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Autore: hirondelle_    02/10/2017    1 recensioni
[hiromido][masahika][past!gazemido]
What if in cui Midorikawa è il padre biologico di Kariya, che torna a vivere con lui dopo moltissimi anni a causa della morte prematura di sua madre. L'inizio della sua nuova vita non è dei più facili. Per comprendere suo padre e soprattutto se stesso, Kariya dovrà venire a patti con il suo passato.
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Kariya buttò fuori l’aria che non si era accorto di star trattenendo, un singulto trattenuto all’altezza della gola che sembrava volerlo soffocare di secondo in secondo.
“Senpai?” chiamò una voce timida. Hikaru era al suo fianco, ancora avvolto dalla coperta, gli occhi stropicciati di sonno ma vigili puntati su di lui. Gli appoggiò una mano sul braccio e gli sorrise.
Kariya spostò lo sguardo da Hikaru a suo padre e seppe che sarebbe andato tutto bene.
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[50k words]
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Hikaru Kageyama, Jordan/Ryuuji, Kariya Masaki, Xavier/Hiroto
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ombrelli sotto la pioggia
Masaki si sentì agitato per tutto il giorno successivo: Hikaru non si presentò a scuola e non diede segno di vita nemmeno per avvisare che non sarebbe andato agli allenamenti. Kariya si sentì totalmente perso senza di lui, e il pensiero non fece altro che renderlo ancora più nervoso: non avrebbe mai ammesso che aveva bisogno di lui al suo fianco, ma si sentiva soltanto peggio a pensarci, e si sentiva stupido per aver dato per scontata la sua presenza.
Sapeva che avrebbe dovuto allenarsi con la squadra almeno per quella giornata, ma aveva dato per partito preso che al suo fianco ci sarebbe stato Hikaru. Non si sarebbe messo di certo a fare a pugni per lui, ma per lo meno gli avrebbe dato la sicurezza di non essere solo; in qualche maniera, si sentì solamente più vulnerabile di prima. E non sapeva bene come gestire la situazione.
Come sempre, si cambiò in un angolo dello spogliatoio: come sempre, lo lasciò per ultimo; come sempre, ascoltò l’allenatore in disparte… e come mai prima d’ora, si unì agli altri negli esercizi.
Gli altri sembrarono sorpresi da quel suo cambiamento, ma non gli dissero nulla: Masaki in qualche modo ne fu contento, perché si aspettava una risposta più feroce a quel suo atteggiamento apparentemente senza senso. Se non fosse stato per il rispetto reverenziale che nutriva per Endou Mamoru, la leggenda del calcio giapponese, probabilmente non si sarebbe fatto nemmeno vedere quel giorno. Qualcosa nelle parole del coach lo avevano spinto ad assecondarlo.
Decise che avrebbe seguito il percorso degli altri in disparte, ma in breve più che una questione di orgoglio diventò una necessità: l’allenamento era molto più duro di quanto pensasse e si trovò in difficoltà più di una volta. I pochi momenti tra un esercizio e l’altro erano di importanza fondamentale per recuperare quel poco di fiato che poteva permettersi, e il suo corpo iniziò presto a dargli segnali allarmanti di un imminente disfacimento delle sue cellule.
A questo si aggiunse il fatto che molti degli esercizi erano da svolgersi in coppia e non tutti i membri della squadra erano propensi ad avvicinarsi a lui più del necessario: ciò gli fece rimpiangere ancora di più la presenza di Hikaru, se non altro perché almeno con lui non avrebbe avuto la sensazione di avere la lebbra. Vollero esercitarsi con lui soltanto Shindou e Tenma: quest’ultimo sembrava essere quello che lo tollerava più di tutti, e anzi sembrava voler fare persino amicizia. Ciò finì per farlo sentire ancora più a disagio.
“Stanco?” gli cinguettò allegramente ad un certo punto. Masaki, nel tentativo di seguire il ritmo degli altri in quella sessione di addominali che sembrava non finire mai, pensò che gli avrebbe spaccato la faccia. Non gli rivolse la parola per quasi tutto il tempo e questo sembrò scoraggiarlo parecchio, al punto che nemmeno lui volle averlo vicino per un po’. E fu a quel punto che lo sostituì Kirino.
Se Shindou e Tenma lo avevano aiutato per una questione morale e civica, Kirino sembrò essere tutt’altro che amichevole con lui. Masaki non poteva dargli torto: si ricordava ogni singolo cattivo scherzo fatto ai suoi danni, e non si sentiva affatto pentito. Non era una cosa nuova per lui, prendere di mira qualcuno, anche se difficilmente poteva spiegare le ragioni dietro i suoi gesti: ogni tanto aveva bisogno di sfogare un po’ di avversità che sentiva dentro se stesso per il mondo in generale.
D’altra parte, non era esattamente sicuro fosse stata una buona idea: Kirino sembrava ben propenso a vendicarsi, e lo dimostrò nella serie di passaggi assurdi che fu costretto a subire in uno dei tanti esercizi che non sembravano finire mai: tante volte si ritrovava costretto a rincorrere il pallone per mezzo campo, o addirittura a recuperarlo con un paio di dolorose testate. In tutto questo, non era ben chiaro se Kirino provasse piacere nella sua crudeltà o meno: il suo volto era totalmente impassibile, e Masaki iniziò a spiegarsi il perché fosse considerato uno dei difensori più temibili. Era imperscrutabile. Nemmeno quando provò a provocarlo con un paio di insulti riuscì a sortire qualche effetto significativo.
“Sei invidioso di me? Ti vedo ribollire di rabbia.”
“Non dire cazzate, Masaki”.
Era giusto quello che la sua mente stava tentando di dirgli da quando aveva messo piede in campo. In effetti, era la prima volta che affrontava Kirino in maniera così diretta. Perciò decise di risparmiare il fiato per un’altra occasione.
 
La stanchezza si riversò nell’irritazione non appena iniziarono la simulazione.
Era giunto il momento di cui Endou gli aveva parlato: avrebbe visto le sue effettive capacità di gioco e forse, come effettivamente sperava, avrebbe visto la sua tecnica speciale.
Masaki non poteva sapere quanto l’allenatore sapesse di lui ma di una cosa era certa: quel giorno non era esattamente dell’umore giusto per sfoggiare la sua hissatsu davanti a mezza scuola. La pima e ultima volta che questa si era manifestata fra le quattro mura del campus era stata contro la sua volontà, per istinto di protezione nei confronti di Hikaru, ed era deciso a non cambiare le cose. Tuttavia in quel momento si sentiva totalmente vulnerabile: non solo Hikaru non era presente, ma si ritrovava a dover giocare con ragazzi abbastanza ostili nei suoi confronti. Anche per questo per tutto il tempo in cui Endou li divise in squadre e prese posizione in difesa, non protestò.
Si sentiva parecchio provato per tutti gli esercizi a cui era stato sottoposto e non si sentiva in grado di affrontare una partita di quel genere: era la prima volta dalle scuole elementari che si ritrovava in un campo da calcio, con persone a lui sconosciute, a un livello nettamente superiore al suo. Le parole di Kirino gli rimbalzarono nella testa: certo, lui era bravo, ma non sarebbe bastato.
Kariya d’un tratto si sentì disgustato al pensiero di far parte di un club simile. Odiava il calcio. Odiava quel campo da calcio. Odiava tutto ciò che comportava lui in quel campo da calcio. Perché diamine aveva accettato di iscriversi? O forse non era stato nemmeno invitato: obbligato forse era la parola più corretta, nel suo caso.
Oltretutto, gli altri membri della squadra non sembravano per nulla affannati come lui, anzi: come ebbe modo di vedere, erano al massimo delle loro energie. Kariya non riusciva a seguire tutte le dinamiche del gioco e spesso non era nemmeno in grado di distinguere la palla in quel groviglio di gambe.
In breve si ritrovò Shindou diretto verso di lui a tutta velocità, e se ne rese conto appena.
L’istinto fu quello di correre, di scansarsi o perlomeno di evitare uno scontro, ma una parte di lui lo obbligò a rimanere fermo sul posto. Forse c’era qualche possibilità di riscatto per lui. Forse avrebbe potuto dimostrare a tutti di che pasta era fatto. Forse…
Forse sarebbe stato accettato per quello che era.
O forse no.
Le circostanze vollero che Shindou lo superasse senza alcun tipo di contrasto e Masaki rimase immobile, inebetito, senza osare voltarsi.
Lo sdegno dei suoi compagni di squadra si fece sentire oltre il turbinio di pensieri sparsi che gli affollavano la testa. Non seppe riconoscere le voci che sovrastavano la sua stessa mente, ma le odiò.
Non era colpa sua. Non aveva fatto niente di sbagliato.
“Fanculo!” sbottò, in preda alla rabbia e all’umiliazione, e abbandonò il campo per dirigersi verso gli spogliatoi, sotto lo sguardo sbigottito di tutti.
 
Stava ancora gettando alla rinfusa i suoi vestiti nella sacca da calcio quando Kirino entrò nella stanza. Subito gli rivolse uno sguardo torvo e seccato, e per un momento si sentì ancora un bambino di cinque anni quando gli disse: “Vai via.”
Kirino alzò le spalle come se le sue parole contassero meno di zero. Aveva sempre dato per scontato che fosse un tipo effemminato, ma in quel momento stava dimostrando più palle di quello sfigato del capitano… o almeno fu questo che pensò Masaki, vedendolo avvicinarsi.
“Ti fa schifo, vero?”
“Ci sono un sacco di cose che mi fanno schifo, sii più preciso.”
Kirino alzò gli occhi al cielo a quel tono impertinente. Poi tentò di proseguire il dialogo. “La tua hissatsu,” spiegò, come se fosse stata una cosa ovvia. “ti fa schifo”.
Kariya non disse niente. Certo che gli faceva schifo. Ma aveva sempre dato per scontato che fosse stato il calcio in sé a disgustarlo.
Kirino sembrò aspettare una risposta, poi continuò a parlare: “Senti, si vede, non puoi negarlo.”
“Non ho aperto bocca,” brontolò Kariya, “Che hai da farmi da maestrina?”
A quel punto il compagno di squadra abbassò lo sguardo, per poi tornare a fissarlo nel suo: aveva uno sguardo penetrante e serio. “Perché voglio aiutarti, se questo può renderti meno arrogante.”
A quell’affermazione Masaki ammutolì, a metà tra l’offeso e il sorpreso, incapace di prendere una posizione fra le due cose. “E come?” chiese poi, in un brontolio sommesso.
“Non so se hai presente in cosa consiste la mia tecnica…” formulò Kirino: avrebbe scoperto in seguito che, come il capitano, aveva una passione per i discorsi lunghi e pieni di retorica.
“No” rispose secco, prima che continuasse. “Spicciati”.
Kirino sospirò, rassegnato: sarebbe stato peggio di quanto si aspettava. “È nebbia, Masaki. E la nebbia nasconde.”
Kariya rifletté su quelle parole, colpito da quello strano atto di solidarietà.
La nebbia nasconde.

 
angolino di mademoiselle hirondelle
Grazie a tutti per non avermi dimenticata e di aver recensito lo spin-off di "ombrelli sotto la pioggia" ≈ 
Finalmente sono riuscita a scrivere anche questo capitolo, e ho approfondito un pochino la questione del calcio che è sembrata troppo marginale fino a questo momento!
Grazie mille del supporto che mi dimostrate!

Fay
   
 
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