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Autore: _Malvine_    05/10/2017    1 recensioni
Anno 2389. In una Tokyo futuristica il progresso tecnologico è avanzato a discapito del benessere sociale. Tra dirigenti spietati, piogge acide e droidi assassini il futuro dell'umanità è sempre più incerto.
La storia non è stata scritta da me ma da mio fratello che non possiede un account.
Grazie dell'attenzione.
Genere: Dark, Introspettivo, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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Avrebbero pagato per quel che gli era stato fatto. Tutti, nessuno escluso.

Letteralmente immerso nei suoi ricordi come avvolto da un flusso incessante senza tempo e senza attrito, un uomo si masticava le labbra fino al sangue. Come era potuto succedere? Perché si trovava in quella situazione senza via d’uscita? Doveva studiare un piano. E per ora, l’unico modo che gli veniva in mente per trovare una soluzione era ripercorrere alcune tappe a ritroso per capire dove aveva sbagliato e, una volta individuato l’errore, correggerlo.

Scelse un ricordo e vi si catapultò senza alcuna esitazione. Fremeva dalla voglia di tornare sul campo.

 

Il Taccuino Mnemonico

 

1.

 

Eccolo lì, l’uomo che andava cercando. Lo aveva individuato in mezzo alla folla, comune individuo tra comuni individui. Era Iwano Hahn, madre giapponese e padre tedesco. Aveva trentacinque anni e lavorava alla Engine & Care, la più rinomata compagnia, almeno qui ad Akihabara, nel settore tecnologico-informatico. Lavorava alla sezione Consumi e Applicazioni Medie; in altre parole uno di poco conto che fa infografiche per poi presentarle ai consumatori medi. Lampadine di nuova concezione, celle di energia, ricambi per automi, sciacquoni del cesso silenziati e tapparelle automatizzate, in genere quella roba là.

 

Non è ancora tempo di una promozione.” aveva detto il grande capo Francis Matsuda quando Iwano aveva avuto la malsana idea di passare alla sezione Consumatori Superiori; “Se ci pensi, gli uomini di una certa levatura possono comunicare meglio con i loro simili. Invece gli uomini di bassa estrazione sociale possono comunicare al meglio quando a parlare loro è uno di loro. Il simile conosce il simile, sai?

In pratica gli aveva detto cortesemente di andarsene a ‘fanculo, senza troppi giri di parole, perché così era stato deciso. Bloccato a parlare con le mamme di quanto mercurio cromo potesse esserci negli automi che tagliuzzavano il sushi ai loro bambini, o di quale frequenza fosse cancerogena per le lampadine che il suo amico scienziato alla Sezione Tecnologia e Sviluppo aveva controllato miriadi di volte evitando persino di tornare a casa la sera, rovinandosi la salute.

Neanche quest’anno avanzerò di grado.”

Una timida pioggerellina invece si fece avanti senza scrupoli. Iwano accostò le labbra inumidite al collare rialzato della sua unità tutelante << Modalità Pioggia, on. >>

Il microchip inserito nel colletto comunicò rapido l’informazione al resto della propria unità e i microtubuli rinforzati cominciarono a rimestarsi nel tessuto mentre le fibre sintetiche E.C. consentivano alle placche protettive di innalzarsi sull’abito che, allungandosi, da sciarpetta che era, assunse la forma di un impermeabile rinforzato.

<< Odio la pioggia acida. >> commentò finendo di bere il proprio liquore. Pagò il conto all’automa addetto al servizio e uscì dal microbar, una sorta di unità di un metro per uno con un paio di tendine come accesso in cui si serviva un cliente per volta. Una specie di bagno chimico ma con dentro un robot distributore di alcolici, merendine e preservativi. Si era informato, il primo modello di quelle cabine da pezzenti era stato inventato nel...fece uno sforzo di memoria. “Nel 2155”, subito dopo la grande rivoluzione dei mezzi a compartimenti interi. Bus, pullman e tram, a rotaie magnetiche chiaramente, al cui interno ogni passeggero aveva la libertà di delimitare il proprio spazio personale con una bolla protettiva in kevlar che si poteva abbassare e rialzare come le protezioni del luna-park, munita di ossigeno puro al 97%. Erano state la risposta ai sempre più frequenti dinamitardi che tanto avevano cominciato a rompere i coglioni negli anni 2000 e qualcosa, e da lì non avevano mai finito. Una guerra che andava avanti da oltre 200 anni e che si trascinava persino ora, alle soglie del 2389.

Si comincia con la protezione individuale, su cui tutti concordano, per poi scaturire addirittura nella moda e nel divertimento. La gente prese così tanto gusto a non dover più sentire gli odori e le chiacchiere altrui che cominciò a chiedere a gran voce alle corporazioni di allora di sviluppare tecnologia via via più adatta a quello che veniva definito “Movimento Individuale.”

Chiaramente tutta questa roba aveva un prezzo, ed era il progressivo isolamento della società e degli individui della stessa. Un prezzo che in realtà nessuno era restio a pagare. Per trovare l’anima gemella o amici con cui divertirsi si svilupparono social media più efficienti ricorrendo sempre alle corporazioni di cui sopra. Vennero snellite le pratiche burocratiche arrivando poco per volta all’obsolescenza di concetti come “matrimonio” e “vita insieme”, visto che gli individui e la loro famiglia assumevano un ciclo quasi annuale in cui una coppia si formava, figliava e si sgretolava nel giro di pochi mesi.

Mentre si assicurava che la propria bolla -in realtà parzialmente scheggiata da qualche vandalo- fosse saldamente assicurata e che l’ossigeno della propria maschera fosse operativo e ad un buon livello, osservò la situazione che aveva davanti. Chi parlava, chi mangiava, chi videogiocava, ognuno nel suo piccolo mondo ristretto, contento e felice di farne parte. Bastava così poco per accontentare le persone, eliminare dal loro mondo tutte le altre, o almeno cancellarne parzialmente l’esistenza.

Era in leggero anticipo sulla sua tabella di marcia: non erano nemmeno le 9.00 e doveva essere a lavoro per le 9.30, considerando che l’autoveicolo multiplo a guida automatica (A.M.G.A.) ci metteva non più di quindici minuti contati.

Brrrrip.” sentì nel cervello. “Brrrrrrr-rrrrip.” si ripetè quel rumore di sottofondo. Non poteva venire da fuori grazie all’insonorizzazione, per cui doveva essere il cellulare integrato, quello che ormai tutti si facevano inserire nel lobo frontale. Sembrava qualcosa di terribilmente doloroso ma in realtà scongiurava qualsiasi rischio di dimenticarselo o perderlo o venire derubati. Appoggiò il dito indice al lobo sinistro dell’orecchio e fece partire il contatto. I circuiti inseriti nel suo apparato uditivo e parzialmente nel cervello attivarono la chiamata: << Iwano, qui Michael Deda. Ti ricordi di quel favore che mi devi, vero? >> Era Michael, lo scienziato che gli era tornato alla mente poco prima. Gli aveva installato un nuovo impianto refrigeratore contro il Caldo Africano, un vento che si ripresentava ogni due mesi per tutto l’anno e senza il quale le probabilità di sopravvivere erano del 73%. I materiali erano presi dagli scarti del suo settore ma visto che non aveva richiesto l’autorizzazione era una situazione abbastanza compromettente. << Sì, me lo ricordo. Cosa ti occorre, mio amico mai inopportuno? >> nella sua voce un pizzico di ilarità si sentiva.

<< Fai poco lo spiritoso, maestrino delle mie gonadi rifatte. Voglio quello che mi avevi promesso. E paghi tu ovviamente. >>

<< Un giro di ramen e mezzo bicchiere di sake al microbar solito, chiaro. >>

<< NO. >> proruppe Michael toccando note da soprano.

<< No, signorino. Quell’altra cosa. >> Iwano pareva di sentire le sue dita attorcigliarsi mentre l’amico cercava di fargli capire cosa volesse. In realtà lo sapeva bene, solo che si divertiva a tirarglielo fuori. Era l’unica vendetta possibile per dover sborsare almeno mille Globali per robobattone assortite. Michael aveva perso la verginità con un’automa specificatamente ideato per quel ruolo e da allora il poveretto non aveva voluto più sentire né vedere una donna -non che avesse chissà che speranze o conoscenze, a dire il vero.

Era un mezzo fallito con solo un ottimo cervello: basso, con baffetti ridicoli e un principio di calvizie in quei capelli biondicci che si ritrovava. In più aveva un modo molto strano di approcciarsi, non solo alle donne, che prevedeva sempre la sua mano sulla tua spalla o il suo sguardo languido indugiare su qualsiasi cosa tranne che i tuoi occhi quando gli parli. Un atteggiamento che ha sempre posto un’ulteriore barriera ben definita tra lui e gli altri. Così quel poveretto era arrivato alla precaria età di 34 anni senza aver mai baciato una vera donna, preferendo ora le labbra accuratamente costruite e progettate di un’automa adibito al solo scopo di dare piacere agli esseri umani. E, visto che non parlava di cosa aveva spettegolato dal parrucchiere, era in effetti poco sensato dargli torto. Quando calcolava il livello di razionalità di quella scelta con l’applicazione integrata di cui disponeva nel suo apparato elettronico gli dava sempre indici molto elevati. Era la tecnologia stessa a dire “scopate robot, non umani”.

Da qualche parte, ora, una lady stava sicuramente pensando le stesse cose di un bel membro in poliuretano espanso riscaldato e con vibratori interni munito di schizzo a temperatura regolabile.

<< Pronto? Ci sei? >>

<< Senti, sto arrivando, ne parliamo dopo >> tagliò corto chiudendo la conversazione bruscamente.

Il timer sulla sua retina segnalò l’arrivo a destinazione. Il mezzo si fermò senza alcun sussulto, sollevò la propria bolla e uscì prima che le portine potessero pinzargli gli indumenti. La pioggia non accennava a smettere. Le strade venivano spesso corrose e devastate da piogge acide, qualcuno ci moriva ogni ventiquattr’ore per cose simili. In genere barboni ubriachi o gente addormentata al parco che si risvegliava sfigurata. Il palazzo che accoglieva i laboratori era un enorme complesso di grattacieli collegati da pontili esterni rigorosamente corazzati contro quasi qualsiasi tipo di aggressione. Era munito di muri rinforzati capaci di resistere alle bombe tattiche nucleari perché il suo contenuto era più prezioso di ciò che c’era in banca. “Qui giace la culla del futuro” era solito ripetere Francis Matsuda, “assaltare noi vuol dire aggredire l’umanità”, spiegava sempre ai nuovi arrivati, aggiungendo che anche rubare materiale protetto o fare spionaggio industriale era considerabile atto di guerriglia. A tal proposito il Governo, o come si chiamava da novant’anni a questa parte, il “Direttivo”, aveva optato per fornire una piccola guarnigione difensiva solo a quell’edificio, comodamente dislocata tutt’intorno negli alloggiamenti circolari che i colleghi simpaticamente chiamavano “i bubboni”, visto che la soldataglia era solita tastare più del dovuto le signorine durante i controlli, e chiedere spesso pedaggi non autorizzati a chi si perdeva in loco oltre una certa ora. Passare in mezzo agli scanner era la solita rottura, anche se Iwano ne comprendeva il motivo. “Dai, forza, sono qui per offrire le migliori sorpresine per merendine che la tecnologia abbia da offrire. Potete stare certi che il mio scopo è proprio derubare i bimbi.

<< Salve, Iwano. Solite domande: viste e/o sentite azioni fuori norma? >>

<< No. >>

<< Visti e/o sentiti comportamenti sospetti e/o illeciti di eventuali colleghi? >>

<< No. >>

<< Sta introducendo, o ha mai introdotto, microspie, telecamere o qualsiasi tipo di tecnologia atta a riprodurre immagini e suoni? >>

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<< Molto bene. La informo che mentire ad un pubblico ufficiale per la sicurezza è punibile ai sensi di legge così come riportato nella 5646, ultimo paragrafo, secondo la normativa vigente, la quale prevede la pena capitale. Lei entrando si prende la piena responsabilità delle sue parole, appena registrate. Conferma? >>

<< Sì. >>

<< Fatelo passare >>

Finalmente l’accesso fu libero. Ovviamente i soldati si davano il cambio ogni ora, ripetere quella manfrina per ogni dipendente era snervante pure per loro, tanto che Iwano ormai poteva ripeterla al posto loro da quante volte l’aveva sentita.

Salutò Mag alla reception, passò oltre quelle sgradevoli piante di cui non ricordava mai il nome all’ingresso e arrivò fino alla destra della statua in bronzo lucente dell’astrolabio, alla cui base sostava l’ascensore che lo avrebbe portato alla sua sezione. Scese nelle profondità della terra fino al -39 piano, aveva ancora cinque minuti per riordinare le sue cose e fare un po’ di lavoro d’ufficio. Alle 10.30 lo attendeva il Capo Sezione, Fredrika, una di origini nordiche, per discutere del nuovo progetto da lanciare sul mercato. Quella donna spesso si ostinava a indossare il caschetto bianco anche quando era assodato che problemi di tipo sismico ormai non erano più un problema viste le ultime installazioni nelle fondamenta. In realtà, aveva rivelato una volta, spesso lo teneva per tenere compatta la nuova capigliatura che in genere cambiava una volta alla settimana.

Arrivò al proprio piano e le porte si aprirono automaticamente, con una vocina robotica che augurava << Buona Giornata, lavoratori e lavoratrici! >>

Come al solito era il primo ad arrivare alla propria postazione contrassegnata dal numero 12, quello poco prima del fortunato 13. A rompere questo primato mondiale fu Michael, seduto sulla sua sedia girevole. << Alzati, lo sai che non voglio altra gente sulla mia sedia >> sibilò mimando un ceffone pronto a planare.

<< Wo-wo, calma grande capo! È stata la capa a dirmi di installarti un nuovo firewall, prenditela con lei! >> piagnucolò alzando le mani in segno di resa.

Qualcuno cominciò ad arrivare sul piano, prendendo posto e accendendo i monitor.

<< E per quanto riguarda il discorso che ti accennavo… >> sussurrò al suo orecchio, roteando gli occhi da una parte all’altra come un camaleonte. La sua mano umidiccia già appoggiata sulla spalla di Iwano. << Ah sì, le robobattone >> intonò, e la faccia di Michael si chiazzò di rosso facendogli andare di traverso la saliva. Alzò improvvisamente la voce guardando gli altri, che avevano sentito quella parola << Sì, sì, quelle che devo ripararti, ma ora dobbiamo lavorare! >>

Poi subito rivolgendosi a lui, con gli occhi infuriati ma che squadravano sempre altrove << Che bello scherzo, sei proprio un amico. La prossima volta che arriva un tifone di gran caldo sai a chi chiedere? Non a me. >>

<< Stavo scherzando, ti ci porto stasera stessa se vuoi. >>

<< Davvero? >> Michael aveva le lacrime agli occhi dalla felicità.

<< Sì, basta che ti levi e mi lasci lavorare ora. >>

Lo scienziato a quelle parole si sciolse come neve al sole e tornò al proprio piano.

Il tempo di dare una sistemata ad alcune cartelle lasciate in sospeso il giorno prima e gli arrivò la comunicazione di Fredrika di presentarsi nel suo ufficio immediatamente.

Arrivò in quell’ufficio tappezzato di chiffon rosa fluo appena possibile, inciampando nella moquette alta fino alla caviglia. Un androide gli porse un bicchiere d’acqua appena purificata. << No, grazie >> alzò una mano per rifiutare.

<< Vieni, Iwanoe. Ti faccio vedere una cosa. >>

<< Non mi chiami così, la prego. Gliel’ho già detto. >>

<< Ma Ivanhoe è un bel personaggio. Antico, come lei. Mi esce la polvere dalla bocca appena lo pronuncio ma ha un suo fascino. >> girò il monitor verso di lui e prese a sorseggiare il suo drink mattutino.

<< Non mi interessa. Il mio nome non lo voglio storpiato, neanche per le carinerie di un’amica. >>

Lei sembrò non gradire e la sua smorfia fu la conferma. Si aggiustò un ciuffo di capelli rossi e bevve avidamente.

Iwano controllò lo schermo e vide il progetto di quello che sembrava essere un nuovo hardware. Per cosa fosse, però, non riusciva a capirlo.

<< Back-up di memoria umana esterna. Renderà possibile la copia, il trasferimento dati, la cancellazione dei ricordi se necessario. >>

Iwano aggrottò le sopracciglia. << Sembra roba da Consumatori Superiori. Che c’entro io? >>

<< Infatti non devi occuparti delle vendite. Devi testarlo. Questo è il prototipo… >> digitò un codice sul tastierino alfanumerico sulla scrivania e un cassetto si aprì rivelando l’apparecchio, di forma rettangolare e di colore nero lucente. Un palmare, quasi, con uno schermo. Il suo pollice premette un tasto dorsale e si accese un led rosso. << Ora è attivo. Utilizza tecnologia wireless, non vogliamo roba invasiva per i cervelli di chi ci compra abitualmente. Tu ne sei provvisto, vero? >>

<< Sì, della mia sezione sono l’unico aggiornato al wireless. >>

<< E credevi ti avessi scelto perché sei bello? >> un lampo malizioso passò sul volto rarefatto del capo sezione. Iwano invece accusò il colpo, credeva almeno di essere stato scelto per la sua intelligenza. << Ma a parte questo, non avete già le cavie umane alla sezione clinica di sotto? >>

<< Sì ma le cavie che usiamo sono di estrazione sociale bassa, molto bassa. Ti basti sapere che gli unici ricordi che avevano e che avrebbero potuto trasferire riguardavano sesso, mangiate in famiglia e poca altra roba. Di certo i cervelloni non si offrono come cavie, no? E qui entri in scena tu. Devi dirmi se funziona, eventuali anomalie, eccetera eccetera >> fece un segno vago ruotando il polso.

Iwano sapeva bene di non poter veramente rifiutare. Il suo contratto prevedeva poche tutele, e quasi tutte sempre a favore della direzione.

<< È previsto un pagamento almeno? >> visto che cominciava a sentire la gola secca prese il bicchiere che prima aveva rifiutato e bevve ad ampie sorsate.

<< Mille Globali se va tutto bene, sono previsti cinquecento Globali in più nel caso in cui incorressi in anomalie dovute al prodotto. È sottinteso che anomalie non ce ne saranno e anche in quel caso… >>

Il discorso lasciato cadere nel vuoto fu piuttosto eloquente.

<< D’accordo. >> Posò il bicchiere, afferrò l’aggeggio con noncuranza e tornò a lavorare.

 

2.

 

Stava rimettendo a posto le ultime cose quando udì un grido. Il calcolatore suggeriva un grido umano, di individuo maschile, e propenso alla tristezza, per il 90%.

Attorno all’ufficio del responsabile risorse umane si era radunata una piccola folla nonostante fosse quasi ora di chiusura.

<< Non è giusto! >> urlò la stessa fonte di prima.

Iwano scostò cortesemente un paio di persone per poter vedere meglio. Un uomo in giacca e cravatta, tirato a lucido e ben pettinato come un damerino, aveva ribaltato una sedia nell’ufficio del responsabile.

<< Non avete alcun diritto di chiedermi una cosa simile. Io non mi metto niente nel cervello, è chiaro?! >> sbraitava alzando le mani e gesticolando.

Il responsabile, conscio della situazione, provò a calmarlo.

<< Lei è stato respinto perché prevediamo un rendimento inferiore del 50% rispetto alle persone...ottimizzate. >>

L’uomo sbattè le mani sulla scrivania.

<< Siete vincolati dalla legge. Non è ancora ammessa discriminazione tra “ottimizzati” e “pezzenti” come me. E anche volendo, senza un lavoro, come diavolo faccio a modificarmi? >>

<< Signore, sono previsti stanziamenti, assicurazioni e prestiti agevolati per chi si trova nella sua situazione… >>

<< No. Ho detto di no. Yahallahddha ci ha creati così perché siamo già perfetti! >>

Intervenne anche il droide del responsabile << Signore, sta dando spettacolo. La prego di calmarsi. Vuole un calmante? >>

L’uomo rovesciò il piatto con sopra la confezione di calmanti << Vaffanculo te e i tuoi calmanti. >>

<< Sono uscito con il massimo dei voti da un’università prestigiosa. Ho già pubblicato, a me nessuno dice cosa mettermi nel cervello, è chiaro? >>

<< La nostra compagnia ne è lieta. Vuol dire che nonostante il rifiuto sarà perfettamente in grado di inserirsi nel tessuto sociale. Buona giornata >>

L’uomo venne portato via da alcuni addetti alla sicurezza. A Iwano parve anche di sentire, una volta allontanatisi, qualche percossa dovuta ai dissuasori, le armi in dotazione.

Accanto a lui già sentiva i primi sberleffi:

<< Chiaro, non vuole lavorare! >>

<< Se non ti ottimizzi non puoi certo pretendere che gli altri rimangano a livello “paleolitico”! >>

Una cosa lo aveva particolarmente colpito, però. Aveva citato Yahallahddha, che era considerato “l’ultimo Dio.” Quasi nessuno pregava più e, perdendo consenso, un giorno i rappresentanti delle religioni più grandi si misero d’accordo sul fondere la dottrina e unire le forze. Il nome di Dio sarebbe stato la risultante di tre nomi: Yahweh, Allah, Buddha. Yahallahddha.

Erano rimasti in pochi ma non erano ancora morti, e non volevano assolutamente modificare il proprio corpo.

 

Sulla strada per casa la sua mente lo aveva di default portato in un ambiente che riconosceva, e che odiava. La stradina sotto al ponte. Da lì si potevano tagliare dieci minuti di camminata per casa sua.

La tana era ancora là. Il cane di quel giorno invece no. Sperava sempre di poterne osservare il cadavere masticato dalle formiche un giorno o l’altro.

Cinque minuti prima di arrivare a casa, in periferia, aveva potuto scorgere la sua casetta in lontananza. Niente di speciale, un agglomerato di mattoni, cemento e vetro che aveva messo insieme negli anni. Ad attenderlo, la moglie Midori e la figlia Iris. Quel nome era sembrato appropriato visto che l’Iris era un fiore e Midori in giapponese significava “verde”. Un accostamento quantomai banale ma che era subito piaciuto e aveva tolto un’incombenza a entrambi. In una società in cui non sai se il tuo nucleo familiare resiste oltre l’anno, nessuno perde più tempo dietro alle minuzie come i nomi, e la mediocrità regna. Ma quello era il suo bel fiorellino e per ora il sogno resisteva come radici ben salde nel terreno. Magari quell’Iris un giorno avrebbe messo radici altrettanto salde, si augurava. La trovò nella sua stanzetta con la sua minidroide preferita, quella bionda. Aveva aspetto e dimensioni di una bambola ma non era inanimata: alcuni microchip e alcune funzionalità regolabili sulla direttiva “istruzione e apprendimento” permettevano a quella bambola di essere anche un tutore e una telecamera di sorveglianza allo stesso tempo. I genitori potevano sapere cosa faceva la bambina e cosa imparava durante il giorno.

<< La palla con cui stai giocando è in caucciù. Sai da dove viene il ca-uc-ciù? >> cantilenava quella bambolina con voce umana riprodotta. E Iris, anche se ancora non parlava bene dall’alto dei suoi tre anni, batteva le mani contenta.

La moglie lo accolse con un bacio veloce, indaffarata a preparare la cena. Anche lei aveva scelto di ottimizzarsi con qualche piccolo impianto qua e là in grado di asciugare il fisico danneggiando le riserve eccessive di grasso, o tirare la pelle delle smagliature, e l’ultimo era persino in grado di cambiare il pigmento dei capelli e delle iridi degli occhi. Così era ogni volta uno splendore per lei poter abbinare il giallo paglierino dei capelli all’arancione o al rosso dei suoi occhi. Tanto tempo fa, quando questi aggeggi erano stati inventati da una compagnia concorrente alla sua, erano visti come il male in terra. Gente con gli occhi rossi era derisa, gente coi capelli verdi e blu quasi disprezzata. Col tempo la cosa è stata semplicemente accettata e le critiche sono scomparse nel nulla della loro inconsistenza.

Dal canto suo, Iwano adorava sperimentare, e sicuramente a letto quegli impianti aiutavano. Gli tornò in mente il ragazzo di prima, rifiutato per non volersi ottimizzare, poi scacciò subito il pensiero.

<< Questa sera esco con Micky. >> disse a cena all’improvviso mentre Midori imboccava la bambina.

<< D’accordo. Se si tratta di relazioni extraconiugali sei pregato di farmelo sapere, così almeno sistemiamo i moduli per tempo. >> rispose lei senza alzare gli occhi dalla bambina sorridente che stringeva il pugnetto.

<< No, non si tratta di questo. Riguarda Micky veramente. È a lui che serve. È il ringraziamento che vuole per l’impianto che ci ha fatto >> spiegò addentando un tozzo di pane.

<< Il lavoro che ha fatto è mediocre. Secondo me crolla tutto al secondo utilizzo >>

<< Purtroppo questo è quello che attualmente possiamo permetterci. Dovevo scegliere tra il mediocre e il nulla, tesoro. >>

Lei a quella parola si girò e gli sorrise. << Già, grazie per quello che fai per questa famiglia. Il mio terzo compagno lo lasciai proprio perché non era in grado di provvedere neanche a se stesso e pretendeva che lo facessi io. Morì l’anno dopo proprio a causa del tifone. >>

Iwano mostrò un sorriso di cortesia. Si asciugò con un tovagliolo dal sugo e controllò l’orologio integrato. Con uno sguardo diede il comando e un materiale liquefatto trasparente uscì discendendo da una bocchetta sul soffitto. Il materiale prese una forma rettangolare, regolò lo spessore e i colori dei cristalli, e si sintonizzò sul canale prefissato, il telegiornale.

<< È previsto per domani… >> intonò la giornalista in loco << ...l’assalto finale alle milizie del Califfato, ci dice il portavoce per la sicurezza nazionale. Le forze congiunte dell’Occidente sotto i rispettivi Direttivi assicurano che saranno ridotte al minimo le perdite umane tra i civili. Intanto, i nanodroni sono già pronti a inserirsi nelle vene dei luogotenenti di Al-Mushraafi per addormentarli e i reparti pacificatori dispongono anche di qualche unità di tute tattiche modellizzanti nel caso in cui i terroristi dovessero ricorrere alle maniere forti. Qui è tutto, a te la linea Jones. >>

Il conduttore continuò a parlare sulla scia di quanto era già stato detto. Che bella notizia, finalmente la guerra si stava avvicinando all’epilogo. Gli sembrava ancora di poter toccare con mano quello che i nanodroni erano stati capaci di fare, nei suoi ricordi. Davanti a lui un delinquente ottimizzato con un braccio capace di esercitare una pressione tale da poter schiacciare un cranio come un acino d’uva che voleva i suoi sudati Globali. Iwano non disponeva di strumentazione difensiva, anche se un pensiero avrebbe voluto farcelo, e si ritrovò a scappare a perdifiato, con il contatore di probabilità che lo dava già per morto. Un pacificatore era intervenuto con il dissuasore ma quel braccio lo aveva piegato in due e una volta disarmato era riuscito a frantumargli la testa. Il chip nel cervello del pacificatore si era attivato e a cascata aveva attivato decine di chip dei colleghi i quali erano accorsi sul posto con velivoli di autodifesa e blindati di pronto intervento. Riconosciuto come criminale ottimizzato avevano optato per i nanodroni, paragonabili a robot grossi un millesimo di moscerino in numero di circa mille per capsula. Qualcuno aveva gettato una capsula ai piedi del criminale, si era dischiusa e lo sciame silenzioso era penetrato senza che se ne accorgesse nella sua pelle, nei suoi circuiti, nel suo cervello attraverso gli occhi. L’ufficiale giudiziario lì presente aveva valutato la situazione con il massimo del punteggio: aggressione e uccisione di pubblico ufficiale. La pena prevista era la morte, e fu eseguita seduta stante nel modo più doloroso possibile. I droni cominciarono a rendergli inservibile il braccio per renderlo inoffensivo. Proseguirono tranciando con dei micro laser i suoi tendini, i muscoli delle gambe e del collo. Reso infine un’ameba d’uomo, attaccarono i muscoli della gabbia toracica, impedendogli il respiro. Non ebbe neanche la forza di urlare. Iwano era salvo e felice, venne aiutato e gli venne data una coperta, eppure era ancora scioccato da come aveva visto quell’uomo morire.

Fu il cellulare integrato a riportarlo al presente, Michael esigeva il suo tributo sessuale. In tasca sentì ancora il palmare del back-up mnemonico. Per sicurezza lo mise nella cassaforte di casa e uscì alleggerito da quel problema.

Michael lo aspettava fuori dal cancelletto, pronto a partire e fremente di gioia. Si aggiustò un ciuffo ribelle e si infilò la camicia nei pantaloni salutando l’amico. Iwano gli fece stancamente segno di seguirlo. Attraversarono la lunga ragnatela di ferrovie magnetiche incrociando ogni tanto qualche automa di servizio. Verso l’interno dell’agglomerato urbano cominciavano a comparire anche alcuni dei primi microbar dalle cui tendine usciva un soffice tepore unito a odore di ramen in brodo.

Un gruppo di ragazzi uscì da un locale barcollando, alla fine caddero tutti abbracciati l’uno all’altro ridendo. Lasciarono passare una vettura e proprio durante quella breve attesa Micheal scelse di spezzare il silenzio che si era creato << Tu hai...hai mai provato? >>

<< Una volta ma non mi è piaciuto. Preferisco la carne. >>

<< Oh, ti capisco sai? È come paragonare la carne sintetica a quella di allevamento. C’è sempre quel non-so-che che ti spinge a preferire il vecchio al nuovo. >>

<< Alla riproduzione >> lo corresse.

<< Che sia un bias umano? Alla fine gli strumenti dicono che queste macchine sono create per riprodurre fedelmente le interazioni umane, per stimolare le stesse sensazioni che avremmo con gli esseri umani; non ci sono sostanziali differenze al netto della tecnologia di cui disponiamo. È solo pregiudizio o c’è dell’altro, mi chiedo? >>

<< Si dice che dopo una scopata gli uomini si mettano a fare filosofia spicciola ma tu la fai addirittura prima >> scherzò indicandogli la porta giusta, contornata da lucine violette e blu che componevano una farfalla.

Ad accoglierli era una ragazza sulla ventina di chiara provenienza e accento cinesi, vestita come una maid. Porse loro il menù e indicò un tavolo. Un urlo di piacere si levò alto nel cielo.

Michael gli tirò la manica << pensavo a qualcosa di più...discreto >> chiarì, rimanendo comunque distratto dal passaggio di un’altra cameriera con sigarette e alcolici su un piatto argentato.

<< Questi hanno un ottimo rapporto prezzo/qualità. Ovviamente parlo per quello che ho provato cinque anni fa, non so se sia ancora come allora. Prendere o lasciare, il mio dovere l’ho fatto. >>

Si accomodarono al tavolo indicato e Iwano spinse il menù verso l’amico. Vi si potevano leggere i prezzi del tabacco, degli alcolici, di droghe e dei servizi umani e robotici. Michael saltò subito agli ultimi. << Uh, hanno anche la stimolazione della prostata che mi piace tanto! >> commentò contento come un bambino a natale. Iwano fece una smorfia. << Veloce, però. >>

<< Sì, sì, giusto una cosa di bocca, due colpi e poco altro. Se ho calcolato giusto fanno 1782 Globali. >>

Iwano mise mano al portafoglio, chiamò la cameriera e richiese per l’amico le prestazioni che aveva elencato. La cameriera lo portò nel Privé e scomparve con lui dietro ad una tendina violacea. Ora la parte più noiosa, aspettare quei venti minuti senza niente di particolare da fare.

Se avesse avuto quell’aggeggio di back-up con sé avrebbe potuto riguardarsi qualche ricordo come fosse un film almeno. Se lo annotò mentalmente: aprì il memo integrato e scrisse virtualmente “guardare ricordi come film”. Chiuse la tendina e ritornò al presente.

Dopo dieci minuti Michael aveva già finito e con un ciuffo ribelle guardava soddisfatto il suo amico. << L’ora meglio spesa della mia vita, te lo assicuro >> commentò barcollando.

<< Eh sì, l’ora. Andiamo, dai. >>

<< Dovevi vedere quell’automa. Poppe siliconate morbide ma sode più di quelle sfatte di una donna reale. Capelli come li volevo io, stessa acconciatura richiesta. Niente denti, fellatio rapida senza una pausa, stimolazione del… >> Iwano lo interruppe bruscamente << sì, sì, ho capito. Ora andiamo, su. Mia moglie altro che denti, il bastone vecchia maniera mi fa vedere se torno troppo tardi. E domani lavoro. >>

Michael sembrava ubriaco, forse gli avevano somministrato qualcosa. Quel che contava però era che si fosse tolto lo sfizio finalmente.

Chiamò un taxi autoguidato per riaccompagnare a casa l’amico e se ne tornò a casa. Midori e Iris già dormivano profondamente. Selezionò l’orologio integrato: mezzanotte. Poi l’occhio cadde sul memo. Si decise ad aprire la cassaforte e a provare questo curioso aggeggio.

Lo accese e il led rosso cominciò a pulsare. Un avvertimento arrivò alle sue retine: Desidera connettersi con il dispositivo? Accettò, mettendosi comodo sul divano.

Il menù dell’apparecchio era spoglio, del resto era un prototipo. Connettendosi al suo cervello gli stimolò anche l’olfatto, sentì odore di medicinale, di lattice, di alcol puro. Proseguì l’installazione e una volta finito potè accedere ai file della propria memoria. C’era, com’era ovvio aspettarsi, una quantità infinita di immagini, file audio e di clip, alcune delle quali completamente sommerse dai ricordi. Aprì la prima che gli capitò sotto tiro e rivide la propria maestra delle elementari mentre scriveva sulla lavagna elettronica.

<< Jian Peng, mi sai dire perché la valuta oggi si chiama proprio “Globale”? >> chiese al suo alunno cinese.

<< Mio papà dice che è perché è una moneta globale, quindi usata in tutto il mondo. >> spiegò il bambino.

<< Esatto. Quando sarete grandi capirete che il discorso è più complesso di così, e che in realtà non tutti i Globali hanno lo stesso valore ovunque, per motivi di mercato. >>

Solo ora Iwano comprendeva quelle parole allora così ostiche.

<< Ciononostante è importante che i popoli siano sempre più uniti, e la moneta aiuta in questo >> cinguettò.

Iwano scelse di uscire dal ricordo e di aprirne altri. Trovò quelli piacevoli, come quello del suo primo amore, e altri spiacevoli di cui avrebbe fatto volentieri a meno, come quello del primo rifiuto amoroso. I fallimenti scolastici, le ore spese a studiare, i soldi andati via in videogame, tutto ora era visibile per lui dall’esterno, come una sorta di onnipotente semidio in grado di rivivere il passato.

Si fermò, sentendo un sudore freddo. Un fantasma alto un metro e gocciolante sangue voleva aprire bocca per comunicare, senza riuscirci. Si strinse una mano alla gola e infine riuscì a comporre dei suoni scomposti e rochi. << Andiamo a trovare anche noi Argo? >>

No. Quel ricordo non lo avrebbe aperto. Mai. Non c’era motivo, non c’era mai stato motivo per andare a trovare il vecchio Argo.

L’odore di lattice si fece più persistente. Era odore di asettico. Forse il primo vaccino? Quando era stato operato per gli impianti? Non ricordava quell’odore.

Il file si aprì quasi a forza davanti a lui e gli mostrò un uomo in camice bianco con mascherina mentre gli prelevava del sangue. L’aggeggio di back-up era acceso davanti a lui in quel ricordo. Sentì il proprio cuore accelerare i battiti, il respiro aumentare, poi cercò di estromettersi a forza da quei ricordi chiaramente non suoi. Erano delle cavie di cui parlava con Fredrika. Quei ricordi non erano stati cancellati e lui aveva potuto vederli in prima persona. Ve ne erano altri dieci, molto simili. Alcuni rimanevano più calmi, altri meno. Uno si era addormentato, altri due invece avevano avuto episodi di isteria. I ricordi tuttavia erano ridotti solo ai test, per cui non c’era altro delle loro vite. Sembrava che l’aggeggio immagazzinasse di default parziali ricordi inconsapevoli del soggetto. O forse li avevano lasciati lì per lui per controllarli. Un’idea, però, si fece inconsapevolmente strada nella sua mente.

 

3.

 

<< Allora, che mi dici Iwanhoe? >> chiedeva Fredrika soffiando lo smalto sulle unghie.

<< Ho già detto che quel nome non mi va a genio. >>

<< Okay. Ma il test? >> si sporse sulla sedia, pronta ad ascoltare l’esito. Le sue lunghe ciglia sbattevano più velocemente del solito.

<< C’è qualcosa che vorrei che vedessi. Puoi connetterti? >>

<< Frena, frena, te l’ho dato proprio per capire se è possibile connettersi senza friggersi il cervello. Ti sto chiedendo se hai riportato anomalie di varia natura. >>

<< Sì, una. >> tagliò corto. << Sapevi che sono erano già presenti dei ricordi prima che iniziassi a usarlo io? >>

Fredrika fece un gestio ampio con la mano. << Lo avevamo preventivato. Cos’hai visto, i test di laboratorio delle cavie umane? >>

<< C’è dell’altro. I ricordi di animali. Lo avete usato su di loro prima, vero? >>

Questo sembrò catturare l’attenzione di Fredrika che assunse un’espressione tra la meraviglia e lo sconcerto.

<< Sì...mi stai dicendo che potremmo vedere e capire come pensano gli animali? È un lato che non era stato calcolato. Lo abbiamo provato su di loro solo per vedere se era pericoloso connettere il cervello… >>

<< Provalo tu stessa.>>

Lei si morse il labbro. << Forse dovremmo prima sottoporlo ad altri esperti. >>

<< Io sono qui, davanti a te! Sono vivo e vegeto e puoi farmi uno scan al cervello se ti fa sentire sicura! Ti dico che è stata un’esperienza quasi magica tramutarsi per un istante in una scimmietta. Se studiamo meglio tutto ciò potremmo ottenere dei traduttori universali tra umani e animali, ci pensi? >> Iwano pareva entusiasta e siccome avveniva raramente convinse il capo.

Accese il dispositivo e lo installò. Come lui la sera prima vagò tra i file, aprendoli e cercando quelli più interessanti. Ne uscì mezz’ora dopo, con uno sguardo corrucciato.

<< Non ho visto i file di cui parli. C’erano solo delle cavie umane, quello sì. Zero animali. >>

<< Com’è possibile?! Ero sicuro di aver visto proprio quei test? La mano con guanto in lattice, la siringa per calmarmi, i miei versi di paura… >>

Il capo sembrò deluso, spense l’apparecchio e lo gettò su un lato. << È chiaro che occorre nuova sperimentazione, nuove ricerche. Bravo comunque, avrai i tuoi soldi. >>

Iwano la fermò prima che potesse dire altro << prima che te lo riprenda...posso usarlo un’ultima volta? Ti prego, è bellissimo. Se me lo fai fare ti puoi tenere i soldi. >>

Un sorriso malizioso si dipinse sul suo rossetto rosa shock. << Potrebbe dare assuefazione, eh? Interessante. D’accordo, un’ultima volta. Portamelo domani e siamo d’accordo. >>

Uscendo dall’ufficio Iwano sapeva di aver raggiunto il proprio scopo. Si sentiva come un rapinatore di banche, era gasato come uno studente appena laureato, come la prima volta che aveva fatto sesso.

Ora aveva mezz’ora di file della memoria del proprio capo, e non aveva alcuno scrupolo morale. Anzi, cominciavano a venirgli in mente alcune idee su come utilizzare quei ricordi.

 

<< Allora, puoi farlo? >> chiedeva Iwano torcendosi le mani mentre Michael continuava a tempestare la tastiera di morbide ditate umidicce. Alzò lo sguardo da quello che stava facendo e sospirò. Prese in mano il palmare e se lo rigirò tra le dita. Stava sicuramente valutandone i parametri di complessità e composizione. La sua bocca divenne poi una “O” perfetta. << Ooooh, stupendo. Posso reperire i materiali e fartene una copia, sì. Te lo ha chiesto Fredrika? Lei ha il team alle sue dirette dipendenze, perché chiedete a me? >> chiese sospettoso.

<< Segreto industriale. E se possibile, vorrei che una volta finito mi aiutassi ancora con una cosa. >>

<< Dimmi tutto, mio caro. >> Michael era una persona di cui fidarsi nonostante gli strani atteggiamenti ma Iwano sapeva bene che non era ancora ora di fare la propria mossa.

<< Ti spiegherò tutto a tempo debito. Per ora concentrati su questo e lascia da parte il resto del lavoro. Verrai pagato profumatamente. >> Un lampo passò negli occhi ottimizzati dello scienziato. << Non mi servono i soldi se paghi tu come ieri sera. Siamo d’accordo? >>

Iwano alzò gli occhi al cielo allargando le braccia << sì, sì, basta che ti sbrighi e ti ci riporto. >>

 

Anche quella sera Iwano fu costretto a portare fuori l’amico, suscitando non poco sospetto nella moglie più guardinga del solito. Iwano non aveva tanti amici e non usciva quasi mai la sera, era razionale sospettare di lui a quel modo, non poteva biasimarla. Dolce, dolce, Midori, ci sarebbe stato un pezzo di torta anche per lei una volta ottenuta la promozione che tanto agognava ai Consumatori Superiori.

Rientrato a casa la trovò ad aspettarla sulla soglia della loro camera da letto in vestaglia semitrasparente e reggicalze. Erano chiari i suoi intenti, e la bambina dormiva. Ancora una volta, nonostante fremesse dal desiderio di fare quello che aveva in testa, non poteva sottrarsi ai suoi doveri o Midori avrebbe aumentato il livello di allerta. E in questo momento era l’ultima cosa di cui aveva bisogno.

Sudato e sfinito, ma soddisfatto, diede un bacio sulla spalla della moglie e andò a farsi una doccia rapida. Ogni gesto gli sembrava estremamente lento, infinito, impastato. Aveva voglia di mettere mano al suo nuovo giocattolo quanto prima. Non si asciugò neanche i capelli per non fare rumore, si mise una vestaglia e aprì la porta del suo studio, di fronte alla stanza della figlia.

Accese il primo dispositivo e si collegò come aveva fatto la sera prima.

Ora il paesaggio interno dello strumento riusciva a riconoscerlo almeno per il 3%, c’era leggermente meno caos. Fece mente locale per trovare mnemonicamente ciò che sperava fosse stato memorizzato quel giorno dalla prova di Fredrika. Proprio come aveva sperato, era tutto lì. La mezz’ora di prova in cui lei aveva cercato i file dei ricordi animali e, non trovandoli, aveva rovistato nei suoi stessi ricordi. Facendolo aveva creato lo stesso back-up parziale e inconscio che era capitato alle cavie e di cui solo lui era a conoscenza. E siccome alla mente non si comanda, e la curiosità è tanta, Iwano aveva previsto anche che ci fossero dei ricordi poco onorevoli, proprio come quelli che ieri aveva intravisto ma non aveva osato aprire per vergogna.

Aprì il primo file di Fredrika. Proprio come lui, era tornata all’infanzia.

La maestra delle elementari, di vecchio stampo, stava spiegando come riconoscere stupratori e molestatori su internet. Ogni alunno disponeva di un piccolo tablet fornito dalla scuola davanti a sé con una versione di prova di un generico social. Ad ogni bambino veniva fornito un bot che simulava una molestia di vario tipo: poteva essere un troll, un pedofilo, un semplice spammer e altre tipologie base. Alle medie si passava poi a distinguere l’hate speech, il discorso d’odio, e a come condurre discussioni su internet con accenni a manuali di retorica, alle superiori invece si dava uno sguardo al deep web e ai peggiori criminali informatici della storia, cercando di istruire i bambini sul quel mondo anarchico che è Internet.

<< Fredrika, ti invio il file della tua discussione corretto. Quando il tuo bot ti ha chiesto “di che colore sono le tue mutandine” hai risposto “lo dico alla mamma.” Sbagliato! Tu devi dirlo alla mamma, non al presunto adescatore! Quello potrebbe sempre cancellare la discussione o scappare. La mamma chiamerà le forze dell’ordine, tu devi continuare a tua volta ad adescare chi ti fa queste domande. Capito l’errore? E ce ne sono anche altri, occhio! >>

Iwano sorrise. Anche lui aveva avuto alcune delle più belle lezioni di educazione informatica in assoluto. Grazie a quelle era anche riuscito a far catturare qualche pedofilo. La progressiva eliminazione dei confini, delle lingue e dei sentimenti nazionalistici avevano permesso di mettere da parte le lingue e, non dovendo più insegnarle, le scuole potevano insegnare materie decisamente più utili come educazione informatica. Il tasso degli abusi su minori, diceva una statistica del Direttivo, si era ridotto del 43% grazie a chi aveva proposto quelle ore.

Il file dopo invece era decisamente più interessante, Fredrika si stava accoppiando davanti a lui con quello che ora era il figlio di uno dei dirigenti. Il suo nome gli pareva essere qualcosa come Enji, Kenji. “Ecco come si è garantita la posizione!

Il file era bello lungo, questo vuol dire che a differenza di Iwano la sua memoria aveva indugiato parecchio guardando quei file, e inconsciamente li reputava ottimi ricordi.

Fu fortunato e ne trovò altri simili: in uno una sua collega di nome Judith veniva licenziata senza alcun motivo per far avanzare lei di grado, forte del proprio difensore. In un altro prendeva una mazzetta per aver copiato dei progetti segreti poi venduti ad un’azienda rivale con il tacito consenso di un altro capo sezione. C’era materiale scottante. Gli bastò tirare fuori l’aggeggio ricreato da Micheal, in tutto e per tutto simile a quello che gli aveva dato Fredrika, e cominciò a depositare i ricordi della donna, che ora erano anche i suoi. Poi si ricollegò all’originale per cancellare tutto tranne i ricordi delle cavie. Sarebbe stato sospetto cancellare tutto. La copia ora l’avrebbe tenuta lui mentre l’originale lo avrebbe restituito. C’era ancora una cosa da fare prima del grande passo, anche se non ne era del tutto sicuro. Prima di coricarsi però occorreva almeno un’ultima informazione. Come chiamare quel piccolo simpatico attrezzo che gli stava fornendo le chiavi per il mondo intero? Alle 2.00 di notte gli venne l’ispirazione: Mnemo. Il memo mnemonico.

 

L’indomani mattina si ripresentò nell’ufficio di Fredrika per restituire il Mnemo originale. Le comunicò anche il nome che aveva scelto e lei sembrò stupita. << Molto carino! Anche se in realtà il “memo mnemonico” è così cacofonico che l’acquirente medio finirà con chiamarlo solo “Nemo” >> commentò pensierosa.

<< Già. Però trovo che sia semplice e diretto, proprio come ciò che vogliamo comunicare dei nostri prodotti. >>

Ancora una volta lei sembrò piacevolmente sorpresa. << D’accordo, andata! Parlerò col responsabile e glielo segnalerò. >> Fredrika digitò il codice sul proprio tastierino alfanumerico e inserì in un cassetto blindato il Mnemo. Siccome Iwano era rimasto fermo immobile lei alzò un sopracciglio << C’è dell’altro? >>

<< Ebbene, sì. Qualcosa ancora c’è. Pensavo ad un avanzamento di carriera e ad un aumento di stipendio. >>

Lei sembrò accusare il colpo come se avesse appena sentito una battuta sessista. << Sei pazzo? Giusto ieri mi hai detto che non volevi i soldi per provarlo ancora. Te ne sei dimenticato? O ‘sta roba ti ha veramente fritto i circuiti? >>

<< Ho capito, la cosa andrà per le lunghe. Come sta Kenji? O si chiamava Sanji? Insomma, quello che hai rivisto ieri, in quella mezz’oretta. >>

Gradualmente il suo volto, da maschera inflessibile che era, si tramutò in un vetro incrinato. A Iwano pareva di poter toccare ciascuno di quei frammenti e di rimuoverli con facilità.

<< Cosa… >> balbettò, senza riuscire a proseguire.

<< Sì, ti ho mentito. Alcuni file vengono salvati di default senza che venga richiesto esplicitamente. Alcuni dei tuoi ricordi sono rimasti impressi e io li ho visti. Kenji, le mazzette, la povera Judith. Devo continuare? >> chiese con una punta di divertimento. Gli sembrava di giocare col topo. Un topo che aveva fatto incetta di formaggio a scapito di tanti altri piccoli topolini.

<< Buffone, chi vuoi che ti creda? Ho io l’originale e solo io conosco la password. Non hai alcuna prova. >>

<< Ho fatto fare una copia, e ho salvato tutto. >> Iwano si accomodò sulla sedia e afferrò con malagrazia il bicchiere che l’automa gli offriva, come al solito.

<< Stai mentendo...nessuno potrebbe...solo Micheal forse… >> poi sembrò realizzare. << Quel figlio di puttana. >>

<< Calmati, e tienilo fuori. Non sa niente. Chiariamoci, tesoro. Oh, posso chiamarti tesoro ora? Magari è la volta buona che la smetti di chiamarmi Iwanhoe. >>

Lei sembrava fremere di rabbia come una pentola a pressione. Si alzò in piedi, furente. << Esci immediatamente dal mio ufficio o chiamo la sicurezza. Sei licenziato! >> intimò. L’automa da uno scompartimento tirò fuori dei calmanti, pronto a offrirglieli ma lei con uno schiaffo li rovesciò a terra.

<< Non ti consiglio di fare così. Posso sempre portare tutto ai dirigenti, o addirittura a qualche membro del Direttivo. Non saranno molto contenti di sapere che passi le esclusive ai nemici della compagnia. Però non ne capisco molto di politica, magari sbaglio io. D’accordo, come vuoi tu. >> alzò le spalle e si rimise in piedi, pronto a uscire.

<< Aspetta… >> lo fermò sull’uscio la sua voce. << Cosa vuoi? >>

<< Questo è quello che volevo sentire >> scandì, << Voglio una promozione, uno stipendio migliore e uno status sociale migliore per poter accedere a nuove ottimizzazioni per me e la mia famiglia. >>

<< È solo questo che vuoi? Davvero? >>

<< Sì. >>

<< Abbiamo un accordo allora. Ma dopo che avrai avuto ciò che vuoi voglio quella copia maledetta. >>

<< A suo tempo. >>

Il suo sorrise chiuse quel drammatico dialogo, il primo passo per una vita migliore, per lui e per la sua famiglia.

Mai esporsi. Mai in prima linea.

 

4.

 

Midori non riusciva a crederci. Il marito era tornato a casa presto pieno di regali per lei e la bambina. Aveva addirittura ricevuto uno di quei biglietti per un viaggio in America che tanto aveva sempre voluto! Alla bambina un nuovo set completo di minidroidi e persino un gatto certosino geneticamente ottimizzato per non avere malattie per almeno vent’anni umani.

Lo accolse a braccia aperte con gli occhi gonfi di lacrime, confusa ma felice. Anche la bambina, nella sua semplicità, parve capire cosa stava succedendo ammirando il comportamento della madre.

<< Ma come...cosa è successo? >> chiese piangendo.

<< Mi hanno finalmente promosso. Grazie alla mia intelligenza. >>

<< Lo sapevo, l’ho sempre saputo che avrei trovato in te il partito ideale. Vieni, ti cucino qualcosa. >>

<< Non occorre, ho ordinato anche il nuovo robochef, dovrebbe arrivare in giornata. >>

Quel giorno, Iwano lo sapeva, era dedicato al riposo e ai festeggiamenti e lo avrebbe conservato nei propri ricordi per sempre, con la gioia di averne fatta una giusta finalmente. L’ombra incerta del futuro non avrebbe più raffreddato il giardino di casa Hahn.

Midori lo vide pensieroso e gli si avvicinò dandogli un bacio sulla fronte.

<< Hai fatto cose pericolose o terribili per ottenere tutto questo? >>

Lui scosse la testa.

<< Per proteggere te e Iris non esistono cose abbastanza pericolose o terribili che non farei >>

 

Quella sera stessa Michael tornò a fargli visita con un occhio gonfio e un braccio ingessato. Iwano non aveva calcolato le ripercussioni. << Chi è stato? >> domandò accogliendolo in casa.

<< Mi hanno detto di non parlarne con nessuno… >> bofonchiò. Doveva avere qualche dente in meno.

<< Ti pago io il dentista, ti faccio rimettere a nuovo. Domani ordino il droide-medikit >> la mano dell’amico gli strinse il braccio, senza forza. E sempre senza guardarlo negli occhi gli chiese << cosa hai fatto? È quella roba che mi hai fatto costruire? >> Iwano annuì.

<< Cosa ti hanno fatto? >>

Michael si accomodò sulla poltrona nuova con una smorfia di dolore. Il braccio era messo male e aveva ricevuto solo le prime cure e qualche benda. << Mi hanno sedato localmente e mi hanno connesso a quello stesso aggeggio che mi hai dato. >>

<< Poi? >>

<< Mi hanno fatto domande su di te, chiesto se avessi mai visto prima quel palmare… >>

<< Lo hanno fatto per avere i tuoi ricordi. Ma io non ti ho detto niente per fortuna. E per ora continuerò a non farlo. >>

<< No. Non voglio più rischiare >> obiettò con fermezza << non ho fatto niente >> cominciò a piagnucolare. << Cosa volete da me!? >> urlò. Iwano gli disse di abbassare immediatamente la voce, per non disturbare la sua famiglia.

<< Va bene, ti aiuto. Ora rilassati, ti cancellerò quei ricordi, poi tu ne cancellerai alcuni a me. >>

<< Non ci penso nemmeno. Io ora vado in ospedale a raccontare tutt… >> Iwano battè un pugno sulla sua coscia, facendolo urlare. << Non osare farlo. Io e te siamo amici. Ti aiuterò se tu aiuti me. Non capisci che quelli dispongono di un fottuto esercito? Se sei fortunato ti licenziano da lavoro, se gli gira male ti licenziano dalla vita. >>

Michael non sembrava capire. << È una cosa più grande di me e di te. Ma se mi aiuti possiamo farcela. Potrei aver bisogno di altri di questi strumenti. >>

L’altro rimase in silenzio, a guardare il proprio braccio spezzato. Sul gesso comparve una lacrima.

Iwano lo abbracciò con sincero trasporto. Non era quello che avrebbe voluto per entrambi, ma una vita migliore chiedeva un giusto prezzo. << Ti riporto al locale quante volte vuoi, ok? >>

<< No… >> rispose con voce rotta dal pianto.

<< Sistemo tutto io. Ho ricattato Fredrika e lei ora si è vendicata su di te. Ma io posso vendicarmi su di lei. Ti fidi di me? >>

Lui alzò il suo sguardo acquoso dal gesso. << Ricattato? Ecco perché… >>

<< Sì, esatto. Posso aiutarti ora? >>

<< Mi farà male? >>

<< No, non sentirai nulla. Poi ti porto in ospedale e appena guarisci al locale. >>

Dopo dieci minuti Michael era già connesso. Ora Iwano doveva vedere se si poteva accedere da esterno e manipolare la memoria di un altro. Con il suo vecchio equipaggiamento non avrebbe potuto ma grazie ai nuovi acquisti ora ne era in grado. Penetrò la mente dell’amico cancellando i brutti ricordi del pestaggio. Come immaginava, erano pacificatori. Non c’era Fredrika tra di loro, non poteva compromettersi. Cancellò quei brutti ricordi dalla sua memoria per sempre. Poi, come promesso, lo portò in ospedale.

 

Una volta arrivato a casa occorreva fare un’ultima cosa. I suoi stessi ricordi erano un problema. Potevano aggredirlo e sottrargli i suoi ricordi vergognosi per poi sputtanarlo e fargli perdere credibilità o potevano estorcergli il ricordo del ricatto per poi portarlo in tribunale. Andavano cancellati. O meglio, messi al sicuro sul Mnemo ma cancellati dalla sua memoria. Il problema era che cancellando il ricordo del ricatto avrebbe potuto avere problemi di altra natura. Doveva sapere cosa aveva fatto ma senza sapere di averlo fatto.

Non era per niente facile.

Non poteva andare a lavoro con ancora quei pericolosi ricordi dentro di sé. Scelse di prendersi una settimana di ferie pagate ora che la nuova posizione glielo permetteva. Comprò anche una cassaforte a muro munita di collegamento al proprio cervello. Quando veniva violata lui riceveva un segnale e all’occorrenza poteva optare per l’autodistruzione dei contenuti.

All’alba dell’ultimo giorno di pausa la sveglia integrata lo riportò tra i vivi dandogli un’idea. Il memo periodico! Il suo memo integrato gli dava l’opportunità di lanciargli dei promemoria e di programmarli. Bastava cancellare i propri ricordi la mattina, andare a lavoro senza alcun tipo di informazione compromettente, e alla sera rivedere cosa aveva fatto. Per poi ricominciare. Con questa alternanza poteva difendersi dalle aggressioni e poteva pianificare nuovi progetti. Il braccio gli doleva ancora dopo l’operazione ma era contento. Scelse di fare così, del resto non aveva idee migliori.

In bagno si ripulì le fasciature dal sangue rimasto e si guardò le dita della mano destra. Perfette. Meravigliose. Aprì e richiuse velocemente il pugno.

Quella sera andò a trovare Michael a casa sua visto che era stato curato e subito dimesso. La chirurgia al laser e il rimpiazzo di polveri d’osso era stato pagato da Iwano, come promesso. Michael non ricordava come si era procurato quella frattura ma ringraziò l’amico di vero cuore.

Si sentiva una persona scaltra ma anche manipolatrice e ingannevole. Ingannare un caro amico per cosa, poi? Lo portò come promesso al solito locale, questa volta proponendo alla cameriera di raddoppiare il servizio con due robot insieme. Micheal Deda era al settimo cielo, glielo doveva. E lo avrebbe protetto se necessario, anche con la forza.

 

Tornato a lavoro gli capitò di incrociare distrattamente lo sguardo di alcuni colleghi che lo guardavano di sbieco. La sua ingiustificata promozione doveva sembrare sospetta agli occhi di molti ma non gliene fregava niente. Le bolle presenti sugli A.M.G.A. in realtà non cessavano mai di esistere nella vita reale. Erano solo burattini, pezzi di carne che si agitano prima di finire nella tomba. Lui poteva avere di più, e dare di più, soprattutto.

Fu Fredrika a sorprenderlo. Con lei c’erano due pacificatori, uomini ottimizzati al 90% privi di un vero pensiero, dotati di strumenti di registrazione, corazza cutanea infrangibile antilama e antisparo e dotati di armi quali il dissuasore, un manganello che permetteva a delle micro scariche elettriche di ferire i tessuti più o meno in profondità, e di armi da fuoco di diverso tipo. Iwano squadrò loro due ai lati poi lei in mezzo. << È urgente? >> chiese lui scrocchiandosi le dita.

<< Sì molto >> lei assunse un’espressione decisa.

<< Fai strada. >>

Nel suo ufficio, il solito automa propose il solito drink, poi lei rilasciò i due pacificatori e insonorizzò la stanza. Spense anche momentaneamente l’automa.

<< Ho pensato alla tua mossa. Sei stato furbo, te lo concedo. L’errore è stato mio, non avrei mai dovuto sottovalutare le implicazioni etiche di un simile strumento e darlo in mano a uno come te. >>

Iwano non capiva. Non aveva alcun ricordo di tutto ciò.

<< Mi stai ascoltando? Parlo del Mnemo e del tuo ricatto. >>

Iwano rimase a boccheggiare, non riuscendo a capire.

<< Bastardo, non ti vuoi compromettere in alcun modo, ho capito. Senti qua, comunque. Faremo quello che hai fatto tu a me. Ma lo faremo ai cinque dirigenti aziendali della Engine & Care. Diventeremo io e te i nuovi dirigenti. Che ne pensi? >>

Non stava mentendo, eppure continuava a non capire di cosa stesse parlando quella donna.

<< Ammettendo che io accetti, cosa dovrei fare? >>

<< Dovrai fare le stesse cose che hai fatto a me, ma a loro. Li ricatteremo, li manderemo in tribunale e prenderemo il loro posto in qualche modo. >>

<< Ci penserò su, Fredrika. >>

Lei lo guardò andare via sconvolta.

 

Solo alla sera, dopo il messaggio del proprio memo interno, riuscì a rivedere i ricordi e a capire di cosa stava parlando. Dunque era così, ora voleva fare lei la sua mossa e sfruttare l’occasione. Però lei non voleva esporsi in prima linea, voleva usarlo. E quasi sicuramente tutto questo lo avrebbe poi usato per estrometterlo una volta eliminati tutti gli altri. Cosa fare? Parlare con uno dei dirigenti? Portarla in tribunale? Il calcolatore di razionalità dava punteggi molto bassi. Era tarato sull’ottenere il massimo profitto. Meno persone erano a conoscenza di quel segreto e meglio era. Poteva significare più spazio di manovra per lui. Oltre a lui e Fredrika il suo intero team di sviluppo ne era a conoscenza ma solo loro due conoscevano le applicazioni pratiche “segrete” del dispositivo.

Fredrika poteva rivelarsi un’alleata preziosa ma doveva essere lui a sfruttare lei. Mentre lei eliminava i vari dirigenti e si comprometteva, lui sarebbe spuntato alla fine, con le mani completamente pulite, per esigere il proprio compenso.

A cena aveva lo sguardo dipinto ma Midori non fece domande. La bambolina di Iris invece segnalava alla bambina quale fosse il cibo più nutriente da portare alla bocca per primo, mentre faceva il conteggio delle calorie assunte. La nuova televisione plasmatica inviò le immagini del telegiornale che si aprì con degli spari. << Sì Jones, siamo esattamente sul posto per offrire ai nostri telespettatori immagini di prima qualità grazie ai nostri droni aerei. L’assalto alla capitale del Califfato, ci garantiscono le autorità, è previsto per domani. Finalmente questa guerra avrà fine quando anche l’ultimo dei luogotenenti di Al-Mushraafi sarà condotto di fronte alla Corte dei Diritti Umani dove saranno poi tutti giudicati dai vincitori. Questa volta si sta pensando di ridurre le scorte d’acqua del nemico e di prenderlo d’assedio. “Un pensiero che ci fa già pregustare il sapore della libertà” ha commentato poche ore fa il comandante in capo delle forze armate che, ci rivela, è stanco di subire perdite per avanzare ogni giorno di qualche metro. Vi aggiorneremo per ulteriori sviluppi, Jones. A voi la linea. >>

C’era anche un’altra eventualità. Che Fredrika potesse fare a meno di lui e diventare dirigente prima di lui. In quel caso il suo ricatto sarebbe valso quanto la vita di quegli uomini del califfato dopo l’assedio. E lei si sarebbe certamente ricordata di lui, poco ma sicuro. Dovevano compromettersi entrambi.

Sentì un rumore provenire dal garage comprato solo da qualche giorno, con dentro la sua nuova auto.

Scese le scale dell’ingresso e aprì il portone blindato che dava al garage. Buio completo. Attivò il visore notturno integrato, anche quello un nuovo acquisto. Vide appena in tempo arrivare il colpo portato con l’avambraccio di qualcuno, riuscendo ad abbassarsi in tempo.

<< Chi sei? >> chiese, senza successo. Dal lato opposto arrivò un poderoso calcio che, non potendo schivare del tutto, deviò verso l’alto attutendone l’impatto. Si schiantò contro il muro, sgretolandone un pezzo.

I due assalitori si allontanarono un poco e Iwano potè metterli meglio a fuoco. Erano schermati e col volto coperto ma disarmati. Avevano la stazza dei pacificatori ma non avevano le loro armi. Sarebbe stato troppo facile ricondurle a loro e di conseguenza a Fredrika.

Uno dei due colossi mollò un gancio diretto alla sua faccia ma lo mancò. Anche loro dovevano avere dei visori notturni. Erano tuttavia molto grossi e in quello spazio angusto occupato da un’automobile riuscivano a muoversi a fatica. Iwano sfruttò quella situazione per colpire uno scaffale e far cadere del barattolame di vernice in testa a uno dei due che, intontito, agitava le braccia mentre il compagno continuava a mulinare dei colpi che producevano il rumore di fendenti di spada tanto erano veloci. Era arrivato il momento di provare il nuovo braccio che si era fatto installare sostituendo il suo. Colpì ripetutamente l’addome del colosso protetto da un rivestimento di polimeri sottocutanei che cedettero dopo le ripetute pressioni. L’ultimo colpo gli sfondò il torace penetrandogli gli organi interni e i circuiti. L’altro si era liberato dai barattoli e minacciava di aggirarlo per prenderlo alle spalle. Iwano, incastrato nel corpo del pacificatore, mosse il suo corpo ancora scosso dai fremiti verso l’altro assalitore e glielo gettò contro. Perse l’equilibrio sommerso dal peso del compagno e Iwano si avventò su di lui, tempestandolo di pugni in faccia. Gli frantumò uno zigomo per poi allargare il buco e infine distruggergli completamente il cranio.

Una volta finito valutò se chiamare le forze dell’ordine. Avrebbero potuto interrogarlo o perquisire la sua casa. Scelse allora di disfarsene tranciando i loro corpi, o quel che ne rimaneva, per poi buttarli in qualche inceneritore il giorno dopo. La parte difficile fu pulire quello schifo per terra. Nemmeno i robot addetti alle pulizie riuscirono a eliminare completamente le tracce. In ogni caso, chi avrebbe mai potuto andare a cercare tracce ematiche proprio nel garage di casa di un onesto impiegato?

 

 

  
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