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Autore: kingartur3    30/09/2017    0 recensioni
Il viaggio è sempre qualcosa di affascinante, sopratutto se fatto in compagnia. Quando si viaggia si scoprono cose nuove e spesso si scoprono aspetti delle persone che conosciamo che non avremmo mai notato, questo racconto parla di questo, parla di un viaggio tra due colleghi della durata di poche ore ma che con la sua semplicità mette in risalto dettagli che nemmeno le più profonde domande avrebbero saputo svelare.
Genere: Avventura, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Era una classica giornata calda d'agosto, una di quelle dove cominci a credere che i raggi solari abbiano un peso, e lo senti completamente sulla pelle. Eravamo appena scesi da un pullman fermatosi in un punto apparentemente arbitrario della strada, nel mezzo del nulla. Il paesaggio era così piatto da sembrare infinito e lo stesso pullman sembrava cavalcare l'orizzonte mentre si allontanava da noi. Mi sono sempre vantato di non essere un cittadino puro, di aver vissuto delle esperienze di confine e di aver visto posti che normalmente le persone non vedono, eppure, trovandomi nel bel mezzo della definizione stessa della parola campagna, ero perso! Mi giravo in continuazione per guardare il posto a 360°, cercavo un punto di riferimento, qualcosa che si innalzasse anche solo di poco dalla terra, ma non trovavo nulla, l'unica cosa diversa dal resto del paesaggio era la terra battuta su cui mi trovavo.
Non so quanto tempo fosse passato da quando eravamo scesi, ma dopo essersi guardato un po' intorno sento il mio amico dire:
«E' di quà, vieni!»
«Conosci la zona?»
«Certo, non è la prima volta che vengo qui.»
«Come fai a capire la direzione dove dobbiamo andare? Che cosa usi come punto di riferimento?»
«Per te è la prima volta, tutto quello che guardi adesso ti sembra la norma. Il tuo cervello non riesce a concepire un pezzo di campagna diverso da questo. Aspetta di fare un giro qui intorno, riconoscere il tipo di terra, riconoscere cosa vi è piantato e come è stato piantato. Quando riuscirai a distinguere queste piccole cose, inconsciamente, di punti di riferimento ne troverai a migliaia.»
Ci pensai un po' su, per poi essere d'accordo con lui, il ragionamento filava. Era come chiedersi il metodo per distinguere i colori tra loro quando se ne conosceva soltanto uno, mettere a confronto ha come prerequisito conoscere abbastanza campioni di quella cosa.

Il mio amico è una persona a posto, lavoriamo nella stessa ditta e questo è un viaggio di lavoro. Esportiamo frutta esotica nel mondo e oggi siamo qui, lontani 100 miglia da tutto per proporre a un agricoltore locale un accordo di fornitura. A propormi l'incarico è stato proprio lui, qualche giorno fa. Ero alla scrivania preparando dei preventivi, mancava poco per l'inizio della pausa pranzo e mi si avvicinò come suo solito per parlarmi:
«Lunedì devo passare da un fornitore per un contratto, sei impegnato?»
«No, ma perché lo chiedi a me? Non l'ho mai fatto.»
«Non sarà un affare complicato, è già tutto deciso, dobbiamo solo firmare.» E poi, aggiunse «Gli altri sono così noiosi, parlano sempre delle stesse cose, preferisco andare con una persona simpatica.»
Sarò una persona semplice, ma bastò quella lusinga a togliermi ogni dubbio e convincermi ad andare.

Eravamo in cammino da venti minuti oramai e finalmente all'orizzonte si intravedeva qualcosa. All'inizio era solo un increspatura marcata dell'orizzonte, ma più camminavamo e più questa cresceva. Era un cartello in legno, messo molto alto, quasi quanto cinque persone e riportava una scritta dorata in rilievo: «Agricoltura NonDeTenainer». Pensavo che il caldo e la lontananza stessero ingannando la mia vista, ma non era così, la scritta era grande abbastanza da non poter essere confusa, mi sembrava la prima volta che sentivo un nome tanto strano, NonDeTenainer, NonDeTenainer, NonDeTenainer... Eppure, più lo sentivo più mi sembrava di averlo sentito, da qualche parte, in un qualche tempo. Il cartello in questione si trovava in cima a un cancello e rompeva una palizzata di legno alta quanto tre persone che si estendeva all'orizzonte sia a destra che a sinistra. Quasi mi sentivo a disagio della scarsa conoscenza delle mezze misure delle persone di quelle parti.
«Siamo quasi arrivati.» Mi disse interrompendo completamente il mio flusso di pensieri.
«Non conoscono mezze misure da queste parti.» Risposi distrattamente con l'ultima cosa che mi era passata per la testa.
«Già.» Disse in tono malinconico, e poi pensandoci un po' sù «O tutto o niente, hai proprio ragione.»
«Ah mi raccomando!» aggiunse poi, come per aver dimenticato di dirmi una cosa importante «Questa gente è tutta campagnola, non sanno che gli stiamo comprando a molto poco quello che producono, fa attenzione su come parli»
Stavo per fare un cenno di assenso quando continuò «Anche se so che non lo avresti fatto comunque.»
Detto questo prese il cellulare e chiamò qualcuno, avvertendolo che eravamo al cancello ad aspettarlo.

Il mio collega, si chiama Jack ed è il mio capo reparto. Se ne parla sempre bene di lui, una persona affidabile, una persona di talento, qualcuno che farà carriera; io preferisco dargli un altra definizione, quella di una persona che odia stare in basso, una persona che lotta disperatamente per non ritrovarsi sopraffatta da chi si trova sopra di lui. Una volta mentre parlavamo mi disse che gli piaceva stare con me perché gli ispiravo tranquillità a differenza di tutti gli altri, non ho mai capito esattamente cosa intendesse, ma l'ho sempre preso come un complimento. Parlandone così sembra che ci conosciamo da molto, è invece non è così, ci conosciamo solo da 8 mesi e anche il suo ingresso in azienda non è poi così lontano, solo 2 anni. Molto pochi se confrontati ai miei 12 anni. 12 anni incoloriti da solo 3 promozioni, che, di nuovo, non sono nulla in confronto alle sue 7 promozioni che, da "lavoratore affiliato", lo hanno portato a "capo reparto regionale". Ha la stoffa per farlo, può andare avanti e non sono per niente invidioso, merita ognuna delle sue lodi e se continua a salire è perché qualcuno ha capito che grazie a lui l'azienda potrà brillare, così come lui potrà brillare insieme a lei.

Era passato un quarto d'ora e cominciavo a spazientirmi quando in lontananza sentii un rumore, simile a quello di una zanzara che si avvicina. Poco dopo il rumore era sempre più forte e ad intervalli si sentivano degli scoppiettii; veniva dal cancello ed era un motore, uno di quelli vecchi a gasolio. Erano venuti a prenderci, con un trattore!!! Visto l'ambiente avrei dovuto aspettarmelo, ma comunque non ero contrariato per la cosa, anzi, ero eccitato come un bambino. Non avevamo dei veri e propri posti a sedere, ma sedevamo sui parafanghi che coprivano le enormi ruote; la vernice nera gli dava un apparenza plasticosa e fragile, ma in realtà erano fatti di ferro e alluminio e ci tenevano senza problemi.

Il viaggio fu lungo quanto l'attesa, dopo dieci minuti si intravide da lontano una casetta di legno su due piani con tetto a spiovento e piccola rimessa a lato, un posto così caratteristico che sarebbe perfetto come set per un film, farebbe sicuramente faville sulla pellicola. Mentre l'autista parcheggiava il trattore, ci venne detto di entrare in casa, dove il gestore, un certo Jim, ci stava aspettando. L'ingresso della casa era in tono con il resto della struttura e sulla porta risaltavano due particolari, una targhetta con su scritto «Casa NonDeTenainer» e una campanellina poggiato ad un chiodo. Bussammo e mentre aspettavamo, mi girai intorno con fare curioso e notai poco lontano dalla casa uno spiazzale recintato in ferro che a una più attenta occhiata risultò essere un cimitero con tanto di vecchietto seduto al suo ingresso.
«Benvenuti, vi stavo aspettando» disse mentre apriva la porta confuso nel tintinnio della campanella.
Aveva una camicia e un pantalone normali, come quelli che indossavamo anche noi, riamasi un po' deluso che ad accoglierci non ci fù il classico vecchio pazzo con carabina e camicia a quadri.
«Prego entrate, ho fatto preparare qualcosa di fresco, la strada è lunga sarete stanchi.» continuò lui.
«Non particolarmente, ma accettiamo più che volentieri» Replicò il mio amico
Entrammo in cucina e dopo aver scambiato chiacchiere di convenienza, cominciammo a parlare di affari, del funzionamento del contratto, delle regole di fornitura, dei prezzi, dei metodi di recupero del materiale, tasse,...

Non passò più di un ora quando finimmo il tutto, ed era ora di tornare. Di solito queste cose si sviluppano in più giorni, in più incontri, in più strette di mano, ma la semplicità della gente del posto a quanto pare aveva contagiato anche noi. Il trattore che doveva riportarci all'entrata era uscito per andare a prendere qualcun'altro e nell'attesa Jack si allontanò per fare due passi. Pensai di fare lo stesso e mi incamminai verso quel cimitero dove il vecchietto era ancora li seduto, immobile a fissare il vuoto.
«Fermo li» mi disse «non puoi entrare.»
«Non sono qui per dare fastidio, volevo solo onorare i vostri morti.» risposi educatamente, in realtà volevo vedere da quante generazioni andava avanti la fattoria.
«Ha qualcuno di importante qui?» aggiunsi caldamente.
«Solo una lapide, quella di un mio figlio, ma lui non è morto.»
«Perchè ne ha una allora?»
«Lui è scomparso, aveva 8 anni quando un mattino ci svegliammo e non lo ritrovammo più.» disse malinconicamente.
«Era un bravo ragazzo, non faceva che lamentarsi, però era il migliore qui. Aveva solo 8 anni ma aveva un gran carattere»
Finita questa frase seguì un breve silenzio interrotto da una voce lontana che mi chiamava, era l'autista che era arrivato e insieme al mio amico mi stavano aspettando, salutai e andai via chiudendo quella triste parentesi della scomparsa.

Eravamo appena usciti dal cancello e ci incamminammo verso la fermata del bus.
«Abbiamo fatto un bell'affare non trovi?»
«Bell'affare è quasi diminutivo, oltre all'esclusiva abbiamo un prezzo che è meno della metà di quello standard.»
«Proprio degli idioti non trovi? Hanno una miniera d'oro e si accontentano di venderla per un guadagno minimo»
«Anzi» aggiunse «Non si accontentano, sono convinti che per loro è un buon affare, non sono mai usciti da qui e si basano sui prezzi del mercato locale».
«Vendevano frutta esotica al mercato locale?»
«Si, assurdo non trovi? E' ovvio che devi tenere i prezzi bassi se la tua clientela non sa cosa sta comprando.»
«Eppure» continuò «Loro sono stati i primi a coltivare questi frutti qui in zona e all'epoca erano una famiglia influente.»
«Sono degli immigrati?»
«Si, sono venuti qui 8 generazioni fà, anche se adesso sono solo l'ombra di quello che erano. Non ci provano nemmeno a migliorare o a capire, semplicemente vivono come vivevano prima, la differenza è che prima c'era una guida capace, adesso non fanno che andare avanti facendo qualcosa di cui non ne capiscono il senso.»
Arrivati sulla strada cominciammo a parlare di altro e nell'attesa sedemmo a terra. Quando il sole cominciò a tramontare, vedemmo all'orizzonte un increspatura nera in crescendo, era il pullman, stava arrivando! Ancora mi chiedevo come Jack sapesse tutte quelle cose su quella famiglia, quando, alzandosi, fa cadere qualcosa dalla tasca.
Era la carta d'identità, inconsciamente la aprii e lessi un nome e cognome diversi da quelli con cui lo conosco:
Stephan NonDeTenainer.
   
 
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