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Autore: Rivaille_02    04/10/2017    2 recensioni
Quando ero piccolo mi piaceva un ragazzo. Esatto, un ragazzo. La consideravo una cosa... strana. Mio nonno mi aveva insegnato ad amare le femmine, non i maschi. E allora perché? Non sapevo nemmeno il suo nome...
Genere: Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Quando ero piccolo mi piaceva un ragazzo. Esatto, un ragazzo. La consideravo una cosa... strana. Mio nonno mi aveva insegnato ad amare le femmine, non i maschi. E allora perché? Non sapevo nemmeno il suo nome... eravamo entrambi dei bambini in vacanza in Austria. Il nostro primo incontro era stato il più strano che mi fosse mai capitato.
Stavo giocando con la mia amica Elizabeta, una bambina ungherese che avevo conosciuto nell’albergo dove sarei stato quell’estate, sulla riva del Danubio con il nonno sulla panchina a guardarci. Ad un certo punto sentimmo delle urla e un bambino che correva nella nostra direzione. Si scontrò contro di me perché non mi ero spostato in tempo. Non avevo dei buoni riflessi.
«Scusami, ti sei fatta male?» mi chiese gentilmente aiutandomi ad alzarmi. Perché aveva usato il femminile? Ero un ragazzo come lui...
«No...» risposi alzandomi. Mi guardò negli occhi e arrossì. I suoi erano di un azzurro limpido come il cielo di quel pomeriggio. Mi ci persi. Era anche biondo. Forse era tedesco...
Vedemmo Roderich, un bambino che io ed Elizabeta avevamo conosciuto lì in Austria, che stava correndo verso di noi con una borsa in mano.
«Ehi tu! Restituiscimi quelle patate!!» urlò, probabilmente, al biondo. Era arrabbiato. Il diretto interessato si scusò nuovamente con me e corse via mentre l’austriaco si fermò accanto ad Elizabeta per riprendere fiato. «Quel dannato ladruncolo...» si lamentò buttandosi a terra. La bambina si avvicinò a me e mi diede una pacca sulla spalla. Girai la testa per guardarla.
«Ti ha scambiata per una femmina anche lui, eh Feli?» scherzò.
«Sarà per colpa del vestito che mi hai fatto indossare?» chiesi prendendo delicatamente la parte inferiore dell’abito con le punte delle dita.
«Forse è anche per il tuo comportamento femminile...» ipotizzò Roderich guardando il gesto che feci. «Insomma Feli, sei un maschio! Perché ti comporti così? Per caso stare con Eliza ti ha fatto cambiare sesso?» si chiese mettendosi a sedere sulla panchina accanto al nonno. Era vero. Mi comportavo come una femmina. Ma che potevo farci? Il nonno diceva sempre che andavo bene così com’ero...
Dopo qualche oretta tornammo in albergo dove continuai a pensare al ragazzo dagli occhi azzurri. Non riuscivo a togliermelo dalla testa.
Il giorno seguente tornai al parco da solo perché Eliza aveva il raffreddore e il nonno aveva degli impegni in città. Ed ecco che lo rividi: seduto su una panchina a guardare il Danubio. Era come assorto nei suoi pensieri. Mi avvicinai  con cautela.
«Posso sedermi vicino a te?» gli chiesi sorridendo. Lui girò la testa e, appena mi riconobbe, gli si illuminarono gli occhi arrossendo di brutto. Sembrava uno di quei pomodori che piacevano a mio fratello Lovino.
«C-certo... vieni pure» mi rispose facendomi spazio, quindi mi misi a sedere. Notai che mi stava guardando il vestito. Qualcosa non andava? «Se non sbaglio lo indossavi anche ieri...». Annuii.
«Posso sapere perché ieri Roderich ti stava rincorrendo? Sembrava anche piuttosto arrabbiato...» gli domandai.
«Roderich...? Ah, il tuo amico. Avevo solo preso delle patate, non capisco perché si fosse arrabbiato!» si mise le mani dietro la nuca. Nessuno più fiatò.
Il vento soffiava dolcemente facendo oscillare le chiome degli alberi intorno a noi. Erano le prime ore del pomeriggio, proprio come il giorno prima, e il sole splendeva alto nel cielo illuminando gli edifici davanti a noi. Si vedeva che era estate. Il bambino si voltò verso di me.
«Posso sapere il tuo nome?» mi chiese con il tono più dolce che avessi mai sentito. Aveva anche le guance un po’ rosse.
«Feli» risposi sorridendo. «Feli Vargas». Perché non avevo detto il mio vero nome? E cos’era quella sensazione che stavo provando?
«Feli...» sorrise dolcemente. «È un bel nome, proprio come te...» si interruppe arrossendo più di prima. Si voltò imbarazzato. «F-fai come se non avessi detto niente...». Gli presi la mano e appoggiai il viso sulla sua spalla.
«Nessuno mi aveva mai detto una cosa simile, sai? Nemmeno mio fratello e mio nonno! Grazie...» gli dissi chiudendo gli occhi contento. Sentii la sua guancia appoggiarsi sulla mia testa.
«Ti va bene se ci incontriamo anche domani qui, Feli?» sentirlo pronunciare il mio nome mi fece battere il cuore. Lo aveva detto con un tono così dolce...
«Certo! Io sono qui in Austria fino agli inizi di Settembre perché poi inizia la scuola in Italia e devo andarci! Tu di dove sei... ehm... qual è il tuo nome, bambino gentile?». Ero fatto così: partivo da un argomento e finivo per parlarne di un altro, correlato o no.
«Vengo dalla Germania e...» si fermò abbassando lo sguardo.
«Se non vuoi dirmi il tuo nome non importa! Possiamo trovare insieme un soprannome!» proposi sorridendogli dolcemente. Lui mi ringraziò.
Dopo quel pomeriggio, iniziammo ad incontrarci tutti i giorni. Stesso luogo, stessa ora. Ad ogni chiacchierata imparavamo sempre di più l’uno dell’altro. Ad esempio, anche lui aveva un fratello maggiore come me e gli piaceva giocare a calcio! Non sapevo il perché, ma avevo iniziato a vestirmi ogni giorno da ragazza per incontrarlo. Non che prima non lo facessi, ma in quel periodo mi piaceva. E non mi piaceva solo quello, ma anche lui. Grazie ad Elizabeta avevo finalmente capito che quel che provavo per lui non era solo amicizia, ma qualcosa di più. Sia lei che Roderich mi incoraggiavano a dichiararmi ma io avevo paura. E se avesse scoperto che in realtà ero un ragazzo? E se non ricambiava affatto? E se...? Troppe domande mi ponevo. Me lo dicevano anche loro due. Dovevo essere più tranquillo, andare da lui e dirgli tutto quel che provavo. Ma non fui io a fare la prima mossa.
Come ogni giorno, mi diressi al parco in riva al Danubio. Rimasi sorpreso nel vederlo con una valigia in mano. Mi aveva detto che sarebbe partito, ma non avrei mai pensato ad un giorno così vicino. Mi avvicinai a lui chiedendogli se davvero doveva andarsene così presto. Confermò con tono triste. No, non volevo. Non poteva partire così, senza preavviso. Ma doveva. La mia prima cotta che mi lasciava così... avevo bisogno di dargli qualcosa per ricordarsi di me. Gli diedi un ciondolino che avevo comprato poco prima. Aveva una stella come decorazione. A lui piaceva osservare le stelle, proprio come me. Eravamo simili. Accettò il mio regalo mettendoselo in tasca, in modo da non perderlo. Non si girava per andare da suo fratello, che era dietro di lui ad aspettarlo. Era fermo davanti a me.
«Feli... cosa fanno le persone in Italia per dimostrare il loro amore verso la persona che amano?» mi chiese all’improvviso.
«Si baciano» risposi non sapendo le sue intenzioni.
«Si baciano, eh?» mi prese le mani arrossendo. Mi guardò negli occhi nella maniera più dolce che avesse mai fatto. Li socchiuse facendo avvicinare il suo viso al mio e mi baciò. Mi aveva preso alla sprovvista. Non sapevo cosa fare, come reagire. Era solo un piccolo bacio, ma mi fece emozionare parecchio. «Feli, io ti amo» dichiarò abbracciandomi poi forte a sé. Mi sussurrò poi all’orecchio: «So che ricambi, non c’è bisogno che tu dica niente». Mi diede un altro bacio sulla guancia. Avrei tanto voluto che me ne avesse dati altri, ma suo fratello era così impaziente che dovette lasciarmi subito. Quando sentii le sue braccia staccarsi dal mio corpo divenni triste e lui se n’era accorto. Cercò di tranquillizzarmi giurandomi che sarebbe venuto in Italia per stare con me e che non avrebbe amato nessun’altra oltre a me. Mi rese felice in un certo senso. E quel sorriso che fece mi rasserenò parecchio facendomi credere nel suo giuramento.
«Ti aspetterò allora... quando tornerai, ti preparò della pasta!» gli promisi. Dopo qualche secondo a guardarci negli occhi, si girò e andò verso il fratello con il quale salì sulla loro macchina. Ero sicuro che l’avrei rivisto. Avessi dovuto aspettare vent’anni, l’avrei rivisto. Mi aveva fatto credere nelle sue parole, me lo aveva giurato.
Quando compii quindici anni non era ancora tornato. Ma lo aspettavo comunque... l’avrei aspettato per sempre.
   
 
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