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Autore: Echocide    03/10/2017    3 recensioni
Tikki è condannata a un'esistenza immortale e susseguita di morti: è una sirena e il suo unico scopo è dare in pasto delle vite umane al Mare, suo Genitore e Sposo. Ma dopo l'ennesima morte, nel piccolo villaggio in cui si ferma, incontra qualcuno...
Plagg odia il mare che gli ha portato via la sua famiglia e odia anche la nuova arrivata, che odora di salsedine, ma allo stesso tempo non può stargli lontano...
Genere: Mistero, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Plagg, Tikki
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: La sirena
Personaggi: Tikki, Plagg, Altri
Genere: mistero, sovrannaturale, romantico
Rating: G
Avvertimenti: Alternative Universe, longfic, Original Characters
Wordcount: 2.063 (Fidipù)
Note: Ed eccoci qua con un nuovo capitolo de La sirena e non sto troppo a indugiare con i discorsi, anche perché...beh, l'ammetto: voglio andare a dormire. Scherzi a parte, in verità non c'è molto da dire e quindi vi lascio direttamente al capitolo.
Come sempre vi ricordo la pagina facebook per rimanere sempre aggiornati e ricevere piccole anteprime dei capitoli o dei miei scleri e il gruppo Two  Miraculous Writers, aperto e gestito con kiaretta_scrittrice92.
Come sempre ci tengo a ringraziarvi tutti quanti per il supporto che mi date: grazie a tutti voi che mi leggete, commentate e inserite questa storia (e le altre) nelle vostre liste.
Grazie tantissimo!

 

Tikki osservò il proprio riflesso nello specchio del negozio, lisciando la stoffa impalpabile all’altezza dello stomaco e inclinando il capo: «Stai proprio bene» le dichiarò la commessa, comparendole alle spalle nel riflesso e prendendola per le spalle: «Sinceramente non pensavo che queste tonalità pastello si adattassero così bene a una rossa.»
«Questo perché, mia cara Trixx, abbiamo seguito le direttive dell’astro nascente delle moda, Marinette» dichiarò Alya, scattando alcune foto a Tikki e sorridendole: «Sa sempre come far vestire al meglio una persona. Certo, con Tikki è facilissimo, è così bella.»
Tikki piegò le labbra in un sorriso, abbassando lo sguardo e carezzando ancora la stoffa, mentre cercava di riordinare i pensieri: l’invito di Plagg, il ritorno alla boulangerie e il terzo grado di Marinette, quando l’aveva trovato con la testa fra le nuvole – ancor più di lei, aveva dichiarato la ragazzina – e poi le parole vergate sul blocco che, in quel momento, giaceva abbandonato vicino al registro di cassa.
Quando Marinette le aveva chiesto cosa avrebbe indossato per l’appuntamento con Plagg, Tikki aveva osservato i jeans e la maglia che indossava, alzando le spalle e rimediando uno sbuffo infastidito da parte della giovane: Marinette era stata decisa, come poche volte l’aveva vista da quando la conosceva, quando l’aveva presa per mano e aveva dichiarato ai genitori di portarla a fare un po’ di shopping, convincendoli a darle una specie di stipendio per il lavoro che aveva svolto alla boulangerie.
Era stata così portata in quel posto, ove assieme alla commessa, che aveva scoperto chiamarsi Trixx e avere un debole per l’assistente del dottor Fu, e ad Alya, che era giunta immediatamente dopo la chiamata di Marinette, Tikki non aveva fatto altro che provare abiti su abiti, sotto l’occhio attento delle tre.
Trixx ridacchiò, mentre andava da qualche parte del negozio con l’intento di trovare qualcosa da abbinarsi al vestito e Tikki tornò a fissare il proprio riflesso, lisciando ancora una volta la stoffa e sorridendo alla se stessa che ricambiava il proprio sguardo, sentendosi umana per la prima volta in vita.
Sentendosi come le ragazze che aveva visto più e più volte nella sua lunga esistenza, iniziando a capire il perché dell’esaltazione che ogni tanto mostravano e la continua cura del proprio vestiario.
Adesso le comprendeva.
Adesso capiva cosa c’era dietro quei comportamenti e le piaceva.
La faceva sentire…
Umana.

 

Marinette sorrise, fermandosi al semaforo e attendendo che questo diventasse verde, scorrendo le foto che aveva a Tikki e annuendo soddisfatta del suo lavoro: quello di lavorare nella moda era stato il suo sogno fin da piccola, ma in un piccolo paese come quello aveva ben poche possibilità.
Non quante ne avrebbe avute se fosse nata a Parigi.
«Oh. La signorina Tikki è veramente bellissima lì.»
La voce maschile la fece trasalire e ritornare alla realtà e Marinette si accorse di essere balzata all’indietro quando incontrò lo sguardo stupefatto di Adrien che, a pochi passi da lei, la fissava attonito, prima che il sorriso gentile e dolce di sempre gli tornò sulle labbra: «Se non sbaglio stasera si vedeva con Plagg?»
«Co…S-no. Coiè volvo dire sì.»
«Beh, Plagg mi ha intimato di non avvicinarmi al bungalow o mi avrebbe ucciso, quindi sì» Adrien annuì, sorridendo alla ragazza: «L’hai aiutata te?»
«S-sì.»
«Sei brava, potresti diventare una stilista.»
«I-o non…»
«Sarebbe bello potermi vantare di conoscere la stilista Marinette Dupain-Cheng, creatrice del marchio…» Adrien si fermò, portandosi la mano al volto e guardando verso l’alto, puntando lo sguardo verde verso il cielo che si stava tingendo dei colori del tramonto: «Ma certo. Del marchio DC.»
«Ma-marchio DC?»
«Dupain-Cheng. Sono le iniziali del tuo cognome, Marinette.»
«Oh.»
«Ed ovviamente io farò da modello» dichiarò Adrien, indicando il semaforo che, nel frattempo, era diventato verde: «Potremmo mettere su una bella società, Marinette.»
«Eh…ah…i-io…e-ecco…»
«Ma prima dobbiamo finire il collége» Adrien sbuffò, infilando le mani nelle tasche dei jeans e incassando le spalle: «Alle volte vorrei essere più grande e poter fare come mi pare.»
Marinette lo fissò, ridacchiando e portandosi una alla bocca, nascondendosi dalla vista del giovane: «A-anche io» bisbigliò, sorridendo alla sicurezza che aveva sentito in quelle due parole: forse non era così complicato parlare con lui.
Forse.


Tikki strattonò leggermente lo scialle, spostandolo meglio sulle spalle e prendendosi un momento per ammirare i suoi acquisti: oltre al vestito, Trixx l’aveva convinta a prendere anche gli stivaletti, la borsa e lo scialle che indossava, assieme a quello che aveva definito intimo da battaglia e dichiarando che una serata con Plagg poteva finire in un solo modo e doveva essere preparata.
Lei non aveva compreso appieno cosa quelle parole significavano, ma si era lasciava convincere e aveva preso e indossato quel tripudio di pizzo che le aveva messo sotto il naso.
Scosse il capo, aprendo la borsetta e recuperando al suo interno il blocco e la penna, bussando poi alla porta e rimanendo in attesa che il padrone di casa le aprisse.
Tikki inspirò profondamente, socchiudendo gli occhi e cercando di calmare il cuore che le batteva veloce e furioso nel petto: il corpo le tremava e smaniava di qualcosa a cui non sapeva dare nome, cercava di farlo, di dare una definizione a ciò che sentiva ma non riusciva a comprenderlo. Le sembrava di attendere le onde, quelle alte spumeggianti, e allo stesso tempo di nuotarvi già dentro.
Trattenne il respiro, quando sentì il rumore della serratura che scattava e aspettò, stringendo il laccio della borsa, osservando la porta aprirsi e Plagg fare la sua comparsa nello spiraglio di luce che si era creato: «Ah. Sei già qui» commentò, aprendo maggiormente la porta e facendosi da parte, permettendole di entrare nella piccola abitazione e richiudendo poi l’uscio dietro di sé.
Tikki osservò il salotto del bungalow, trovandolo stranamente in ordine e quasi si immaginava Plagg mentre si muoveva per le stanze, mettendo a posto il caos che gli veniva naturale creare; si diresse verso il tavolo, poggiando il blocco e chinandosi appena per scrivere poche parole e voltarsi poi, mostrandole al ragazzo: «Ah. Sì, so che ti avevo detto quest’orario, però di solito…» si fermò, scuotendo la testa e inspirando profondamente: «Ok. Fai finta di niente, continuo a pensare che potresti comportarti come una ragazza normale.»
Tikki piegò appena le labbra, poggiando la borsa sulla sedia e stringendosi nelle spalle, facendo vagare lo sguardo per la stanza, mentre le parole di Plagg venivano assimilate: normale, lei era tutto fuorché normale.
Era una sirena, una dispensatrice di morte.
Si sentiva un pesce fuor d’acqua in quel mondo umano in cui vagava e a cui si stava velocemente attaccando, sapeva di avere un tempo limitato e che, prima o poi, i suoi giorni lì sarebbero finiti.
Presto il Padre le avrebbe chiesto nuovamente di cantare, fare il suo dovere come sirena, forse dalla parte opposta del globo e lei avrebbe dovuto abbandonare tutto, andare e dire addio a tutto quello che aveva conosciuto lì.
La gentilezza dei Dupain.
La dolcezza di Marinette.
La fame e l’agitazione che le erano state instillate da Plagg.
Tutto sarebbe finito e il suo tempo stava velocemente scivolando verso quella conclusione.
«Allora, Rossa» esordì Plagg, avvicinandosi e poggiandole una mano sul fianco, carezzando la stoffa leggera e risalendo con il polpastrello lungo il lato in una lenta carezza: «Vuoi mangiare?» le domandò, chinando la testa e sfiorandole il lobo con le labbra, mentre lei stringeva le labbra per non mugolare: «Sai, ho passato un po’ troppo tempo fra i fornelli per impressionarti, e non vorrei…»
Tikki sorrise, allontanandosi dal suo tocco e avvicinandosi alla cucina, chinandosi e recuperando, dal cestino dei rifiuti, la busta del locale dove Plagg era solito andare, sventolandogliela poi davanti il viso e vedendo lo sguardo verde brillare di una luce divertita: «Touché. L’ammetto: sono un cliché. E il fatto che nei film il tipo viene sempre smascherato avrebbe dovuto farmi pensare…»
Tikki scosse il capo, lasciando andare la busta e avvicinandosi nuovamente a Plagg, allungando una mano e sfiorando le dita di lui, osservando il contrasto delle loro pelli: chiara la sua, scura quella di lui. Intrecciò la mano con l’altra, premendo il proprio palmo contro quello di Plagg e facendo lo stesso anche con la mano opposta, avvicinando il suo corpo a Plagg e passandosi la lingua sulle labbra: «Rossa, non mi rendi le cose facili così» bisbigliò lui, chinando la testa e fermandosi a un soffio dalle labbra di lei: «Sai, volevo fare le cose per bene e con calma…»
Calma.
La calma richiedeva tempo e lei non ne aveva, non poteva permettersi il lusso di fare con calma.
Lei lo voleva.
Voleva calmare quella fame che aveva, attenuare la smania che la possedeva.
E lui era la soluzione, lo era dal giorno che era apparso nella sua vita.
Lo sentiva.
Lo sapeva.
Aprì appena la bocca, passandosi nuovamente la lingua sulle labbra e poi annullò lo spazio che li separava: Plagg non si ritrasse ma lasciò che lei lo baciasse, che carezzasse le sue labbra e poi decise di prendere il controllo, portando le mani di entrambi dietro la schiena di lei e stringendola più a sé, mentre la convinceva a schiudere le labbra e ad approfondire il bacio.
Tikki inspirò, stringendo con più forza le dita intrecciate a quelle di Plagg e seguendolo fedele quando iniziò a spostarsi per la casa, evitando ogni ostacolo fosse presente sul suo cammino, senza staccarsi da lei se non per riprendere un po’ fiato: non si rese conto dove la stava portando, non le interessava a conti fatti, fino a quando lui non li fece girare e Tikki avvertì il letto contro le gambe.
Camera.
Camera da letto.
Inspirò maggiormente, leccando le labbra di lui e aprendo gli occhi, tenuti chiusi fino a quel momento, osservando lo sguardo famelico e predatore di Plagg: sorrise, liberando una mano e alzandola, carezzando i lineamenti del volto di lui e sentendolo mentre scioglieva l’intreccio dell’altra mano, lasciandola completamente libera mentre poggiava le sue mani sui fianchi di lei, iniziando ad ammucchiare lì la stoffa, stringendola fra le dita: «Io non…»
Tikki gli posò le dita sulla bocca, sorridendo appena e negando con la testa, muovendo un poco i fianchi e chiedendogli così di lasciarla libera; lo guardò nuovamente, piena di gratitudine e aprì la bocca, inspirando profondamente l’aria e lasciandola andare, togliendosi poi il vestito e rimanendo solo con gli stivaletti e quello che Trixx aveva definito intimo da battaglia.
Sentì Plagg inspirare profondamente, osservandolo chinarsi e toglierle prima una calzatura e poi l’altra, poggiando poi le labbra sulla coscia nuda e baciarla, risalendo verso l’alto e assaporando la pelle nivea: «Mi vuoi morto. Vero, Rossa? Come fa un uomo a resistere a tutto questo bendidio?»
Il corpo di Tikki vibrò per la risata silenziosa, mentre Plagg risalì ancora, baciandole la pancia e succhiandole il punto morbido sotto l’ombelico, carezzandole i fianchi e le natiche, poggiando la fronte contro il corpo freddo di lei: «Stenditi» le bisbigliò, guardandola mentre eseguiva l’ordine e poi si spogliò velocemente, togliendosi ogni indumento e raggiungendola veloce nel letto, distendendosi al suo fianco e liberandola dalla costrizione della biancheria, carezzando e baciando il corpo candido, sorridendo appena quando sentì la mano di lei posarsi timida sul suo petto.
La prese, stringendo le dita più piccole e portandosela alle labbra, baciandole il palmo mentre le scivolava sopra e si sistemava fra le sue gambe: «Sicura?» le mormorò, prima di riprendere a baciarla e leccarla, carezzandole i fianchi e lasciando che l’onda di piacere iniziasse a nascere e crescere.
Tikki inspirò, scivolando con le dita sulla schiena nuda di Plagg e con il dito indice scrisse una parola di due lettere sulla pelle abbronzata, facendolo ridere e lei accompagnò quella risata con una delle sue silenziose, aprendo la bocca quando sentì la pressione fra le gambe e poi la fitta di dolore che le salì lungo la spina dorsale.
Rimase immobile, gli occhi spalancati e le mani artigliate sulle spalle di Plagg, il corpo ora irrigidito e completamente dimentico della dolcezza e del piacere di poco prima; rimase immobile, attendendo che le ondate di dolore l’abbandonassero, venendo sostituite da altro: si sentiva piena, completa quasi, ora che Plagg era dentro di lei e, quando lui iniziò a muoversi, nuovamente il piacere invase il suo corpo, salendo lentamente sempre di più.
Era perfetto.
Era tutto perfetto.
Era un momento dove non esistevano nient’altro che loro due.

 

 

   
 
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