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Autore: MonicaX1974    30/09/2017    0 recensioni
Raccolta di storie brevi che parlano d'amore ispirate ad una canzone.
Potete trovare la raccolta completa su Wattpad, intitolata Decibel
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Cammino lentamente lungo la strada che collega casa mia al nostro posto, avvolto nel mio cappotto e stringendomi nella sciarpa che fortunatamente ho messo prima di uscire di casa. Fa sempre più freddo, l’inverno è arrivato e, nonostante stia per nevicare, non posso mancare all’appuntamento con il nostro anniversario.
Ti ho conosciuta poco più di dodici anni fa, e non avrei mai pensato che quel giorno la mia vita sarebbe cambiata per sempre; che quella che credevo essere l'avventura di una sera si sarebbe invece trasformata nell'amore più grande della mia vita.
Avevo ventiquattro anni e tanta, tantissima voglia di divertirmi, soprattutto quella sera.
John, il mio migliore amico, si era appena laureato ed eravamo usciti a festeggiare. Eravamo andati al pub senza auto perché ci eravamo ripromessi che non avremmo avuto limiti quella sera d’estate.
Eravamo alla quarta birra quando sei entrata nel locale insieme ad un’altra ragazza, e appena i miei occhi si sono posati su di te, non sono riuscito a pensare ad altro per tutto il tempo. Volevo baciarti, volevo provare cosa volesse dire poter toccare le tue splendide labbra. Lo volevo con ogni fibra del mio corpo, ed era la prima cosa di cui fossi veramente sicuro in tutta la mia vita.
Eri così bella nel tuo vestito rosa e nero. Lo ricordo come se fosse oggi. Quella sera il mio cervello ti ha scattato una foto indelebile che è sempre rimasta nitida nei miei ricordi per tutti questi anni. Avevi una lunga collana e i capelli castani mossi, lasciati sciolti sulle spalle. I tuoi occhi guardavano tutti, ma non vedevano nessuno, me compreso. Non smettevi di ridere, ma sentivo che la tua risata non era spontanea, la trovavo forzata.
Ti sei seduta con la tua amica nell’angolo più in disparte del locale e avete ordinato da bere. Il ragazzo che serviva ai tavoli era mio amico e gli chiesi di farmi un favore enorme. Una volta che le vostre birre furono pronte, presi il vassoio in mano e mi finsi il cameriere solo per cercare di attirare la tua attenzione. Il risultato è stato pessimo. Sono tornato al mio tavolo mentre il mio migliore amico non smetteva di ridere per il fatto che tu mi avessi palesemente ignorato, come se le birre si fossero portate da sole al vostro angolo di tranquillità.
Ma non ero disposto ad arrendermi tanto facilmente. Volevo baciarti più di ogni altra cosa al mondo, e mi ero ripromesso che ci sarei riuscito. Non era una sfida per riuscire ad ottenere qualcosa di difficile, io volevo veramente baciarti, volevo averti per me. Non avevo nessuna intenzione di perderti di vista, perché se tu fossi uscita dal pub senza che io fossi riuscito a parlarti, ero assolutamente sicuro che non ti avrei più rivista. New York non è proprio una piccola città in cui è possibile incontrare due volte la stessa persona, e con molte probabilità saresti scomparsa con la stessa velocità con cui sei apparsa.

Non potevo permetterlo.

Ho ordinato un cocktail e l’ho portato al tuo tavolo, ma continuavi ad ignorarmi. Allora ho posato il bicchiere davanti a te e, senza togliere la mano, continuavo a tenerlo stretto mentre mi sedevo proprio al tuo fianco. Il tuo sguardo è caduto sulla mia mano, per poi risalire lungo il braccio, fino a fermarsi nei miei occhi. In quel momento tutto si è fermato. I tuoi occhi azzurri come il ghiaccio mi avevano inchiodato alla sedia e all’improvviso ho sentito caldo, molto caldo. Quel bacio che desideravo darti si era trasformato in qualcos’altro. Ti volevo, ti volevo tutta, corpo, mente e anima. Quella sera ho visto qualcosa nei tuoi occhi che doveva essere mio ad ogni costo.
Il mondo ha ripreso a girare quando mi hai parlato e sentire il tuo nome, pronunciato dalla tua voce, mi fece provare una sensazione indescrivibile, come se tu riuscissi a parlare direttamente al mio intero corpo.
«Candice… mi chiamo Candice.» So che dovuto rispondere, avrei dovuto dirti il mio nome, ma riuscivo solo a guardare le tue labbra, come si muovevano e mi chiedevo che sapore avrebbero avuto. Poi hai preso il bicchiere che avevo posato di fronte a te, toccando le mie dita con le tue, ed è stato come se fossi stato attraversato da una scarica elettrica. Istintivamente ti ho guardato di nuovo negli occhi, e quando ti ho trovata a guardarmi nello stesso modo in cui lo stavo facendo io, ho capito che anche tu avevi provato la stessa cosa.
Ho osservato il tuo modo di portare il bicchiere alla bocca, e quando le tue labbra si sono posate sul bordo per bere, la mia salivazione è aumentata notevolmente, a quel punto sono riuscito a parlare.
«Jake.» Tu mi hai guardato con aria interrogativa, ed io mi sono sentito un idiota. «È il mio nome.» A quel punto hai sorriso, ed io non ho capito più niente. Tutto è sparito intorno a noi. È stato come se in quel momento tu avessi acceso una luce in me, o meglio ancora… in quel preciso istante tu sei diventata la mia luce.
Anche John si è unito a quel tavolo insieme a noi, e dopo aver passato il resto della serata tra birre, risate e sguardi incandescenti, mi hai portato a casa tua. Ricordo di averti chiesto un paio di volte se fossi realmente sicura di quello che stavi facendo, e tu continuavi a rispondere che non eri mai stata più sicura di altro in vita tua. Nonostante le tue parole, però, non ho potuto non notare dell’incertezza nei tuoi gesti e nell’atteggiamento, ma non sono comunque riuscito a resisterti ed è stata la notte più incredibile di tutta la mia vita.
Se non che, il mattino dopo sembrava non vedessi l’ora di sbarazzarti di me. Non potevo credere a quello che stava succedendo, mi stavi letteralmente sbattendo fuori di casa. In realtà l’hai fatto sul serio, ed io sono rimasto sul pianerottolo per almeno dieci minuti a cercare di capire cosa fosse successo. Poi mi sono ripreso e ho cominciato a bussare, non avevo nessuna intenzione di sparire dalla tua vita.

«Candice!» Sto bussando da due minuti, ho controllato l’orologio. E mi ritrovo a chiedermi perché diavolo stia continuando a bussare e, soprattutto, perché mai sto controllando il tempo! «Candice!» Il mio tono di voce si alza, come se urlando avessi più possibilità di farmi aprire. «Candice apri per favore.» Devo calmarmi ed essere gentile, non voglio spaventarla, ma il tempo sta continuando a passare, sono trascorsi altri cinque minuti, e la sua porta è ancora chiusa. Credo che tra poco qualche suo vicino verrà a buttarmi fuori dal condominio a calci. C’è solo una stupida porta a dividermi da lei, e per quanto sia insensato e stupido dato che l’ho conosciuta solo poche ora fa, io voglio vederla, voglio parlare con lei.
In un’altra occasione mi avrebbe fatto davvero comodo una situazione come questa, e non mi sarei nemmeno fatto pregare per andarmene, ma stavolta è diverso, non so in cosa, ma so che lo è. Candice lo è, e non voglio che sia solo il ricordo di una notte.
Altri cinque minuti, non posso aspettare oltre. «Candice!» Stavolta sto urlando a gran voce. «Se non apri questa porta, la butto giù a calci!» Resto in silenzio, per ascoltare se provengano o meno rumori dall’interno dell’appartamento, appoggio l’orecchio alla porta, ma non sento assolutamente niente. «Ok Candice, ti avevo avvisata…» Ovviamente sto bluffando, non potrei mai farle una cosa del genere, ma non so più come fare per farmi aprire. «… al tre il tuo appartamento non avrà più una porta.» Silenzio, soltanto silenzio. «Ricorda che l’hai voluto tu… uno…» Faccio passare qualche secondo, ma non succede niente. «Due.» A quanto pare non ho alcuna speranza con lei, la sua porta è ancora chiusa. «Tre.» Come mi aspettavo, non è successo niente. Ma ancora non sa con chi ha a che fare. «Quattro.» Mi è sembrato di sentire un rumore, resto in silenzio per un po’, ma non succede nulla. «Cinque.» Conterò ancora. «Sei.» Non ho intenzione di arrendermi. «Sette.» Un altro rumore, sembrava quasi una risata. «Otto.» Non cederò Candice. «Nove.» Mi siedo per terra con la schiena appoggiata alla porta, e non smetto. Prima o poi dovrà uscire da qui, non ha alternative, a meno che non abbia un passaggio segreto, ma lo trovo alquanto improbabile dato che siamo al quinto piano. «Dieci.» Conto lasciando passare qualche secondo tra un numero e l’altro, ma senza fermarmi, fino al momento in cui, la porta alla quale sono appoggiato con la schiena da quasi mezz’ora ormai, viene aperta di colpo, e cado all’indietro sbattendo leggermente la testa per terra.
Sono praticamente sdraiato sul suo pavimento all’ingresso, lei è in piedi, e mi guarda dall’alto con un gran sorriso in volto. «Ho fatto il caffè.» Il suo tono di voce è divertito, ed io cerco di mettermi in piedi in fretta mentre la guardo andare verso la cucina.

La mia tenacia quel giorno, è stata premiata. Sei rimasta colpita dalla mia insistenza e mi hai anche preparato la colazione. Mi hai chiesto perché tutta quell’insistenza, e non ho avuto nessuna esitazione nel risponderti.

«Perché sono sicuro che tu sia la donna della mia vita.»

Sei scoppiata a ridere alle mie parole, eri realmente convinta che io stessi scherzando, ma quando hai realizzato che nessun sorriso era comparso sulle mie labbra, hai capito che stavo dicendo sul serio. Ero dannatamente serio, come non lo ero mai stato. Non so spiegartelo, ma lo sentivo nel mio cuore. Eri tu, sei sempre stata tu, te l’ho letto negli occhi appena ti ho vista.
Anche con questa risposta ti avevo colpita, tanto da confidarmi il perché del tuo comportamento della sera precedente. Avevi appena avuto l’ennesima delusione, dall’ennesimo stupido ragazzo che avevi frequentato. Mi hai detto che nessuno di loro è mai stato pronto ad impegnarsi, e che l’ultimo l’hai addirittura scoperto a letto con un’altra. La sera in cui ci siamo conosciuti, per la prima volta in vita tua, avevi detto a te stessa che avresti potuto fare la stessa cosa ad un uomo senza sensi di colpa. Ti sei messa d’accordo con la tua amica, siete entrate in un locale a caso, e il primo che ci avrebbe provato con te, l’avresti portato a casa, te lo saresti scopato, e subito dopo, l’avresti buttato fuori di casa come si fa con le cose che non servono più.
Da quel giorno ho sempre ringraziato John di essersi laureato quel giorno, ed aver scelto quel pub per festeggiare o non so se avrei mai avuto la possibilità di incontrarti. Non avrei mai immaginato quanto mi avrebbe reso felice essere stato il primo che capita.

«Papà?» Sono talmente travolto da questi ricordi, che quasi mi dimenticavo che c’è anche la mia bellissima creatura con me.
«Dimmi tesoro.» Abbasso lo sguardo nella sua direzione, mentre camminiamo mano nella mano.
«Manca molto?» Sorrido alla sua richiesta, è sempre stata una pigrona.
«Sei impaziente di arrivare, o sei già stanca?» Mi guarda con i suoi occhi furbetti, uguali a quelli di sua madre, azzurri come il mare d’estate.
«Lo sai che sono impaziente.» Ha solo dieci anni, ma mi tiene in riga come Candice; mamma e figlia sono uguali in tutto e per tutto.
«Ascolta Julie, facciamo una cosa…» Mi fermo un attimo, e mi abbasso leggermente alla sua altezza accarezzando i suoi lunghi capelli castani uguali a quelli di sua madre. Sono due gocce d’acqua. «…quando arriviamo, vuoi darli tu questi fiori alla mamma?» Le porgo il piccolo mazzo di rose rosse che ho comprato poco fa. Un mazzo di rose rosse può sembrare banale, ma sono sempre stati i suoi fiori preferiti e non aveva importanza quale fosse l’occasione, quando volevo comprarle dei fiori, voleva sempre e solo rose rosse.
I suoi occhietti si illuminano e il suo sorriso rende questa giornata invernale, un po’ meno fredda.
«Ci sto, ma puoi tenerli ancora tu?» Le sorrido, dandole poi un bacio sulla fronte. È piccola ma sa esattamente come manipolarmi, e io glielo lascio fare, perché Julie è tutta la mia vita.
«Sei un’ottima affarista.» Le faccio l’occhiolino, poi riprendiamo a camminare.
Il piccolo laghetto dove abbiamo celebrato il “nostro” matrimonio, quello in cui eravamo presenti solo io e lei, è qui vicino e, camminare lungo questo sentiero, mi porta alla mente altri ricordi.
«Possiamo sederci solo cinque minuti, queste scarpe mi fanno male.» Non sono sicuro che stia dicendo la verità, ma non importa, se vuole sedersi lo faremo. Oggi le è concesso tutto.
«Certo, attenta a non sporcare il cappotto mentre ti siedi.» Si avvicina alla panchina e controlla che sia pulita, poi mi guarda come se aspettasse il mio permesso, che in realtà non aspetta per niente perché con un piccolo salto si siede, e mi fa cenno di raggiungerla. Mi accomodo accanto alla mia piccola signorina. Le è sempre piaciuto venire qui, soprattutto da quando in casa si è aggiunto un nuovo componente. Mikado, il suo labrador che adora, ma l’adorazione è ricambiata, e spesso di coalizzano contro di me, soprattutto la domenica mattina quando vorrei dormire, ma riescono comunque a farmi alzare con il sorriso.
Mi squilla il telefono. È un messaggio e Julie alza gli occhi al cielo. Non sopporta il mio telefono, soprattutto quello dell’ufficio, ma stavolta non è lavoro.
 
Potevi lasciarla con me, non era un problema.
Sei sempre il solito testone.
 
«Chi è?» La vocina squillante di Julie mi fa voltare subito dalla sua parte.
«È nonna Isabel.» Si era offerta di tenere lei Julie oggi, ma io l’ho voluta con me. La mamma di Candice è sempre stata molto attaccata a nostra figlia, e si preoccupa sempre troppo.
«Ti ha sgridato?» Rido perché ha ragione, mi sgrida sempre, proprio come Candice, e nello stesso modo di Julie. Il DNA non mente.
«Certo che sì.» Guardo il suo visino serio, e sento che sto per essere rimproverato anche da lei.
«Te l’avevo detto di avvisarla ieri sera che non mi avresti portato da lei.» Sul cartello di casa, invece di attenti al cane, dovevo far scrivere, attenti alle donne della famiglia Miller.
«Ok sergente Julie, è ora di andare adesso.» Sorrido mentre mi alzo in piedi e allungo la mano nella sua direzione. Si alza anche lei, anche se il suo sguardo non sembra troppo convinto, afferra poi la mia, e riprendiamo il cammino in totale silenzio.
I ricordi tornano prepotenti in mezzo a questi sentieri, soprattutto quando arriviamo vicino al piccolo dehor, in riva ad un altrettanto piccolo corso d’acqua, costituito da due panche di legno coperte da una tettoia.
È qui che ti ho chiesto di sposarmi e, dodici anni fa come oggi, il mio amore per te è ovunque. Non sono mai riuscito a contenerlo. Nel primo anno della nostra frequentazione mi hai messo in difficoltà in ogni modo. Hai cercato di sabotare i nostri appuntamenti, alcune volte non ti presentavi neanche, dicendo che ti eri dimenticata, mi hai messo i bastoni tra le ruote in ogni occasione possibile facendomi anche fare la figura dell’idiota con i tuoi genitori raccontando un sacco di balle che non riuscivo a smentire per non metterti in ridicolo davanti a loro.
Ti ho stupita anche in quel caso. Eri convinta che non sarei riuscito a sopportare tutto, che sarei scappato a gambe levate, e invece ero sempre accanto a te, sempre, perché non avrei potuto fare altrimenti. L’amore che provo ancora oggi per te, non conosce difficoltà, problemi, insicurezze o paure. Non mi hai mai spaventato, e quando mi hai confessato che tutto quello che hai fatto il primo anno era stato mettere alla prova la nostra relazione, avrei dovuto arrabbiarmi, ma non l’ho fatto perché sapevo quello che avevi dovuto sopportare in passato, ed ero più che felice di averti dimostrato che potevi fidarti di me, che io e te avevamo un futuro insieme. Avevo guadagnato la tua stima e il diritto di far parte della tua vita.

Non potevo desiderare di meglio.

«Papà, mi racconti di quando hai chiesto a mamma di sposarti?» Le ho raccontato di questo posto qualche giorno fa, e mi ha detto che non vedeva l’ora di vederlo. Per questo siamo passati da qui prima della nostra destinazione.
«Era una giornata speciale per me, proprio come oggi, ed ero sicuro che fosse arrivato il momento giusto. Volevo avere la tua mamma tutta per me, per tutta la vita…» Lo ricordo come se fosse oggi.

«Jake, dove stiamo andando?» Non le piacciono le sorprese, vuole avere sempre tutto sotto controllo, ma oggi voglio fare a modo mio.
«Candice stavolta non potrai fare niente, tutto è già stato previsto.» La tengo per mano lungo il sentiero che arriva al dehor che ho trovato il mese scorso durante una delle mie corse al Central Park. Appena l’ho visto, ho capito che era il luogo perfetto. In disparte dai sentieri frequentati dalla maggior parte delle persone, in quel minuscolo angolo, ci saremmo stati solo io e lei.
Ho fatto in modo che Steven, il mio fioraio di fiducia, lo decorasse interamente di rose rosse. Ho speso una fortuna, ma il risultato ne valeva assolutamente la pena. Rose arrotolate sui due pali laterali che sostengono la tettoia, rose che pendono dal centro, rose sulla panchina, e petali di rose lungo l’ultimo tratto del sentiero. Il mio amico fioraio è rimasto di guardia al piccolo dehor durante l’ultima mezz’ora, perché non potevo rischiare che qualcuno rovinasse ogni cosa.
«Tutto cosa Jake?» Adoro quando sento di avere il potere su di lei, di solito non è così, ma le rare volte che succede mi godo l’attimo.
«Adesso fermati.» Mi posiziono davanti a lei, tolgo la benda dalla tasca dei miei jeans, e la sua espressione mi fa ridere.
«Non lo farai!» Fa un passo indietro non appena capisce che sto per bendarla, ma mi avvicino subito e la raggiungo.
«E invece lo farò, e tu smetterai di protestare.» Alla fine resta ferma. I miei movimenti sono lenti, perché ogni volta che mi è così vicino, non riesco a non perdermi mentre la guardo. Poi devo farlo, devo baciarla. Mi dimentico per un attimo della benda, di quello che sto per fare, di dove siamo, di tutto e prendo il suo viso per attirarla a me e la bacio con dolcezza, con passione, con amore, con tutto quello che provo per lei.

«La mamma si è lasciata bendare?» La voce di Julie mi riporta alla realtà e le sorrido.
«So che sembra impossibile, ma quella volta ho vinto io. La mamma si è lasciata bendare, l’ho presa per mano, e l’ho condotta fino a qui, proprio dove sei seduta tu in questo momento. Quando le ho tolto la benda e ha visto tutte le rose rosse che avevo fatto mettere qui, solo per lei, i suoi occhi sono diventati lucidi, e potevo leggere la felicità nel suo sguardo. Ho preso l’anello che avevo comprato per lei qualche settimana prima, poi mi sono inginocchiato e le ho detto “Candice Elizabeth Collins dimmi solo lo voglio, e sarò tuo per tutta la vita.» La piccola Julie batte le sue manine entusiasta.
«Ti ha detto subito sì?» L’emozione nella sua voce è contagiosa, mi sento anch’io come un bambino in questo momento.
«Mi ha detto…» Mi schiarisco appena la gola e simulo una voce femminile che fa ridere la mia bambina. “…Jake William Miller, cocciuto e testardo come sei me lo chiederesti fino a che non ti risponderei di sì, ti evito la fatica… lo voglio… in realtà l’ho voluto dal primo momento in cui ti ho visto.” La mamma era rimasta molto sorpresa ed ero al settimo cielo per quello che mi aveva appena detto.» La mia piccola bambina mi guarda con adorazione, come se fossi il suo eroe, e vorrei poterlo essere davvero. «Adesso dobbiamo andare.» Le porgo la mano che lei afferra subito dopo essersi alzata in piedi, e ci incamminiamo lungo il sentiero che porta fuori da Central Park.
Il mio telefono squilla di nuovo. Un altro messaggio.
«Papà, quel telefono deve proprio rimanere acceso?» Proprio non lo sopporta, è più forte di lei, forse è una cosa che le ha trasmesso sua madre.
«È un messaggio di zio Josh, dice che loro sono quasi arrivati.» Mio fratello, il mio pilastro, la mia forza.
«Ok, lo zio Josh ha tutti i permessi che vuole.» Ed è anche l’amore della vita di Julie. Lei è convinta che potrà sposarlo una volta diventata grande. È stata proprio Julie a volere che ci raggiungesse oggi, anche se ha storto il naso quando le ho detto che verrà con sua moglie. Si sono sposati due anni fa. Io e Candice siamo stati i loro testimoni di nozze, e la piccola Julie ha continuato a sussurrare alle nostre orecchie, per tutta la giornata, che tanto lo zio Josh sarebbe stato suo marito da grande. Io e sua mamma ci guardavamo, e sorridevamo alle sue parole.
Rispondo a mio fratello, dicendogli che stiamo per arrivare alla macchina, e che saremo lì nel più breve tempo possibile. Usciamo dal sentiero, raggiungo la macchina, faccio salire Julie dietro, anche se continua a lamentarsi che è abbastanza grande per sedersi davanti, ma io non voglio correre rischi inutili, e la faccio sedere dietro, agganciandole per bene la cintura di sicurezza, poggiando vicino a lei il mazzo di rose.
«Posso avere il tuo telefono finché arriviamo?» Non ho obiezioni in merito. Gli porgo il mio cellulare, le chiudo lo sportello e, dopo aver fatto il giro della macchina, mi metto alla guida dirigendomi verso la nostra destinazione.
Sento provenire da dietro quei piccoli rumorini del gioco che le piace tanto fare quando vuole passare il tempo. Di solito non li sopporto, ma stavolta non mi danno alcun fastidio, preferisco che si distragga, o quando arriveremo sarà così nervosa che nessuno riuscirà a tenerla.
Il caratterino l’ha preso da te Candice. È forte, sa quello che vuole, e sa come ottenerlo senza farsi mettere i piedi in testa da nessuno.
«Questa foto quando l’avete fatta?» Sta guardando di nuovo le foto, come se non le avesse mai viste.
«Julie sto guidando, aspetta che arrivo ad un semaforo e la guardo ok?» In effetti mi sembrava di non sentire da un po’ i rumorini fastidiosi del gioco. Arrivo al semaforo rosso, mi fermo, e mi volto all’indietro.
«Fa’ vedere.» Gira lo schermo dalla mia parte, e guardare quella foto è stato come rivivere quel giorno.
«L’hai già vista quella foto, e sai anche quando l’abbiamo fatta.» Ride perché sa che ho ragione. Me l’aveva chiesto un paio di settimane fa mentre la stavo accompagnando a scuola.
«Raccontamelo di nuovo.» Le sorrido, poi devo ripartire perché qualcuno sta suonando il clacson, segno che il semaforo è diventato verde.
«È stato l’anno scorso, la prima volta che io e la mamma siamo andati via da soli per un week-end dopo che sei nata tu.» A nessuno dei due è mai piaciuto il fatto di lasciare Julie a casa e andare via per conto nostro. Non l’abbiamo mai fatto, ma l’anno scorso era un periodo particolare per me. Avevo realmente bisogno di passare qualche giorno da solo con te e, pur non essendone del tutto convinta, hai voluto accontentarmi, regalandomi il week-end più intenso di tutta la nostra vita insieme.
«Sai che ero molto arrabbiata con voi per non avermi portato?» Sorrido quando lo dice perché so che è vero.
«Si che lo so, quando siamo tornati a casa hai detto che avresti chiamato lo zio Josh, ti saresti fatta portare a DisneyWorld, e a me e alla mamma, ci avreste lasciati a casa.» La osservo dallo specchietto retrovisore e la vedo sorridere. Le voglio bene più della mia stessa vita e vorrei non dovesse soffrire mai.

I restanti quindici minuti li trascorriamo in silenzio, nel traffico di New York. Ogni tanto l’ho osservata dallo specchietto e, per tutto il tempo, non ha fatto altro che tenere gli occhi fissi sul display del mio cellulare, probabilmente a guardare le foto presenti nella galleria. Ogni tanto ha sorriso, a volte era seria, ma in ogni istante ha sempre avuto la stessa espressione di Candice.
«Siamo arrivati piccola.» Alza gli occhi verso di me, le sorrido, scendo per aprirle lo sportello. Lei si è già sganciata la cintura, e poi scende dall’auto, con in mano il mazzo di rose rosse per la mamma.
«Questa è la chiesa dove vi siete sposati?» mi domanda mentre le prendo la mano per attraversare la strada.
«Sì, è proprio questa. Ti piace?» Si fa più seria in volto, e adesso più che mai vorrei essere il super eroe che lei crede che io sia.
«Non lo so.» Mi abbasso alla sua altezza per prenderla in braccio e, una volta che l’ho tirata, su mi guarda dritto negli occhi ed io non so proprio come fare.
«Avresti preferito rimanere con nonna Isabel?» Forse dovevo darle retta e lasciarla con lei.
«No, va bene. Entriamo.» Come ho già detto, la mia piccole Julie è forte, sa che ho bisogno di lei e non mi avrebbe lasciato da solo per niente al mondo.
Attraverso la strada, poi varco la soglia della chiesa con mia figlia in braccio che tiene in mano il mazzo di rose per la sua mamma. Il primo a venirmi incontro è Josh, abbraccia me e Julie, poi si prende la piccola in braccio. Lei non fa alcuna storia, ed io mi dirigo verso l’altare sedendomi al primo banco.
Il brusio cessa improvvisamente quando il prete fa il suo ingresso. Il mio cuore batte troppo velocemente, lo sento forte nelle tempie, nelle orecchie, stringo le mani tra di loro cercando di calmarmi, ma lo faccio solo quando la mia bambina si siede accanto a me, posando la sua mano sulla mia.
Ha gli occhi lucidi, sta per piangere. Io non posso farlo, non con lei che mi guarda, altrimenti non potrei più essere il suo super eroe, e questo non posso permetterlo.
Il prete continua a parlare, ma non riesco a sentire nemmeno una parola, sono troppo concentrato su Julie per ascoltarlo, e solo quando mi fa cenno di avvicinarmi all’altare cerco di chiamare a raccolta ogni grammo di forza che riesco a trovare dentro di me.
Salgo sul piccolo podio, sistemo il microfono, e i miei occhi sono di nuovo su di lei. Lei che è così piccola, ma allo stesso tempo così grande. Lei che è così uguale a sua mamma. Lei che è tutto quello che mi è rimasto di Candice.
«Mi hai insegnato ad essere coraggioso, ma è difficile farlo senza di te al mio fianco. Ho provato a scrivere questo discorso tante di quelle volte, ma ogni volta mi sembravano solo parole. Mi hai insegnato quanto sia bella la vita, perché, anche quando finisce, c’è sempre un motivo per cui vale la pena continuare a viverla per chi resta.» I miei occhi sono ancora fissi su Julie che ha iniziato a piangere, e non posso lasciarla sola, ma ho bisogno di finire questo discorso. Le faccio cenno di avvicinarsi. Lei scatta in piedi come una molla, poi, mi raggiunge correndo. L’abbraccio posando la mia mano sulla sua schiena, tenendola stretta, lei si aggrappa con le sue manine ai miei pantaloni. Ora mi sento più forte, e posso continuare a parlare. «Eravamo in questa chiesa dodici anni fa per dichiararci amore eterno. Ti hanno portata via troppo presto, non so cosa darei per poterti avere qui con noi ancora, ma sei stata, sei, e sarai sempre la mia luce. Non era certo questo il modo in cui pensavo di celebrare il nostro anniversario di matrimonio, ma ci tenevo a far sapere a tutti quanto ti amo, oggi, come quello stesso giorno, anzi, se possibile, ti amo anche di più. Ti amiamo tutti Candice, ovunque tu sia.»

So che non tornerai amore mio, ma so che continuerai ad illuminare la nostra strada. Julie è con me, vivo per lei, come l’avresti fatto tu. La vita è preziosa, lo so, amo te, amo Julie, e credo di essere pronto a diventare il suo supereroe.
Ti amo Candice.
   
 
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