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Autore: Yumeji    04/10/2017    2 recensioni
- Quindi anche lui è un utilizzatore di capacità, e questo sarebbe il suo potere? - la sua era una domanda retorica, avendo gli effetti dei quel potere proprio di fronte. Ed, ad osservarlo meglio, cominciò a trovarla una situazione molto ilare, al punto che dovette coprirsi la bocca per non scoppiare a ridere, non riuscendo però ad evitarsi di sghignazzare almeno un pochino.
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Atsushi si troverà presto in difficoltà, incapace di gestire il suo primo incarico in solitaria, che prenderà una piega del tutto inaspettata quando finirà per fare da baby sitter a qualcuno che non si aspettava.
[One-shot diventata troppo lunga e divisa in due capitoli]
Genere: Commedia, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Atsushi Nakajima, Osamu Dazai, Ryuunosuke Akutagawa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- PARTE 2 -

Procedevano a passo lento, lasciando che solo il silenzio incorresse fra loro, una falce di luna a pendere sulle loro teste nell'oscurità serale priva di stelle. Simile alla scure di un boia pronta a calare, ad emettere il suo giudizio finale, una sentenza di morte dal destinatario incerto. Se reclamasse la vita del bambino che seguiva o dell'adulto che faceva strada, non era ancora dato saperlo.
Dazai tendeva l'orecchio, assicurandosi di avvertire i piccoli passi del suo compagno di viaggio, così da non lasciarlo indietro. Ne avvertiva i movimenti incerti, esitanti alle proprie spalle. Akutagawa sembrava indugiare, per quanto continuasse a seguirlo, abbastanza vicino da continuare a calpestarne la lunga ombra proiettata a terra, creata ogni volta dalla luce dei lampioni a cui si avvicinavano; abbastanza lontano da tenersi aperta una via di fuga.
- Hai ancora paura di me, Ryu? - rise fermandosi di colpo, avvertendo il bambino sussultare e arretrare di qualche passo, pronto a scappare. - Eppure hai accettato il mio regalo senza tanti complimenti - voltò appena il capo per vederne la reazione, trovandolo a fare un'espressione dura mentre stringeva al petto, con fare possessivo, il sacchetto di carta che poco prima gli aveva donato.
Dazai aveva trascorso le ultime ore nascosto in un vicolo nell'attesa che Akutagawa fuggisse finalmente alla supervisione di Atsushi. Era certo che il ragazzo-tigre dovesse essere esausto visti gli ultimi avvenimenti, e di sicuro avrebbe abbassato la guardia, lasciando così modo al bimbo di scappare. Purtroppo non aveva previsto di dover aspettare tanto allungo e si era trovato presto ad annoiarsi, avvertendo il tempo dilatarsi all'infinito, i minuti tramutarsi in eternità. In quella forzata immobilità gli arti avevano cominciato ad intorpidirsi, il gelo a penetrargli sotto pelle. Si era chiesto se avesse potuto morire assiderato, visto che non aveva altro con cui coprirsi se non la sua solita giacca beige. Chissà se poteva essere considerato un suicidio? Era arrivato a domandarsi scartandola quasi immediatamente come idea. Temeva avrebbero potuto prenderlo per un idiota se lo avessero trovato morto in una situazione tanto misera.
Infine era arrivato Akutagawa a distoglierlo da quei ragionamenti e, una volta osservato il bambino uscire dall'appartamento del suo collega, rimanendo occultato alla sua vista aveva preso a pedinarlo, seguendolo per un tratto attendendo il momento giusto per avvicinarlo. Era consapevole di essere considerato una minaccia dal altro e, nel caso si fosse presentata la necessità di misure drastiche, Dazai si era detto fosse meglio trovarsi ben lontano dalla palazzina dell'agenzia. Così nessuno avrebbe potuto notarli ed intervenire. Infondo era una faccenda di cui poteva occuparsi lui solo, gli altri gli sarebbero stati d'intralcio, come quando quel mattino lo era stato l'ignaro Atsushi, a cui Akutagawa si era aggrappato sfruttando la sua presenza a proprio vantaggio.
Nel momento in cui Dazai si era palesato al bimbo, il quale per poco non lo aveva superato senza avvertirne la presenza, distratto com'era dalla luce di un lampione, questi aveva subito reagito richiamando la propria abilità, mostrando come il suo inconscio, se preso di sorpresa, lo portasse ad attaccare prima di considerare una qualsiasi via di fuga. Di ciò Dazai aveva sorriso, trovando anche piuttosto ilari le dimensioni di quel Rashomon, minuscolo rispetto a ciò cui era abituato. Rivolgendogli un sorriso amichevole ed allegro aveva alzato le mani in segno di resa, evitando di annullarne la capacità per non metterlo ancora più in allarme.
Al suo atteggiamento del tutto passivo la testa del demone ombra si era fermata a metà dell'azione, descrivendo movimenti confusi che manifestavano il turbamento del suo padrone. Lo sguardo di Akutagawa si era allargato di stupore e paura nel vedersi palesare davanti quel individuo sconosciuto, il quale era probabilmente la causa del senso di ansia da cui era stato accompagnato per tutto il tempo. Presto però i suoi occhi si erano ridotti a due sottili fessure quando finalmente lo mise a fuoco, riconoscendo Dazai come il personaggio sospetto di quel mattino e, con quella considerazione, nell'immediato il suo atteggiamento era mutato. Aveva incassato la testa nelle spalle mentre i muscoli delle gambe sottili cominciavano a tendersi, pronti a scattare. Stava considerando la fuga, aveva intuito Dazai sempre sogghignando fra se e se, si era già trovato a prevedere la sua reazione, preparandosi ad affrontarla. Con rapidità gli aveva lanciato il sacchetto di carta che si era portato dietro, il quale per riflesso Akutagawa si era trovato ad afferrare al volo, stringendolo tra le mani prima ancora di rendersene conto.
- Pensavo potessi avere fame - gli aveva detto Dazai mentre il bambino adocchiava, con fare sospettoso, cosa vi fosse all'interno del sacchetto,
- Ma sono...- parve stupito e perplesso del contenuto.
- Fichi - concluse per lui, trovandosi poi a sbuffare con fare vagamente melodrammatico, - Non hai idea della fatica che ho fatto per trovarli. Ormai la loro stagione è finita -
- Ma perché?...- la voce ridotta ad un sussurro, il bambino aveva cominciato a passare lo sguardo da quel individuo bendato al sacchetto di carta. Quello era il suo frutto, nonché probabilmente cibo, preferito. Come faceva a saperlo? E perché glielo aveva dato?
- Tranquillo, non sono avvelenati - lo aveva rassicurato, - Ma se dubiti di me puoi sempre darmene uno, lo mangerò per dimostratelo - si era trovato a proporgli per poi afferrare al volo, con estrema facilità, quello che il bimbo gli lanciò contro, mangiandolo come gli aveva detto. - Visto? Ora ti puoi fidare no? -
- ... - il piccolo Akutagawa non aveva risposto, riservandogli uno sguardo di granito come a rispondergli "mai nella vita". Ciò procurò un sospiro sofferente ed esasperato a Dazai, il quale non aveva mai sopportato di trovarsi di fronte a mocciosi simili. Quello sguardo nero pece, che ben conosceva i peccati commessi dagli adulti, scavalcava con estrema facilità la maschera di falsità di cui era ricoperto, percependone il marcio nascosto dietro.
- Se ti volessi morto lo saresti già, non credi? - aveva così smesso di sorridergli, lasciando trasparire la vacuità di cui era composto il suo animo, la medesima espressione che gli rivolgeva quando era ancora il suo mentore alla PortMafia.
Akutagawa non aveva parso reagire a quel cambiamento, il quale pero non doveva essergli di certo passato inosservato. Per un po' di tempo aveva continuato ad osservarlo, inclinando il capo da una parte, come a cercare di sondarne l'animo in modo da percepirne le intenzioni, o le emozioni che lo colmavano. Era però una sfida persa in partenza trattandosi di Dazai. Per quanto si fosse sforzato Akutagawa non avrebbe trovato nulla, solo un'aridità senza fine in cui le emozioni non faceva il tempo a nascere che finivano già per seccarsi e avvizzire, riducendosi in cenere.
- Seguimi, la faremo finita con questa storia - gli aveva ordinato d'improvviso dopo qualche secondo passato in silenzio a scrutarsi l'un l'altro. Si era poi incamminato, voltandogli le spalle, consapevole che, per quanto timoroso nei suoi confronti fosse, Akutagawa l'avrebbe seguito. Poteva anche avere una personalità cauta e sospettosa, ma rimaneva comunque un bambino. L'età in cui l'istinto di conservazione non si è ancora formato del tutto, talmente labile e sottile da parer un foglio di carta. Il momento in cui il più mortale degli istinti umani: la curiosità; è capace di impregnarsi a tal punto nelle ossa da far tacere qualunque ragione.
Akutagawa non aveva modo di sconfiggere la propria curiosità, per quanto urlasse "pericolo" da ogni centimetro del corpo, quell'uomo bendato pareva un essere misterioso troppo interessante per non provare a studiarlo ancora un po'.
E dopo aver visto il vero aspetto del lupo dietro a quel falso travestimento da pecora, il coniglietto aveva preso seguirlo per la strada buia, con sempre quella inquietante falce di luna a pendere sopra le loro teste. Avrebbe potuto seguirlo fino alla sua tana se così lo avesse convinto a farsi insegnare un modo per procurarsi una pelliccia identica alla sua. Il coniglietto era stanco di vivere come preda, ed era pronto ad infilarsi dritto nelle fauci del lupo se ciò gli avrebbe permesso di diventare un predatore a sua volta. Come la prima volta in cui si erano incontrati, anni prima, Akutagawa senza saperlo si trovava a compiere la medesima scelta fatto allora. Desiderando abbastanza forza da non dover vivere il resto dei suoi giorni nella paura, aveva preso a seguire Dazai, il quale pareva essere l'unico in grado di fargliela ottenere. La tigre che aveva incontrato pareva avere un cuore troppo tenero per potergli insegnare a procurarsi degli artigli come i suoi.
- Perché non dovrei avere paura di te? - gli domandò pulendosi con il dorso della mano le guance, macchiate dai residui di frutta rimastagli appiccicata al viso. Era ormai arrivato a mangiarne cinque e non pareva intenzionato a fermarsi, aveva pur sempre passato gli ultimi due giorni a digiuno. Lo seguiva rimanendo sempre ad una distanza di sicurezza, ma il suo sguardo possedeva una vaga nota di insolenza che prima non c'era.
- Ottima domanda - chioccio Dazai schioccando allo stesso tempo le dita, - E a dir la verità, non ci sono motivazioni plausibili per convincerti a non provarne più nei miei confronti - un'ombra inquietate, causata dall'ennesimo dei lampioni che si stavano trovando a superare e sotto al quale si erano fermati, si formò sul suo viso. - Sono una persona che per la società comune può essere definita come pericolosa -
Il bimbo non rispose, limitandosi ad assottigliare lo sguardo, non sembrava in alcun modo scosso da quella rivelazione, Dazai si stava limitando a confermare ciò che già sapeva. E nonostante si fosse trovato a calpestare l'ombra di un lupo, cominciava a non provare più timore nei suoi confronti, non pareva affamato di conigli per quella sera.
- Quello che il ragazzo con i capelli bianchi mi ha raccontato è vero? - osò chiedergli poiché, se aveva difficoltà a credere alle parole di Atsushi, non avrebbe invece dubitato della verità che sarebbe uscita dalla sua bocca. - In realtà sono un adulto, ma non ne ho né l'aspetto, né memoria per via di un incidente? - in realtà l'altro non era stato molto chiaro a spiegargli la questione, un motivo in più per cui Akutagawa aveva fatto fatica a credergli.
Insomma, quale incidente può causare una cosa simile?
- Sei stato colpito dall'abilità di una persona che seguivi - si limitò a specificare Dazai, per nulla felice di aver il ruolo di tappabuchi,
- E basta che tu usi la tua abilità su di me perché vada tutto a posto? - insistette,
- Esatto - confermò lui alzando le spalle con fare svogliato, grattandosi intanto il retro del collo, - E ho anche tutta l'intenzione di farlo, ma prima devo mostrarti una cosa - tagliò corto voltandogli un'altra volta le spalle e riprendendo a camminare. Per quanto quella notte sembrasse infinita non sarebbe in realtà durata in eterno.
- Cosa? - lo seguì trovandosi a sgambettare per non rimanere indietro, senza accorgersene aveva lasciato che un velo di infantile curiosità trasparisse dal suo viso, ma gli bastò qualche secondo per ricordarsi di non dover abbassare troppo la guardia in presenza di quel individuo, da cui già si stava lasciando manipolare.
- Quanto può essere patetico il te adulto -

- Se è l'appartamento del me adulto, perché tu ne hai le chiavi? - gli domandò Akutagawa, trovandosi al suo fianco dopo essere usciti dall'ascensore che gli aveva portati fino al penultimo piano di quel alto palazzo. Un grattacielo di appartamenti costosi e dalle large vetrate scure che impedivano, dall'esterno, di vedere cosa accadesse all'interno dell'edificio. C'era una bella differenza tra quel ambiente e da ciò che il piccolo Akutagawa era abituato, nella sua disgraziata infanzia non aveva neppure mai immaginato di poter, un giorno, finire in un luogo simile. Non credeva neppure potessero esistere abitazioni del genere, la sua immaginazione di bambino non era mai riuscita a partorire simili immagini. Troppo fantastiche e opulente per qualcuno incerto se, una volta addormentatosi, si sarebbe svegliato il giorno dopo. La paura che, infine, si trattasse solo di un sogno, si era fatta strada in lui come una mano gelida pronta ad attanagliargli il cuore. Il suo sguardo allora si fissò su Dazai, aveva dovuto decidersi ad accorciare la distanza che li divideva poiché, altrimenti, non sarebbero mai potuti entrare entrambi nell'ascensore e, farsi tutte quelle rampe di scale era fuori questione, sarebbe morto di stenti a metà strada. Dazai pareva essere l'unica cosa reale alla quale potesse aggrapparsi in quel momento, e per qualche motivo questo lo rendeva più tranquillo in un mondo di cui non comprendeva nulla. Gli ricordava di quando, tra la sporcizia di cui era circondato, alzava lo sguardo e, in lontananza, in un orizzonte all'apparenza irraggiungibile, ma che in realtà si trattava di qualche chilometro, vedeva stagliarsi quelle sagome scure. Palazzi enormi quanto quell'edificio dove ora si trovava, ma che da quella distanza parevano sottili, esili, capaci di essere distrutti da un semplice soffio di vento. Quante volte aveva immaginato di poterli cancellare con un semplice schioccò di dita? Dazai gli portava alla mente quella fantasia infantile e gli dava la convinzione di poter essere in grado di fare qualcosa di simile. Se una tale distruzione fosse un bene o un male non ne aveva idea, avrebbe potuto finirne annientato a sua volta. Però era solo un bambino e pensieri tanto accorati erano troppo per lui che vedeva solo il presente di fronte a se, incapace di intravedere un futuro, se non quello che, nelle sembianze di quel uomo sospetto ricoperto di bende, lo accompagnava.
- Prima era il mio appartamento - gli rispose Dazai continuando a guardare con sospetto il lungo corridoio che si era aperto davanti a loro, senza rivolgergli neppure un'occhiata. Gli sarebbe bastato allungare la mano per toccarlo e annullarne le sembianze infantili, eppure si tratteneva ancora dal farlo. C'era qualcosa che voleva chiedergli e quella situazione pareva volgere a suo favore. - Tu te ne sei appropriato - aggiunse, il tono piatto in cui però Akutagawa avvertì una fredda punta d'accusa, la quale lo fece sussultare come un animaletto spaventato.
- Ed è un male? - gli domandò ingenuamente, stringendo un poco di più il sacchetto di carta che teneva tra le braccia,
- Sì - si limitò a rispondergli riprendendo il passo, a cui per un momento il bimbo fece fatica a star dietro.
- E se lo era perché me lo hai permesso? - questa domanda obbligò Dazai a fermarsi un'altra volta, riservandogli uno sguardo pauroso nel voltare il capo verso di lui. Di riflesso Akutagawa si trovò ad evocare Rashomon come muro di difesa, e una piccola testa d'ombra si sovrappose fra loro.
- Perché non me ne importava - si trovò a sbuffare Dazai, annullando con la punta dell'indice l'abilità dell'altro, passandosi poi una mano trai capelli sentendosi uno sciocco nel perdere la pazienza per la domanda di un bambino. - Questo però non ti dava il permesso di prendere qualcosa che era mio - sottolineo riprendendo a camminare verso quello che era stato il suo appartamento. Non se lo ricordava tanto impertinente il piccolo Akutagawa, anche se doveva ammettere di aver instaurato in lui una reverenziale paura al tempo in cui era stato suo allievo, cosa che invece mancava completamente al bimbo di fianco a lui.
- Se non te ne importava allora perché sembri arrabbiato? - aveva esitato un momento prima di porgli anche quella domanda, intimorito dalla reazione che l'altro gli aveva appena mostrato, non riuscendo però a trattenersi da farla.
- Come ti ho detto: era comunque qualcosa di mio e non ti avevo detto che potevi prenderlo - si trovò a ripetersi Dazai, evitandosi solo grazie ad un immenso sforzo dal darsi uno schiaffo sulla fronte, ad un passo dall'esasperazione.
- Ma tu l'avevi abbandonato, giusto? - visto che gli non aveva mostrato altre intenzioni ostili Akutagawa sentì di aver il permesso di insistere,
- Uhm... - annuì lui, stanco di rispondergli o di prestare ascolto a quello che gli diceva. Non era certo Atsushi, il suo livello di sopportazione aveva raggiunto i minime termini già quel mattino quando non era riuscito a chiudere la faccenda in fretta. E ora non poteva permetterselo di farlo, arrivato a quel punto.
- Allora se lo avevi abbandonato non era più tuo - prese come un assenso il verso emesso dal più grande,
- Sono questioni da adulti che un moccioso come te non può capire - cercò di mettere fine alla sua parlantina trovandosi finalmente davanti alla porta del suo vecchio appartamento. Si era aspettato di trovare qualcuno della PortMafia nei paraggi, essendo Akutagawa sparito da due giorni e fosse quello il luogo ideale dove piazzare qualcuno a controllare movimenti sospetti. In giro però non c'era anima viva. Forse la sua improvvisa scomparsa non aveva stupito nessuno e non se ne era allarmati? Oppure, più probabile, sapevano già cosa era avvenuto e attendevano solo che fosse lui a sistemare le cose. Probabilmente, lasciare un Akutagawa indisposto nelle mani dell'agenzia, fino a che questi da soli non avessero sistemato il problema, era un'alternativa migliore che chiedere direttamente il loro aiuto. In questo modo la PortMafia salvava il proprio orgoglio e risolveva la situazione senza muovere un dito. Sotto quel punto di vista, Dazai si trovava proprio a farne il gioco, annullando lo stato in cui era Akutagawa in quel momento faceva un favore al suo precedente datore di lavoro. Ciò non gli andava molto a genio, e questo era uno dei motivi per cui aveva tergiversato sino a quel punto. D'altronde non gli piaceva neppure l'idea di fare da baby sitter fino a quando l'effetto di quella capacità non si fosse annullato da solo; o fino al momento in cui il piccolo Akutagawa non fosse cresciuto in maniera naturale. Gli venne un brivido al pensiero, nessuna delle due possibilità lo allettava particolarmente. In più aveva già preso la sua decisione.
Aprì la porta usando la propria vecchia tessera magnetica, digitando poi un codice sulla tastiera vicino alla soglia, disattivando qualunque allarme fosse attivo all'interno del appartamento.
- Non hai neppure cambiato la password? - ne sembrò vagamente deluso Dazai, varcando finalmente l'entrata per trovarsi nel piccolo ingresso buio, dove le luci presero ad accendersi solo qualche secondo dopo che fu entrato.
- Allora? Vuoi rimanere lì ancora per molto? - sbuffò nel parlargli mentre si toglieva le scarpe, il bambino sembrava essersi bloccato, fermo sulla soglia. D'improvviso pareva che tutti i suoi timori fossero tornati ad accalappiarlo, imprimendosi nel animo per rendergli le gambe di piombo. Incapaci di compiere quel singolo passo in avanti.
- Se dovevi solo annullare la capacità da cui sono stato colpito, perché mi hai dovuto portare fin qui? - era la sua ultima domanda prima di calarsi in quella che poteva considerare la tana del lupo,
- Te l'ho detto: ho una cosa da chiedere al te adulto e volevo approfittare della situazione - sintetizzò facendo trapelare un po' di irritazione nella voce solo per scuoterlo un po' dal suo tentennamento. - Forza. Muoviti ad entrare e vai a sederti sul divano - gli ordinò perentorio e, come si aspettava, dopo un sussulto spaventato Akutagawa era subito piombato all'interno del appartamento, entrando di corsa per obbedire alle sue indicazioni. Non sapeva se ciò era dovuto ad un riflesso incondizionato perché inconsciamente il suo cervello infantile aveva preso a ricordare, ma Dazai non poté evitarsi un sorriso divertito nel vederlo quasi capitolare nello scalino all'ingresso. - E vedi di non muoverti da lì - aggiunse, tenendo sempre un tono severo e freddo.

Quello che era stato l'appartamento di Dazai era un alloggio di lusso, non dissimile da quelli di cui erano proprietari gli altri alti esponenti della PortMafia. Quasi fosse un obbligo che, visto il ruolo di cui erano investi, le loro abitazioni possedessero quella vaga somiglianza. La quale in realtà, più di una questione di mobilio o di struttura, si riduceva alla composizione dei colori. Il nero non poteva mancare, così come il rosso scuro e una buona quantità di sfumature di marrone, del quale però mancavano tutte quelle tendenti al chiaro. Se il bianco era presente, tendeva ad essere soffocato dalle altre colorazioni, ben più forti, anche trattandosi di pareti di carta, il legno da cui erano formati i tasselli era tanto scuro che il bianco ne finiva mascherato, quasi non vi fosse per nulla. Potevano capitare delle sfumature di grigio, ma solitamente si trattava dell'acciaio da cui era formato qualcuno degli elementi del mobilio. E se non quella similitudine sull'assembramento dei colori, era il valore degli oggetti da cui le abitazione dei capi del PortMafia erano composti, a renderle simili l'una all'altra. Non si poteva dire non rispettassero lo stereotipo dei mafiosi amanti della bella vita che finivano per circondarsi di splendida paccottiglia inutile e costosa. E per quanto Dazai si fosse evitato di riempire la propria abitazione di cianfrusaglie non necessarie, era pur vero che non aveva elemosinato con il denaro quando aveva scelto l'arredamento. Copiando a mena dito tutto ciò presente in un catalogo capitatogli sotto mano, senza badarci troppo perché la riteneva una seccatura.
A conti fatti non aveva mai passato troppo tempo in quel appartamento, vi dormiva raramente e i pasti erano quasi sempre consumati fuori casa. Quando poi gli capitava un giorno libero preferiva passarlo in altro modo piuttosto che rimanendo imprigionato in quelle quattro mura. Eppure, nonostante non ci avesse praticamente vissuto, rimaneva comunque irritato del fatto che qualcuno avesse osato sottrarglielo.
Aveva comunque dei bei ricordi legato ad esso, come: non era forse il parquet del soggiorno quello che aveva fatto impazzire Chuuya? Il rosso aveva scoperto essere identico a quello della sua camera da letto e questo, dopo qualche bicchiere di vino, lo aveva fatto uscire dai gangheri. Non poteva accettare di aver qualcosa che lo accomunasse anche solo lontanamente a Dazai. Era stata una serata divertente, sopratutto nella parte in cui lo aveva convinto a procedere con una costosa operazione per cambiarlo così che non fossero più simili.
Il mattino dopo il rosso, ancora mezzo brillo a causa della sbronza, si era trovato la casa piena di addetti ai lavori senza avere idea del motivo. Sì, proprio una bella serata.
Subito dopo l'ingresso si apriva un'ampia sala che da sola era già il doppio della grandezza di uno degli appartamenti standard messi a disposizione dall'Agenzia. La parete esterna era composta da larghi vetri oscurati, in modo da poter avere una vista mozzafiato della città sotto di se, ma impedire di far trapelare la propria presenza all'esterno. Ecco, forse era quello spettacolo che a Dazai mancava, sopratutto perché gli dava una splendida prospettiva di suicidio. L'ampia stanza era adibita a soggiorno/salotto e sia dalla sua destra che dalla sua sinistra si aprivano due corridoi che portavano alle altre stanze dell'abitazione. Aveva avuto a disposizione metà di quel piano solo per se, si ricordò, dimentico della sua reale ampiezza.
- Vado a prendere da bere, tu non toccare nulla - disse andando ad assicurarsi che il bimbo avesse fatto come gli aveva detto, e trovandolo difatti seduto rigidamente e composto sull'ampio divano ad angolo in pelle nera (sei posti); davanti al quale stava un basso tavolino in vetro e sulla parete di fronte era fissato un televisore a schermo piatto dalle grandezze invidiabili. A vederlo lì sopra pareva che Akutagawa si fosse fatto ancora più piccolo di quanto già non fosse, e il modo in cui stringeva il sacchetto di carta al petto rendeva palese tutto il suo disagio. Per un momento il bambino cercò il suo sguardo, pronto a riempirlo di altre domande, però non lo trovò. Gli aveva già voltato le spalle.
Dazai si diresse in cucina, separata dal soggiorno/salotto da un lungo ripiano in marmo che, nel caso, oltre a fornire altro spazio dove poter cucinare, poteva essere adibito a tavolo da pranzo vista la sua ampiezza. Sopra di esso stava, fissata al soffitto con dei ganci di ferro, una lunga lastra di vetro opaco dove prendeva posto una invidiabile collezione di alcolici, recintata da due sottili tubi di ferro. Ovviamente si trattava di bottiglie già vuote da tempo, i vini che le avevano riempite si sarebbero rovinati nell'essere lasciati in bella mostra a quel modo. Senza alcuna considerazione per l'ambiente e la temperatura. Quella raccolta era stato un suo piccolo sfizio, doveva ammetterlo, un altro modo per far invidia a Chuuya, mostrandogli quanto si intendesse di vini meglio di lui. Trovarla ancora in piedi lo stupì un poco, Akutagawa non l'aveva toccata per nulla e, la mancanza di alcuno strato di polvere sopra, gli fece dedurre che doveva essere persino stata pulita di recente.
Né nel frigorifero, né nella dispensa del corvino trovò qualcosa di suo gusto, la sua riserva di alcolici era scarsa, per non dire inesistente, come lo erano le cibarie e viveri vari. Neppure Akutagawa pareva trascorrere troppo tempo in quel abitazione, pensò, altrimenti avrebbe trovato una riserva alimentare più vasta.
Si ridusse a mettere un po' d'acqua del rubinetto in un bicchiere, bevendone un paio di sorsi prima di tornare nel soggiorno/salotto. Non aveva pensato di chiedere ad Akutagawa se avesse sete e non lo avrebbe fatto.
Aveva fatto trascorrere un po' di tempo all'apparenza senza motivo e, come si aspettava, trovò il piccolo a sbadigliare in maniera vistosa, riuscendo a malapena a coprirsi la bocca. Le palpebre calate a mezz'asta sugli occhi, lucidi dal sonno, la schiena ad incurvarsi in avanti mentre la testa tendeva ad ondeggiargli lievemente da una parte all'altra. Era esausto, ad un passo dal collassare, e dopo tutto quel camminare, contando poi la notte in bianco, era plausibile non gli fossero rimaste energie. Era bastato lasciargli un momento per riprendere fiato, perché crollasse come un albero abbattuto. Lottava per rimanere sveglio, ma non era molto vigile, per qualche momento parve non accorgersi neppure della presenza di Dazai in piedi a fianco a lui.
- Eri proprio il tipo di bambino che diventa un rompiscatole quando è stanco - commentò Dazai, sedendosi sul tavolino basso, così da essergli di fronte. - La testardaggine però ti è rimasta - il bimbo lo fissò confuso, quasi fosse incerto se stesse davvero parlando con lui o solo con se steso, e non si ribellò quando Dazai gli tolse il sacchetto di mano, adagiandolo a terra, di fianco al bicchiere d'acqua che non aveva finito di bere. - Non potresti addormentarti e basta? - e in risposta il bimbo scosse la testa in senso di diniego,
- Devo chiederti un'altra cosa...- disse, la voce un poco impastata dal sonno,
- Ancora? Credevo mi avessi già fatto il terzo grado - rise, appoggiandosi con entrambi i gomiti sulle ginocchia.
- Tu sei davvero una persona che fa paura? - gli domandò con sguardo d'improvviso serio, adulto, simile a quello che doveva aver avuto Gretel dopo aver ucciso la strega rinchiudendola viva nel forno acceso. Gli occhi di un bambino capace di tramutarsi in un mostro terribile. Akutagawa aveva raccolto le briciole di pane che Dazai gli aveva lasciato.
- Oh, lo siamo entrambi - chioccio tenendosi il viso con una mano mentre, con il mignolo dell'altra, toccava lievemente la fronte del bimbo.


Akutagawa avvertì la familiare sensazione della pelle del divano contro la guancia, le membra pesanti e la mente annebbiata. Non era la prima volta che si addormentava lì, in soggiorno, e anzi spesso non raggiungeva neppure la camera da letto. Non si sentiva a suo agio in quella stanza e solo su quel divano riusciva a rilassarsi, abbandonandosi al sonno con più facilità rispetto che altrove.
Per quanto in realtà, essendo un membro della PortMafia, si fosse abituato a dormire con un occhio sempre aperto, in parte vigile per avvertire qualunque intrusione e presenza insolita. Era questo il motivo per cui riposava con addosso una giacca, simile a quella che indossava durante il giorno, in modo da poter attivare Rashomon in qualunque momento. Premura che però parve dimostrarsi inutile quando, dopo essersi svegliato all'improvviso, non riuscì a chiamarlo a se. Una pesantezza lo aveva colpito all'altezza dello stomaco come se qualcuno vi avesse appoggiato sopra un qualche oggetto di grossa taglia e due mani cominciarono a stringergli la gola. Con ancora lo sguardo sfocato a causa del sonno e la carenza di luce nella stanza Akutagawa non riuscì a mettere a fuoco la figura che si palesò a cavalcioni su di lui, identificandola solo come una sagoma scura. Un nemico che tentava di ucciderlo. Reagì d'istinto, afferrando i polsi del proprio aggressore cercando di far forza per respingerlo, trovandosi ad emettere un suono strozzato simile ad un ringhio. Senza pensarci puntellò i gomiti contro i cuscini del divano e, con un colpo di reni, si diede la spinta, trovando a far perdere l'equilibrio al proprio avversario, facendo rotolare entrambi giù dalla seduta. Akutagawa rovinò a peso morto addosso allo sconosciuto, trovandosi la gola libera dalla sua presa, avendo però le mani strette ancora salde attorno ai suoi polsi. Essendo in una posizione di vantaggio, lo bloccò a terra con il proprio peso, tenendogli le braccia sollevate in modo che non facesse scherzi, rigide ai lati della testa.
Solo a quel punto riconobbe il sorriso mefistofelico del suo ex-mentore, il quale lo guardava con l'espressione penosa di qualcuno impegnato ad osservare il volo di una mosca.
- Non sei mai stato bravo a reagire agli scherzi - commentò con il volto appena infastidito dal ginocchio che Akutagawa gli teneva piazzato nel pancreas,
- D..dazai?! - esclamò lui stupito non dimenticando l'onorifico, dandogli quel "lei" che in una situazione simile suona un poco, se non molto, ridicolo.
- La tua espressione mi fa dedurre che non hai mantenuto alcun ricordo di quel che è successo negli ultimi due giorni, eh? - disse mentre il suo colorito cominciava a prendere delle variazioni bluastre,
- Gli ultimi due giorni...- si fece pensiero Akutagawa, assottigliando lo sguardo prima fissando il proprio maestro, e poi sollevandolo per guardare un punto imprecisato della parete. - Stavo dando alla caccia a... - guaì nel ricevere un pugno dritto in faccia, cui colpo lo fece destabilizzare spingendolo contro il tavolino lì a fianco. Approfittando del suo attimo di confusione Dazai si era liberato con una mano dalla sua presa, passando al contrattacco. Senza più il suo peso ad inchiodarlo a terra lo spinse ulteriormente, alzandosi in piedi mentre Akutagawa, trovatosi a sbattere la testa sul bordo del tavolo ora per metà disteso su di esso, si sentiva al quanto intontito, come se la situazione in se non bastasse.
- Facciamola breve - decise di sintetizzare la questione Dazai, calpestando con un piede la testa del corvino per costringerlo a tenerla ben adagiata contro il ripiano in vetro. Quando aveva comprato quel tavolino si era assicurato che fosse più resistente di quanto sembrasse, e visto quanto era durato negli anni, tra imprevisti vari, non avrebbe faticato a sopravvivere pure a quello. -... l'individuo che stavi seguendo si è rivelato un utilizzatore di abilità. Tu come un idiota - e nel dirlo la pressione del tacco della scarpa sulla sua tempia aumentò, - Sei finito per prenderne in pieno gli effetti, e visto che eri diventato problematico ci ho impiegato due giorni a risolvere la faccenda -
- Problematico?..- ripete Akutagawa, all'apparenza ancor più confuso dalla sintetica spiegazione del altro.
- Chiedi ad Atsushi per i dettagli, se proprio vuoi tanto saperlo - sbuffò Dazai ravvivandosi i capelli in un impeto di stizza, stanco di tergiversare. - Anche se so che tanto non lo farai - aggiunse, sollevando il piede solo per rifilargli un calcio sullo sterno, facendolo cadere lungo disteso a causa del colpo.
Per terra Akutagawa si trovò a soffocare un attacco di tosse, finendo a col tempo con l'urtare il bicchiere d'acqua che Dazai aveva lasciato lì e vedendo il sacchetto di carta, di cui però ignorava il contenuto. In un altro momento si sarebbe rialzato, dimostrando una difesa tenace e aggressiva, capace, se non di sconfiggere il suo ex-mentore, di destabilizzarlo per qualche momento. Abbastanza per lasciargli modo di inventarsi qualcosa con cui provare ad annientarlo o con cui avrebbe potuto battere in ritirata a seconda dei casi, poiché attaccarlo con Rashomon non era fattibile. E non solo perché sarebbe stata annullato dal altro, ma perché a quel punto si era accorto di non indossare la giacca dal quale era solito evocarlo. Portava solo dei pantaloni neri e la sua classica maglia a balze bianca. Non aveva modo di affidarsi alla propria abilità e, oltre al problema ai polmoni che lo coglieva proprio in quel momento, il suo corpo pareva avere qualcosa di strano. Nonostante si fosse appena svegliato si sentiva esausto, privo di forze, incapace di reagire in alcun modo se non strisciando come un verme nel tentativo di scappare da uno scontro in cui pareva fin troppo in svantaggio. Si chiedeva come potesse essersi ridotto in quel modo, il proprio corpo incapace di reagire nonostante lo avesse portato ben più di una volta a superare il proprio limite.
- Rimani pure per terra a fare l'insetto, e sempre stato un posto che ti si confaceva...- commentò Dazai mentre lui ancora tossiva, quasi soffocato da quell'eccesso inaspettato di tosse, un rivolo di saliva a bagnargli il mento.
- Potrai non ricordare cosa è successo, ma nonostante abbia cambiato aspetto il tuo corpo è rimasto nelle stesse condizioni di prima, quindi al momento hai la stessa forza di un bambino esausto sul punto di addormentarsi - fece il giro del tavolino per chinarsi di fronte al suo viso, puntellandogli con la punta del mignolo la fronte. Un sorriso enigmatico a disegnargli un inquietante ombra sul viso. - Per il momento però smettiamolo di giocare, venivano a noi...- chioccio afferrandogli una delle ciocche di capelli che gli incorniciavano il viso. - Perché ti sei appropriato nel mio appartamento? - domandò cominciando a tirare, facendo deformare il viso dell'ex-allievo da una smorfia di dolore.
Non avendo la forza per reagire, avvertendo il peso del sonno a bloccargli gli arti ed intorpidirgli il cervello, Akutagawa si trovò a subire passivamente, trovando quella scena non molto dissimile dalle angherie che aveva subito da parte sua in passato. Forse si erano fatte appena un po' più sopportabili, segno che, per quanto mostrasse il contrario, Dazai non era intenzionato a fargli del male in maniera grave. Altrimenti si sarebbe già trovato con una pistola puntata alla testa.
- . . . - tacque, già consapevole di star commettendo un errore, ma rifiutandosi di rispondergli o di mentire, consapevole di non poter raggirare un maestro di quell'arte.
Innervosito dal suo silenzio Dazai sbuffò, cominciando a calpestare la mano che Akutagawa teneva appoggiata al pavimento. Il corvino strinse i denti, colto di sorpresa dal dolore improvviso, soffocando a malapena un gemito, il corpo in tensione a causa della posizione scomoda. Da una parte la presa di Dazai lo obbligava a tenere sollevata la testa e parte del busto, dall'altra la mano inchiodata al pavimento dal suo peso. Un leggero tremito iniziò a percorrergli il braccio mentre le dita tentavano di piegarsi su se stesse, cercando di ritirarsi.
- Quando sono scomparso sono certo che volessero ribaltare questo posto da cima a fondo per trovarmi - sogghignò maligno, alcuna emozione a segnargli lo sguardo, inespressivo come quello di un cadavere. - Eppure sembrerebbe tutto come l'ho lasciato - aumentò la forza con cui gli tirava i capelli, portando il sottile tremito di tensione che lo scuoteva a raggiungergli le spalle.
- Sa...sapevamo che non poteva aver lasciato alcun indizio qui - si decise a rispondergli, un momento esitante nell'affrontare l'ennesima fitta a percorrergli i muscoli. - E c'era il rischio che avesse nascosto qualche trappola per far desistere eventuali ficcanaso -
- Questa era un'idea di Chuuya, vero? - intuì con espressione seria, accontentandosi del suo leggero annuire, - Però non spiega perché tu sia qui, ora... - insistette per poi dare una vaga occhiata all'ambiente con aria annoiata. - Il fatto più inquietante è che non hai toccato nulla, neanche fosse un santuario nei miei confronti. Cos'è una specie di feticismo? - tornò a portare lo sguardo su Akutagawa e a quel punto la sua voce prese una nota crudele. - Ti sei forse divertito ad usare il mio letto per appagare le tue fantasie? - e a quel punto il corvino sussultò, lo sguardo ad allargarsi d'orrore misto a disgusto mentre Dazai si abbassava, così da potergli sussurrare all'orecchio, in modo che non ne ignorasse le parole. La voce resa affilata e fredda, simile alla lama di un rasoio. - Hai lasciato le stesse lenzuola così che ci rimanesse sopra il mio odore. Ti eccitava? Hai anche usato pure i vestiti che ho lasciato nell'armadio? -
Akutagawa non rispose a simile accuse, lasciando che gli scivolassero addosso come se non fossero nulla, per quanto lo umiliassero nel profondo. Era meglio mostrare indifferenza, nascondere come gli pesassero sul cuore simili parole, o Dazai avrebbe continuato ad usarle per torturarlo. Alimentando quel suo famoso sadismo che, per quanto fosse ormai un membro dell'agenzia dei detective armati, non sembrava aver perso per nulla. Avvertiva un vago senso di ingiustizia, poiché aveva visto come trattava quella stupida tigre mannara, nell'essere l'unico a subire umiliazioni tanto pesanti. E pensare che il motivo per cui aveva preso il suo appartamento era...
- Non sapevo se sarebbe tornato - confessò trovandosi a fissare il vuoto davanti a se, senza neppure cercare il volto di Dazai tanto affianco al suo che, forse, avrebbe potuto intravedere un vago senso di confusione nei suoi occhi altrimenti morti. Il peso con cui gli calpestava il dorso della mano si fece più lieve, abbastanza perché riuscisse a sottrarsi. Akutagawa se la strinse aperto avvertendo una scarica di doloro ad ogni minimo movimento delle dita.
- Che intendi? - gli domandò ancora tenendogli ben stretti i capelli, strattonandogli per non perderne l'attenzione, pareva sul punto di star per svenire da un momento all'altro. E forse era proprio grazie al suo essere un passo dal collasso se era riuscito a farlo parlare tanto in fretta.
- Se fosse tornato dovevo lasciare tutto come prima che sparisse. Ma qualcuno poteva prendere il suo appartamento o un nemico poteva distruggerlo - sospirò il corvino avvertendo un nodo alla gola, sentendosi un idiota per aver seguito, al tempo, quel pensiero che lo aveva portato sino a quel punto. - Credevo di doverlo proteggere - ammise chinando finalmente il capo ora che Dazai aveva lasciato la presa sui suoi capelli nel raddrizzarsi in piedi.
- Sei persino più patetico di quanto credessi - commentò senza che Akutagawa sapesse decifrarne il tono di voce, e privo della forza per guardarlo dritto in viso, lo sguardo fisso sul pavimento dove rimaneva seduto. - Sembri il cane Hachiko in attesa di un padrone che tanto non tornerà mai - a quelle parole il corvino strinse la mano sana con forza attorno alla gemella dolorante, lasciando che il dolore oscurasse il senso di vergogna salito a colorargli il viso, il quale però arrivò a tingerlo sino alla punta delle orecchie.
E inattesa fu la carezza che gli raggiunse il capo quando Dazai appoggiò di nuovo la mano trai suoi capelli, questa volta senza l'intenzione di ferirlo, almeno in apparenza.
- Non ho fatto quello che ha detto...- sembrò rimpicciolirsi Akutagawa nell'incassare la testa nelle spalle mentre, forse per la prima volta, quella mano gli rivolgeva un gesto gentile, tanto a lungo desiderato e atteso. Sul volto, di un acceso rosato, un'espressione corrucciata, incapace di dimostrare la felicità provocatagli da un simile gesto, temendo di essere presto allontanato malamente.
- Lo so - ammise Dazai, alzando le spalle, un sorriso vagamente divertito dal suono infantile avuto dalla sua negazione, - ...potrai essere ossessionato da me, ma non sei un simile pervertito - aggiunse intono superficiale mentre ancora teneva la mano ad accarezzare il capo del suo ex-allievo. Non ricordava di avergli mai rivolto un elogio quando ne era stato il maestro, e ormai lo considerava un adulto, quindi non era certo di potervi rimediare. - Sei stato bravo - gli concesse, - ... però sai che non tornerò in questo appartamento, vero? -
Poiché stava riconoscendo i suoi sforzi, Akutagawa si concesse qualche secondo per godersi il momento, avvertendo un peso nel petto nel annuire.
- L'ho capito subito... - però non era pronto a lasciarlo andare e a farsi così abbandonare da lui. - Ma... - la prospettiva di essere lasciato indietro era stata troppo spaventosa perché l'accettasse senza tentare una minima resistenza. Aveva creduto che, con la scomparsa di Dazai, anche gli artigli ottenuti con estrema fatica e la pelliccia di lupo di cui si era coperto, sparissero con lui. Temeva di tornare il debole che era, ma se ora lui riconosceva il suo impegno, questo non significava che era diventato forte? Voleva crederci, per quanto sotto la maschera da lupo feroce il coniglio fosse rimasto sempre un coniglio. Era solo diventato abile a ringhiare e ad allontanare le persone da sé, così che non potesse tradire la propria vera natura lasciandole avvicinare troppo.
- Ma ci speravi? - concluse per lui Dazai, trovando non ci fosse poi molta differenza tra l'adulto che aveva di fronte e il bambino che era stato. Aveva cercato un posto a cui appartenere e l'aveva trovato nella PortMafia con il suo aiuto. Quando ne aveva perso il sostegno probabilmente si era trovato a temere di poter perdere anche il luogo in cui stare. Con imbarazzo crescente Akutagawa si trovo di nuovo ad asserire con un semplice cenno del capo mentre la mano del altro ancora gli accarezzava il capo.





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Little Black Rabbit: una one-shot troppo lunga per rimanere una one-shot, si conclude qui. Mi scuso per l'OOC di Akutagawa, ma lo ritengo un OOC giustificato dal fatto che fosse vicino al collasso, quindi vedetelo come ubriaco (LOL). Purtroppo questa storia ha una terza parte, che però sarà sviluppata in altra sede(?), perché il rating cambia
  
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