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Autore: Exi    06/10/2017    1 recensioni
"Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo orologio da taschino. Era un orologio a cipolla d'oro, unico oggetto di suo padre che avesse mai avuto. Controllò l'ora: mezzanotte e mezza, perfettamente in orario."
Genere: Azione, Dark, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
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Broken Clock
 

 
Rallentò il passo guardando l'orologio: quasi mezzanotte. 
Molte persone a quell'ora erano già andate a dormire o lo stavano per fare, per lui, invece, la giornata era appena cominciata; un po' come il quartiere dove si trovava in quel momento, che di notte sembrava animarsi di una vita che poteva essere solo intravista durante il giorno.
Alzò lo sguardo verso il cielo che appariva come un semplice sfondo nero per le innumerevoli insegne al neon, presenti in tutta la città. 
Trovava incredibilmente divertente come, ormai, anche le stelle erano diventate meno importanti della pubblicità, venendo completamente oscurate da essa. La fonte di ispirazione per le più grandi opere umane era stata usurpata dalla maggiore esponente del consumismo. Ridacchiò a questo pensiero. Era davvero una società stupida quella in cui viveva.
L'aria sapeva di terra bagnata, come se avesse appena smesso di piovere, anche se in quei giorni il cielo non aveva visto neanche l'ombra di una nuvola.
Sorrise. A quanto pare il suo subconscio non la smetteva di influenzarlo neanche dopo anni di allenamento per tenerlo sotto controllo. Per lui, comunque​, non era più un problema, anzi, era uno stimolo per rimanere concentrato su quello che doveva fare.
Guardandosi attorno notò parecchie persone che lo osservavano, probabilmente per come era vestito: una camicia bianca, la cravatta nera, come i pantaloni, scarpe eleganti, guanti di pelle, anch'essi neri, e un lungo cappotto scuro appoggiato sulle spalle. Decisamente non il tipo di abbigliamento che si vedeva di notte in un quartiere come quello. 
Di persone vestite così bene, in un posto del genere, se ne potevano trovare solo di due tipi: uomini poco raccomandabili e uomini che andavano a chiedere favori a quelli poco raccomandabili. Contando il suo passo sicuro e il suo atteggiamento disinvolto non apparteneva di certo alla seconda categoria.
Lui era uno dei giustizieri della mafia; era lui ad occuparsi del lavoro sporco. Se qualcuno non rispettava gli accordi chiamavano lui per sistemarlo. Non faceva parte delle classiche gerarchie, non faceva parte di una squadra; rispondeva del suo operato solo al boss ed solamente da lui prendeva ordini. Questo era esattamente il motivo per cui si trovava lì quella notte: un'altra organizzazione aveva sgarrato e lui doveva porvi rimedio.
Ormai era arrivato alla sua destinazione: un vecchio palazzo dall'architettura elaborata, situato nell'unica via residenziale del quartiere, l'unica che di notte rimaneva deserta, fatta eccezione per qualche passante che voleva sottrarsi al rumore delle strade principali. Una posizione così isolata era decisamente comoda per lui, contando quello che stava per fare. Entro poche ore quel palazzo sarebbe passato sotto il controllo della mafia.
In quel momento gli si presentò una scelta difficile: fare il lavoro nel minor tempo possibile, mirando direttamente al capo, oppure prendersela comoda occupandosi prima di tutti i pesci piccoli. Pensò che era quasi un anno che non gli capitava di dover distruggere un'intera organizzazione e poi, se fosse partito dal capo, avrebbe scatenato il panico nei subordinati, rischiando che qualcuno fuggisse. Era decisamente meglio andare con calma e fare un lavoro pulito, godendoselo un po'.
Tirò fuori dalla tasca dei pantaloni il suo orologio da taschino. Era un orologio a cipolla d'oro, unico oggetto di suo padre che avesse mai avuto. Controllò l'ora: mezzanotte e mezza, perfettamente in orario.
Si incamminò verso la porta con passo lento. L'avevano già visto di sicuro, ma non importava. Nessuno sarebbe uscito vivo da lì quella notte.
Diede un calcio alla porta d'ingresso spalancandola. Non fece in tempo a mettere piede nel palazzo che una scarica di proiettili lo attraversò, lui rimase immobile, con un sorriso sornione, e aspettò tranquillamente che quei teppistelli finissero le munizioni. Una volta terminati i colpi gli uomini lo guardarono esterrefatti e uno di loro sussurrò:
«Il demone con gli occhi rossi».
Lo avevano riconosciuto, allora non aveva più senso trattenersi. La seconda scarica di proiettili arrivò subito dopo, ma lui li fermò a mezz'aria, rimandandoli ai legittimi proprietari, che si accasciarono a terra senza più mostrare alcun segno di vita. Si avvicinò lentamente, prendendosi il suo tempo per controllare che fossero tutti morti. Una volta finito prese a controllare il resto del piano.  Stava voltando un angolo, quando una mazza da baseball lo attraversò dall'alto verso il basso. Si girò verso il suo aggressore e facendo tornare concreta la sua mano, lo prese per il collo e lo inchiodò al muro senza il minimo sforzo, nonostante il suo avversario fosse molto più grosso di lui. L'uomo cercò inutilmente di divincolarsi, in cerca di aria, che non arrivò mai. Al suo posto si ritrovò in bocca una pistola; non fece in tempo a rendersene conto che il grilletto venne premuto, imbrattando la parete dietro la sua testa. 
Lo sparo venne seguito da un rumore di passi frenetici che scendevano le scale. Ridacchiò. Altra carne da macello. 
Si incamminò verso quel suono ritrovandosi davanti un'altra schiera di uomini armati. Anche questi provarono a sparargli, senza successo; l'unica cosa che fece fu pestare un piede sul pavimento. Al suo comando dal parquet spuntarono delle stalagmiti bianche e affilate, che trafissero gli uomini sul posto. Le formazioni rocciose si tinsero di rosso prima di ritirarsi, lasciando la stanza esattamente come l'avevano trovata, come se nulla fosse accaduto; la sola testimonianza erano i corpi accasciati a terra scomposti.
Finì di controllare il piano, per passare poi ai successivi, distruggendo chiunque gli sbarrasse la strada. 
Arrivò all'ultimo piano dell'edificio, dove si trovò davanti ad una porta più imponente delle altre. Il capo di quell'organizzazione aveva decisamente delle tendenze di megalomania. Tendenze sottolineate dalla presenza di un’unica persona di guardia alla porta, la sua guardia del corpo; chi avrebbe mai tenuto a proteggerlo una singola guardia, invece che una squadra di uomini addestrati, se non una persona che si credeva intoccabile. Gli sembrava quasi di essere finito in un videogioco.
Il ragazzo davanti a lui lo stava osservando, aspettava fosse lui a fare la prima mossa. Si era informato su di lui: 24 anni, cresciuto in strada, aveva fatto parte di diverse gang prima di essere assoldato dall'uomo dall'altra parte della porta, poteva controllare e creare il ghiaccio, unico uomo dell'organizzazione dotato di poteri. Sarebbe potuto diventare un ottimo membro della mafia, peccato che non potevano esserci superstiti.
Si studiarono ancora per qualche secondo, prima che il ragazzo innalzasse una barriera di ghiaccio tra di loro. Una scelta furba, se non fosse che aveva a che fare con lui. Attraversò la parete senza difficoltà, venendo subito investito da una raffica di vento freddo dalla potenza impressionante e pezzi di giacchio che miravano direttamente a lui; rischiò quasi di perdere il cappotto, ma mantenne la concentrazione e si diresse verso la causa di quel trambusto senza la minima difficoltà. Il ragazzo, vedendolo avanzare, perse la sua espressione stoica, che venne sostituita da una piena di terrore. Provò a raggiungere la pistola nella fondina dietro la schiena, ma il demone dagli occhi rossi fu più veloce. Gli afferrò il braccio e lo tirò verso di sé assestandogli un pugno nello stomaco, facendolo cadere in ginocchio, a cui seguì una gomitata sul naso, abbastanza forte perché l'osso si spezzasse e rientrasse nel cranio. Lasciò cadere a terra quel corpo senza vita. Decisamente uno spreco di potenziale. 
Spalancò la porta della stanza e cercò il suo obiettivo principale con lo sguardo. Lo trovò rannicchiato il più lontano possibile dalla porta con il volto contorto dalla paura, chiedendo pietà. Andò verso di lui con passo tranquillo. In fondo non sarebbe fuggito da nessuna parte.
Quando fu a pochi passi da lui estrasse la sua pistola e la puntò alla testa dell'uomo che piagnucolava ai suoi piedi. Questo se ne accorse e cominciò a piangere più forte urlando:
«Ti prego non uccidermi! Di al tuo capo che da ora in poi seguirò sempre gli ordini, non li ignorerò più! Farò di tutto per farmi perdonare, ma per favore risparmiami!»
Guardò quell'uomo negli occhi e sorrise, adorava quelle sceneggiate, mostravano tutta la viltà degli esseri umani. Erano la loro ultima speranza di rimanere attaccati alla vita. Come se avessero potuto convincerlo di risparmiarli.
«Se davvero ci tenevi tanto alla vita, ci avresti pensato prima e il boss non sarebbe dovuto arrivare a questo, non credi?» disse e premette il grilletto.
Vide gli occhi dell'uomo dilatarsi, prima di diventare vitrei mentre il corpo cadeva a terra. Guardò la pozza di sangue allargarsi sotto il cadavere, soddisfatto per la missione appena portata a termine con successo. Il capo era morto, come tutti i suoi scagnozzi. Nessun superstite.
Controllò di nuovo il suo orologio: segnava ormai le tre di notte. Era arrivato il momento di svegliarsi.
 
 
 
Izaiah aprì gli occhi ritrovandosi nel suo letto, completamente fradicio di sudore. Usare la sua abilità lo affaticava parecchio. Guardò la sveglia sul comodino: le cinque. Si alzò dal letto e prese il cellulare per fare rapporto del lavoro appena svolto. Mentre aspettava che rispondessero si accese una sigaretta e si avvicinò alla finestra del suo appartamento, da cui si godeva di una splendida vista della città. Dopo qualche squillo una voce familiare gli rispose.
«Izaiah, spero tu abbia buone notizie».
La voce del suo ex-mentore, nonché braccio destro del boss, lo salutò dall'altro capo del telefono, a quanto pare in attesa dei risultati.
«È andato tutto bene» rispose «nessun superstite. Dovresti inviare qualcuno a pulire. Non ho lasciato il palazzo in ottime condizioni».
«Immaginavo. Mi sono già occupato di tutto».
«Bene».
Ovvio che se ne fosse già occupato, sapeva esattamente con chi aveva a che fare, non a caso era stato proprio lui ad addestrarlo.
«Certo che sei cresciuto da quando sei entrato a far parte della famiglia».
«Beh, sono passati tredici anni, ci mancherebbe altro».
«Mi ricordo ancora la prima volta che ti avevano assegnato un incarico, eri spaventato a morte» ridacchiò «e per di più non avevi la minima idea di come controllare il tuo potere».
«Che cos'è questo attacco nostalgico così all'improvviso, ti manca deviare ragazzini innocenti per caso?»
Un’altra risata.
«Mi è sempre piaciuto il tuo carattere. Ora devo lasciarti, ho un paio di cose da sistemare e tu dovrai riposarti prima della riunione».
«Ok. A più tardi».
«Buon riposo» e chiuse la telefonata.
Izaiah infilò il cellulare nella tasca dei pantaloni. Quell'uomo era davvero strano.
Mancavano sette ore all'incontro. Forse gli avrebbero assegnato qualche altro incarico interessante, dove poteva dare libero sfogo alla sua abilità. Adorava usarla. Non aveva nessuna restrizione, doveva solo stare attento a non perdere contatto con la realtà.
Prese l'orologio dalla tasca e lo aprì. Segnava mezzanotte. Alzò lo sguardo verso il sole che cominciava a sorgere sulla città. Adorava il suo lavoro. Il suo subconscio non aveva preso il sopravvento, l'orologio era bloccato sulla mezzanotte, era rotto. Poteva dire che andava tutto bene.
 

 
   
 
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