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Autore: daemonlord89    03/10/2017    1 recensioni
""Erano da poco passate le tre di notte quando successe. Non so come spiegarlo, ma avevo avvertito il cambiamento. Forse un lieve formicolio alla punta delle dita, forse un alito di vento sulla pelle. Molto più probabilmente fu solo istinto. Quale che fosse il motivo, avevo capito tutto. Capito che quella notte non sarebbe mai finita."
Genere: Dark, Malinconico, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I.

Erano da poco passate le tre di notte quando successe. Non so come spiegarlo, ma avevo avvertito il cambiamento. Forse un lieve formicolio alla punta delle dita, forse un alito di vento sulla pelle. Molto più probabilmente fu solo istinto. Quale che fosse il motivo, avevo capito tutto. Capito che quella notte non sarebbe mai finita.

Mi ero appena messo a letto, avevo finito di lavorare all'ultimo capitolo del mio nuovo romanzo. Ero ancora euforico all'idea di aver terminato la sua stesura ed ero perfettamente conscio che non sarei mai riuscito ad addormentarmi subito. Mi capitava spesso, in realtà. Non faceva bene scrivere fino a tardi, me lo dicevano tutti, ma non ci potevo fare nulla. Sono sempre stato più produttivo al calar del sole.
Anche dopo il cambiamento, rimasi fermo nel letto a fissare il soffitto. Le frasi che avevo scritto vorticavano furiose nella mia mente, che non trovava pace. Al mio fianco, il respiro di mia moglie era regolare, stava dormendo della grossa da diverse ore. La guardai per qualche secondo, la ammirai come sempre facevo, sorrisi e mi girai dall'altra parte, chiudendo forte gli occhi nel tentativo di far sopraggiungere il tanto agognato sonno.
Ma il sonno non arrivò.

Passò un'ora, ne passò un'altra e un'altra ancora.
Ogni volta che guardavo la sveglia digitale mi si stringeva lo stomaco. Non era l'idea di passare una notte completamente insonne, quello era successo già molte volte. No, quello che mi spaventava, quello che mi terrorizzava, era che presto, al momento dell'alba, avrei saputo se la mia idea su quella notte fosse stata solo un parto della mia mente iperattiva o meno.
Passò un'altra ora. Erano le sette e mezza, l'orario in cui quella maledetta sveglia, la mia compagna di quella notte, avrebbe dovuto suonare. Nervoso, la fissai a lungo. Il sudore sulla fronte, le mani che tremavano. 

Dai, suona. Suona, forza.
Sette e trentacinque.
Suona, bastarda!
Sette e quaranta. Ormai era chiaro, ma non volevo accettarlo.
SUONA!
Sette e cinquanta. Non avrebbe mai suonato.
Mi alzai in preda al panico. Mi venne un capogiro e colpii con forza sull'anta dell'armadio di fianco al letto. Respiravo forte, il cuore batteva all'impazzata. Così non andava bene, dovevo calmarmi.
Mi sedetti sul letto e cominciai a contare lentamente, da uno a dieci e da dieci ad uno, controllando il mio respiro. Come sempre, quel metodo di rilassamento che avevo più volte sortì l'effetto sperato. Il cuore tornò a ritmi accettabili e cominciai a ragionare in maniera logica.
Mi voltai verso mia moglie, che non sembrava essersi accorta del mio attacco di panico. Continuava a dormire indisturbata. Mi avvicinai dolcemente e la baciai sulla guancia. Nessuna risposta.
Mentre combattevo il terrore che stava riaffiorando, tentai di chiamarla.
-Tesoro.-
La mia voce suonava strana, aliena in quel mondo fatto di buio. Lei non si mosse, né diede impressione di avermi sentito.
-Ehi, mi senti?- ritentai.
-Sono le sette e mezza. Quasi le otto in realtà.-
-Dovremmo alzarci, non credi?-
Niente.
Mi misi le mani tra i capelli. Persi la speranza e mi alzai per andare ad aprire la finestra in soggiorno. Ero preparato a ciò che vidi eppure non potei fare a meno di avvertire una morsa al petto. Non c'era luce. Non un filo di luce all'orizzonte. Il sole era fuggito e non sarebbe riapparso.

Nemmeno dieci minuti dopo ero vestito alla buona con le prime cose che avevo trovato nel guardaroba e camminavo lungo la via principale del paese, procedendo da casa mia in direzione nord, verso la piazza. I lampioni illuminavano il mio cammino e le mosche che ronzavano attorno a loro sembravano gli unici esseri viventi sveglia a parte me.
Mentre avanzavo cercavo tutte le possibili spiegazioni per ciò che era successo, ma non mi ci raccapezzavo. Era tutto sbagliato.
Improvvisamente il silenzio fu rotto da un suono basso e costante. Un motore.
Alzai lo sguardo dalla strada e lo feci vagare lungo la via che si snodava di fronte a me. Dopo pochi secondi apparvero due luci in lontananza, mentre il rumore diventava sempre più forte. Sì, non c'era alcun dubbio, si trattava di un furgone. E, dunque, di un essere umano con cui poter parlare.
Euforico, mi portai in mezzo alla strada e cominciai ad agitare le braccia per fare segno al guidatore di fermarsi.
Vidi i fari sempre più vicini e cominciai a distinguere alcune scritte sul cofano. Italport. Intuii che doveva trattarsi di un'azienda che si occupava di trasporto merci. Una sorta di corriere.
-Ehi!- gridai, in aggiunta alle segnalazioni.
Il furgone si avvicinò ancora, andava ad una velocità troppo elevata per i miei gusti.
-Ooh!- urlai con tutto il fiato che avevo in corpo -Fermati!-
Rendendomi conto che non l'avrebbe fatto, corsi nuovamente verso il marciapiede, appena in tempo per non essere investito. Il furgone proseguì la sua folle corsa, come se non mi avesse minimamente notato. In venti secondi scomparve nuovamente nel buio, lasciandomi solo con il mio stupore e il mio cuore che stava cominciando a rallentare pian piano.
Non capivo perché fosse successo. Sicuramente l'autista non era addormentato, altrimenti avrebbe sbandato. Ed era fuori discussione anche che non si fosse accorto della mia presenza; anche ammettendo che stesse guardando il cellulare, avrebbe certamente sentito le mie grida. No, sicuramente c'era dell'altro, ma non potevo immaginare cosa. Scossi la testa e feci un paio di respiri profondi, prima di rimettermi a camminare. 

Vagai per l'intero paese senza trovare anima viva. Ormai ero così disperato che sembrava che la notte fosse entrata in me ed io fossi diventato parte di essa. Come se non bastasse, ero più sveglio che mai, non potevo trovare conforto nel sonno, normale o eterno che fosse.
Attraversai per la seconda volta la piazza, gettando sguardi alle finestre delle case e drizzando le orecchie nella speranza di cogliere qualche segnale di attività umana, per poi dirigermi verso il più piccolo dei due ponti costruiti sul canale che tagliava in due la città. Uno di essi era di strada asfaltata, serviva per le auto, mentre l'altro, posto a qualche decina di metri, collegava le due sponde della strada pedonale/ciclabile che correva lungo il corso d'acqua.
Fissai a lungo il canale, notando le figure scure dei pesci che nuotavano sotto di me. Anche loro erano svegli, certo, ma non erano di nessuna utilità. Mi venne quasi da ridere ad immaginarmi mentre parlavo con una carpa e cercavo, assieme a lei, di trovare una spiegazione razionale per quella che dentro di me avevo già chiamato la notte eterna.
Fu in quel momento che credetti di essere impazzito. Cominciai a sentire, o forse sarebbe più giusto dire avvertire, delle voci. Mi voltai di scatto per capire da dove provenissero, ma non ce n'era modo. Erano sempre subito dietro di me. Compresi allora che si trovavano solo nel mio cervello.
Un'allucinazione? Certo, aveva senso vista la situazione in cui mi trovavo, ma avevo la sensazione che ci fosse qualcosa di più. Cominciai a camminare e notai che a seconda di dove andavo le voci si facevano più o meno chiare. Ad un certo punto, cercandone la fonte, riuscii anche a comprendere alcune parole di senso compiuto.
Ricordi...mamma...noi siamo...
Camminai verso un'abitazione che costeggiava il sentiero.
Eccoci qui...contenta...
Non c'erano dubbi, quella casa era l'origine delle voci che sentivo. Toccai il cancello di ferro che costituiva l'ingresso sul retro e notai che era chiuso con un lucchetto arrugginito.
Mi guardai intorno, mentre le voci si facevano sempre più insistenti e ipnotiche. Le parole si accavallavano e la mia mente era confusa.
Ora...noi...vuoi...
​  Eccoci...
Mamma... non...​
     
contenta...
-Basta, cazzo, basta!- gridati tappandomi le orecchie, ma senza ottenere risultati.
Dovevo farle smettere e l'unico modo era entrare in quella casa. Colpii furiosamente il cancello con due calci e notai che il lucchetto, molto vecchio, cominciava a cedere.
Un terzo colpo fece saltare la serratura e il cancelletto si spalancò con un boato ferroso che potei solo intuire al di là di quelle maledette voci che, mi stavano portando alla follia.
Attraversai di corsa un piccolo cortile che mostrava segni di un'incuria durata anni e picchiai i pugni contro la prima porta che mi trovai davanti.
-Qualcuno mi sente?- urlai -Aprite!-
Non ottenni risposta e non riuscii a parlare una seconda volta.
Ormai le voci erano diventate un ronzio costante e del tutto insopportabile. Mi accasciai a terra, vicino al muro, le mani tra i capelli. Pregai che quella tortura smettesse, in qualsiasi modo.

E poi venne un misericordioso oblio.

 

   
 
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