Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: badheadache    06/10/2017    3 recensioni
Draco semplicemente pensava che a Potter piacesse la loro competizione, e anche lui la trovava divertente e soddisfacente, anche se ogni volta arrivavano ad insultarsi le famiglie. Era qualcosa simile a una certezza. Peccato che quest'anno Draco avesse altro da fare rispetto a insultare Potter. Gli sarebbe mancato, sicuramente.
Mentre percorreva il corridoio del treno, pensò a come sarebbe stato se lui e Potter fossero diventati amici. Draco l'avrebbe consegnato al Signore Oscuro? Era una bella domanda. Probabilmente, se Potter non fosse così odioso, non l'avrebbe fatto. Ma era odioso, quindi Draco poteva anche non avere alcun rimorso, se avesse dovuto consegnarlo.
Forse.
(Warning: Slytherin Harry)
Genere: Dark, Erotico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Draco Malfoy, Harry Potter | Coppie: Draco/Harry
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da VI libro alternativo
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Hateful

Prorogo
 
Il cappello parlante era vecchio, tutto rattoppato, consunto e pieno di macchie. Eppure, fu uno dei tanti miracoli – l’ultimo, per precisione – dei quattro padri fondatori della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts. Era uno strumento totalmente unico nel suo genere: dotato di grande potenza magica, era abile a praticare Legimanzia su ogni persona che lo indossava.
Una qualità non comune per un semplice cappello; i padri fondatori avevano assolutamente compiuto un sublime lavoro.
Il cappello visse tutte le epoche all’interno del castello, ascoltando dall’alto della mensola all’interno dell’ufficio del preside le varie voci che giungevano. Così, passava ogni anno a comporre poesie e filastrocche da cantare agli studenti all’inizio dell’anno scolastico, aggiungendo, oltre alla variegata descrizione delle quattro case della scuola, anche un piccolo fondo morale. Non che lo ritenesse molto importante: il suo compito era un altro.

In quei tempi, però, decise controvoglia che il fondo morale era quasi più importante della descrizione delle case: sentiva attorno solo odio pungente, e tutte altre emozioni e pensieri negativi. Inoltre, le voci all’interno dello studio del preside in carica, Albus Silente, si erano fatte unicamente cupe e tristi.
Quando il preside introdusse nell’ufficio un oggetto di enorme potenza negativa, qualcosa che in qualche modo, pur essendo un oggetto come lui, aveva dei pensieri, il cappello si decise di aiutare nel suo piccolo con una canzone più significativa di tutte le altre che aveva composto, sperando potesse cambiare qualcosa.

*

Harry odiava.
Dopo la battaglia al Ministero sentiva che niente era più come prima: la morte di Sirius gli aveva lasciato in bocca un sapore arido, e ora si trovava a vagare nel deserto. Forse era stata la prima maledizione senza perdono scagliata a Bellatrix, assassina del suo padrino, nonché cugina dello stesso. Harry sapeva che aveva mentito nel dirgli che non l’aveva scagliata in modo decente perché l’aveva sentita urlare e vista cadere a terra. Harry avrebbe solo voluto che cadesse a terra senza muoversi più.
Ora era davvero solo.

Considerava i suoi amici una famiglia, ma non con il trasporto con cui considerava Sirius la sua famiglia. Inoltre, ultimamente si era convinto del fatto che non ne avrebbe mai avuta una.
La profezia era stata chiara: “nessuno dei due può vivere se l’altro sopravvive”. Seppur non si fidasse della Cooman, sapeva che a volte le profezie le faceva davvero, come durante il suo terzo anno. Quindi, alla resa dei conti, Harry sarebbe morto.
Senza famiglia. Si muore soli.

Erano questi i pensieri che accompagnavano il ragazzo durante l’estate. Profondamente deluso dal comportamento di Silente e addolorato per la morte di Sirius, Harry si trascinava all’interno del caldo afoso che attanagliava il quartiere di Privet Drive.
Era talmente circondato da un’aura scura che anche i Dursley gli stavano lontani. Dudley era terribilmente spaventato da lui –seppur Harry gli avesse salvato la vita – a causa del suo incontro ravvicinato coi Dissennatori. Petunia e Vernon avevano cercato di schiavizzarlo come un tempo, ma lui non aveva più tredici anni, e inoltre ora sapeva perché ogni estate era costretto a rinchiudersi in quell’odiata dimora: incanto Fidelius. Avrebbe avuto sopportare tutto questo per altri due anni, per avere protezione contro Voldemort. E gli zii erano costretti a tenerlo, o lui utilizzava Silente per minacciarli. Niente di più semplice: visse la prima estate tranquilla della sua vita.
Faceva i compiti, rispondeva alle lettere di Ron ed Hermione, e a volte si sentiva con Neville. Aveva scoperto che il ragazzo e lui stesso potevano avere lo stesso destino, ma scambiato: era stata una semplice decisione di Voldemort a decretare la loro vita.
Il Signore Oscuro aveva deciso di andare prima a punire i Potter. E ora, sulla prima pagina della Gazzetta del Profeta c’era scritto il suo cognome, non quello di Neville.

Non si riteneva né fortunato né sfortunato: era andata così, punto. Neville sarebbe cresciuto, avrebbe sposato qualche ragazza con cui andava a scuola e sarebbe andato avanti. Lui no. Lui avrebbe finito la sua esistenza, la sua storia, assieme a colui con cui aveva incominciato, e ciò doveva accadere il più presto possibile.
Si sedette sulla scrivania, a guardare fuori dalla finestra la viettina tranquilla. Improvvisamente, un lampione si spense e una figura argentea emerse nell’ombra.
Finalmente, Silente era arrivato a prenderlo.

*

Entrò nel primo scompartimento vuoto seguito a ruota da Ron, Hermione, Neville e Ginny. In poco tempo si aggiunse anche Luna, mentre i due suoi amici andavano nel vagone dei prefetti.
“Quest’anno farai ancora le lezioni dell’ES, Harry?” Chiese Luna sognante.
“Non serve adesso che ci siamo liberati della Umbridge, no?” rispose, abbassando lo sguardo e sedendosi.
“Ma a me piacevano Harry! Ho imparato un sacco di cose lì, più di quante ne abbia imparate con il vero corso di Difesa Contro le Arti Oscure”. Ribatté Neville.
“Si ragazzi, ma credo che ora ci sarà la scuola a insegnare a difenderci, ora che tutti sanno che è tornato Voldemort”. Neville rabbrividì, mentre nel corridoio fuori si formava una piccola folla.

Improvvisamente, la porta dello scompartimento si aprì, rivelando Romilda Vane, una ragazza Grifondoro che Harry aveva sempre malamente sopportato: “Ciao Harry, perché non vieni nel nostro scompartimento? Non sei obbligato a stare con loro”. Indicò Neville e Luna che cercava i suoi Gorgosprizzi, sognante.
“Si dà il caso che loro siano miei amici”. Ribatté, gelido. Sentì l’odio che portava dentro acuirsi.
“Oh, okay”. Chiuse la porta, mentre la folla svaniva.
Harry continuò a guardare storto verso il punto in cui si era posizionata. Tra le ragazze, scorse Draco Malfoy si faceva largo coi gomiti per raggiungere il vagone dei prefetti. Harry assottigliò lo sguardo, sperando si accorgesse dell’odio che provava.
Malfoy non si voltò e proseguì per la sua strada.
“Ora sei una celebrità Harry, la gente ti chiama il prescelto”. Disse Neville.
“Non me lo ricordare Neville, per favore”. Abbassò gli occhi, sperando che la tristezza che stava prendendo sopravvento sull’odio non si notasse.
“Ci dispiace tanto per quello che è successo, Harry. Se vuoi qualcuno che ti liberi la testa dai Gorgosprizzi – e ne hai molti, te lo assicuro – io e Neville siamo qui”.
Harry soffocò un sorriso, ringraziando Luna. Era affascinante come Luna riuscisse a farsi capire così bene pur utilizzando un linguaggio tutto suo.

Dopo un po’ – Harry non seppe identificare quanto – rientrarono Ron ed Hermione dalla riunione dei prefetti. Hermione aveva il viso leggermente rosso, mentre Ron raccontava cosa era accaduto.
“Lei e Ginny hanno scagliato delle maledizioni Orcovolanti perfette su Tiger e Goyle! Dovevate vederle, non ho mai riso così tanto in vita mia!”
Hermione arrossì ancora: “Su Ron, se le meritavano, volevano spiare la riunione dei prefetti!”
“Poi è arrivato un professore a sorprenderle, e invece di punirle, ha fatto i complimenti ad entrambe! Credo di amarlo”. Ron si sedette, calmandosi e guardando con occhi sognanti il soffitto dello scompartimento. Hermione riprese a raccontare: “Sì, ci ha chiesto i nostri nomi e dice che ti conosce, Harry”.

Harry riprese immediatamente il filo del discorso. Stava ancora pensando al perché Tiger e Goyle dovessero origliare la riunione. Non avevano Malfoy a raccontargli tutto? O forse si era scelto altri scagnozzi?
“Si, uhm, l’ho conosciuto assieme a Silente quest’estate. Si chiama Lumacorno”.
Continuava a guardare verso il corridoio del treno. Se Malfoy e i suoi scagnozzi dovevano tornare al loro vagone, sarebbero passati di lì, esattamente come aveva fatto prima il biondo. Perché non arrivavano?
Improvvisamente, prese una decisione. Controllò di avere in tasca la bacchetta, prese il piccolo zaino che si portava sempre dietro durante il viaggio in treno (con all’interno Mappa del Malandrino e Mantello dell’Invisibilità – Gazza non avrebbe mai dovuto trovarli) e uscì, dicendo ai suoi compagni che andava a prendere una boccata d’aria. Appena uscito, corse verso i bagni e lì si mise il Mantello.
Ora poteva girare indisturbato.

Andò fino all’inizio del treno, trovando i tre nel primo vagone in assoluto. Malfoy da una parte, Tiger e Goyle dall’altra. I due sembravano terrorizzati, mentre il pallido ragazzo parlava, quasi desse degli ordini. Harry non perse tempo e cercò in qualche modo di infilare un’orecchia oblunga all’interno dello scompartimento, senza riuscirci. Nel mentre, Malfoy aveva quasi finito di parlare, e stava indicando il suo avambraccio sinistro.
Oh no.

Harry gelò. Non potevano aver messo il Marchio a un ragazzo di sedici anni. Non. Potevano. Sperò in qualche modo di sbagliarsi. Di credere che Malfoy si grattasse, o che Tiger e Goyle non fossero terrorizzati, ma che quella fosse solo la loro espressione naturale. Ovviamente non ci riuscì, e lasciò lo scompartimento solo dopo aver atteso che se ne andassero anche loro.

*

Il Cappello Parlante fu preso da una mano vecchia e rugosa, ma solida. Sapeva che era il momento, e sarebbe entrato in scena, come avrebbe sempre fatto. Dopo un tempo interminabile, venne poggiato su uno sgabello ruvido e scomodo. Attese quindi che gli altri ragazzi si sedettero ai tavoli, scandagliando tutta la sala con la Legimanzia. Non notò niente di insolito, a parte i pensieri più cupi del previsto. Si riscosse, spaventando gli studenti delle tavolate più vicini a lui.
Finalmente, sentì nuovi pensieri entrare nella sala: era giunto il suo momento, e cantò la sua filastrocca più forte e con più passione. Dopo aver ricevuto uno scroscio di applausi, finì il suo lavoro.

Improvvisamente, mentre stava per smistare un ragazzino il cui cognome iniziava con la T, si bloccò.
In sala era entrato qualcuno. O qualcosa. Sentì non una, ma due voci.
Una delle due non credeva di averla mai sentita, era solo il ricordo di un’altra voce. L’altra, però, l’aveva sentita una, due, tre volte.

L’aveva sentita quando ancora era acerba, ma lui aveva capito subito che avrebbe portato a grandi imprese, terribili, sì, ma grandi.
L’aveva sentita flebile, senza riconoscerla, dentro un altro.
L’aveva sentita quest’estate, oscura e confusa, dentro all’oggetto che sapeva pensare portato all’interno dello studio del preside.

Per la prima volta, si sentì quasi andare a fuoco. Il bambino sotto di lui si tolse velocemente gridando, davanti a una sbigottita professoressa McGranitt. In quel momento, il silenzio scese nella Sala Grande, e il cappello lo percepì poiché tutti i pensieri erano silenziosamente rivolti a lui.
Ma il cappello aveva attenzioni solo per colui che possedeva due voci.

“HARRY POTTER!”

*

Harry arrivò in Sala Grande trafelato. Aveva incontrato Tonks, che controllava i bagagli assieme a Gazza: il ragazzo le aveva fatto un po’ di compagnia, saltando tutto lo smistamento.
Anche lei non se la passava bene dopo la morte di Sirius: i capelli erano grigi,  e sembrava aver perso le sue abilità di Metamorfmagus. Harry non era convinto potesse ancora evocare un Patronus, quando Piton glielo chiese – ordinò. Infine, Harry era stato scortato dal professore fino alla Sala Grande, per assicurarsi non si imbattesse in altre distrazioni. Aveva già tolto punti alla sua casa: Harry ritornò ad odiare.

Entrò, cercando di fare meno rumore possibile. Aveva appena individuato Ron ed Hermione, ma la Sala era calata in un silenzio di tomba. Improvvisamente, un bambino urlò e si tolse di dosso il Cappello, che poi chiamò il suo nome.
Harry si trovò al centro dell’attenzione, un’altra volta.
Si sentì come due anni prima, quando dal Calice di Fuoco era spuntato un biglietto in più con su scritto il suo nome. Colpevole di qualcosa che non aveva commesso, imbarazzato, confuso. Realizzò, nel suo disorientamento, che in questo caso si trattava del Cappello Parlante. Non poteva essere Confuso, un oggetto del genere. E nemmeno essere sotto maledizione Imperius, in quanto oggetto. Harry non capiva.

“TOM RIDDLE!”
Sobbalzò. Il Cappello aveva fatto risuonare tutta Hogwarts con lui, come se la scuola fosse d’accordo a chiamare Harry al suo cospetto.
Peccato non avesse chiamato Harry. Solo in pochi sapevano che quello era il vero nome di Lord Voldemort, e ora Harry sentì il panico crescere dentro lui. Scoccò un’occhiata alla McGranitt, che ricambiò con uno sguardo spaventato. Guardò Silente, che dai suoi occhiali a mezzaluna lo guardava preoccupato, ma in qualche modo non sorpreso come tutte le altre persone presenti.
Deglutì e si fece strada tra i primini lentamente. Il Cappello lo aspettava immobile.
“Uhm, sì?” Chiese, guardando Silente. Il preside osservava assorbito il Cappello.
“Mettimi in testa. Subito”.

Harry aspettò l’occhiata di Silente per farlo. Sapeva che se fosse stato con lui, sarebbe stato al sicuro. In qualsiasi caso.
Decise quindi di sedersi titubante su quello sgabello consunto. La McGranitt gli pose il Cappello con mani tremanti sulla testa. Questo prese a dimenarsi, mentre era a contatto con la professoressa, ma quando toccò la testa di Harry diventò improvvisamente calmo, quasi inanimato.
Appena Harry sentì il Cappello in testa, la cicatrice iniziò a dolergli, a bruciare. Sentiva che Voldemort non era né arrabbiato né felice, né voleva comunicargli qualcosa. Era quasi come se il Cappello stesso lo stesse chiamando al suo cospetto.
Harry, nel suo dolore, sentì la vocetta sussurrargli di fianco all’orecchio.

“Così ci rincontriamo, e dico a tutti e due. Siete cambiati, avete commesso e assistito a tanti, troppi orrori. Ormai non riesco quasi a distinguere l’uno dall’altro. E neanche immaginavo nell’angolo più remoto delle mie stoffe, di dover assistere a leggere due anime contemporaneamente. Siete degli oscuri, grandi, terribili maghi. Quasi dei mostri”.
Harry cercò di comunicare col cappello, come aveva fatto durante il primo anno. Lo invocò ad alta voce, fregandosene del resto delle persone, gemendo di tanto in tanto per il dolore alla cicatrice, cadendo dallo sgabello. Gli diceva che non era la verità, che non era lui così. Voldemort era così. A lui erano capitate solo tante cose brutte.

Dopo un’eternità in silenzio, il Cappello decise di rispondergli.
“Ragazzo, ti sento. Sei assieme e fuso a lui. Non sei uguale, lo sento, non lo saresti mai. Ma per colpa sua hai imparato ad odiare. E certe cose cambiano le persone dall’interno. E’ successo anche a te ragazzo, infatti te l’ho sempre detto che troverai la grandezza sulla via di…”
“SERPEVERDE!”
Harry crollò a terra, svenuto, sentendo la risata di Voldemort risuonare in lontananza.

*

Rinvenne nello studio del preside, capendolo senza neanche aprire gli occhi. La stanza aveva un odore totalmente diverso da tutto il castello, come se fosse in qualche modo schermata da tutto ciò che avveniva fuori. Harry lo definiva quasi un odore di sapienza, di calma interiore.
Peccato che la sensazione svanì quasi subito. Harry rinvenne gemendo, mentre si rendeva conto di essere su un piccolo divanetto probabilmente evocato apposta per lui.

“Non così in fretta, ragazzo!”
Silente lo scrutava dalla sua scrivania. Si alzò lentamente, avvicinandosi a lui, evocando un piccolo sgabello e sedendocisi senza far rumore.
“Caramella, Harry? Non mi porto sempre dietro il cioccolato, come il professor Lupin, ma direi che possano andare bene comunque…”
Harry accettò, senza dire una parola. La caramella gli morsicò il dito e lui gemette, contrariato. Ora aveva decisamente recuperato la lucidità.
“Cosa è successo?” Chiese.
“Dovresti dirmelo tu, ragazzo. Sei l’unico che ha sentito cosa ti ha detto il Cappello. A me lui non vuole dire niente”. Indicò il Cappello, che si riscosse per poi ritornare immobile, come al solito.
“Io… Non lo so, appena l’ho messo ha iniziato a farmi male la cicatrice, ma non perché Voldemort provasse qualcosa tanto forte da farmela vedere. E’ stato come se il Cappello volesse chiamarlo al suo cospetto. Per far sentire anche lui cosa aveva da dirci”.
“Quindi anche Tom ha sentito tutto”.
“Sì, credo di sì. Quando ho perso i sensi, ho sentito la sua risata”. Harry rabbrividì, pensando a quanto odiasse quella voce.
“Il Cappello ha detto che sente la sua voce dentro di me. Che siamo fusi assieme, che abbiamo fatto terribili cose. Ma poi mi ha riconosciuto, ha detto che sono cambiato a causa sua, e che troverò la via della grandezza a Serpeverde”.
Il preside lo osservava sopra i suoi occhiali a forma di mezzaluna pensieroso. Fece un sospiro e si grattò la barba, come se fosse infastidito da qualcosa.

“Vedi Harry, io sospettavo che il vostro legame fosse qualcosa di più che una semplice cicatrice, ma non posso esserne certo, non ancora. Si tratta di magia oscura, molto oscura, capace di farti sopravvivere anche a morte certa. Quello che sappiamo ora è che, da ciò che ha percepito il Cappello, una parte di Voldemort è dentro te. Forse è per questo motivo che sai parlare il Serpentese, Harry. Lui è dentro di te, ed è una presenza troppo grande per essere ignorata. Non si era mai sentito parlare di due anime in uno stesso corpo”.
Harry raggelò. Ora ne aveva un’ulteriore conferma. Aveva voglia di strapparsi il petto e tirare dentro il marciume che si sentiva.
“Harry, vorrei ci vedessimo spesso. Devi essere istruito su ciò che era ed è Tom, per capire come sconfiggerlo definitivamente. E soprattutto, uscirne vincitore”. Silente gli fece l’occhiolino. Improvvisamente, Harry dimenticò il marciume.
“Comunque, abbiamo un’altra questione importante da risolvere, mio caro ragazzo. Si dà il caso che l’intera sala, oltre averti sentito urlare per il dolore alla cicatrice, abbia sentito il Cappello Parlante… smistarti a Serpeverde”.
Harry ritornò a rabbrividire. “Professore, non vorrà mandarmi lì davvero? Insomma, chi ha mai cambiato Casa durante i suoi sette anni trascorsi ad Hogwarts?”
“Per quello che so io, Harry, nessuno. Ma farò delle ricerche a riguardo. Per ora, visto che il Cappello Parlante è un’autorità più alta della mia, non posso fare altro che essere costretto a mandarti a Serpeverde”.
“Ma lì è pieno di figli di Mangiamorte, professore! Mi uccideranno appena inizierò a dormire!”
Harry sbraitava, come aveva fatto esattamente tre mesi prima sempre in quell’ufficio.
“Lo so Harry, infatti sono riuscito a ottenere dalla scuola stessa – Harry non si immaginò neanche come Silente riuscisse a parlare con la scuola – una tua ultima notte al dormitorio Grifondoro. Il giorno dopo farai effettivamente parte della casata di Serpeverde, e provvederò personalmente  a disporre incantesimi difensivi sul tuo letto. Nessuno potrà toccarti mentre dormi o rubare le tue cose, o verrò personalmente informato. Spero ti basti”.

Harry annuì lentamente, sapendo che la conversazione era chiusa. Si avviò verso l’uscita, mentre Silente lo congedava: “Harry, ragazzo, confido che in qualche modo tu possa cogliere l’occasione per salvarli, se capisci che intendo”.
Gli fece l’occhiolino, ed Harry uscì mestamente dallo studio, non soffermandosi sulle ultime enigmatiche parole del preside.
 
  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: badheadache