Fiori recisi
«S |
tanotte c’è un cielo meraviglioso» sussurrò, mentre i suoi
occhi guizzavano da una stella all’altra, estasiati. «Guarda, lassù! Lì c’è il
Grande Carro, mentre… aspetta, dov’è la Stella Polare? Non riesco a trovarla e
tu? La vedi?».
L’indice della donna puntava in una direzione precisa, ma l’uomo
al suo fianco non sembrava prestarle attenzione: era troppo impegnato ad
osservare ben altro e sua moglie, grazie al cosiddetto “sesto senso” femminile,
se ne accorse subito.
Con le guance gonfie d’aria e la fronte aggrottata, lo
rimbeccò: «Quando il dito indica la luna,
lo stolto guarda il dito».
In tutta risposta, Paver curvò le labbra in un sorriso. Con
delicatezza afferrò l’esile mano della consorte, accompagnandola con la sua
fino al ventre tondo. «Ma io la sto già guardando, amore,» la corresse con
dolcezza «ed è bellissima».
Le guance di Samina si imporporarono. Istintivamente, prese
ad accarezzare la sua pancia con il palmo aperto; il bambino rispose con quella
che sembrava proprio una capriola, ricambiando il gesto affettuoso di sua
madre.
Ancora qualche mese, poi lo avrebbero abbracciato - più ci
pensava, meno riusciva a prendere sonno: per questo motivo quella notte si era
recata in giardino e si era sdraiata, alla ricerca di serenità, cullata dalle
luci e dai sussurri della notte.
Aveva fatto prendere un bello spavento a quel pover’uomo di
suo marito che, non trovandola più accanto a sé nel loro letto, l’aveva cercata
ovunque in preda al panico. Aveva impiegato un po’ di tempo, prima di trovarla,
ma non aveva avuto il coraggio di rimproverarla: era così bella, Samina, ogni giorno
sempre di più.
Tutt’un tratto, il volto della donna si adombrò per la
preoccupazione: «Gladion? Non lo avrai svegliato, vero?» gli domandò, anche se
il suo timore pareva più una minaccia.
«Tranquilla. Sta dormendo beato,» la rassicurò Paver, senza
trattenersi dall’aggiungere con scherno «a differenza di un certo qualcuno qui
presente».
Come se se lo meritasse, la moglie lo ignorò e tornò a
scrutare il firmamento. Ancora non aveva trovato la sua adorata Stella Polare e
lui non era di certo stato d’aiuto.
«Sarà una bambina».
Paver si destò dal dormiveglia, colto di sorpresa da quell’affermazione
improvvisa. Non appena riaprì gli occhi, trovò la moglie china su di lui: la
sua espressione seria pretendeva una risposta. Non l’aveva mai vista così tanto
sicura di sé prima di allora, neppure durante le loro ricerche sugli Ultra
Varchi.
«Come dici…?» le domandò, ancora intontito.
«Una bambina, insomma, una bambina!» protestò Samina,
spazientita. Già di per sé era abbastanza lunatica, figurarsi quando era in
preda a improvvisi sbalzi ormonali dovuti alla gravidanza. «Te lo dico io»
concluse così il discorso, senza lasciargli margine di protesta.
Non appena l’uomo realizzò quanto aveva detto, fece leva
sulle braccia e si protese verso di lei, pronto ad accoglierla in un abbraccio.
Un nuovo calore gli arse nel petto, non appena strinse la consorte a sé:
avrebbe voluto piangere, piangere di gioia come mai aveva fatto prima di
allora. Neppure durante l’attesa di Gladion si era sentito così – forse ciò era
dovuto alla sorpresa, alla novità e al terrore di non essere un genitore
adeguato.
Chissà.
Non aveva bisogno di giustificare quanto provava. Inutile
chiedersi il perché di questo improvviso moto interiore, ora che aveva un nuovo
compito da portare a termine. No, non si trattava di scoprire quale segreto si
celava dietro agli enormi squarci nel cielo.
Stava abbracciando il mistero della vita, quella generata
dall’amore che avrebber legato indissolubilmente lui e Samina per sempre. Non
riuscì a trattenere le lacrime.
La moglie lo strinse, confusa. «Che cosa succede, tesoro?».
Paver poggiò le labbra sui capelli profumati di lei e
inspirò profondamente. «Voglio proteggeri, Samina. Anzi, voglio proteggervi, anche a costo di…».
Ma la bocca morbida della moglie gli impedì di spingersi
oltre.
I |
numeri
continuavano a scorrere su schermi troppo luminosi per le sue diottrie. Era
ormai notte fonda e la carenza di sonno si stava facendo sentire, mettendo seriamente
in pericolo il suo bel volto di porcellana. Eppure il suo cuore continuava a
pompare sangue senza sosta, sempre con più vigore, mentre il cervello elaborava
i dati in continuazione.
Le sue dita veloci non smettevano di battere i tasti dei
vari computer e le sue gambe la conducevano in maniera meccanica da
un’attrezzatura all’altra - non c’era tempo di pensare a ciò che si faceva.
Scorse velocemente la mappa di Alola con gli occhi. Risposta
negativa in tutti i settori, nessuna reazione agli stimoli che le sue
invenzioni emettevano per l’apertura degli Ultra Varchi, neppure il più piccolo
accenno di alterazione dello spazio-tempo, neanche un misero movimento anomalo
delle particelle.
Perché?
Sentì la rabbia crescere. Digrignò i denti, dimenticandosi
della bella immagine che aveva difeso in tutti quegli anni, e passò
nervosamente le mani nei lunghi capelli spettinati e trascurati. Cercò ancora
nei grafici, invano, la risposta che desiderava.
Perché?
Avevano costruito con enorme fatica la loro vita perfetta ed
era bastato uno stupido squarcio nel cielo a portargliela via, a cancellarla
come se nulla fosse accaduto. Di Paver era rimasto soltanto un nome, un nome
che saltava da una bocca all’altra, un nome pronunciato senza rispetto soltanto
nei discorsi riguardanti quei maledetti passaggi per un’altra dimensione.
Ma riguardo a Samina, Gladion e Lillie tutti tacevano.
Perché?
Nonostante nessuno lo conoscesse, la gente si era
appropriata del diritto di parlarne: lo descrivevano come un ricercatore
geniale, che aveva fatto una scoperta di fondamentale importanza per lo
sviluppo di nuove tecnologie e per la dimostrazione riguardo l’esistenza di
altre dimensioni; lo dipingevano come un eroe, che si era sacrificato per proteggere
i suoi compagni dalla cosiddetta “minaccia extra-dimensionale”; e infine come
un ottimo padre di famiglia, anche se i giornalisti non avevano mai avuto la
decenza di rivolgere delle domande ai suoi cari.
Tutti a piangere lacrime di coccodrillo per qualcuno di cui
avevano visto di sfuggita soltanto una fotografia. E chi lo amava, intanto,
stava mettendo in gioco tutto quel poco che era rimasto.
«Voglio proteggervi,
eh?» ringhiò Samina, sferrando un pugno alla scrivania. «Guarda che fine hai
fatto, maledetto! Tu e i tuoi stupidi Ultra Varchi...».
I tasti si fecero bagnati e scivolosi. Il dolore lavò via la
sua rabbia. «Ed io ti ho dato corda».
Le sue gambe non ressero più e scivolò a terra. Samina non
aveva la forza di rialzarsi. Si abbandonò sul pavimento, sconfitta.
Stavolta non c’era nessun cielo stellato da osservare, solo
il triste soffitto di un laboratorio.
Nessun ventre gonfio da accarezzare, ma il frutto di una
folle ricerca da inseguire.
Soprattutto nessun amore da stringere e accarezzare,
soltanto un camice un po’ troppo largo che aveva ancora il suo odore.
Qualche piccola
delucidazione:
¨ Mi piace
particolarmente il personaggio di Samina
e vorrei approfondire meglio l’influenza che le neurotossine di Nihilego hanno
avuto su di lei: molti giocatori non si soffermano abbastanza su alcuni
dialoghi di Sole&Luna, finendo col giudicare Samina una “madre di
*censura*”. La sua follia è frutto di un dramma e di un contagio mai spiegati a
dovere nel gioco, quindi spero con tutto il cuore che nei sequel ciò venga
espresso a chiare lettere;
¨ Scelgo sempre i titoli a fine stesura, per questo
qualcuno si sarà giustamente chiesto “E i
fiori in questa storia dove diavolo sono?”. I fiori recisi si riferiscono a
Samina e Paver, che prendono i loro nomi – appunto – da dei fiori. Questo vale
anche per Gladion e Lillie, anche se in questa storia sono solo secondari;
¨ Chi mi conosce, sa
che nell’angst ci sguazzo, quindi
ogni tanto comparirò con qualcosa di decisamente crudele nei confronti di
personaggi che mi piacciono. Questa volta è toccata a loro, la prossima…
chissà! *sottospecie di risata malvagia*