non lo sapevo, forse papà voleva farti una sorpresa.» O voleva farla a me? «Sei arrabbiato?»

«No Rosie, io ti voglio bene.» Ogni volta che me lo dice, il mio cuore si gonfia di gioia.

«Ti voglio bene anch'io tesoro. Fai tanti sogni belli. Ci vediamo domani mattina, d'accordo?» Mi manca non potergli dare il bacio della buona notte.

«Sogni belli anche a te Rosie.» La sua vocina mi fa sorridere ancora.

«Mi passi la zia Annie adesso?» Devo scoprire cosa sta succedendo. Sento un fruscio, e poi la sua voce. «Annie che significa che Aaron dorme lì?» Soprattutto perché io non lo sapevo?

«Will mi ha chiesto di tenerlo per stanotte, pensavo che tu lo sapessi.» È ovvio che ne fossi all'oscuro.

«Non ne sapevo niente.» La sento ridere dall'altra parte del telefono. «Che c'è? Perché ridi Annie?» Mi stanno nascondendo qualcosa entrambi, ormai è palese.

«No, niente... goditi la serata Rosie. A domani.» Non mi dà modo di chiedere spiegazioni perché chiude immediatamente la comunicazione e resto confusa a guardare il display del mio telefono ormai spento.

Sta iniziando a fare buio, e io comincio ad essere preoccupata. Vorrei solo che Will fosse qui.

Appena finisco di pensare questa frase, come se l'avessi chiamato, vedo aprirsi la porta che dà sulle scale, e scorgo la sua figura farsi avanti. Mi sta cercando con lo sguardo, e io mi prendo qualche secondo ad osservarlo. È ancora in giacca e cravatta, nel suo completo scuro, segno che sta arrivando direttamente dall'ufficio. In mano ha due sacchetti, uno di carta marrone, e uno più piccolo e scuro.

«Will!» Lo chiamo perché lo voglio vicino a me, adesso. Lui si gira e il sorriso che gli si apre in volto, riempie il mio cuore e la mia testa.

Gli vado incontro, mentre lui lascia andare la porta e si avvicina a me. Porta le braccia dietro la mia schiena, poggio le mie mani sul suo petto e lui mi bacia. Mi bacia come se ne andasse della sua vita, come se non potesse fare altro in vita sua, e spero di riuscire a fargli capire che per me è lo stesso.

«Mi dispiace averti fatta aspettare.» Mi sta tenendo stretta, con ancora quei sacchetti nelle sue mani.

«Sei qui adesso.» Mi sento al sicuro con lui, mi sento protetta. Mi libera dalla sua presa e apre il sacchetto di carta marrone, dal quale ne tira fuori due calici che sembrano di plastica.

«Non ho potuto procurarmeli di vetro, spero vadano bene lo stesso.» Sorride, mentre si siede sul muretto e appoggia per terra i due bicchieri. Mi siedo accanto a lui, e lo osservo iniziare ad infilare il cavatappi nella bottiglia. Cavatappi che non mi ero accorta che avesse tirato fuori dalla tasca.

«Andranno benissimo... Cosa festeggiamo?» Finalmente sono sul punto di scoprire il motivo per cui mi ha fatta venire qui stasera.

«Ancora non lo so se festeggeremo.» Mi guarda appena, con un sorriso oserei dire nervoso, come se fosse agitato o preoccupato per qualcosa, ed io lo guardo con aria interrogativa.

«Che vuoi dire?» Posa la bottiglia con il cavatappi ancora infilato. Non l'ha stappata.

«Fra poco lo sapremo...» Prende l'altro sacchetto, quello più scuro, e appena prima che ne estragga il contenuto, ho bisogno di fargli un'altra domanda.

«Perché non mi hai detto che Aaron dorme da Annie?» Non è un rimprovero, è che la curiosità mi sta divorando, ma lui mi sorride solamente, e senza rispondere alla mia domanda, toglie dal sacchetto una piccola scatolina rotonda, di legno, mi sembra che sopra ci sia inciso qualcosa, ma non riesco a vederla bene perché è ancora nelle sue mani.

Senza pronunciare una sola parola, allunga la sua mano verso la mia, la tira dolcemente a sé, la volta verso l'alto, e dopo aver aperto il mio palmo, vi posa la scatolina.

Tutt'intorno è incisa e decorata con rametti e fiori, al centro c'è una scritta Take me home.

È la frase che gli ho detto il giorno in cui sono stata dimessa dall'ospedale, il giorno in cui lui mi ha salvata, e non so per quanto riuscirò a trattenere le lacrime.

Lo guardo. Lui mi sta guardando, e dai suoi occhi riesco a vedere quanto sia emozionato anche lui come me.

Apro la scatolina e vedo un solitario, in oro bianco, con un meraviglioso brillante. Istintivamente porto una mano davanti alla bocca per la sorpresa. Non posso crederci, eppure è tutto vero, lui è qui, e mi ha appena regalato un anello, ma la cosa che è ancora più straordinaria, è l'altra scritta incisa all'interno della scatolina.

Will you marry me?

«Will...» È l'unica cosa che sono riuscita a pronunciare, prima che una lacrima di gioia scendesse sul mio viso.

«Allora Rosie, vuoi sposarmi? Perché io lo desidero più di ogni altra cosa al mondo.» Resta immobile a guardarmi, e io non voglio farlo aspettare un secondo di più.

«Sì, sì, sì Will.» Mi alzo, anche lui lo fa, poi lo abbraccio e lo bacio, lo bacio ancora, fino a che mi fermo a guardarlo negli occhi, con ancora quella scatolina in mano. Lui prende l'anello e lo infila al mio anulare, poi mi guarda.

«Adesso abbiamo qualcosa da festeggiare, ed ecco spiegato perché Annie terrà Aaron per stanotte.» I suoi occhi, quanto amo i suoi occhi, quanto amo tutto di lui.

«Era tutto calcolato allora, sapevi che ti avrei detto sì.» Porto una mano intorno al suo collo, ho ancora bisogno di lui più vicino.

«Diciamo che ci speravo, ma avevo le mie ragioni per credere che lo avresti fatto.» Sa quanto lo amo, e sa quanto amo suo figlio.

Brindiamo a noi, alla nostra nuova famiglia, al nostro futuro. Abbiamo attraversato il momento più buio della nostra vita insieme, ma ora siamo tornati a galla, insieme, e l'amore che respiriamo ci terrà ancora insieme, per tutta la vita.

   
 
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