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Autore: Jade_Wintermoon    06/10/2017    2 recensioni
Mi chinai su di lei e la baciai. La baciai con la stessa avidità con cui un quindicenne bacia la sua prima ragazza, la strinsi tra le mani rovesciando il vino sul finto parquet del pavimento.
Volevo assaporare ogni centimetro di lei, della sua pelle, del suo profumo.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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C’era qualcosa di estremamente sbagliato nella scena che avevo davanti agli occhi.
Anna, la piccola, dolce, tranquilla Anna, la madre delle mie figlie, la donna pacata che non perdeva la pazienza neanche nel traffico dell’ora di punta, impugnava una pistola.
Aveva il volto solcato da righe scure di mascara, gli occhi azzurri velati dalle lacrime.
Le braccia tremavano dallo sforzo, dall’adrenalina che le scorreva nel sangue, ma le mani stringevano sicure l’arma grigia e nera, puntata contro Meredith.
Meredith, in piedi dietro la mia scrivania, la camicetta aperta sul petto e i capelli arruffati.
Meredith, che non si muoveva, lo sguardo fisso sulla canna che avrebbe potuto portarle via la vita.
Meredith, che in tutto quel casino non aveva alcuna responsabilità.
Non era stata lei ad iniziare la nostra storia clandestina. Non era stata lei a sedurmi, non era stata lei a convincermi a portarla a letto, non era stata lei ad entrare nel mio ufficio poche ore prima di sua spontanea iniziativa.
Era colpa mia, era sempre stata colpa mia.
Ero stato io a provocarla, io baciarla e a toccarla, io a chiamarla nel mio ufficio dopo l’orario di chiusura.
Eppure Anna non puntava l’arma verso di me.
Lei voleva eliminare una rivale senza neanche prendere in considerazione che la responsabilità fosse solo mia.
Muoveva le labbra ma non riuscivo a sentire cosa stava dicendo.
Nella mia mente passavano le immagini, i ricordi, degli eventi che ci avevano portato a quello stallo.
 
Iniziò tutto qualche mese prima, forse sei o otto, non ho mai prestato attenzione a questo genere di cose. Notai Meredith passare davanti alla parete a vetri del mio ufficio, a metà strada tra la sua scrivania e la sala fotocopie. Camminava davanti alla mia porta senza degnarmi di uno sguardo, i capelli scuri le coprivano il viso come la tenda di un sipario e ondeggiavano ad ogni suo passo.
Mai uno sguardo dalla mia parte, neanche di soppiatto, mai un cenno o un sorriso.
Chiunque passasse lungo quel corridoio lanciava un’occhiata nella mia direzione, anche solo per sbirciare il temibile capo responsabile della produzione. Lei invece non lo faceva e mi incuriosiva parecchio.
All’inizio non sapevo come si chiamasse, dovetti scorrere tutte le schede delle risorse umane per trovarla.
Del resto, non potevo certo chiedere il nome di un’impiegata qualsiasi, le chiacchiere sarebbero state alle stelle. Cercai la sua scheda negli archivi e scoprii che era stata assunta non molto tempo prima e aveva già portato risultati brillanti. Avevo bisogno di una scusa per parlarle, per conoscerla.
Non sapevo neanche io cosa mi stesse succedendo, mi sentivo un ragazzino al primo amore.
Creai un concorso interno su misura per lei, per essere sicuro che avesse vinto. Non rimasi deluso, il primo posto fu il suo. Celebrazioni con i colleghi, un piccolo premio produzione  e poi la convocazione nel mio ufficio. Instaurammo un legame prettamente professionale. Cercai di provocarla ma lei non cedette. Vedevo una piccola scintilla nei suoi occhi, la vedevo domandarsi cosa sarebbe successo se si fosse lasciata andare, poi fissava la fede al mio dito e la luce si spegneva. Tutto nel mio ufficio gridava la mia felice vita matrimoniale. Le foto delle bimbe alle pareti, quella del matrimonio sulla scrivania accanto alla tazza “I love dad!” che Ashley e Beverly mi avevano regalato per la festa del papà, i loro disegni appesi su una bacheca di sughero tra una comunicazione di lavoro e un’altra.
Era un matrimonio felice il mio. Amavo la mia famiglia, amavo Anna. E allora perché stavo corteggiando una ragazza di quattordici anni più piccola di me? Cosa mi stava succedendo? Ero grato che Meredith non mi assecondasse, avevo paura di quello che potevo combinare. Poi una sera restammo soli. Lei era alle prese con un cliente difficile, io con dei superiori inconentabili. Ricordo quanto fosse stanca, affranta, con dei cerchi neri sotto gli occhi. Non resistetti. Presi una bottiglia di vino frizzante che tenevo nel minifrigo del mio ufficio, lo versai in due patetici bicchieri di plastica e li portai alla sua scrivania. Lei fissò il bicchiere, indecisa per un attimo se accettare o meno, poi lo afferrò e bevve il vino tutto d’un fiato.
Rimasi allibito.
A quel punto si rilassò, scoppiò a ridere e io, ancora una volta, non resistetti.
Mi chinai su di lei e la baciai. La baciai con la stessa avidità con cui un quindicenne bacia la sua prima ragazza, la strinsi tra le mani rovesciando il vino sul finto parquet del pavimento.
Ricordo che cercò di divincolarsi ma non glielo permisi. Continuai a baciarla e non ci volle molto prima che lei ricambiò il mio bacio. Non c’era nessuno nella stanza, solo io e lei, e se mai ci fosse stato qualcun altro non me ne sarebbe importato affatto. Volevo assaporare ogni centimetro di lei, della sua pelle, del suo profumo. La nostra storia, se così si può definire, è iniziata sulla sedia di una scrivania e non è mai uscita dalle mura dell’ufficio.
 
Non andammo mai a casa sua, men che meno a casa mia.
Mai una cena fuori, un appuntamento galante, un regalo improvviso. Non so se Meredith si aspettasse cose del genere, di sicuro non me le chiese mai. Io non azzardai quel tipo di proposte perché ero terrorizzato.
Cosa sarei stato se avessi portato a cena fuori una donna, mentre mia moglie mi aspettava a casa con le nostre figlie?
Quello sarebbe stato un tradimento ai miei occhi.
Lasciarmi andare al sesso sfrenato con Meredith in ufficio, non lo era.
Non mi sentivo in colpa quando tornavo a casa, quando mi coricavo accanto ad Anna, quando pranzavamo tutti insieme la domenica. Quello che avevo con Meredith era solo una potente attrazione fisica.
Era questo che mi ripetevo quando la baciavo, quando la stringevo, quando la spogliavo.
Ogni tanto lei cercava di mettere fine a questo nostro rapporto ma non glielo permettevo.
Non potevo, ero come assuefatto da Meredith. Sapevo cosa stava succedendo ma non volevo ammetterlo nemmeno con me stesso.
Ero convinto che nessuno si fosse accorto di queste nostre serate, specialmente Anna.
Ma lei era, come è sempre stata, un passo avanti a me.
 
Quella sera era entrata nel palazzo nascondendo la pistola nella borsa.
La guardia della sicurezza non l’aveva perquisita, nessuno lo faceva con i coniugi dei dirigenti.
Aveva spalancato la porta come una furia e ci aveva colti completamente di sorpresa.
Mentre provavo a mormorare patetiche scuse e spiegazioni, Anna aveva estratto l’arma dalla borsa.
Non avevo idea di dove l’avesse presa, non avevamo armi in casa.
Mentre il sangue lasciava ogni vena del mio corpo per sparire e lasciarmi senza forze, Anna aveva tolto la sicura alla pistola e aveva fatto un passo verso Meredith che non si era mossa, terrorizzata.
Senza che me ne rendessi conto, anche io avevo fatto un passo avanti, finendo tra le due donne.
Avevo la camicia sbottonata, ero scalzo e con il rossetto di Meredith sulle labbra. Avevo le mani alzate in segno di resa ma Anna aveva interpretato questo mio gesto come uno schieramento: ai suoi occhi stavo scegliendo Meredith a lei.
 «Anna…» le parole erano uscite dalla mia bocca prima che potessi fermarle
«Non parlare Dorian, non fiatare.» ha risposto lei, «Mi aspettavo una cosa del genere, ma di certo non pensavo che lei fosse una bambina. Come hai potuto Dorian? Come hai potuto guardarmi negli occhi dopo esserti fatto una ragazzina?!»
«Anna...»
«Anna un cazzo Dorian!» aveva smesso di piangere, di tremare «Come hai potuto ferirmi in questo modo? Hai mai pensato alle tue figlie?»
«Signora Blossom…» la voce di Meredith era soffocata alle mie spalle.
«Tu non hai proprio voce in capitolo in questa storia, sciacquetta. Ma non ti fai schifo? Un uomo di quarant’anni, un padre di due bambine. Ma non ti vergogni?»
«Smettila Anna, questa è tutta colpa mia. Lei non ha mai voluto…»
«Oh, certo, per questo ha le tette di fuori! Ho visto come stava facendo resistenza! Siete disgustosi!»
Con un gesto lento aveva abbassato la pistola e io dentro di me avevo tirato un sospiro di sollievo.
«Non vale la pena finire in galera per voi. Scordati le bambine Dorian e preparati a versarmi un mantenimento da capogiro.»
Un attimo dopo Anna era fuori dal mio ufficio, sentivo in lontananza l’eco dei suoi passi che si allontanava.
Meredith piangeva e io mi ritrovai ad abbracciarla. Era terrorizzata e sollevata al tempo stesso.
Aspettavo che si calmasse, che mi calmassi. Non parlava, mi stringeva la mano senza guardarmi. A tratti piangeva, a tratti sembrava calma e serena.
Volevo portarla al pronto soccorso, per assicurarmi che stesse bene, ma non me lo permise.
«Portami a casa, per favore.» mi disse.
Le feci strada verso la macchina e mi diressi verso il suo appartamento, anche se non c’ero mai stato conoscevo il quartiere e la strada per arrivarci. Una volta davanti al suo palazzo, Meredith rimase ferma nella mia macchina, la cintura allacciata stretta. Sembrava volermi dire qualcosa ma non lo fece. Alla fine si voltò verso di me e mi baciò.
Un bacio leggero, dolce, veloce.
Un bacio di addio.
La guardai scendere e sparire dietro al portone di vetro e ferro.
Tornai a casa e non rimasi sorpreso nel trovarla vuota.
Non dormii quella notte e non lo feci per molte di seguito.
Il giorno dopo ricevetti la richiesta di dimissioni.
 
Incontrai Meredith diversi anni dopo.
Mancavano pochi giorni a Natale e mi trovavo in un centro commeraciale per comprare gli ultimi regali.
Era più adulta, più matura, più bella.
Sorrideva davanti alla vetrine, indicando qualcosa oltre il vetro.
Mi avvicinai, volevo salutarla, parlarle.
Dirle che non ero riuscita a dimenticarla, che mi ero innamorato di lei come Anna aveva capito anni fa.
Eppure quando fui ad un passo da lei mi fermai.
Aveva un anello d’oro giallo all’anulare. Era sposata.
Le passai accanto senza dirle una parola. Incontrai il suo sguardo tramite la vetrina e tirai dritto.
Era andata avanti, non avevo alcun diritto di rovinarle la vita, ancora una volta.
 
Vedere Dorian mi paralizzò.
Cercai di non darlo a vedere, lo ignorai, mi concentrai sulla vetrina senza prestare attenzione agli articoli esposti. Era bastato intravederlo tra la folla e il mio cuore aveva subito cominciato a battere forte.
Ero cosi maledettamente innamorata di lui.
Così innamorata da avere un’anello d’oro al dito con il suo nome inciso all’interno.
Forse ero più patetica che innamorata.
Incontrai il suo sguardo nella vetrina, lui non diede segno di avermi riconosciuta.
Mi persi nei suoi occhi scuri.
Conoscevo bene quegli occhi, li vedevo ogni istante nel bambino che avevo lasciato all’asilo poche ore prima e che avevamo concepito quella meravigliosa, maledetta, notte.
   
 
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