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Autore: sara1234567890    30/09/2017    0 recensioni
Dal testo:
E solo allora mi resi conto di una cosa orribile. Il senso di colpa mi aveva afferrato e pensai a una sola cosa.
“ho ucciso un uomo”
Genere: Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ho ucciso
Doveva essere una bella serata. Doveva.
Papà e mamma erano fuori a mangiare per il loro ventisettesimo anniversario di matrimonio. Io e la mia sorellina Lia saremmo state a casa fino alla sera tardi in compagnia della nostra babysitter Marta.
Avevamo passato altre serate così.
L’unica cosa che non era andato secondo i piani era che Marta non sarebbe venuta subito. Aveva avuto un contrattempo. Centrava sicuramente con la madre in ospedale. Sarebbe arrivata un’ora e mezza dopo. Avevo rassicurato mamma e papà, convincendoli a uscire. Dopotutto avevo già quindici anni, ero una ragazza che si era dimostrata più volte molto responsabile e matura, che cosa poteva accadere di male in quella ora e mezza?
Non appena i miei genitori uscirono cedetti la tv a mia sorella. Non vedevo l’ora che scoccassero le nove e mezza. Sarebbe stata l’ora per la mia sorellina piccola Lia di andare a dormire. Faceva sempre i capricci e certe volte non la sopportavo, ma le volevo un bene immenso. Avevo già perso mio fratello Amos per la droga quattro anni prima e dal quel giorno ho preso la mia piccola sorellina sotto la mia ala protettiva.
Sarebbe andato tutto bene. Marta sarebbe arrivata in tempo per mettere Lia sotto le coperte e io e lei ci saremmo messe sul divano a mangiare il gelato. Avremmo scelto un film su Netflix e ci saremmo divertite per tutta la serata. Era così che credevo che sarebbe andata la sera. Dio mio quanto mi sbagliavo.
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“Diana, non trovo più Milly” mi aveva detto mia sorella quella maledetta sera.
Milly era la sua giraffa rosa di peluche e Lia aveva un talento innato di perderla ovunque andasse.
“hai guardato in camera nostra?” avevo chiesto io.
“sì”
“in camera di mamma e papà?”
“sì”
“in salotto?”
“sì”
“in bagno?”
“sì”
“e non l’hai trovata da nessuna parte?”
Per tutta risposta lei scosse la sua chioma di boccoli biondo sole. I suoi occhi verdi come la foresta erano pieni di lacrime. Ci rimaneva sempre male quando la perdeva. Gliela aveva regalata mio fratello. Poi mi venne in mente ciò che era successo quella mattina. Mio padre era sceso in cantina per prendere il regalo per la mamma per il loro anniversario. Mia sorella naturalmente l’aveva seguito per spiare il regalo, come al solito. Non sopportava le sorprese, anche adesso non ce la fa. Doveva aver lasciato lì quel peluche. Quello stupido peluche.
“forse è in cantina” le avevo detto.
Lei ci aveva riflettuto un po’, poi aveva sorriso. Era corsa giù per le scale. Un particolare che mi aveva sempre incuriosito di lei è che non aveva paura della cantina, né del buio. Io invece lo temevo. Non per un motivo particolare, ma insomma è abbastanza normale temere il buio no? Adesso ne ho ancora più paura.
Avevo aspettato qualche secondo, poi un urlo. Profondo, acuto, giovane. Mia sorella gridava. Corsi giù con la velocità di Usain Bolt. Magari non era niente, magari si era spaventata per un ragno, magari era solo un topo. Lei ne era terrorizzata. Ma Lia era sotto la mia responsabilità. Sentivo che c’era qualcosa che non andava. Arrivai in cantina scoprendo che non c’era nessuno. Dov’era mia sorella? In terrore mi attanagliò. Notai che alcune scatole in un angolo erano cadute dalla pila perfetta che la mamma aveva fatto qualche mese prima. Poi sentì una voce venire dalla lavanderia.
“parla piccola bastardella, sei sola? Dimmelo subito o ti ammazzo! Chi cazzo c’è in casa?! Dimmelo se non vuoi che ti spezzo tutte le ossa a calci hai capito?” diceva una voce a me sconosciuta. Era la voce di un uomo. Era una voce sgradevole, corrotta dall’alcool e dal fumo. Presi da un cassetto il primo oggetto che mi ritrovai per mano. Un cacciavite. Un grosso cacciavite di metallo. Non so se maledire o benedire l’attimo in cui attimo in cui le mie dita scelsero quell’oggetto.
Camminai scivolando fino alla lavanderia, feci di tutto per non farmi sentire. Più mi avvicinavo più sentivo i singhiozzi. La porta era spalancata. Mi accostai a fianco dell’uscio e guardai dentro. Il terrore mi attanagliò.
C’era un uomo. Era vestito totalmente di nero, portava pure un passamontagna di lana che gli copriva il volto. Un ladro. E in un angolo c’era la mia sorellina. Piangeva, singhiozzava e teneva il volto infossato nel suo peluche Milly. E l’uomo le puntava contro una pistola.
“non mi hai sentito?! Sei anche sorda oltre che bastarda?! Dimmi chi cazzo c’è con te o ti faccio morire male!” gridò il tipo puntandogli contro la pistola. Aveva un dito sul grilletto. L’avrebbe uccisa. In quel momento ne ero più certa, l’avrebbe uccisa. Io avrei perso la mia piccola sorellina.
Le mie mani si strinsero convulsamente intorno al cacciavite. Cosa potevo fare? Non potevo starmene ferma. Dovevo fare qualcosa. Una risposta c’era nel mio cervello e continuavo a respingerla. Ma dovevo farlo. Feci un sospiro. Avanzai verso la porta. Sentivo il battito del mio cuore accelerare, sentivo il mio respiro farsi più rumoroso. Le mie gambe tremavano tanto che temevo che sarei stramazzata a terra. Pensavo che fosse un incubo, un incubo che doveva finire al più presto. Ma quello non era un sogno. Era la realtà. Avanzai lentamente, sentivo tutto il mondo intorno a me come se non esistesse. Camminai alle spalle del ladro con il cacciavite in mano. Lia era per terra e non mi aveva visto. L’uomo avanzò verso di lei con l’arma stretta in pugno “parla, cazzo!” gridò. Era arrabbiato. In quel momento pensai a Lia. Aveva solo sei anni, era piccola indifesa e spaventata. Mamma e papà non c’erano, Marta non c’era. C’ero solo io. Ero la sua sorella maggiore, la dovevo proteggere io. Era la mia sorellina e si è disposti a fare tutto per chi si ama. Dovevo farlo. Sentivo come se ogni attimo fosse interminabile. Ma non trovai il coraggio. La mano mi tremava.
Lia continuava a piangere senza rispondere alle domande dell’individuo.
“ora mi hai stufata piccola bastarda” aveva detto il ladro seriamente arrabbiato. Gli puntò bene la pistola.
Il mondo mi cadde sotto i piedi. Non so cosa gridai. Di quei pochi secondi mi ricordo poco. Il mio braccio che si alzava, poi colpiva. Un sordo colpo. Un rantolo soffocato. Lia che gridava il mio nome. Poi il sangue. Tanto sangue. Avevo sangue sulle mani e il cacciavite era infilato nel collo del ladro. Lia corse verso di me piangendo. Ci stringemmo in un abbraccio. E solo allora mi resi conto di una cosa orribile. Il senso di colpa mi aveva afferrato e pensai a una sola cosa.
“ho ucciso un uomo”
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Sono passati tanti anni da quella sera infernale. Esattamente venti. Nessuno osò accusarmi, era legittima difesa. Il ladro era risultato essere un ricercato non solo per una lunga carriera di furti e rapine, ma anche per ben quattro omicidi. Era un uomo che se lo meritava praticamente. Eppure il senso di colpa non mi ha ancora abbandonato. Nonostante ciò ogni giorno mi distacco sempre di più dal passato. Sono molte le persone che devo ringraziare. Tra queste ci sono i miei genitori, mia sorella Lia e il mio adorato marito Angelo. Angelo di nome e di fatto. Anche Lia certamente è rimasta un po’ scossa dall’accaduto, ma è ormai una giovane donna, più forte dell’acciaio e mi è estremamente riconoscente per ciò che ho fatto per lei. sa bene che ho pagato un caro prezzo per salvarle la vita. Tra poco si sposerà con un ragazzo di nome Orlando che lei ama moltissimo. Sarò la sua testimone e non posso esserne più felice. Gli incubi mi tormentano ancora oggi e vado ancora da una psicologa, ma sono una donna forte e sono certa che presto riuscirò a vincere questa battaglia contro il mio senso di colpa. Ho ucciso un uomo, ma io andrò avanti e continuerò a vivere.
   
 
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