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Autore: SusanTheGentle    05/10/2017    7 recensioni
Questa storia fa parte della serie "CHRONICLES OF QUEEN"

Il loro sogno si è avverato.
Tornati a Narnia, Caspian e Susan si apprestano ad iniziare una nuova vita insieme: una famiglia, tanti amici, e due splendidi figli da amare e proteggere da ogni cosa.
Ma quando la felicità e la pace sembrano regnare sovrane, qualcosa accade...
"E' solo un attimo, al sorgere e al tramontar del sole, attimo in cui riescono a malapena a sfiorarsi....
Sempre insieme, eternamente divisi"

SEGUITO DI "Queen of my Heart", ispirato al libro de "La sedia d'agento" e al film "Ladyhawke".
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caspian, Susan Pevensie
Note: Otherverse | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Chronicles of Queen'
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IN FONDO LE MAPPE DI NARNIA E DEL MONDODISOTTO


Capitolo 36. Un debito mai pagato
 
 
Tutte le volte cado a pezzi
E ho bisogno di te adesso, stanotte
E ho bisogno di te più che mai
E solo se mi terrai stretta
Noi ce la faremo
 
 
 
Il clangore dei bicchieri ruppe il silenzio della caverna, creando un riverbero metallico contro le pareti rocciose. Mullughuterum e i suoi non si scomposero mentre guardavano gli Amici di Narnia accasciarsi a terra uno dopo l’altro. Il guardiano si avvicinò con passo lento, quasi timoroso, accucciandosi accanto ai sei corpi umani e a quello del falco. Tastò la vena sul lato sinistro del collo di Re Caspian. Il battito rallentava, sempre di più, fino a divenire una lievissima, impercettibile pulsazione di sottofondo; una nota flebile, a un passo dal varco dei cancelli della morte. Controllò nel medesimo modo tutti gli altri. Il loro respiro si era apparentemente fermato. I volti dei ragazzi si fecero pallidi, persero colore, le guance sempre così rosee della regina Lucy divennero cineree.
 Nessuno, nemmeno la Dama Verde avrebbe potuto affermare che non fossero morti.
Il guardiano allungò le mani sopra i corpi esanimi dei Sette Amici di Narnia, iniziando a mormorare arcane parole in una lingua sconosciuta. Ferite fittizie apparvero sulla loro pelle, sangue che non era sangue macchiò gli abiti. Fece un cenno ai suoi compagni, ed ognuno di loro si caricò sulle spalle uno degli Amici di Narnia, mentre un paio d’altri presero le loro armi.
Il gruppo di uomini del Mondodisotto lasciò la grotta di Padre Tempo, lasciandosi indietro Destriero e gli altri cavalli, i sacchi a pelo, ed ogni oggetto che aveva rappresentato l’equipaggiamento di viaggio della compagnia di Narnia.
Costeggiarono il fiume sotterraneo, oltrepassarono il laghetto dove erano apparse le creature di tenebra, arrivando alle sabbie mobili. Le loro lunghe gambe si immersero fino al ginocchio, camminando sempre sul lato sinistro, dove sapevano di non sprofondare. Aggiravano ogni ostacolo come nessuno del Mondodisopra avrebbe potuto mai.
Se Lord Erton fosse stato lì in quel momento, avrebbe infine capito che di strade da percorrere ce n’erano in abbondanza, ma solo chi conosceva i segreti di quel mondo senza sole poteva imboccarle senza pericolo. Infatti, nei mille anfratti delle oscure gallerie, abitava ogni sorta di mostri, pronti a colpire chiunque fosse stato riconosciuto come estraneo. Ma Mullughuterum, che apriva il corteo, era il guardiano di quel mondo, e nessuna creatura si sarebbe mai sognata di attaccarlo o disobbedirgli.
Continuarono per qualche minuto a piedi, fino ad arrivare ad una macchia di vegetazione floscia dall’aspetto malato. Uno degli uomini del Mondodisotto tirò fuori un piccolo corno in cui soffiò una nota bassa e prolungata. Quasi subito, dalla macchia uscirono delle bizzarre bestie a metà tra rinoceronti e cammelli, con tre grandi gobbe sulla schiena e tre corna sul capo. Erano le loro cavalcature, le avevano lasciate laggiù ad aspettarli. Mullughuterum e i suoi montarono in groppa alle possenti schiene, sistemando con attenzione i corpi degli Amici di Narnia, iniziando così una lenta processione nel più assoluto silenzio attraverso le gallerie.
Impiegarono alcune ore ad arrivare al castello. Attraversarono una boscaglia fitta e oscura ma senza pericoli, la stessa per cui erano passati Emeth e gli altri. Scesero sempre più giù, tra strette stradine nascoste in spelonche invisibili per occhi non abituati a quell’oscurità, arrivando infine ad una imponente scogliera dai grezzi rilievi.
Poi, la flebile luce di una lanterna si levò in lontananza. Mullughuterum e i suoi fermarono le loro strane cavalcature al limitare di una striscia di sabbia pallida. Là, sulle rive di quello che poteva sembrare un enorme lago nero, vi era un piccolo molo di legno, incrostato da gusci di conchiglie grigiastre e alghe di un verde malsano. Ormeggiata a una palafitta, stava una grande imbarcazione nera dalla forma asimmetrica, simile a una gondola, senza alberi né vele ma con molti remi. Mullughuterum scese dal rinoceronte per avvicinarsi a uno dei marinai di guardia al molo, un tipo con grandi occhi obliqui e piccoli denti aguzzi.
“Molti sono coloro che sono salpati dalle pallide spiagge del Mondodisotto” disse questi.
“Pochi quelli tornati nel Mondodisopra, scaldato dal sole” rispose Mullughuterum, in una sorta di parola d’ordine.
L’uomo dai denti aguzzi alzò una lanterna per vedere meglio. “Ah, siete voi signor guardiano. Cosa trasportate?”.
“Sono i defunti re e regine del Mondodisopra. La Signora dalla Veste Verde ha ordinato di consegnarle le loro spoglie”.
Il tono compassato di Mullughuterum suonò oltremodo convincete.
“Ogni desiderio della nostra Signora è legge. Salite”.
L’uomo dai denti aguzzi chiamò i rematori per aiutare i compagni di Mullughuterum a issare sul barcone i corpi dei narniani, adagiandoli sul fondo.
Lasciarono i rinoceronti sulla spiaggia, sedendo sulle panche di legno della barca. A un cenno del marinaio, le cime vennero sciolte e l’imbarcazione prese il largo.
Impiegarono un tempo interminabile a raggiungere la riva opposta, e quando la barca si fermò, lo fece senza il minimo suono. Non appena Mullughuterum e i suoi ebbero messo piede a terra, la barca ripartì.
Il gruppo scese verso le vie di una lugubre città, un luogo dove tutto si muoveva ma nulla faceva rumore. Nessuno serbò interesse per loro, la gente lavorava e camminava a testa bassa, senza badare al proprio vicino.
Arrivarono di fronte alla scalinata che portava al grande castello. Una spessa muraglia esterna lo proteggeva da tutti i lati, sopra le merlature stavano decine di sentinelle. Le guardie di fronte al portone di ferro attesero che Mullughuterum e i suoi arrivassero in cima alla scalinata.
“Molti sono quelli che cadono nel Mondodisotto…”.
“…Pochi quelli che ritornano nel Mondodisopra, scaldato dal sole” rispose Mullughuterum per la seconda volta.
Le guardie aprirono il portone e il corteo si ritrovò nella piazza della cittadella. Raggiunsero un’altra scalinata e un altro portone, questa volta di legno. La parola d’ordine venne ripetuta una terza volta. Infine, furono dentro il palazzo, dove il silenzio era ancora più intenso. Nessun’altra guardia li fermò né chiese loro qualcosa, li lasciarono camminare tranquillamente fino alle stanze reali. Mullughuterum era conosciuto da tutti come il servo più fedele della regina, non aveva bisogno di spiegare niente a nessuno, fuorché alla sua padrona.
Mentre passavano per un corridoio, si udì uno scatto, come una porta che si apriva. Continuando a camminare, Mullughuterum sbirciò con la coda dell’occhio nella direzione da cui era venuto il rumore. La figura di una bambina si insinuò nella fessura di un’alta porta inagliata, osservando per un attimo la scena che sfilava davanti ai suoi occhi. Non capì cosa stesse succedendo, ma quando l’uomo che trasportava tra le mani il falco più bello che avesse mai visto passò accanto alla stanza, la bambina emise un suono strozzato pieno di compassione.
Mullughuterum si voltò indietro, lanciando alla principessa un’occhiata di rimprovero. La bambina capì che non avrebbe dovuto vedere, e richiuse la porta.
Dopo un attimo, però, la piccola Myra ci ripensò, aprendo di nuovo quella fessura, guardando le schiene degli uomini del Mondodisotto svoltare l’angolo in fondo. Allora, dopo aver ben controllato da una parte e dall’altra che non vi fosse nessuno, si slanciò fuori dalla sua stanza e li seguì in punta di piedi, fermandosi alla svolta del corridoio deserto. Si nascose dietro una grossa statua di bronzo, aspettando di udire le voci delle guardie a sorveglianza delle stanze private della Signora. Un minuto ancora ed eccole: le due guardie parlavano con gli uomini del Mondodisotto: quelli si fecero annunciare, attendendo di essere ricevuti.
Svelta svelta, Myra venne fuori da dietro la statua e tornò in camera sua. Qui, prese lo sgabello della toeletta, portandolo accanto al camino, salì in piedi sulla mensola di quest’ultimo e spinse forte con entrambe le mani una grossa mattonella concava, facendola scivolare in avanti dentro il muro. Si diede una spinta coi piedi, aiutandosi con la forza delle braccia per issare tutto il corpo nel buco apertosi nella parete. Spostò la mattonella da una parte per poter passare, la rimise a posto, e poi iniziò a strisciare carponi lungo quel passaggio buio e pieno di ragnatele. Tutto questo, lo fece in circa mezzo minuto.
Arrivò in fondo al passaggio, respirando un po’ affannosamente. Si portò una mano al viso per soffocare il suono dei suoi respiri, come le aveva insegnato a fare Rilian in una delle loro tante scorribande attraverso i passaggi segreti. La Signora non ne sapeva assolutamente nulla di quei loro giochi, o li avrebbe proibiti. Lei non voleva che gironzolassero senza il suo permesso, ma i due gemelli avevano esplorato il castello in lungo e in largo, e conoscevano ogni anfratto, ogni nicchia da cui si poteva guardare ogni cosa che accadeva nel castello senza essere scoperti, attraverso buchi nelle pareti e grate sui soffitti.
Ora, Myra si trovava acanto a una grata di metallo, la quale era celata dietro una grossa testa d’orso appesa nel salotto della Signora dalla Veste Verde. Myra avvicinò il viso alla grata, spiando di sotto attraverso le orbite vuote e spalancate della testa imbalsamata. Dalla sua posizione, proprio sopra il camino del salotto, poteva vedere e sentire tutto quel che succedeva nella stanza.
Da quando lei e Rilian avevano assistito di nascosto allo straordinario fenomeno del Leone parlante, apparso in mezzo alle fiamme, la bambina aveva usufruito di quel passaggio solo a lei noto – e a suo fratello, ovviamente – per tornare a guardare se per caso, nel fuoco del camino della Signora, fosse ricomparsa quella terrificante e magnifica figura. La Signora ignorava il fatto che avessero veduto quell’apparizione, dalla quale i due bambini si sentivano inspiegabilmente attratti, desiderando ardentemente rivederla.
Il respiro di Myra tornò normale e lei rimase fermissima a guardare ed ascoltare tutto ciò che accadeva di sotto, dentro il salotto della sua madre adottiva…
In quello stesso istante, le porte si aprirono ed entrarono Mullughuterum e i suoi.
La Signora dalla veste Verde fu lieta di vederli, da ore attendeva il ritorno del suo leale servitore.
“Mullughuterum, cosa mi porti qui?” chiese, fingendosi sorpresa.
Bella, regale, inquietante come sempre, Mullughuterum sapeva che sotto l’aspetto avvenente nascondeva un animo crudele, due occhi glaciali e indagatori, capaci di trasformarsi in un stante nei più dolci e sinceri.
Un’incantatrice.
Un’ingannatrice.
Una strega.
Immediatamente, quegli occhi chiari si tinsero di un’ombra di compiacimento, mentre osservavano gli uomini del Mondodisotto adagiare sul sontuoso tappeto i copri inanimati dei Sette Amici di Narnia.
“Porto ciò che avete richiesto, mia signora” disse Mullughuterum.
Ora stava a lui essere il più convincente possibile. Il suo racconto era pronto per essere esposto nei minimi dettagli, come concordato con Re Caspian. Non avrebbe dovuto tradire la minima emozione. Se la Signora gli avesse creduto, il piano sarebbe continuato come da copione; se invece ella avesse scoperto l’inganno, sarebbero stati tutti morti nel giro di dieci minuti.
Lo sguardo avido della donna vagò a lungo sulle sagome inermi, le sue labbra si curvarono in un sorriso estatico. Quale piacere vederli così!
Infine, Jadis aveva avuto la sua vendetta. Erano morti, tutti quanti. Lo erano davvero. Dopo anni, secoli di attesa, aveva vinto. Aveva avuto la meglio sui prescelti di Aslan.
L’avvertimento del Leone, sopraggiuntole attraverso le fiamme, non era servito a niente. Secondo il Leone, il segreto della sua sconfitta si nascondeva in Rilian e Myra, che sarebbero stati un pericolo solo se fossero riusciti a ricongiungersi ai loro genitori. Jadis sapeva che l’amore poteva rivelarsi un’arma potente, sebbene la disprezzasse.
Ma adesso, non aveva più niente da temere.
La Dolce e il Liberatore giacevano senza vita, così come ogni altro membro della famiglia Pevensie. Non c’erano legami di sorta che potessero smuovere nei fanciulli un sentimento tanto forte da spezzare il suo incantesimo di memoria. Resi innocui dalla Sedia d’Argento, Rilian e Myra non erano più un pericolo per nessuno, e qualsivoglia potere o astuzia avrebbero potuto sviluppare ed erigere contro di lei, era una chimera ormai perduta. Nessuno sarebbe più venuto a prenderli, a cercarli, a liberarli. Certo, c’erano ancora la Driade, la Stella e il soldato, ma erano pesci piccoli, li avrebbe annientati in men che non si dica.
“Eccellente” disse trionfante. “Davvero eccellente, Mullughuterum. Sei stato un servo fedele e capace, verrai ricompensato per questo”.
Mullughuterum si inchinò senza guardarla negli occhi, tirando un momentaneo sospiro di sollievo.
Jadis stentava ancora a credere a quello che aveva davanti, era un desiderio troppo grande perché si fosse avverato. Si chinò in ginocchio accanto a Edmund, fissò il suo viso, non più quello di un ragazzo ma quasi di un uomo. Gli accarezzò una guancia con il dorso delle dita, e la sentì fredda. Era un vero peccato che anche lui fosse andato incontro alla morte. Ma si poteva rimediare…
Spostò la mano sul suo braccio, scostando la stoffa già lacera della camicia, dove sotto brillava sinistramente la ferita inflittagli dalla creatura di tenebra. La Strega sorrise tra sé, poi si alzò in tutta la sua statura, suscitando un tremito nei suoi servitori.
“Hai preso le loro armi, come ti avevo detto?”
“Certamente, padrona”. Mullughuterum prese dalle mani di uno dei compagni un fagotto di tela, nel quale erano state  avvolte le Sette Spade.
“Dammele” ordinò imperiosa la donna, avida, allungando le braccia per accoglierle come fossero state un figlio. Scostò la stoffa, divorando letteralmente con lo sguardo i talismani di Narnia, finalmente in mano sua. Con quelle spade sarebbe stata invincibile.
Jadis provò un’eccitazione incontenibile, scoppiando in una risata che avrebbe fatto rabbrividire il più coraggioso degli uomini.
“Ottimo. Sempre meglio, Mullughuterum, bravo” si complimentò. “Dei Doni di Narnia che ne hai fatto?”.
“Ho preso anche quelli”. Mullughuterum mostrò Rhindon, il corno e l’arco di Susan, l’ampolla del cordiale di Lucy. “Ho anche la spada di Re Caspian. Cosa volete che ne faccia, mia sovrana?”.
“Distruggili, tutti quanti. Non mi interessano” ordinò Jadis, deponendo le Sette Spade sopra un lungo tavolo in un angolo della stanza. Passò le dita bianche su di esse quasi con soggezione.
Le lame di un azzurro cristallino non erano come le ricordava, dovevano essere state modificate, percepiva che la loro magia si era fatta più potente.
Si obbligò a staccare lo sguardo da esse per rivolgendosi nuovamente al guardiano. “Avete fatto tutti un buon lavoro. Portate le salme alla fossa comune e bruciatele quanto prima. E finalmente, questa storia sarà finita”. Chiuse gli occhi, sospirando di infinito piacere.
Gli uomini del Mondodisotto sollevarono nuovamente i corpi dei narniani, quando la Strega esclamò: “Fermi. Lui no”. Indicò Edmund, e un nuovo sorriso maligno le incurvò le labbra. “Lui portatelo nella cripta del castello”.
 Mullughuterum ebbe un lieve scatto, senza però osare scambiarsi occhiate con i suoi compari sotto gli occhi vigili della regina. Il guardiano non azzardava chiedere il perché di quell’improvviso ripensamento riguardo Edmund; tuttavia, doveva conoscerne i motivi per sapere come agire.
“Avete altri ordini, padrona?” domandò, cercando di indugiare il più possibile.
“Per ora no. Ma rimani, Mullughuterum, fammi compagnia ancora un poco”.
Una volta che i compagni del guardiano se ne furono andati, la Strega ordinò alle guardie di fuori di lasciare il corridoio per un po’. Poi chiuse ben bene la porta e tornò a rivolgersi a Mullughuterum, il quale attendeva immobile in un angolo.
Inaspettatamente, ella sorrise. “Non voglio che nessuno origli ciò che abbiamo da dirci” spiegò, prendendo dalla credenza di cristallo una bottiglia di liquore e due bicchieri. “Accomodati e brindiamo”.
Sedettero uno davanti all’altra, lei su una bella poltrona imbottita, il guardiano su una sedia dall’alto schienale. La Signora riempì i calici, porgendone uno a Mullughuterum.
Egli lo prese con cautela, chinando il capo. “La mia padrona mi tratta come un suo pari, non dovrebbe”.
“Da oggi sarai molto più che un servo. Sei stato davvero capace, verrai ricompensato oltre ogni aspettativa”.
“La mia signora è troppo buona”.
“Tu dici?” la Strega rise, alzando il calice. “Brindiamo al primo di una serie di molteplici trionfi!”
Lei bevve per prima, rassicurando segretamente il guardiano, il quale fissava il contenuto del suo bicchiere con sospetto. Se il liquore fosse stato avvelenato, non avrebbe avuto il tempo di rendersene conto in nessun modo.  Ma non c’era motivo di crederlo, dopotutto, poiché la regina era sincera nell’offrigli il privilegio di bere insieme a lei. Era troppo presa dall’euforia della vittoria per cedere al sospetto che qualsiasi tipo di sotterfugio stesse tessendosi alle sue spalle.
Approfittando di quel momento di esaltazione, Mullughuterum rischiò e chiese: “Cosa volete farne del ragazzo?”.
La Strega abbassò il calice, sorridendo ancora in quel modo sinistro. Era raro che sorridesse.
“Ho dei progetti riguardo il caro Edmund. Te li rivelerò più tardi. Ma prima di ogni altra cosa, dimmi…”. Si sporse un poco in avanti, come un gatto pronto a saltare sulla preda. “Voglio sapere come sono morti”.
Il guardiano era pronto a quell’eventualità, così iniziò a raccontare secondo gli accordi presi con Caspian.
“Si erano accorti di noi già due notti prima che li incontrassimo. La Regina Susan è stata la prima a notarci, lei e il lupo, cioè Re Caspian. Li abbiamo aspettati davanti all’entrata della grotta di Padre Tempo, come avevate ordinato. Purtroppo le cose sono andate un po’ per le lunghe: la compagnia non voleva dividersi, così hanno discusso per un po’, fino a che il resto del gruppo è stato costretto ad andarsene per un’altra via, lasciando che i Sovrani seguissero noi. Non so dove siano ora”.
“Probabilmente, tenteranno di raggiungere i compagni sino a qui” disse la Signora, provando un sadico divertimento nel pensare a quando la Driade gli altri fossero venuti a conoscenza della fine dei Sette Amici. “Se la compagnia di Narnia è scesa nel Mondodisotto, è perché sapevano dov’erano nascosti i bambini. Mi domando solo chi sia stato a tradirmi”.
La Strega aveva dei sospetti, ovviamente: quel vecchio doppia faccia di Lord Erton. Dopo essersene andati da Harfang, aveva perso ogni contatto con lui. Non doveva escludere la possibilità che fosso morto.
“Se dovessero arrivare, sapremo come accoglierli”.
“Certamente, padrona”.
“Va avanti, Mullughuterum. Cosa è successo dopo?”.
“Una volta arrivati da Padre Tempo, loro ancora non capivano cosa volessimo. Poi è arrivata di nuovo la notte, e due delle fanciulle si sono recate a un laghetto che avevo loro indicato. Speravo potessero annegare nelle paludi, però sono sopraggiunti gli altri in loro soccorso. Allora ho richiamato le creature di tenebra con l’incantesimo che mi avevate insegnato, esse si sono abbattute sui ragazzi ma essi le hanno spazzate via con una facilità sorprendente. Non ci aspettavamo fossero così abili nel combattimento”.
“Hai dubitato che la mia magia fosse più potente della loro?” domandò seccamente la Strega.
“No, padrona. Confesso, però, che per un attimo ho temuto non saremmo riusciti a batterli. Avevano armi fatte di luce”.
“Sì, lo immagino” disse la Signora, sprezzante, indicando con un gesto della mano le Sette Spade allineate sopra il tavolo. “I talismani dei Lord di Telmar sono armi molto potenti, intrise della più pura e antica magia”.
Jadis si alzò, avvicinandosi al tavolo dove le Spade rimandavano bagliori azzurrini sulle pareti, giocando con la luce del fuoco.
“Adesso che sono in mano mia, serviranno a ben altro scopo. Con queste armi conquisterò Narnia una volta per sempre, piegherò al mio volere il potere che impregna le mura di Cair Paravel, e in meno di un battito di ciglia avrò ai miei piedi tutti i regni del mondo!”. Un lampo di gelido trionfo illuminò quegli occhi di ghiaccio, poi tornò verso la poltrona. “Ma continua, Mullughuterum, voglio ogni particolare”.
“Durante la battaglia con le belve oscure, Re Edmund è rimasto ferito”.       
“Bene! Speravo fosse lui a subire un attacco così ravvicinato”.
“Sua sorella lo ha curato, ma non è servito a molto” proseguì Mullughuterum, che cercava di capire cosa la Signora stesse macchinando. “Siamo stati legati e costretti a confessare le nostre intenzioni, ovvero che qualcuno ci aveva mandato per assassinarli. Abbiamo finto di essere dispiaciuti e, come avevate previsto, ci hanno dato il beneficio del dubbio. Dopodiché, abbiamo promesso loro di accompagnarli qui al castello. Quando è stato il momento di dormire, pensavamo di sorprenderli nel sonno, ma temevamo le loro armi, quindi abbiamo atteso e atteso. Hanno montato la guardia a turni per tutta la notte, solo all’alba ci siamo decisi, quando Re Edmund ha lasciato il suo posto. Lo abbiamo ucciso per primo. Era molto provato, credo a causa della ferita, anche se ha combattuto bene e con coraggio. Sottratta la sua spada luminosa, abbiamo recuperato le altre sei prima che gli altri si svegliassero. Quando poi hanno capito cosa avevamo fatto a Re Edmund, si sono avventati su di noi. Avevano ancora altre armi, noi però eravamo superiori in numero; inoltre, la rabbia li ha resi vulnerabili. Non è stato facile sottometterli, ma alla fine, uno dopo l’altro, sono caduti”.
La Strega raddrizzò la testa, trattenendo un respiro di soddisfazione. 
“Perdonate la nostra inettitudine, mia regina. Ci abbiamo impiegato più del dovuto”.
“Fai bene a chiedere scusa, Mullughuterum. Se non avessi portato a termine questa missione, avresti sofferto una dura punizione per la tua esitazione. Comunque, non posso punirti dopo che hai esaudito il mio più grande desiderio: i Sette Amici di Narnia sono morti”. Pronunciò queste ultime parole con infinita compiacenza.
Mullughuterum chinò il capo con servilità. “La mia signora è davvero generosa”.
“Lo sono. E lo sarò ancor più permettendoti di sapere cosa ne farò di Edmund”. Jadis si alzò di nuovo, non riusciva a star seduta tanta era l’eccitazione. “Ho voluto che fosse portato nella cripta perché intendo al più presto averlo tra le mie fila”.
Mullughuterum sbatté gli occhi senza pupilla, la fronte appena solcata da una ruga di incomprensione. “Mia signora, non è possibile. Non più”.
“Ah, qui ti sbagli, Mullughuterum”. La Signora dalla Veste Verde fece frusciare la sua bella veste mentre si sposava per la stanza. “Lascia che ti racconti una storia…una storia che risale all’inizio dei tempi...
“Una volta ero la regina di una terra lontana, morente, distrutta da una magia che fui costretta ad usare a discapito del mio stesso regno. Necessitavo di una nuova dimora, giovane, rigogliosa, e avrei dovuto lasciare il mio mondo per trovarla. Ma non esisteva possibilità…finché, un fortunato giorno, due ragazzini provenienti da un altro mondo, giunsero nel mio. Avevo sentito parlare molte volte di portali magici che collegavano le dimensioni; inaspettatamente, scoprii che i due ragazzini possedevano degli anelli magici capaci di far questo. Sfruttai la loro l’ingenuità, viaggiai tra le dimensioni, e raggiunsi quella che ancora non era Narnia: un luogo appena nato, avvolto nel nulla e senza luce. Volli quel nuovo mondo con tutta me stessa!”. Una tormentata ossessione distorse per un momento i bei lineamenti della donna. “Percepii immediatamente che laggiù si era concentrata la più alta fonte di magia mai esistita prima. Non era uguale alla mia, era pura, senza contaminazioni; la temevo, ma la desideravo. Quando però giunse il Leone, capii chi era, cosa rappresentava, e seppi che non avrei potuto impadronirmi di tutta quell’immensa magia, non subito. Sebbene possedessi poteri strabilianti, non sarei riuscita ad eguagliare quelli della Creatura. Egli intuì i miei pensieri, ed io, impaurita, fuggii come una codarda. Ma la codardia si rivelò un’inaspettata alleata quando mi trovai in un giardino favoloso, dove crescevano frutti meravigliosi, portentosi! Scoprii di poter ottenere  salute e giovinezza eterni, ed io dovevo vivere a lungo per conquistare una forza eguale e superiore a quella del Leone, e impadronirmi di Narnia. Mangiai il frutto, ottenendo l’eternità insieme a un potere incommensurabile. Ma, allo stesso tempo, non fui più me stessa. Fui consapevole del prezzo che pagavo e non lo trovai caro”. La Strega sorrise della propria audacia, per nulla pentita. “Soffrii terribilmente dopo aver mangiato quel frutto, sembrò che qualcuno mi strappasse l’anima dal corpo. Forse accadde proprio così, forse no, non l’ho mai saputo e non mi interessò saperlo mai. Tutto ciò che mi interessava era la nuova energia che sentivo scorrermi nel sangue. La magia di Narnia era entrata in me! Era mia!”
 Un lampo di fanatismo saettò dentro lo sguardo di ghiaccio di Jadis, le mani ad artigliare i braccioli della poltrona. Sembrava doversi trattenere per non scoppiare di nuovo in quella sua risata orribilmente gelida e riecheggiante.
“Dal giorno in cui mangiai il frutto della giovinezza, il mio spirito si costituì di pura magia, la stessa posseduta dal Leone. Ero diventata come Lui, e sarei divenuta ancor più potente! Fui in grado di impedirgli di entrare a Narnia per ben cento anni!
“Da quel momento, l’equilibrio delle cose si spezzò per sempre, ero stata io a infrangerlo, e non si ripristinerà finché non sarò sconfitta”.
Una nota divertita risuonò nella sua voce, quando scorse l’ombra di un interrogativo nel mutismo del suo servitore.
“Mi sono appena contraddetta, vero Mullughuterum? Lo riconosco. Vedi, so per certo di essere una creatura unica al mondo, la mia forza e la mia intelligenza sono straordinarie, ho rubato il segreto dell’immortalità, tuttavia ho anche dei punti deboli. Non posso essere uccisa come gli altri esseri umani, non più. Una volta sarei perita trafitta da una spada; ora, l’unico modo per annientarmi è usare qualcosa che sia fatto della mia stessa materia”.
Fu certamente terrore quello che Mullughuterum vide dipingersi sul viso della Signora, quand’ella si volse un istante a guardare le Sette Spade disposte sopra il tavolo.
“Ma questa è un’altra faccenda, non divaghiamo.
“Quando i Pevensie entrarono a Narnia per la prima volta e mi sconfissero, fu così inaspettato che pensai fosse la mia fine. Invece, ero ancora viva, aggrappata all’ultimo brandello di magia rimastami. Perché finché a Narnia vi fosse stata la magia, io sarei sopravvissuta. Impiegai un tempo immenso per tornare in vita, per riuscire a capire come fare ad essere quella che ero. Ma capii. Il sangue era la chiave, con esso potevo rigenerarmi. E qui, arriviamo a noi”.
L’aria nella stanza vibrò di attesa e terrore.
“Se il sangue di un Figlio di Adamo può rigenerare il mio corpo, il mio sangue può rigenerare il copro di un figlio di Adamo. Una magia antica, proibita, quella dei sacrifici, ma non me ne sono mai preoccupata.
“Ora, quando Edmund Pevensie tradì i suoi fratelli e venne da me, Narnia stipulò un accordo tra noi senza che il ragazzo lo sapesse. A quei tempi era un bambinetto sciocco, arrogante, troppo giovane per capire ciò cui stava andando incontro. Difatti, alla prima occasione, vedendo quel che ero disposta a fare per proteggere la mia posizione di regina, il piccolo ipocrita tornò con la coda fra le gambe da Aslan e dai suoi fratelli, i quali aveva tanto disprezzato in precedenza.
“Le leggi di Narnia sono molto severe con i traditori: un traditore appartiene a colui che ha tradito. Il sangue di Edmund doveva essere mio, ma il Leone intercedette per lui. Quella volta presi al balzo l’occasione di avere Aslan al posto suo, ma non oggi.
“Sono troppe le volte in cui Edmund il Giusto mi è sfuggito. Ha un debito con me: un debito di sangue mai pagato. Perciò, stanotte scenderò in quella cripta, bagnerò il suo corpo del mio sangue e lui ritornerà in vita! Grazie alla ferita che le mie creature di tenebra gli hanno inflitto, parte della mia magia è già dentro di lui. Quando si desterà dalla morte, l’oscurità penetrerà nel suo cuore per sempre, disprezzando ancora una volta Aslan e gli amici che gli restano. Mi servirà, diverrà la mia più fidata marionetta, la sua anima sarà mia, ed egli sarà mio schiavo per l’eternità!”.
La Strega alzò una mano e serrò il pugno nell’aria. Mullughuterum pensò che avrebbe preferito avere il collo di Edmund Pevensie sotto quelle dita sottili, bianche come la neve.
“Non preoccuparti, Mullughuterum”, continuò Jadis, tornando a sorridere di falsità. “Non ti verranno tolti i privilegi che meriti, non dubitarne. Tu sei il miglior servitore che abbia mai avuto, non vorrei perderti per nulla al mondo”.
“Non dubito mai della mia Signora”. Mullughuterum abbassò la testa. Non fu un segno ossequioso, ma un modo per nascondere la preoccupazione. Se la Signora dalla Veste Verde faceva tornare in vita Edmund, avrebbe scoperto che non c’era nulla da far rivivere, perché non era mai morto. Se ne sarebbe accorta, e allora non si poteva immaginare quel sarebbe stata la sua reazione di fronte alla realtà.
“Maestà, posso dire una cosa?”.
“Parla”.
“Non sarà pericoloso permette al ragazzo di servirvi così da vicino? Egli è lo zio dei principi, dopotutto, e i bambini potrebbero riconoscerlo”.
La Strega sorrise, scaltra. “Impossibile. Edmund non ha praticamente mai visto i suoi nipoti, non li riconoscerebbe, e nemmeno Rilian e Myra riconoscerebbero lui. Comunque, oltre ad essere sotto il mio potere, se sarà necessario userò la Sedia d’Argento anche sul ragazzo e gli farò dimenticare tutto. Con Lady Lora e i gemelli non ha mai fallito”.
“Certo, avete ragione, Maestà. Perdonatemi se ho fatto una domanda tanto sciocca”.
“I tuoi dubbi sono leciti, ma non c’è nulla da temere. Ora vai, Mullughuterum, devo preparare tutto per il rituale. Questa notte non voglio esser disturbata per nessun motivo, ti raccomando: appena caleranno le tenebre mi recherò nella cripta. Non deve volare un insetto”.
“Agli ordini, Signora”.
Quando Mullughuterum lasciò le sue stanze, la Signora dalla Veste Verde richiamò le guardie, poi fece chiamare anche una serva perché sistemasse la camera. Controllò l’ora, decidendo se fosse meglio andare prima da Edmund oppure dai bambini, per sottoporli al quotidiano incantesimo della Sedia d’Argento. Decise per la prima, era tropo ansiosa di vedere finalmente il ragazzo inginocchiarsi al suo cospetto e giurarle fedeltà eterna. I gemelli potevano aspettare qualche minuto in più, non sarebbe successo niente. Veleggiò così vero la camera da letto, lasciando in salotto solo la cameriera.
E Myra, rimasta per tutto il tempo ad ascoltare, lassù nel passaggio dietro la grossa testa d’orso, aveva la mente confusa, con mille domande che si accavallavano tra loro. Quasi non badò al dolore alle ginocchia e agli arti rattrappiti, per esser rimasta rannicchiata tanto a lungo in un posto così stretto. Gli occhi fissi sul salotto vuoto, cercava di capire il significato della conversazione appena terminata tra la Signora e Mullughuterum. Lui aveva ucciso delle persone per ordine di lei…
 E c’erano un mucchio di alte cose da considerare, ma quelle erano le uniche cui la bambina riusciva a pensare in quel momento. La Signora era una persona malvagia, come Rilian aveva sempre sospettato. La sua risata le aveva ghiacciato il sangue, tanto che Myra non riusciva quasi a muoversi per il terrore che le aveva suscitato. Poi, qualcosa dentro di lei scattò, come un meccanismo. Doveva tornare indietro in fretta, perché se la Signora fosse arrivata nella sua stanza e non l’avesse trovata, avrebbe passato dei guai.
Strisciò più veloce che poté attraverso il passaggio, tornò in camera sua, rimise a posto la mattonella concava, saltò giù dalla mensola del camino, e si tuffò sotto le coperte, dove avrebbe dovuto essere. Sapeva che non sarebbe riuscita a dormire, e che forse sarebbe sgattaiolata verso un altro passaggio segreto: quello nella parete, per andare in camera di Rilian e raccontargli tutto.
 
 
 
~˖~
 
 
Susan si risvegliò con la sensazione di essere avvolta in strati e strati di ovatta. Le ottundeva i pensieri, premeva sulle orecchie azzerando i suoni, le palpebre pesantissime, le gambe e le braccia atrofizzate come se non le avesse usate per molto tempo.
“Mi è successo qualcosa”, pensò subito.
A stento percepì i suoni esterni: scalpiccii lontani, un tintinnio simile a un martello sopra il ferro, lievi tonfi, leggere vibrazioni. Non c’erano voci, e questo era alquanto strano, perché i passi e i rumori dovevano provenire da qualcuno – o qualcosa. Si mosse piano ma, anche così, la sensazione che le piombò addosso quando si mise a sedere fu la stessa che si prova ad un improvviso calo di pressione. La vista le si schiarì lentamente, rivelando ai suoi occhi una grande stanza buia e silenziosa, permeata dall’odore di legna. Vari riquadri di tenue luce bluastra, simile a quello della luna ma non altrettanto brillante, penetravano da alcune finestrelle, situate a livello della cima di alte e numerose cataste di grossi tronchi, illuminando fiocamente quello che doveva essere un deposito. I mucchi di legname arrivavano quasi al soffitto, divisi tra loro da uno spazio di un metro scarso, mentre un lungo corridoio correva nel mezzo, da un capo all'altro del magazzino.
Susan era distesa sul freddo pavimento di pietra viva in fondo al depostio, nello spazio tra due cumuli di legna. A tutta prima, pensò di essere stata imprigionata dagli uomini del Mondodisotto, ma una legnaia era un posto davvero inusuale dove rinchiudere una prigioniera. Inoltre, non aveva né mani né piedi legati, per cui scartò la possibilità di un rapimento.
Un lamento fu il primo suono umano che udì.
Quando la vista si fu abituata alla quasi totale oscurità, Susan scorse due sagome muoversi poco distante, che riconobbe per quelle di Lucy e Peter. Un po’ più là, nascosti nell’ombra, dovevano esserci gli altri.
La Dolce incrociò lo sguardo della Valorosa, la quale le rivolse un sorriso rassicurante.
“Mi chiedevo se al nostro risveglio ci saresti stata tu”.
“Dove ci troviamo?” chiese Susan, desiderosa di capirci qualcosa.
“Ora ti racconto tutto” rispose Lucy, alzandosi dal pavimento.
Susan notò che anche lei si muoveva in modo strano, a scatti, come se non riuscisse a far funzionare gli arti nel modo giusto.
In fretta ma senza saltare un particolare, Lucy raccontò alla sorella del piano di Caspian e dell’accordo con gli uomini del Mondodisotto.
 “Adesso capisco perché ho tutti i muscoli irrigiditi” disse ancora la Regina Dolce, finalmente consapevole. “È il rigor mortis”.
Lucy annuì. “Piuttosto macabro, eh?”.
“Ringrazia tuo marito per questo, Sue” commentò aspramente Peter, arrivando accanto alle sorelle, massaggiandosi le braccia per riattivare la circolazione.
“Io l’ho trovato un piano geniale!” disse la voce di Jill, da qualche parte ancora avvolta nel buio. Poco dopo, avanzò insieme al lupo e Eustace verso il quadrato di luce che che la finestra a loro più vicina disegnava gettava sul pavimento.
Susan si appoggiò con la schiena al muro, incrociando le braccia. “Geniale, certo, anche azzardata, per non dire folle. Ti sei messo a giocare all’alchimista?”.
Il lupo la guardava come sfidandola.
“Sì, sto parlando di te, tesoro, lo sai. Certe volte mi stupisco di quanto poco buon senso tu abbia. Un filtro di morte apparente…”. Scosse il capo, tradendo un sorriso. “Potevamo restarci secchi, e per di più non mi hai nemmeno dato scelta”.
Il lupo sbuffò dal naso la sua disapprovazione. Capiva che lei non era veramente arrabbiata, ma se avesse potuto parlare le avrebbe detto quanto somigliava a suo fratello Peter quando assumeva quell’aria saccente.
“Però ha funzionao. Almeno finora” aggiunse Lucy, tastandosi gli abiti macchiati e laceri in alcuni punti.
Susan fece lo stesso con i suoi, riconoscendo la sostanza rappresa sulla stoffa. “Sangue. Ma non siamo feriti”.
“Mullughuterum ha detto qualcosa a proposito della magia che poteva utilizzare, per rendere la cosa più reale possibile” spiegò Peter. “Deve aver simulato delle ferite su di noi”.
“Una mossa intelligente” osservò Susan. Se erano ancora vivi lo dovevano a quelle creature. Si erano esposte molto per aiutarli, ora non aveva più dubbi sulla loro fedeltà.
“Il risveglio è stato di sicuro peggio di quanto credessi” considerò Eustace. “Però non lamentiamoci, è andata fin troppo bene”.
Jill lo guardò con un sorriso stupito. “Sei davvero tu a dire agli altri di non lamentarsi? Parola mia, Scrubb, non ti riconosco più”.
Eustace non rispose, rimandandole il sorriso.
“Basta parlare, adesso” disse Peter, perentorio, porgendo ai compagni alcuni indumenti un po’ sgualciti. “Dobbiamo cambiarci per poterci mischiare agli abitanti di questi posto. Fate in fretta. Edmund, muoviti, dove sei?”.
Ma Edmund non rispose.
Solo allora gli altri si resero effettivamente conto che non avevano ancora udito la sua voce.
Un’improvvisa ondata di panico aleggiò nell’aria.
“Ed?... Edmund?”. Peter si voltò verso i compagni. “Dov’è?”.
“Come sarebbe? È…” rispose Lucy, finendo di infilarsi una giubba troppo larga. Iniziò a cercare negli gli spazi tra i mucchi di legname, percorrendo in lungo e in largo il magazzino senza fare troppo rumore. Gli altri la seguirono, ma solo per non lasciarla cercare da sola. Era evidente che, della presenza di Edmund, non v’era traccia.
Peter si mise le mani sui fianchi, traendo un forte sospiro rabbioso. “Perché succede ogni volta? Perché non può starsene buono e fare quel che gli si dice?”.
“Non rimproverarlo prima di aver saputo cosa gli è successo” cerò di calmarlo Susan.
Peter scosse la testa, raccogliendo la calma. “Mi auguro che non gli sia venuto in mente di fare l’eroe”.
“Non è più un ragazzino incosciente, Peter”.
“Sai com’è fatto, Susan, è sempre stato una gran testa calda”.
“Potrebbe non essersi allontanano di sua iniziativa” osservò giustamente la Dolce. “O, se l’ha fatto, ha sicuramente avuto una buona ragione”.
“Non l’ha fatto” intervenne Eustace con sicurezza. Era profondamente turbato. “Ho appena controllato la porta del deposito: siamo chiusi dentro”.
Un breve silenzio carico di inquietudine calò dentro il deposito.
“Come fa a non essere qui, se non poteva uscire?” disse poi Lucy, concretizzando in parole i pensieri di tutti. “Non ha senso”.
“Avrebbe senso se si fosse risvegliato prima di noi” disse Jill, torcendosi le mani. “Se qualcosa fosse andato storto… se si fosse risvegliato prima e qualcuno se ne fosse accorto…”.
Eustace picchiò un pugno sulla parete. “Gli uomini del Mondodisotto ci hanno tradito!” esclamò. “Non dovevamo fidarci!”
“Credi che abbiano venduto Edmund per averci in pugno?” chiese Susan, non del tutto convinta.
“E’ l’unica spiegazione” confermò il cugino. “Ti fidi davvero di Mullughuterum? Davvero? Come puoi, dopo che si è chiamato il servitore più fedele della donna che ha rapito i tuoi figli?”
Susan fece un respiro profondo. “Mi voglio fidare”.
“Non è proprio la stessa cosa, Sue”.
“No, non lo è. Ma se non lo facessi, saprei che abbiamo già perduto, e io non accetto di perdere”.
Eustace era incredulo. “Sei veramente ingenua, cugina”.
“No, ha ragione lei” disse Lucy. “Se la Signora della Veste Verde avesse scoperto l’imbroglio, non saremmo vivi”.
Eustace guardò Peter per trovare appoggio alla propria teoria. Ma il Re Supremo non si espresse a riguardo, la sua preoccupazione era un’altra.
“È inutile star qui a fare congetture. Dobbiamo andare a cercare Edmund, subito!”.
Finirono in fretta di indossare gli indumenti del Mondodisotto, i quali non avrebbero potuto essere più diversi dai begli abiti dai colori vivaci che si portavano a Narnia: calzoni color fango, una casacca marrone con ampie maniche, un mantello nero con cappuccio.
Finito di sistemarsi, attraversarono la legnaia con ampie e frettolose falcate, raggiungendo la grande porta scorrevole, tirando, spingendo.
“Niente, non si apre!” ansimò Jill.
Non potevano restare lì, ma non potevano uscire. Non avevano idea di quanto tempo sarebbe passato prima che Mullughuterum fosse venuto a dar loro il via libera. Potevano trascorrere delle ore.
Peter alzò lo sguardo verso un’altra delle finestre quadrate. Non era particolarmente ampia, ma un adulto sarebbe riuscito a passare, anche se con un po’ di fatica. Il problema più grande stava nel raggiungerla. Se però usava la legna accatastata come fossero scalini... Avrebbe potuto fuggire attraverso la finestra e aprire agli altri la porta dal di fuori.
“Usciremo da là”.
“Non puoi, è troppo in alto” disse Lucy.
Peter non le diede retta. Iniziò a scalare una delle tante pile di legna per provarle il contrario, ottenendo però di scivolare e far ruzzolare a terra con sé alcuni ceppi. Nel silenzio del magazzino, il suono secco del legno parve molto più forte di quanto non fosse.
“Peter, attento! Ci farai scoprire!” esclamò Susan, risistemando in fretta i ceppi al loro posto.
“Fammi riprovare” insisté il Magnifico, arrampicandosi ancora.
“Silenzio!” esclamò Jill a un tratto. “Viene qualcuno. Nascondiamoci, svelti!”.
Peter represse un’imprecazione, nascondendosi dietro la catasta di legname. Susan e il lupo lo seguirono. Lucy, Jill, e Eustace si appiattirono accanto a un’altra, un poco più in là.
Venne il cigolio di un chiavistello, e la porta scorrevole scivolò di lato. Due ombre, dalle forme troppo strane per appartenere a un umano, si disegnarono sulla soglia.
“C’è stato un rumore” disse la prima.
“Dammi la torcia, vado io a vedere” disse la seconda.
La prima ombra rimase sulla porta, mentre la seconda avanzò piano dentro la legnaia. Passò davanti a Peter, Susan e Caspian. Quando fu abbastanza vicino, essi poterono vedere il viso barbuto di un uomo del Mondodisotto. Non somigliava a Mullughuterum e i suoi compagi: la sua espressione non era di perenne sconforto, aveva invece due occhietti cattivi infossati nel volto aguzzo, scrutava intorno a sé, aguzzando le orecchie per percepire il più piccolo rumore.
Quando li oltrepassò, Peter e Susan si azzardarono a gettare un’occhiata fuori dal loro nascondiglio. Peter fece un cenno a Lucy, Jill e Eustace. I tre fecero per muoversi nella loro direzione. Se fossero riusciti a spostarsi, sarebbero stati tutti abbastanza vicini all’entrata per poter uscire senza essere visti. Il primo uomo avrebbe probabilmente fatto il giro del deposito, quindi si sarebbe allontanato sempre di più, e loro, complice l’oscurità, sarebbero sgattaiolati alle spalle di quello rimasto sulla soglia. Quest'ultimo non sembrava troppo sveglio: in quel momento stava studiando con interesse un ragno sulla parete.
Eustace fece però un cenno negativo a Peter, per fargli capire che voleva aspettare che il primo uomo si allontanasse da loro ancora qualche metro. La torcia che reggeva non faceva molto più che creare un alone luminoso attorno a lui; comunque, egli la puntava in ogni angolo, su ogni ceppo e tronco. Se la luce si fosse insinuata nella nicchia dove Eustace e le due ragazze erano nascosti, li avrebbe visti e avrebbe dato certamente l’allarme. I ragazzi indossavano gli abiti del Mondodisotto, ora, certo, ma i loro volti erano palesemente umani. Avrebbero volentieri camuffato anche le loro fattezze, se fosse stato possibile.
Ci fu un istante in cui tutti furono immobili, anche l’uomo con la torcia. Si era fermato di colpo, e altrettanto repentinamente puntò il fascio di luce dritta sulla pila di legna dietro la quale stavano Lucy, Eustace e Jill.
Solo la fortuna seppe quanto poterono esser svelti a spostarsi senza un rumore verso un’altra pila di legna, e poi un’altra, e un’altra.
Susan, Peter e il lupo, dalla loro posizione, videro più o meno bene tutta la scena, sudando freddo, nell’attesa spasmodica di una conclusione a loro sconosciuta. Seguivano con lo sguardo la luce, sapendo che i compagni non erano stati scoperti solo perché, ad ogni spostamento, non seguivano grida di allarme.
L’uomo del Mondodisotto esaminò con cura ogni cantuccio. Ogni volta che si avvicinava troppo a Lucy, Jill e Eustace, essi si spostavano ancora più indietro, tornando piano piano nel punto in cui si erano svegliati. Girarono attorno alle cataste di legna, si schiacciarono il più possibile contro le pareti, spostandosi ancora e nascondendosi di nuovo. Andando avanti così, avrebbero fatto il giro dell’intero magazzino, sperando, per assurdo, che non li vedesse.
Ovviamente, non fu possibile.
D’un tratto, l’uomo del Mondodisotto prese a camminare più velocemente. Allo stesso modo, i tre ragazzi indietreggiarono per l’ennesima volta. Nella fretta, Lucy colpì con il piede un ceppo, facendo traballare pericolosamente uno dei mucchi di legna. Il suono non fu molto forte, ma abbastanza per le orecchie dell’uomo, il quale sembrava allenato a percepire anche solo un battito d’ali di farfalla.
“Ah…” fece, le labbra sotto la barba che si curvavano in un ghigno.
“C’è qualcuno?” chiamò la prima voce dall’entrata del magazzino.
“Sì, c’è qualcuno”.
“Devo chiamare il capo?”.
“No, non serve. Sono solo topi”. L’uomo del Mondodisotto si accostò pericolosamente a dove era nascosta Lucy. Con la punta dello stivale di cuoio, toccò il pezzo di legna che la ragazza aveva inavvertitamente colpito e spostato. L’uomo guardò in su: la legna era perfettamente in ordine. Afferrò il ceppo da terra e lo rimise al suo posto.
Lucy, a meno di un metro da lui, ansimava il più silenziosamente possibile. Jill aveva gli occhi spalancati dal terrore, Eustace li aveva addirittura chiusi. Bastava un passo ancora: se quel tizio avesse girato l’angolo dietro la pila di legname, li avrebbe visti.
“Topi?” ripeté quello rimasto alla porta. “Non ci sono mai stati i topi. Abbiamo un mucchio di gatti”.
“Invece ci sono” ribatté l’altro. “Topi grandi, enormi! Forse hai ragione, è meglio andare a chiamare il capo”.
“Va bene, vado subi…”.
La frase si interruppe a metà. Un colpo, un gemito e un tonfo. L’uomo con la torcia si girò per vedere che cosa era stato, e scorse Susan brandire un ciocco di legno, con il quale aveva evidentemente appena colpito alla nuca l’uomo sulla porta.
L’altro grugnì di malvagia felicità. “Cosa succede? Ah! Lo sapevo che c’era qual…”.
Ma anche lui fu interrotto. La stessa scena si era ripetuta alle sue spalle: Lucy era balzata in avanti, colpendolo alla testa con lo stesso ceppo che aveva fatto cadere. L’uomo lasciò cadere la torcia, crollando a faccia in giù sul pavimento.
Susan e Lucy si fissarono un istante, da un capo all’altro del magazzino, prima che Eustace saltasse fuori dal nascondiglio, sbraitando.
“Che cosa avete fatto?! Non dovevate ammazzarli! Adesso non potremo passare inosservati, ci farete scoprire e addio piano!”.
“Non strillare come un gallo!” esclamò Lucy. “Non li abbiamo ammazzati per niente, sono solo svenuti…credo”. Allungò titubante una mano, stuzzicando il corpo dell’uomo, controllando se respirava. “Sì, è vivo”.
“Comunque, il piano è andato in fumo quando abbiamo scoperto che Edmund non era con noi” disse Peter.
“Va bene, va bene, ma è ugualmente un gran casino! Sapete cosa succederà quando questi due si riprenderanno? Andranno a dire di aver visto degli intrusi, ecco cosa succederà!”.
“Non c’è alcun bisogno che tu ce lo dica, Eustace, lo sappiamo benissimo, ma era l’unica cosa che potevamo fare” dichiarò Susan, scavalcando il copro dell’individuo che aveva colpito. “Per lo meno abbiamo guadagnato un po’ di vantaggio. Se vi avessero visti, avrebbero immediatamente dato l’allarme. Coraggio adesso: dobbiamo nasconderli e metterli in condizione di non potersi muovere per un bel po’ ”.
“Mi fai quasi paura, Sue” commentò Peter, afferrando per i piedi l’individuo accanto alla porta. Avrebbe voluto sorriderle ma non era momento per i sarcasmi. “Dai, prendilo per le spalle e spostiamolo in fondo al deposito”.
Così fecero. Lucy, Jill e Eustace li imitarono, trasportando l’altro uomo del Mondodisotto nello stesso punto. Li sistemarono dietro l’ultima catasta di legna, una delle più alte e più in ombra, laddove la luce delle finestre non arrivava. Dato che i loro vecchi abiti non sarebbero più serviti ora che avevano quelli del Mondodisotto, strapparono i loro vecchi mantelli per farne strisce di stoffa, con cui legarono e imbavagliarono per bene i due malcapitati abitanti del sottosuolo.
“E adesso cosa facciamo?” chiese Lucy, osservando la porta del magazzino spalancata. “Non abbiamo armi. Con cosa ci difenderemo se là fuori incontrassimo altre ostilità?”.
“Non possiamo pretendere di avere la stessa fortuna di poco fa” disse Jill. “Mullughuterum aveva detto che ce le avrebbe procurate”.
“E allora...?” fece Eustace, incalzante.
“Allora”, riprese Jill, “metà di noi rimarranno qui ad aspettarlo. L’altra metà andrà a cercare Edmund”.
Il piano originale prevedeva che Mullughuterum provocasse l’addetto ai lavori, causando la rissa che avrebbe permesso loro di confondersi nel caos e uscire dalla legnaia senza essere notati. Ma non c’era più tempo. Il piano attuato nella caverna di Padre tempo era ormai dimenticato.
 Si scambiarono sguardi in silenzio, cercando di determinare chi sarebbe rimasto e chi no. La decisione sembrava ovvia per tutti.
“Noi dobbiamo andare” disse Susan, guardando il lupo e poi di nuovo gli altri, scuotendo il capo una volta come a volersi scusare di quella necessità. “Rilian e Myra sono in quel castello”.
“Va bene” disse Peter, “faremo così: io e Eustace andremo a cercare Ed. Susan e Caspian entreranno nel castello, spianandoci le via. Lucy e Jill, voi rimarrete qui ad aspettare Mullughuterum, e lo metterete al corrente di tutto”.
Jill lanciò un’occhiata Eustace ma poi annuì. Avrebbe voluto andare con lui. Non sapeva spiegarsi quel bisogno improvviso di stargli vicino. Temeva che se non gli fosse stata accanto, qualcosa di terribile sarebbe potuto capitargli.
“Troveremo delle armi strada facendo” disse Peter, facendo alcuni passi verso l’uscita, controllando se vi fosse qualcuno. La legnaia si trovava in un cortile interno, a ridosso delle mura del castello; al momento era vuoto.
“Sbrighiamoci, prima che arrivi qualcuno”.
“State attenti” disse Susan.
“Ci rivediamo tutti qui” rispose Peter, abbracciando brevemente lei e Lucy. “Eustace, andiamo”.
Ma Eustace non seguì subito il cugino. Guardava Jill.
“Che cosa fai, sbrigati!” gli disse lei.
“Non ti  preoccupare per me, d’accordo?” le disse lui, prendendole un braccio per avvicinarla a sé, senza sapere perché lo faceva. Non voleva saperla in ansia, voleva dirle che si sarebbero rivisti e che l’avrebbe riportata a casa. “Andrà bene. È sempre andata bene, in un modo o nell’altro”.
“Sì, lo so” disse Jill sommessamente.  Lui non le lasciava il braccio. “Sbrigati” ripeté.
Lo sguardo di Eustace cambiò radicalmente: se prima era apparso impaurito, pronto a replicare su ogni cosa come mai mancava di fare, ora era divenuto più serio di quanto Jill lo avesse mai visto.  Lei lo vide come non lo aveva mai visto prima, in un modo completamente diverso.
Un attimo dopo, lui le cinse la vita e si chinò su di lei. Fu talmente improvviso che, in un primo momento, Jill rimase un istante ad occhi spalancati, poi li chiuse, le labbra di Eustace sulle sue.
Durò troppo poco perché potesse capire cosa stesse provando. Solo dopo che lui se ne fu andato, correndo via senza una parola, Jill riconobbe quel che significava, e quel che avrebbe significato se non fosse più tornato da lei.
Santo cielo, era innamorata di Eustace! Il suo migliore amico!
Era un pensiero totalmente fuori luogo. Ed era sconfortante perché, anche se lui la ricambiava, la situazione era pressoché assurda.
“Jill” la chiamò dolcemente Susan. “Vieni dentro”.
Jill fece un paio di passi indietro, fissando le due sorelle accostare la grande porta scorrevole, fino a lasciare uno spiraglio che avrebbe permesso loro di guardare fuori. Jill fece un sospiro e le guardò.
Lucy e Susan avevano due sorrisi appena accennati. Sapevano benissimo – e da molto – cosa l’amica provava per loro cugino. Sapevano anche che Eustace provava lo stesso, e tanto bastava. Lui aveva voluto lasciarla con una promessa, e non c’era niente meglio di un bacio per esprimere l’importanza che la persona di Jill rappresentava per lui.
Mentre le sorelle Pevensie si accordavano sulla prossima mossa, Jill sedette in un angolo, la mente altrove. Il lupo le si avvicinò, e lei lo accarezzò distrattamente. Improvvisamente, senza una ragione apparente, le affiorarono alla mente i quattro segni di Aslan. Fece di tutto per scacciare il pensiero di Eustace e del bacio – ancora non le sembrava reale – che si erano scambiati. Anche se, a ben vedere, era stato lui a baciarla, lei era rimasta ferma a riceverlo soltanto, troppo frastornata per fare qualsiasi cosa. Tuttavia, i quattro segni avrebbero dovuto essere più importanti. Fresca di nuove sensazioni, si scoprì a rammentarli meglio di quanto avesse fatto lungo tutto il viaggio. Più scacciava il pensiero di Eustace, meno ci riusciva, e più la sensazione cresceva, più ricordava i segni. La mente si snebbiava, la paura svaniva, una nuova forza prendeva vita in lei senza che se ne avvedesse. Un gran calore le scaldò il petto e il viso, si sentì viva, forte, con la sensazione di poter fare tutto. Le parole di Aslan risuonarono nella sua testa forti e chiare, e non capì per quale motivo non era stata in grado di ripeterle perfettamente come adesso.
Era così facile!
“Ve la sentite di rimanere qui da sole?” stava dicendo Susan. “Se volete, posso aspettare un poco e restare con voi fino all’arrivo di Mullughuterum”.
“No, tu devi andate” rispose Jill, decisa, balzando in piedi. Si sentiva piena di energie. “Ce la caveremo benissimo. Vero, Lucy?”.
“Certamente” affermò con sicurezza la Valorosa. “Non devi preoccuparti per noi”.
“Va bene”. Susan tirò il cappuccio del mantello sopra il capo, accostandosi alla porta. “Caspian?” chiamò poi, ma il lupo era già pronto a seguirla ovunque lei volesse guidarlo.
La Regina Dolce si accostò alla fessura della porta, spingendo con l’aiuto delle altre per aprila di più, ed insinuarsi all’esterno. Rimase qualche istante ancora sulla soglia, mentre il lupo scivolava via per primo.
“Dovrai fare molta attenzione, Sue” disse Lucy, non riuscendo a reprimere l’ansia per ciò che la sorella maggiore si apprestava a fare.
“Sarò silenziosa come un gatto, non mi scopriranno” rispose lei, guardando in alto, verso le mura massicce che svettavano su di loro simili a un gigante di pietra. L’aiuto del guardiano del Mondodisotto sarebbe stato prezioso, ma ormai non si poteva più rimandare.
“Susan, aspetta” la fermò Jill. I suoi occhi brillavano. “Ricorda l’ultimo dei quattro segni: Se troverete il principe e la principessa scomparsi, li riconoscerete perché saranno le prime persone nel corso del vostro viaggio a implorarvi di fare qualcosa in mio nome, il nome di Aslan. Non farti ingannare, Susan, non credere a chi dovesse invocare Aslan per sviarti. Non dare ascolto a nessuno se non al tuo cuore. Lui sa, e saprai anche tu”.
Susan rivolse a Jill un sorriso grato, ammirato. Non c’era tempo per dirle in quale misura considerava prezioso il modo in cui aveva affrontato i suoi mille timori per aiutarli.
“Vi dovrò chiudere dentro. Se arrivasse qualcun altro a controllare e notasse che la porta è aperta, si insospettirebbe”.
Lucy e Jill fecero un cenno affermativo.
“Sei una vera amica, Jill. Una vera Amica di Narnia” disse ancora Susan, prima di chiudere definitivamente la porta.
Jill e Lucy si ritrovarono al buio, con di nuovo la sola luce proveniente delle finestre. Udirono il rumore del chiavistello che veniva calato al suo posto, i passi di Susan e di Caspian allontanarsi.
Un silenzio innaturale piombò su di loro come una cappa di calore soffocante.
Erano sole. Adesso avrebbero dovuto contare solo sulle proprie forze.
 
 
 
~˖~
 
 

Era appena passato il crepuscolo quando Pozzanghera si sistemò sopra una montagnola brulla che sovrastava gran parte del Territorio del Fuoco. Priva di alberi ad impedirgli la visuale, la valle si stendeva placida e silenziosa sotto di lui, con i suoi suoni di sbuffi di vapore e gorgogliare di lava. Era quasi impossibile che qualcuno potesse arrivare di soppiatto senza essere visto, il luogo era pressoché privo di anfratti adatti a nascondersi. Fleunor sosteneva che il Territorio del Fuoco non era mai stato violato da alcuno, ma Pozzanghera, che era un tipo sospettoso e previdente, preferiva far da vedetta. Che ne sapevano loro che gli uomini del Mondodisotto, incontrati davanti alla grotta di Padre Tempo, non avessero rapito Caspian e il resto degli amici, e non si fossero poi messi sulle loro tracce?
Oltre le rocce frastagliate che delimitavano il confine, laggiù da qualche parte, la luminescenza verde-blu, pallida imitazione di un sole che segnava le ore del giorno e della notte, spegneva il sottosuolo, facendolo piombare in una ancor più fitta oscurità.
Anche durante la sera, il caldo del Territorio del Fuoco era asfissiante. Per Pozzanghera, nato e vissuto in una palude, dove in piena estate le temperature sfioravano i quaranta gradi, non era faticoso da sopportare. Lo stesso Emeth e Miriel, l’uno originario del Grande Deserto e l’altra delle calde Valli del Sole. Anche Shira sopportava abbastanza bene il caldo. Chi soffriva di più erano Ombroso e Shanna, i quali erano appena andati a rinfrescarsi presso una delle pozze d’acqua, scoprendo con rammarico che le fonti erano troppo calde per dare refrigerio.
Infine c’era Lord Erton. Al pari della Stella e del pipistrello non vedeva l’ora di lasciare il Territorio del Fuoco per tornare nelle gallerie di fresca pietra. Il Duca aveva già tentato la fuga due volte, mentre gli altri si accordavano con Fleunor su come raggiungere il Castello delle Tenebre. Fortunatamente, Pozzanghera non lo perdeva d’occhio un secondo, così aveva impedito entrambe le fughe del Lord attraverso la valle. Il lato negativo fu che dovette nuovamente ammanettarsi a lui.
Tutti quanti avevano come l’impressione che Lord Erton non desiderasse affatto andare al castello della Signora dalla Veste Verde. Cosa davvero strana, visto che ella era sua amica e alleata. Come mai tanta riluttanza? Che il Duca temesse l’ira della Dama Verde? Ne avrebbe avuto ragione: l’aveva tradita, sebbene non di volontà propria, nel momento in cui era stato costretto a rivelare il nascondiglio di Rilian e Myra. Sicuramente, la Signora non aveva previsto tutto ciò, ed Erton non pareva ansioso di metterla al corrente della situazione. I tentativi di fuga del Duca non dovevano dunque attribuirsi al desiderio di riunirsi alla sua alleata, bensì di fuggire chissà dove e sparire dalla circolazione.
A tutti sarebbe piaciuto levarsi di torno il vecchio Erton, ma, ovviamente, era inaccettabile, poiché il Duca rimaneva ugualmente il tramite tra la Signora e Rabadash. E, benché non volesse più servire la prima, rimaneva ancora fedele al secondo.
“Pozzanghera!”.
Pozzanghera si guardò attorno, vedendo Shanna risalire la montagnetta per venire a sedersi accanto a lui.
“Vedi qualcosa?”.
“Niente. Tutto tace, tutto è tranquillo”.
“Meglio così”. Shanna emise uno sbuffo profondo, spostando da una spalla all’altra i lunghi capelli biondi. “Questo posto è una fornace. Non vedo l’ora di andarmene. Oh, mi raccomando però, non ditelo a Fleunor. Non vorrei che si offendesse”.
Lord Erton emise un grugnito. Shanna gli lanciò un’occhiata appena.
“Come dite?”.
“Dico che, una volta tano, sono dello stesso parere: se restiamo ancora in questo luogo infernale, ci scioglieremo come cera”.
“Ah, signore, non sono sicuro che avremo tempo di scioglierci” ribatté Pozzanghera, con l’aria di uno che sta per annunciare la morte di qualcuno. “Molto più probabilmente, chi di noi sopravvivrà all’impossibile missione che stiamo per compiere, impossibilitato a tornare a Narnia, sarà obbligato a riparare per sempre in questa valle, e qui non c’è nulla di commestibile. Potrebbe accadere di esser ridotti alla fame, e allora ci ritroveremo costretti a mangiarci tra di noi”
Che cosa?!” esclamò Shanna in uno strillo strozzato. “Pozzanghera, ora stai esagerando! Non è affatto possibile che…”
Ma il Paludrone le fece l’occhiolino, e lei capì che scherzava.
“Proprio così, Shanna, credi a me. Non c’è nulla qui per noi, neppure una radice, di sicuro non quegli arbusti stopposi che piacciono ai Cavalli di Fuoco, e loro non si preoccuperanno certamente di trovarci qualcosa di mangiabile. Ah, come ci siamo ridotti! Rimpiango i pranzetti nella mia casetta. All’ora mi lamentavo quando scarseggiavano i raccolti, ma un pezzo di pane e una bella zuppa d’anguilla erano un banchetto a confronto delle prospettive future”.
“Non ho mai udito tante fandonie in tutta la vita!” gracchiò un acido, sempre più irritato, ed ora impaurito Lord Erton.
“Non avete mai sentito parlare di istinto di sopravvivenza?”.
“Tu parli di cannibalismo, per gli spiriti!”.
“Per necessità si fanno tante cose, Duca, anche le più disperate”. Pozzanghera sospirò tetramente.
“Farei anche a meno di ascoltare le tue assurde storie”.
“Sono solo considerazioni” si difese Pozzanghera. “A questo proposito, mi viene in mente una storia… Alle Paludi girava voce che uno dei nostri fosse stato cacciato dalla comunità perché aveva cucinato l’intera famiglia in salmì. Bè, non sono proprio sicuro che avesse tutte le rotelle a posto, ovviamente, discendeva da generazioni di follia violenta…Ahimè, faremo quella fine anche noi. Saremo costretti a mangiarci tra noi, vedrete se non ho ragione”.
“Per le ombre, taci, razza di ranocchio troppo cresciuto!”.
“Oh, perdonatemi, signore” sogghignò Pozzanghera, alzando appena il cappello. “Spero di non avervi turbato”.
Lord Erton, inorridito e preoccupato che le previsioni di Pozzanghera si avverassero, si rannicchiò su sé stesso, continuando a lanciare occhiate sospette al Paludrone.
“Sei tremendo quando ti ci metti” commentò Shanna, che si era sforzata di non scoppiare a ridere. Si sporse verso l’amico Paludrone, sibilandogli nell’orecchio cosi che Lord Erton non sentisse. “La storia di quel Paludrone che ha mangiato la famiglia n-non è vera”.
Pozzanghera esitò, si grattò distrattamente il mento, poi rise e sibilò a sua volta: “Certo che no!”
Shanna rise piano con lui, sollevata. Per un momento aveva temuto fosse una storia reale.
“Bè, direi che qui non c’è nulla di nuovo” disse ancora Pozzanghera, alzandosi dalla cima della montagnola, spazzolandosi i calzoni dalla terra. “Scendiamo e andiamo a vedere a che punto sono gli altri”.
Lord Erton fu costretto ad alzarsi con lui. Doveva camminare costantemente al fianco di quella creatura iettatrice, visto che erano legati insieme. Shanna venne dietro a loro.
Mentre scendevano il pendio, Pozzanghera si tolse il cappello di paglia e lo osservò con aria critica.
“Uhm… è ridotto piuttosto male. Dovrò farmene un altro quando tornerò a casa”.
“Dà qua” disse Shanna, allungando una mano. “Vedo se riesco a sistemartelo”.
Accadde all’improvviso.
Shanna si fermò di colpo. Il cappello le cadde di mano. Immagini fatte di lampi di colori e volti le esplosero davanti agli occhi. Dovette cercare il braccio di Pozzanghera e tenersi a lui per non cadere, tanta fu la forza e la repentinità con cui la visione apparve.
“Shanna, va tutto bene?” domando ansioso il Paludrone.
“No” rispose lei, concitata. “Edmund… È successo qualcosa a Edmund”.
“Lo hai visto?”
“Sì. Non è più con gli altri. Non so dove si trovi, ma so che è in grave pericolo”.
“Dobbiamo subito dirlo agli altri. Vieni”. Pozzanghera si mosse in fretta, trascinando con sé Lord Erton, che inciampava a ogni passo.
Scesero a precipizio la montagnola, suscitando la curiosità dei membri più giovani del branco dei Cavalli di Fuoco, dispersi per la valle. Corsero tra pozze di lava, rocce, zampilli, fino a un grande cratere privo di fuoco dove, all’ombra delle rocce, c’erano Miriel, Emeth, Ombroso, Fleunor e i membri più anziani del branco.
“Che succede?” domandò subito Emeth, vedendoli arrivare a gran velocità.
“Dobbiamo partire immediatamente!” disse Shanna. Gli occhi di rubino dei Cavalli si posarono su di lei, seri, misteriosi. La fanciulla non riuscì a capire se la stessero rimproverando per averli interrotti o meno, ma non le importava.
“Per favore, Fleunor, non c’è tempo da perdere!”.
“Calmati” disse Miriel, posandole le mani sulle spalle. “Che cosa è accaduto? Perché sei così agitata?”.
“Ho visto Edmund. È in pericolo!”.
Queste poche parole bastarono per smuovere gli animi.
Shanna tentò di spiegare come meglio poté la sua visione, il luogo oscuro in cui aveva visto il Giusto, un posto che non aveva saputo riconoscere ma che le aveva dato i brividi. Le tenebre più oscure si addensavano attorno a lui, era solo, non aveva aiuti, non aveva nemmeno la sua Spada. Una presenza terribile aleggiava su di lui.
Shanna provava una sensazione agghiacciante, aveva brividi fin nelle ossa. Il legame della Stella con il ragazzo andava oltre la sua stessa comprensione, era un potere che si era sviluppato in lei dopo il ritorno di Ed a Narnia. Ramandu le aveva detto che in questo viaggio avrebbe scoperto un potere diverso, solo suo. Sulla Torre dei Gufi, quando aveva ritemprato le Sette Spade, aveva iniziato a capire. Shanna non avrebbe saputo dargli un nome. Chiamarlo amore le pareva troppo riduttivo, anche se la fonte di quella forza sconosciuta veniva dal suo cuore.
Aveva tentato di spiegarlo molte volte a Edmund, in qualche modo lui aveva compreso, ma non sarebbe mai stata in grado di rendere la giusta idea di quel che era realmente. Nessuna Stella, prima di allora, aveva mai manifestato un legame tanto profondo con un umano.
Riusciva a vedere anche gli altri Amici di Narnia, perché lei era guida del cielo, in grado di scorgere pericoli con la forza della mente, sentire i prescelti, sapere dove si trovavano. Però, con Edmund era diverso. Degli altri percepiva uno strato sottile dei loro pensieri, la superficie, ombre e colori riconoscibili ma non del tutto definiti. I colori di Edmund invece, erano brillanti, cristallini. In certi momenti, era come se potesse vedere con gli occhi di lui, sentire ciò che provava, percepire i suoi sentimenti, che in quel momento erano fatti di paura, dolore, rabbia.
I Cavalli di Fuoco che Fleunor aveva scelto tra il branco per accompagnare i narniani, si disposero in fila, pronti per essere montati. Erano molto più alti dei cavalli comuni, perciò i ragazzi dovettero salire in piedi su delle piccole rocce per aiutarsi a issarsi sulle groppe.
 Pozzanghera trascinò Lord Erton dietro di sé, avvertendolo di aggrapparsi bene ai suoi vestiti e stringere le ginocchia contro il fianco dell’animale. Lo stesso fecero Emeth, Shanna e Miriel, che montava su Fleunor e stava in capo al gruppo. Non avevano né selle né briglie, per di più temevano di ustionarsi sporgendosi troppo sul collo degli animali. Ma i Cavalli di Fuoco dissero loro di tenersi alle criniere senza paura, poiché erano in grado di raffreddarne le fiamme di cui erano fatte.
Shanna verificò immediatamente la cosa, affondando le mani nella criniera del suo Cavallo di Fuoco, la quale era divenuta tiepida come un venticello primaverile.
Partirono senza indugio, lasciandosi alle spalle i crateri e i laghi di fuoco, Shira e Ombroso che li seguivano in volo.
La corsa fu più piacevole del previsto. Piacque soprattutto a Emeth, che amava i cavalli e adorava montare senza sella. Sarebbe stato tutto molto più bello se non avessero avuto la mente occupata da mille problemi, a partire dalla sensazione dell’aria fresca delle gallerie dopo l’asfissiante calura del Territorio del Fuoco.
Per un attimo, furono in grado di scorgere i particolari del paesaggio intorno. Poi, quando i Cavalli di Fuoco partirono sul serio al galoppo, non vi riuscirono più. Il paesaggio sfrecciava via in un turbine di colori e forme.
  Tra gli animali appartenenti alla loro specie, I Cavalli di Fuoco erano i più veloci del Mondodisotto (esattamente come nel Mondodisopra lo erano le Blue Singer, le mitiche balene azzurre di Narnia). Non avrebbero saputo dire a quanti chilometri orari stavano andando, ma erano certamente di molto superiori alla norma.
“Quanto ci metteremo ad arrivare?” chiese Emeth al suo Cavallo, al di sopra del fischio dell’aria e al rombo degli zoccoli.
Il Cavallo era una femmina, grande quanto un maschio ma più snella. Si voltò appena per guardare il ragazzo e, di nuovo, Emeth ebbe l’impressione che lo stesse valutando in qualche modo.
“Alla nostra velocità non impiegheremo più di mezz’ora. Voi ci avreste messo un giorno ancora”.
“Grazie” disse Emeth.
 La cavalla non rispose.
Fin da quando erano scesi nel Territorio del Fuoco, i suoi abitanti lo avevano ignorato con cortesia. Nessun membro del branco gli aveva rivolto la parola, eccetto Fleunor, che comunque l’aveva fatto una vola soltanto. Emeth non ne capiva la ragione.
 “Posso sapere il tuo nome?” le chiese.
“Perché vuoi sapere il mio nome?”.
“Per poterti ringraziare come si deve”.
 “Alphasia”.
“Grazie, Alphasia, per quello che state facendo”.
La creatura si voltò ancora un breve istante, poi tornò a guardare la strada con uno sbuffo.
“Qual è il motivo della vostra ostilità nei miei confronti?” non poté fare a meno di chiedere Emeth.
Alphasia parve ponderare la domanda per non dare una risposta troppo scortese.
“La tua pelle è del colore dell’ambra. Tu vieni da un luogo diverso”.
Emeth aggrottò la fronte e scosse la testa. “Non capisco”.
“C’è un uomo, un principe, giunto quaggiù molte volte, dalla pelle color ambra. La stessa che possiedi tu. Noi, del Mondodisopra, ricordiamo solo i tempi in cui il nostro signore, Padre Tempo, regnava lassù. Oggi leggiamo le informazioni che la Madre Terra ci riporta, ed essa ci racconta di uomini crudeli  e spietati, con la pelle colorata dal sole, che desiderano la distruzione della magia”.
“Il principe Rabadash” disse subito Emeth. Alphasia non poteva riferirsi ad altri che lui.
“Non conosco il suo nome, ma forse è lui”.
“Io non sono così, puoi credermi” esclamò vivamente Emeth, chinandosi sul collo dell’animale. “Non desidero affatto la distruzione della magia, anche se ancora non la comprendo appieno. Sì, sono un abitante del Deserto, come Rabadash, ma non siamo tutti come lui. C’è molta gente che preferirebbe vivere sotto la corona di Narnia, piuttosto che subire la dittatura che il padre di quell’uomo infligge al suo popolo”.
C’era una sfumatura indignata nella voce del soldato. Il fatto che fosse mezzo calormeniano non aveva mai influito sui rapporti intrecciati con gli abitanti di Narnia. Solo al principio, appena salito a bordo del Veliero dell’Alba,  i marinai avevano dubitato di lui; un dubbio legittimo, dato che era stato al servizio di Rabadash. In seguito, nessuna questione era mai stata sollevata riguardo la sua provenienza.
“È questo il motivo per cui mi guardate come un estraneo? Voi non vi fidate di me perché sapete che sono un tarkaan”.
Per la prima volta, la cavalla mostrò più curiosità che indifferenza. “Cos’è un tarkaan?”.
“Un nobile del Grande Deserto. Nel Mondodisopra, voglio dire”.
“Capisco. Quindi, hai un cuore nobile”.
“Non per parte di madre. Mio padre era il nobile”. Ma da quando era stato bandito, aveva perso tutti i suoi averi. Emeth provò una stretta al cuore pensando ai suoi genitori.
“No, io parlo della nobiltà spirito” disse Alphasia. La sua voce si era addolcita. “Siamo a conoscenza della malvagità del tuo popolo, e ci rincresce. Non avevamo capito. Siamo rimasti stupiti nel vederti assieme a tante creature chiaramente magiche. Ci siamo chiesti com’era possibile che l’unico essere umano del gruppo – eccetto il vecchio – fosse un ragazzo dalla pelle colorata come il crudele uomo che trama alle spalle delle brave creature di lassù”. Alphasia tacque, poi emise un altro sbuffo, diverso dal precedente. “Ti prego, a nome di tutto il branco, di accettare le mie scuse, nobile tarkaan”.
“Non importa” disse Emeth, sentendo fluire via il rancore nutrito fino a quel momento per i Cavalli di Fuoco.
“Siamo abituati a una vita lenta e priva di cambiamenti. Qui, una creatura che manifesta una certa indole, difficilmente tende a cambiare. Non abbiamo modo di fare molte esperienze come invece potete voi nel Mondodisopra. Le esperienze mutano, rafforzano e aiutano a comprendere meglio molte cose. Noi, invece, siamo creature immutabili, abituate a un certo equilibrio che non credo cambieremo mai. Mi capisci?”.
“Credo di sì”.
“Non provare tristezza per noi. Siamo nati così, e a noi sta bene”. Alphasia guardò ancora Emeth, emettendo un debole nitrito divertito. “E adesso tieniti forte”.
La corsa sfrenata dei Cavalli di Fuoco continuò verso il limitare della grande gola. I narniani credettero si fermassero, o almeno rallentassero. Invece, gli animali aumentarono l’andatura, spingendosi pericolosamente verso lo squarcio che interrompeva la strada presso la gola. Fleunor emise un nitrito che suonò come un’indicazione per gli altri, e deviò verso destra. Ma non stava cambiando tragitto, prendeva solo una lunga rincorsa per tornare più veloce che mai verso il crepaccio. Con uno scatto che fece quasi scivolare dalla loro groppa i narniani, le creature del fuoco compirono un salto straordinario e impossibile, librandosi nel vuoto per lunghi secondi, quasi volassero. Le possenti zampe continuarono a muoversi nel nulla, proprio come se corressero sull’aria invisibile. Poi, scesero in picchiata e tornarono sul suolo con un tonfo assordante degli zoccoli. Il paesaggio attorno era cambiato. Nei brevi secondi che servirono al branco per riassestare il ritmo del galoppo, i narniani videro una bruma salire da qualche punto imprecisato, simile a quella visibile lungo una costa marina. Ma non poteva esserci il mare laggiù… o si?
A un certo punto, i Cavalli di Fuoco rallentarono, fermandosi sopra un rilievo roccioso, protetto su tre lati da altissimi picchi di granito di forma irregolare, che nascondevano il paesaggio al di là.
“Siamo arrivati” disse Fleunor.
“Dobbiamo scendere?” gli chiese Miriel.
“Ancora no”.
“Signor Fleunor, io non vedo il castello” disse Ombroso.
“Ancora un minuto e lo vedrai”.
Girarono attorno alle pareti rocciose, trovandosi su un’aperta scogliera nera punteggiata da arbusti alti e flosci, che crescevano tra le fenditure della roccia. Sotto di loro, una spiaggia di sabbia pallida accompagnata da un immenso mare nero, le cui acque immobili si estendevano nell’oscurità più totale. E poi, chilometri e chilometri più in là, un cerchio di luce apriva uno squarcio attraverso il telo di tenebra, segnando l’esistenza di una città sovrastata da un immenso palazzo.
Dal punto in cui si trovavano era ancora piuttosto lontano, ma si capiva perfettamente che, una volta arrivati, il Castello delle Tenebre sarebbe loro apparsa come una costruzione aguzza e minacciosa, situata nei più profondi recessi del Mondodisotto.
“Non potremo accompagnarvi direttamente al palazzo” disse Fleunor, mettendo in parole i pensieri di tutti. “Ora, voi scenderete verso la spiaggia e prenderete una barca per giungere alla città .”
“Non venite con noi?” chiese Miriel, delusa. la presenza dei Cavalli di Fuoco era stata rassicurante.
“Abbiamo fatto una promessa, sorella. Non ti abbandoneremo” rispose maestosamente Fleunor. “Anche noi desideriamo liberare i nostri amici che sono stati stregati, e costretti a servire l’odiosa donna che abita il castello. Vi seguiremo lungo questa costa. Se avrai bisogno di noi, arriveremo”.
Fu così che il gruppo dei narniani si separò dai Cavalli di Fuoco. Pozzanghera espresse la sua riluttanza nel portare Lord Erton con loro, preferendo lasciarlo li sulla scogliera, legato a qualche roccia. Uno dei Cavalli si offrì di fargli la guardia. Lord Erton sputacchiò e si dimenò, ma non l’ebbe vinta.
“Dovreste ringraziarci. Se restate qui, la Signora dalla Veste Verde non vi vedrà e non sarete ucciso. Perché è questo che temete, vero?” disse Shira nel suo tipico tono sarcastico, sbatacchiando le ali sulla faccia del Duca prima di librarsi in volo. “Ci penserà il tribunale di Narnia a voi, non vi preoccupate”.
“Vi odio tutti!” furono le ultime parole che udirono da Erton, prima di incamminarsi lungo l’avvallamento che portava alle Spiagge Pallide.
Emeth si guardò alle spalle molte volte, osservando la figura di Alphasia ritta sullo sperone roccioso insieme agli altri Cavalli. Il branco li seguì con lo sguardo per un po’, poi sparirono dietro le pareti della scogliera, nascosti alla vista di chiunque.
Contrariamente, Miriel, Emeth, Pozzanghera, Shira, Ombroso e Shanna si ritrovarono esposti, nemmeno uno scoglio, non un albero a poterli nascondere. La Stella era inquieta, continuava a guardarsi intorno, cercando di ascoltare.
“Ho perso il contatto con Edmund” disse in tono disperato, l’angoscia per la sua sorte che cresceva ad ogni passo.
“Presto saremo da lui” disse Shira, posandosi sulla sua spalla per confortarla, strofinando la testolina piumata contro la guancia della ragazza.
Shanna le fece una carezza affettuosa sulle ali. Tenne la mano su di lei, per trarre maggior forza dal suo corpicino caldo.
Camminarono per lunghi minuti sulle Spiagge Pallide, al buio, la risacca del mare era un lieve scroscio attutito. I loro stessi passi non facevano rumore. Le onde si infrangevano pigre sulla battigia, portando a riva mucchi di alghe verdastre, nere e violacee.
Lentamente, un luce apparve a una distanza indefinita. I narniani tennero gli occhi fissi su quel punto, che per molto tempo restò immobile, sospeso nel nulla simile a una grossa lucciola in attesa. Poi prese finalmente a divenire più grande, e man mano che si avvicinavano capirono che era la luce di una lanterna.
Lentamente, la figura di un molo di apparve nell’oscurità, l’odore di legno marcio penetrò nelle narici. Tre figure indistinte si mossero nel fascio di luce, e quando furono a pochi metri dal molo, i ragazzi videro che erano ovviamente creature del sottosuolo.
Il gruppo dei narniani e gli uomini del Mondodisotto presero a fissarsi reciprocamente.
“Che cosa facciamo, adesso?” bisbigliò Ombroso all’orecchio di Miriel.
Il più minaccioso dei tre individui fece qualche passo verso di loro. Aveva due occhi obliqui e troppo grandi per la sua faccia magra. Quando parlò, esibì due file di denti aguzzi come piccole zanne.
“Molti sono coloro che cadono nel Mondodisotto…” disse, interrompendo la frase con una strana inflessione di tono, come se si aspettasse che qualcuno continuasse.
Nessuno lo fece, perché i narniani non sapevano qual era la parola d’ordine che in quel luogo veniva pronunciata di continuo.
Quando fu chiaro che nessuno avrebbe risposto, il capo dei marinai spalancò i già fin troppo grandi occhi neri. Faceva impressione a vedersi.
Miriel pensò fosse il caso di dire qualcosa. “Vorremmo essere portati alla città sotto il castello”.
L’uomo dai grandi occhi indietreggiò, facendo un cenno con la mano verso il molo, dov’era ormeggiato un enorme barcone di legno nero somigliante a una gondola.
“Prego” disse, invitandoli a salire a bordo.
I due marinai sistemarono altre due lanterne, una a poppa e l’altra a prua dell’imbarcazione, presero i grossi remi e attesero che i narniani si furono sistemati sulle lunghe panche di legno.
“Buon viaggio, stranieri” disse l’uomo dai grandi occhi, sorridendo in modo strano.
La barca si staccò dal molo senza far rumore, iniziando a veleggiare sull’immensità di quelle acque immote.
Emeth cercò di vedere dentro il buio, guardando verso destra, cercando di scorgere anche solo la sagoma della scogliera, o il luccichio delle criniere dei Cavalli di Fuoco. Ma non c’era nulla da vedere, ormai erano troppo lontani dalla riva e da qualsiasi altra cosa viva.
Al di fuori dei due aloni di luce verdastra e spettrale lanciata delle lanterne, l’oscurità completa.  Un’immagine paragonabile a una traversata sul fiume dei morti, con i marinai nella parte di due perfette imitazioni di Caronte in persona, tanto era orribile il loro aspetto: mantelli neri, facce piatte e scarne, occhi infossati.
Navigarono per quelle che parvero ore. In un momento, calò una cappa di buio così intenso da sembrare solido. L’aria si fece gelida, il freddo investì i ragazzi facendoli rabbrividire nonostante fossero ben coperti. Si udiva solo lo sciabordio dei remi fendere l’acqua.  
A un certo punto, l’ombra di una seconda imbarcazione più piccola scivolò entro il fascio di luce, li sorpassò e sparì; dopo qualche tempo, un’altra barca fece lo stesso. Pian piano, la luce aumentò e, là in fondo, di fronte al barcone, apparve una striscia di terra, lucine in lontananza aleggiavano nell’oscurità come fuochi fatui. La luminosità divenne via via più intensa, dando ai narniani la sensazione di riuscire a respirar meglio dopo tutto quel buio.
Decine di barche partivano e attraccavano a un altro molto, molto più grande di quello da dov’erano partiti. C’era gente che si muoveva, voci sommesse, suoni di passi come in marcia, e le mura e torri di un castello somigliante, più a una vera e propria fortezza sbozzata nella roccia viva. Sovrastava minaccioso il tutta la città,  insinuato profondamente nella montagna sotterranea, costruito – come il suo gemello in superficie – sulle rive del mare, arroccato su una sporgenza rocciosa, la cittadella ai suoi piedi. Le torri di forma conica si perdevano in un’oscurità impenetrabile. Il soffitto della caverna non si vedeva. Era come percepire tutto il peso della terra sopra le loro teste, quintali e quintali di pietra che, se fosse crollata, avrebbe distrutto la città fino alle rive opposte del mare senza sole.
Quando la barca si fermò, Miriel e gli altri scesero immediatamente. I marinai li guardarono con strane e indecifrabili espressioni. Nessuno pensò di dire ‘grazie’, quasi sapevano che non avrebbero gradito.
Fecero qualche passo sulla banchina del porto, poi si udì una voce, un comando, e prima che potessero capire cosa stava accadendo, i due marinai si mossero, balzando giù dalla barca per avventarsi su di loro.
Emeth fu pronto ad estrarre la spada, Miriel e Shanna la loro magia, Pozzanghera il suo arco, ma un sibilo bloccò qualsiasi azione da parte loro. Dall’alto vennero gettate grosse reti da pesca, che si aggrovigliarono attorno alle gambe, alle braccia, segnarono la pelle del viso e resero nulla qualsiasi difesa.
Emeth e Pozzanghera imprecarono ad alta voce. Avevano immaginato di imbattersi in qualche guaio, solo non credevano così presto e, soprattutto, non si aspettavano di essere attesi. Qualcuno doveva aver avvisato i sudditi della Signora dalla Veste Verde del loro arrivo.
“Prendente gli uccelli! Prendeteli!” gridò qualcuno.
Ombroso e Shira si erano librati in aria, sfuggiti all’assalto delle reti. Ruotarono nell’aria sopra la piccola folla ammassatasi sul pontile. Braccia si allungavano, mani cercarono di afferrarli, ma nessuno vi riuscì. Il falchetto e il pipistrello, con il cuore in gola, dovettero allontanassi dagli amici, trovare un rifugio e pensare, pensare in fretta, a un modo per aiutarli.

 
 
 
 
 
Cari lettori, come state?
Pensavate che avrei fatto passare ancora due anni per questo aggiornamento, dite la verità? ^^’
No, non sarò più tanto brutta e cattiva. Darei non so cosa per tornare ad aggiornare una volta a settimana come facevo con Queen of my Heart, ma non mi riesce davvero più. Sigh…
Anyway, vi è piaciuto il capitolo? Ho dovuto accorciarlo, perché va bene che non vi lamentate, ma 30 pagine mi sembrava un po’ esagerato. Quindi le ho ridotte a 21.
Spero che abbiate apprezzato la prima parte, anche se è dedicata alla Strega Bianca. Mi piace scrivere sui cattivi, inoltre ci tenevo in modo particolare a ripercorrere la sua storia, non solo per ciò che accadrà a Edmund, ma anche per gettare le basi su un potenziale seguito di Night&Day!!! ;)))  
Commentate, voglio sapere cosa ne pensate degli sviluppi! Quanto mi piace incasinare le vite dei miei personaggi xD

 
Passiamo ai ringraziamenti:
 
Per le preferite: Ai_Ran, Aly_Effe, Aminta, aNightingale15, Annabeth Granger, battle wound, Ben Barnes, BettyPretty1D007flowers, bibliophile, Callidus Gaston, Caspietoli12, CHIARA26, Crice_chan, Dark side of Wonderland, english_dancer, Flemmi, Francy 98, fran_buchanan, Fra_STSF, Friends Forever, Gigiii, Giulia_Dragon, giuls_2000, HarryPotter11, Helena Lily, HikariMoon, JessAndrea, jonas4e, Jordan Jordan, Joy Barnes, Katie_P, LeaSnow, Len IlseWitch, 
littlesary92, LittleWitch_ , LucyPevensie03, lullabi2000, Marbee Fish, MartaKatniss98, Mia Morgenstern , Miao93, NestFreemark, NewHope, Nimrodel_, osculummortis , POTTERINA02, Queen Susan 21, Rhona, Robyn98, Sara_Trilly, saretta_delenaSS, senoritavale, SerenaTheGentle, Starlight13, SuperStreghetta, Susan Lace, susbetty01, Svea, SweetSmile, takeingood, The Core of the Abyss, TheWomanInRed, Undomiel, vio_everdeen, VSRB, WaterAlch, Zouzoufan7,  _Abyss_ ,  _faLL_ ,  _likeacannonball 

 
Per le ricordate: Aminta, Annabeth Granger, anonymously, Ben Barnes, Callidus Gaston, Cecimolli, Gigiii, HaileyB, Halfblood_Slytherin,  JessAndrea,  love_fire_blade,  mishy,  NestFreemark, Queen_Leslie, saretta_delenaSS, Starlight13, Zouzoufan7 
 
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Per le recensioni dello scorso capitolo: Ai_Rain, Aura22_Ire31, cat_princesshp, Giulia_Dragon, Rhona, saracaruso04, saretta_delenaSS, senoritavale
 
Angolino delle Anticipazioni:
Dunque dunque, vediamo come siamo messi: abbiamo una fetta della compagnia di Narnia che è appena stata catturata dagli uomini del Mondodisotto, mentre la seconda fetta è dispersa per la città delle Tenebre in cerca di Edmund, che si trova in balia della sua più acerrima nemica.
Ombroso e Shira si incontreranno con Rilian e Myra, e con un piccolo aiuto, i due bambini potrebbero iniziare a ricordare qualcosa...
La prossima volta sarà ancora notte, quindi avremo di nuovo la nostra Susan in forma umana e Caspian in quella di lupo.
E Lord Erton? Se pensate che se ne stia con le mani in mano, vi sbagliate.

 
 Detto ciò, vi ricordo che se volete conoscere gli aggiornamenti di Night&Day potete iscrivervi al mio gruppo Facebook Chronicles of Queen.
 
Un enorme grazie a tutti!!!
Susan ♥

 
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