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Autore: mido_ri    02/10/2017    0 recensioni
Due ragazzi completamente diversi entrano in contatto in un apparente contesto scolastico.
Alessio: il solito ragazzo disordinato e "piantagrane" che reputa la sua vita una noia, così come la scuola e qualsiasi tipo di legame con le altre persone.
Riccardo: un ragazzo, meglio definito "ragazzino", che sembra fin troppo piccolo per poter frequentare il secondo anno di liceo; al contrario del suo fisico, la sua mente è grande.
Così come ci si aspetterebbe da un ragazzo del genere, Riccardo nasconde a tutti, perfino alla sua famiglia, la vera vita che conduce ogni giorno, difficile e sconvolgente.
Un inaspettato incontro spingerà Alessio a porsi sempre più domande su quello strano ragazzo.
Come si svolgerà la storia dei due incompatibili compagni di banco?
Genere: Romantico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sab, 11 novembre, sera

- Laggiù... ! Quel ragazzo sta bene?! -

Quando riaprii gli occhi mi ritrovai in una posizione alquanto bizzarra: ero a terra, con le ginocchia e la fronte che aderivano all'asfalto umido e tenevo le braccia piegate dietro la testa per ripararmi, ma non ricordavo da cosa.
Alzai il capo e vidi dinanzi a me un uomo in divisa che mi sventolava una mano davanti alla faccia.

- È sveglio! Hey... tu... stai bene?! -

Biascicai un "sì" insicuro e mi misi a sedere.

- C-che cosa è successo? -

L'uomo mi guardò in modo apprensivo e mi mise una coperta sulle spalle.

- Vieni -

Mi tese una mano, aspettando che la accettassi e mi tirassi su, ma rimasi a terra a fissarlo con un punto interrogativo enorme stampato in faccia.

- Dobbiamo portarti in ospedale per qualche controllo e... e per vedere se... -

- Sto benissimo -

- Non sei sotto shock, vero? -

- No, altrimenti non starei parlando con lei -

Il tizio sconosciuto si grattò il capo, insicuro su cosa fare, a quanto pareva era un novellino sul campo.

- Mi dispiace, devi venire con me-

Mi afferrò un polso e mi costrinse ad alzarmi, la testa vorticò per qualche istante.

"Oh, merda... ma cosa diavolo è successo?!"

Una volta in piedi, fui in grado di vedere ciò che mi circondava: uomini in divisa che correvano ovunque in modo allarmato, pompieri, carabinieri, medici, gente affacciata ai balconi che urlava cose incomprensibili con tono interrogativo; nel bel mezzo della strada c'era la causa di tutto quel caos e ne ero sicuro perché sentii le mie gambe cedere, come se le ginocchia si fossero frantumate in tanti piccoli ossicini.

"Cazzo... Ro... devo dirlo a Ro... "

- Dov'è Riccardo?! -

L'uomo che mi stava guidando verso una delle due ambulanze, sussultò e mi lasciò il polso.

- È sotto shock -

- Che?! Dov'è?! Fatemelo vedere!-

Mi gettai a capofitto nel viavai di volti sconosciuti, finché non mi scontrai con qualcuno che non esitò ad afferrarmi per le spalle e scuotermi con violenza.

- Alessio! Stai bene! -

Franco mi strinse fra le sue lunghe braccia, ma per me quel contatto voleva dire stare in una gabbia.
Lo spinsi via e cominciai a vagare senza meta, facendo guizzare gli occhi da tutte le parti alla ricerca di quel corpo minuto.

"Dove sei? Dove diavolo sei?! Giuro che se ti è successo qualcosa... io... "

Dovevo avere proprio l'aspetto di uno zombie, o perlomeno un'espressione sconvolta, perché tutti mi rivolgevano sguardi di compassione e mi chiedevano se avessi bisogno d'aiuto.
Piantai i piedi a terra all'improvviso, rimasi immobile per qualche attimo, poi scattai in avanti correndo con tutta la forza di cui erano capaci le mie gambe.

- Ro... Ro! E levati... -

Scansai con i gomiti chiunque mi dicesse di lasciar riposare il ragazzo, poi mi fermai dinanzi a lui, intento a osservarlo. Era avvolto in una coperta marrone, la stessa che avevo sulle mie spalle, teneva il capo chino, incastrato fra le ginocchia che tremavano insieme con tutto il resto del corpo; i capelli coprivano il suo volto e sembravano incredibilmente scuri per via delle luci opache che illuminavano a fatica quella strada.
Mi sedetti accanto a lui e chiusi la sua mano fredda nella mia; non volevo tanto segnalare la mia presenza, quanto prendermi un po' del suo dolore, anche se sembrava impossibile. Riccardo non proferì parola, ma si mosse silenziosamente e appoggiò il capo sulla mia spalla. Sospirai e mi misi una mano sul petto, mi sentii interamente vuoto.

Dom, 12 novembre, mattina

Mi risvegliai per l'ennesima volta scuotendo la testa di scatto e stropicciandomi gli occhi arrossati per l'assenza di sonno; quando constatai che era mattina, mi alzai dalla sedia che aveva ormai preso la forma del mio sedere e mi voltai a destra e a sinistra in cerca di un distributore nel lungo corridoio orribilmente bianco.

- Ale... ti ho portato... -

- U-uh?! -

Prima ancora di voltarmi, sentii un liquido bollente colarmi lungo una coscia.

- O-oh! Scusa! -

Matteo guardò in modo triste la bevanda ormai riversa sul pavimento.

- ... il caffè -

- M- Matteo! Scusami, non ti ho sentito arrivare... -

- Non fa niente, come stai? -

Mi diede una pacca su una spalla, ma ritrasse subito la mano come se avesse preso la scossa.

- I-insomma... -

- Già... -

Ritornai a sedermi, lasciandomi scivolare lungo lo schienale di plastica fin troppo scomodo.
Ormai non sapevo più cosa dire alla gente perché ero il primo a cui non interessava niente di loro; mi sentivo vuoto, spogliato di ogni cosa, inutile e impotente, perfino la follia sembrava essersi stancata di me, della mia passività, della mia assenza.
Ero in quell'ospedale da più di otto ore, attendendo con false speranze che Riccardo si facesse vivo, uscendo da quella porta e venendomi incontro con il sorriso più bello che potesse sfoggiare. Invece ero lì da solo a fissare un bicchiere di caffè freddo rovesciato ai miei piedi; solo si faceva per dire: c'era Matteo di fianco a me, ma in realtà era come se non ci fosse, non percepivo neanche la sua presenza.

- Alessio -

Uno dei medici con cui avevo civilmente parlato, mi fece cenno di raggiungerlo.

- Puoi entrare, ma sii prudente -

Annuii e spinsi la porta bianca in avanti.
Riccardo era sul letto, al centro di una stanza spoglia e vuota. Non appena fui dentro, voltò il capo e mi fissò in viso un paio d'occhi che non ero in grado di decifrare.

- Hey... -

Feci un paio di passi, poi mi bloccai a più di un metro da lui; non avevo idea di cosa dire o fare perché non sapevo neanche come mi sentissi io, figuriamoci lui.

- Ciao -

Sussultai e mi decisi a guardarlo.

"Dai Alessio, non ti mangia mica...faresti una figura peggiore se stessi zitto tutto il tempo"

- C-come stai? -

Feci un altro passo in avanti e deglutii.

- Secondo te? -

- G-già... che domanda stupida -

Riccardo rivolse lo sguardo in basso e si morse un labbro; scossi la testa ribadendo a me stesso che dovevo smetterla di fissarlo in modo così ossessivo.

- Avevo paura che non venissi -

- U-uh? -

"Ho sentito bene?"

- Sai... -

Sorrise in modo distaccato e triste, immerso nei suoi pensieri e allo stesso tempo accanto a me.

- Mi sei rimasto solo tu -

- R-Ro... -

- Basta -

Si tolse le coperte di dosso e balzò giù dal letto senza accusare il minimo dolore fisico, mi venne incontro e si fermò a un passo da me, appoggiando la fronte sul mio petto.

- B-basta? In che senso? -

- Non voglio perdere più nessuno... io... -

Si aggrappò al mio busto con entrambe le braccia e mi strinse con tutta la forza di cui era capace; come sempre era l'essere più bello che avessi mai visto, o per meglio dire "ammirato", perché non potevo fare altro, non potevo di certo corrompere il suo semplice "essere" che mi aveva fatto dare di matto fin dal primo giorno.
Non lo strinsi come lui fece con il mio corpo, gli lasciai semplicemente prendere tutto di me senza chiedere nulla in cambio.

- Ale... -

Il ragazzo mosse il viso fra le pieghe della mia maglia sgualcita e mi puntò nuovamente gli occhi addosso.

- Voglio ucciderlo -

- C-che? Chi?! -

- Lo stalker -

- M-ma... avevi detto che... -

Scosse la testa rassegnato.

- Ormai non ci credo più neanche io... devi esserci per forza qualcosa... qualcuno... -

Sì guardò intorno e mi fece segno di far silenzio portandosi l'indice alle labbra, poi mi afferrò per un lembo della felpa e mi attirò a sé; mi portò una mano dietro la testa, l'altra rimase incastrata in quel tessuto leggero che sfiorava anche il mio corpo, la sua bocca calda si scontrò con la pelle gelida del mio orecchio. Alzai lo sguardo e notai due telecamere agli angoli della stanza.

- Io... non so se ho ucciso i miei genitori e voglio scoprirlo... ma non è possibile con tutte queste persone che mi stanno con il fiato sul collo -

"Anche tu mi stai con il fiato sul collo in questo momento... ma non mi dispiace affatto"

- Voglio sapere tutto e penso che anche tu ne abbia il diritto... -

- Sì, anche io voglio sapere... -

Gli accarezzai una guancia, la mia mano fredda ne trasse piacere all'istante.

- Allora facciamolo... insieme -

- Ma come? Insomma... stamattina mi hanno sequestrato il cellulare e di nuovo il motorino, e pensa che non ero ancora andato a ritirarlo! -

Sbuffai, ma il ragazzo mi prese subito il volto fra le mani e mi guardò con serietà.

- Questa persona vuole farci separare -

- Lo so... quindi? -

- Quindi staremo insieme -

- R-Ro... -

- Vuoi perdermi senza lottare e guardarmi mentre quel mostro cercherà di ammazzare anche me? -

- Non voglio perderti e basta -

- Perfetto, perché non voglio perderti neanche io... baciami -

Gettai un'occhiata di sfida alla telecamera puntata su di noi e sorrisi.

"Guardateci, stronzi"

Mi chinai sul suo viso arrossato e appoggiai le mie labbra sulle sue; improvvisamente mi ritrovai a cavallo di due pensieri totalmente opposti: trattarlo con la massima cura, senza mettergli fretta e pensando al dolore che doveva provare in quel momento oppure dare ascolto al cuore che mi sbatteva contro la cassa toracica e ai brividi che mi percorrevano dalla nuca fino all'ultima vertebra della spina dorsale? Prima che potessi scegliere, la sua bocca rovente si avventò sulla mia.
Mi sentii vivo.

Dom, 12 novembre, pomeriggio

- Non ce la faccio più a stare qui dentro, giuro! -

Mi misi le mani sul viso e mi lasciai andare sulla sedia accanto al suo letto.

- Non dirlo a me... domani mattina devono farmi delle domande -

Sbuffò e chinò la testa verso la finestra sigillata.

- Che senso ha tenerti qui dentro? Non sei stato coinvolto nell'incidente, stai bene! -

- Pensi che sia per quello? -

Si indicò con entrambe le mani e mi rivolse un'espressione seccata.

- Oh, giusto... dimenticavo che sei un pazzo omicida e che questa stanza d'ospedale si trova nel reparto "maniaci che hanno voglia di fare fuori tutti gli esseri umani che vedono" -

- Già! -

- E magari si inventeranno che hai dato fuoco alla macchina di tuo padre, con tuo padre dentro!-

- Chissà... magari l'ho fatto... -

- Ro... non eri in casa, c'ero solo io lì fuori! -

- Dopo la stronzata del balcone che hai raccontato a quei tizi... chi dovrebbe crederti? -

- E allora perché non incolpano me?! -

Mi diedi una pacca sul petto e tossii, era troppo complicato urlare a bassa voce.

- Perché per loro sei tu la vittima e io ti sto... uhm... costringendo a fare qualcosa che non vuoi? -

- L'unica cosa che potresti costringermi a fare sarebbe guardare Bambi con te minacciandomi con il tuo stupido pupazzo -

- Ne sei così sicuro? -

- Sì -

- Come fai? Anche tu credevi di aver ucciso i tuoi genitori... -

- Credevo, ma ero evidentemente pazzo, non avrei mai fatto una cosa del genere! Non che ora stia messo meglio, eh... E tu? Tutte quelle cose che hai confessato... erano vere? -

- Sì e no, ma in ogni caso non avrei mai ucciso nessuno di loro, a meno che... -

- A meno che... ? -

- A meno che io non soffra di perdita di memoria a breve termine o qualcuno non mi stia costringendo a farlo -

- Non sei stato tu, Ro. Ne sono sicuro -

- Ma l'hai pensato anche tu... -

- Ero incazzato e non ero io -

- Cazzo! Non capisco un cazzo! Un cazzo di niente! -

Prese il bicchiere sul comodino e fece per scagliarlo al suolo, ma gli afferrai il polso.

- Stai calmo, prima hai detto che ne saremmo venuti a capo, giusto?-

Annuì e appoggiò la sua testa sul mio petto.

- Bravo... devono convincersi del fatto che stiamo insieme -

Lanciai un'altra occhiata furtiva alla telecamera.

"Chissà perché diavolo non mi credono"

- Non è colpa mia se non sembri gay -

"Oh, ecco..."

- Come si fa a sembrare più gay? Non credo che sia un modo di essere fisico -

- Sì, lo so... ma tu sei un caso a parte -

- In che senso? -

- Sembri un playboy -

- Esatto, gioco con i ragazzi -

- Non vuol dire quello! -

Mi grattai la nuca pensieroso.

- Siamo in Italia, a che mi serve sapere l'inglese? -

- Che ragionamenti fai? Almeno sapere cosa vuol dire playboy... -

- Ragazzo che gioca con la PlayStation? -

- Ci rinuncio! -

Si allontanò da me e gettò la testa all'indietro, contro il muro bianco.
Scostai una ciocca di capelli dal suo viso e la arricciai dietro il suo orecchio.

- Allora... mi dici come stai veramente? -

Evitò di voltarsi verso di me.

- Lo sai -

- No... riguardo a quello che è successo ieri... -

Lo vidi sussultare appena, ma non si scompose.

- Se devo dirti la verità... non lo so -

- Prova a spiegarmelo -

Questa volta si girò a guardarmi con un paio d'occhi spenti e tristi.

- È successo così tante volte che credevo di essermi abituato al dolore, ma non è così... anche se con lui non avevo un buon rapporto -

- Davvero? -

Presi ad accarezzargli il braccio riverso sulle lenzuola nella mia direzione.

- Pensavo che dopo... che dopo la morte di tua madre vi foste avvicinati di più -

- Te l'ha detto lui? -

- S-sì... non è così? -

Riccardo sospirò pesantemente, sembrava riluttante a parlarmi di suo padre e lo capivo; tuttavia esitò solo per qualche attimo.

- Gli ho fatto credere di considerarlo di più come un padre solo perché mi faceva pena vederlo così triste, tutto qui-

- Tutto qui? -

- Sì, ma non riesco a capire perché ci sto male lo stesso -

- Forse perché ti eri affezionato davvero -

- Già... -

Mi sporsi in avanti e mi chinai su di lui, ma proprio in quel momento la porta della stanza si spalancò con violenza.
La nonna di Riccardo fece il suo ingresso con le mani sui fianchi e un'espressione tutt'altro che rilassata e pacifica.

- Andiamocene di qui, sono stanca! -

Quando notò la mia presenza cercò di ricomporsi; mi lanciò un'occhiata e mosse il capo nell'intenzione di salutarmi, poi riprese a far finta che io non esistessi: raccolse in fretta e furia i vestiti e altri oggetti personali e li ficcò alla bell'e meglio in una borsa vecchia e trasandata.

- M-ma... nonna! I medici hanno detto che... -

- Sì, si, possiamo andarcene, sbrigati! -

Strizzò gli occhi e glieli puntò in viso con prepotenza, potevo quasi percepire quanto fosse affilato il suo sguardo.
La donna afferrò Riccardo per un polso e cercò di trascinarlo al suo seguito, ma io feci lo stesso; lo abbracciai con disappunto della nonna.

- Verrò a trovarti quando posso, d'accordo? Non contattarmi o chiamarmi per parlare di quelle cose... ciao -

Gli lasciai un bacio sulla fronte insolitamente scoperta e lo guardai uscire dalla stanza a braccetto con la donna che lo teneva costantemente sott'occhio, poi uscii anche io e raggiunsi i genitori di Matteo che mi aspettavano in piedi nel corridoio.
Rosanna mi guardò in modo preoccupato e mi aggiustò la felpa stropicciata.

- Sei stato qui tutta la notte, che ne dici di tornare a casa? Devi essere stanco... -

- Sì... grazie -

Franco si limitò a rivolgermi un sorriso incoraggiante; gli feci cenno di abbassarsi e gli sussurrai a un orecchio.

- Domani posso andare a scuola, vero? -

L'uomo scosse la testa, rassegnato.

- Verranno a fare delle domande anche a te -

Accennò alle figure di Riccardo e sua nonna che attendevano l'ascensore.

- Perché? Tanto non mi credono...-

- Perché sei stato tu a dare fuoco all'auto, non è vero? -

  
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