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Autore: Reddle    04/10/2017    0 recensioni
È per il mio bene, hanno detto i miei superiori. Eppure io mi sento solo in gabbia.[...] sono stata addestrata per essere sfuggente, non per starmene tranquilla a farmi sorvegliare giorno e notte.
Quindi, adesso basta.[...]
Prendo le forbici dall'isola della cucina e vado in bagno davanti allo specchio. Impietoso mi rimanda la mia immagine. Un viso pallido, due occhi azzurri che a tratti spuntano dalla frangia rosso fuoco[...]

Il passato che ritorna prepotente ad avvelenare la nuova realtà selezionata per lei.
Ancora una scelta da prendere, ancora una volta è compito suo.
Fidarsi del passato, combattere e accettare le macerie che inevitabilmente resteranno, o lasciare che sia qualcun altro a muovere i fili di una realtà artefatta, solo per saperlo al sicuro?
Genere: Azione, Mistero, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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CAPITOLO NOVE
 
Si siede sorridendo accanto a  me.
“Perché li hai tagliati? Lunghi mi piacevano molto”commenta cominciando a giocare con una ciocca dei miei capelli. Non riesco a smettere di guardarlo, di memorizzare ogni minimo dettaglio del suo viso.      
Per quasi un anno l’ho creduto morto.
Adesso, invece, è davanti a me che scherza come se niente fosse.
“Sapevo che il capo ti avrebbe creato un’altra squadra, ma sono lo stesso un po’ geloso” continua allegro.
Respiro.
“Cosa vuoi?” chiedo ostentando indifferenza.
“Che freddezza! Ma posso capire, infondo è colpa mia se hai passato un anno orribile” .
Passa delicatamente la mano sulla mia guancia mentre sulla sua faccia sparisce ogni traccia di ilarità.
“Mi dispiace di averti abbandonata, ma c’erano cose che dovevo fare, cose che non dovevi sapere” mormora più a se stesso che a noi poggiando la sua mano sulla mia.
“Adesso però è diverso, adesso devi sapere, ti fidi di lui?” mi chiede guardandomi negli occhi.
Sento la gola secca e la lingua intorpidita quindi mi limito ad annuire.
Sono certa che Chris non aprirà bocca.
Mi accarezza la mano un ultima volta e poi comincia a parlare.
Ci parla di quello che gli è successo dopo che si è separato dalla squadra, di come ha capito che l’agguato non era stato un caso.
Mi spiega perché sarei dovuta essere l’unica ad uscirne viva.
“L’ho deciso io - dice - volevo proteggerti e ho supplicato gli altri di tenerti all’oscuro di tutto quello che avevamo scoperto”.
Quando finisce di parlare il locale ormai è vuoto.
Mi lascio condurre da Chris fuori dalla porta e giù nella metropolitana.
Nella mia testa gli stessi pochi pensieri si rincorrono senza tregua.
La consapevolezza che gli altri erano stati fatti sparire perché sapevano troppo ha mandato in frantumi quello che avevo ricostruito.
Mi sento come se fossi tornata al punto di partenza.
 
Fermo Chris prima di uscire dalla metro.
“Non dire una parola su quello che è successo oggi”, mi guarda perplesso.
“il capo gli sta dando la caccia”.
Non mi risponde, semplicemente mi passa un braccio sopra le spalle e mi invita fingere di non essere in uno stato pietoso davanti agli altri.
 
Il resto della squadra ci attende già nella mia stanza.
Integriamo le riprese delle telecamere di sorveglianza del ristorante, in cui non è mai ripreso il nostro tavolo, con quanto ha detto alla coppia all’altro tavolo.
Non trovando niente di interessante in entrambi si dividono i compiti di sorveglianza per il giorno dopo e lasciano tutti la mia stanza.
Resto sotto il getto di acqua calda più del solito, ripenso in continuazione a quello che ci ha detto.
Prima di prendere una qualsiasi decisione ho bisogno di prove. Ho bisogno di qualcosa di tangibile che mi dica che ha ragione.
Dopo la doccia non riesco a prendere sonno, il mio cervello continua a ripetermi che mi sta sfuggendo qualcosa.
Ripercorro le riprese, che Rufus ha lasciato sul mio pc, fotogramma per fotogramma.
Ed eccolo lì. Una tessera di plastica che il nostro obbiettivo lascia sul tavolo.
La stessa carta con cui la coppia paga alla cassa qualche momento dopo.
Sveglio Rufus, che grugnisce nel telefono in risposta. Gli chiedo se può rintracciarla. Maledicendomi riattacca e si mette al lavoro.
Arrivo per ultima al bar dove ci siamo dati appuntamento.
Mi scuso per il ritardo. Rufus ci comunica che sta lavorando sulla carta di credito.
Ci prendiamo una giornata libera, per prepararci ad entrare in azione da un momento all’altro.
 
“Ci siamo!” esordiscono in coro Rufus e Jimmy a cena.
“Ho impiegato tutto il giorno, ma sono riuscito a trovare una camera già prenotata dal nostro amico per domani”
“E io sono riuscito ad inserirti nella lista degli ospiti, dopo ti sistemo e ti aiuto a fare la valigia” conclude Jimmy facendomi l’occhiolino.
 
Alle 8.30 attraverso l’ingresso dell’albergo diretta al check-in.
“Signorina Queen la sua stanza è la 315, ecco la chiave”
“La ringrazio, può occuparsi della mia valigia? È un po’ pesante”.
L’uomo dietro il bancone annuisce. Poco dopo Aomine, vestito da facchino, mi accompagna al terzo piano.
Apre la porta della mia stanza, deposita la valigia sul letto,lascia la chiave sul tavolo e se ne va.
Questa stanza è adiacente a quella della vittima. Tiro le tende.
Apro la valigia. Con attenzione preparo il veleno e assemblo la pistola.
L’auricolare fischia. Lo tolgo ed esco dalla stanza.
Con la chiave magnetica che Tobias mi ha lasciato, nascosta sotto la mia, entro nell’altra stanza.
Dal mio nascondiglio lo vedo rientrare pochi minuti dopo.
È da solo. Con molta calma si avvicina alla finestra per telefonare.
Mi da le spalle.
Aspetto che rinfili il cellulare nella tasca della giacca.
Mi avvicino con la siringa tra le dita. Il mio riflesso nel vetro appare solo quando ormai è troppo tardi.
La mia mano è già appoggiata tra il suo collo e la spalla, l'ago penetra nella sua carne.
Una lieve pressione dello stantuffo. Il liquido chiaro entra in circolo.
I muscoli si contraggono.
Il cuore comincia a battere più veloce.
Gli si gonfiano le vene del collo. La sua pelle si copre di sudore.
Vuole reagire. Inutile.
Gli giro attorno per vederlo in faccia.
Sfilo la pistola dalla tasca della felpa.
Con movimenti rapidi e precisi fisso il silenziatore al suo posto.
Prendo con calma la mira e per poi premere il grilletto.
La pallottole viene espulsa con violenza, in pochi attimi colpisce la fronte dell’uomo.
E li impatta, frantuma, lacera.
Esce.
Dietro di lui schizzi di sangue e brandelli di cervello.
Il corpo cade, sbatte con violenza sul tappeto.
Poche minuscole gocce di sangue arrivano anche sui miei jeans, seccano e scompaiono assorbite dal tessuto scuro.
La puzza del sangue si diffonde nella stanza con rapidità. Il soffio di aria fredda alle mie spalle tradisce la sua presenza.
 “Credevo di averti insegnato meglio” non lo vedo, ma capisco che allude alle macabre chiazze di sangue e materia celebrale che ora decorano la stanza.
Il mio braccio si muove ancora prima di ricevere l’ordine dal cervello. Ruota e gli punta la pistola addosso.
Inspiro. Mi volto con il resto del corpo. Espiro.
Matteo mi sorride appoggiato al vetro.
“Puoi anche mettere via quella pistola, sappiamo entrambi che non intendi usarla contro di me”
“Potresti anche sbagliarti, mi hai insegnato di obbedire sempre agli ordini” rispondo beffarda.
“Morire non è un ordine piacevole da eseguire”
“Perché sei ancora qui?”gli chiedo cercando di nascondere il tremolio della mia voce.
“Voglio una risposta”. Ovvio, vuole sapere se sono un ostacolo o meno se alla fine ci troveremo davvero a puntarci addosso armi mortali.
Vuole una risposta che ancora non ho.
La mia evidente esitazione sembra bastargli.
Si stacca dalla porta, con solo due falcate copre la distanza che ci divide.
“Mi sei mancata Annie” mi sussurra all’orecchio.
Mi infila un foglietto nella tasca della felpa e poi sparisce.
Il tempo di un respiro e dei leggeri colpi alla porta annunciano l’arrivo dei miei compagni per ripulire la stanza e far sparire la pistola.
 
Ho appena chiuso la porta della stanza alle mie spalle che ho già in mano quel foglietto.
Senza leggerlo lo ripongo in una tasca nascosta della mia valigia approfittandone per ripescare il pigiama.
Bussano alla porta.
“Bello il pigiama con i gattini”
“Cosa vuoi Aomine?”
“Servirti la cena e comunicarti che una macchina ti verrà a prendere alle 10 per portarti in aeroporto”
“Prima classe questa volta vero?”
“Lo spero bene!”
 
La cena abbondante mi aiuta a rilassarmi. Per questa notte dormirò bene.

   
 
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