Anime & Manga > Inuyasha
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Autore: Yasha 26    07/10/2017    3 recensioni
- Ho deciso di andarmene. –
- Dove andrete? –
- Ovunque mi porterà il destino, ma certamente il più lontano possibile da qui. – affermò il giovane.
Ci fu un lungo silenzio, in cui nessuno dei due sapeva bene cosa dire. Fu Kagome ad interromperlo.
- Il motivo per cui siete venuto qui… era per dirmi questo? – domandò esitante.
- Non lo so, perché non so cosa sceglierete di fare. – rispose l’han’yō.
- La mia scelta... – ripeté Kagome pensierosa, abbassando lo sguardo.
- Ritenete di non averne una? – chiese Inuyasha.
- Ho sentito molte persone chiamare questo luogo la "Gabbia dai fili d'oro". – esordì la giovane, alzandosi e guardandosi tristemente attorno. - Non importa quanto questo posto sia bello all'esterno; all'interno è ancora una gabbia. In qualità di donna che vive in un mondo governato da uomini e demoni, quale scelta pensate io possa avere Inuyasha-sama? –
- Chi vive all'interno di una gabbia può scegliere, a volte, di continuare a rimanere in essa, oppure può provare a fuggire. -
- E se vi dicessi che ho scelto di rimanere qui? –
- Perché? –
- Alcuni sostengono che il destino di una donna sia come una gabbia. Finché sono vive, non importa dove siano, loro non saranno in grado di uscirne. -
Genere: Malinconico, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Inuyasha, Kagome, Miroku, Naraku | Coppie: Inuyasha/Kagome
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Seduto sul suo zabuton⁽¹⁾, Naraku attendeva con impazienza la nuova concubina che gli era stata donata da Jaken, un amico dell’Imperatore. Gli avevano detto fosse una giovane di rara bellezza e molto abile nell’arte del sumi-e. Ciò che invece si trovava per le mani erano stupidi versi filosofici, scritti sui suoi pregiati rotoli di washi senza il suo consenso. La giovane aveva molto da spiegare, nonostante già sapesse chi fosse il responsabile del furto.
Per quella donna aveva perso non uno, bensì due dei suoi guardiani migliori, quindi era bene per lei valere tale perdita, o l’avrebbe uccisa ancor prima di giungere ai suoi piedi.
Entrata nella grande sala dove era stata condotta dalle guardie, Kagome incrociò finalmente lo sguardo con il demone che per anni aveva detestato con tutte le sue forze e a cui aveva giurato vendetta. Guardandolo non sembrava così forte come le avevano detto, soprattutto per via delle sue sembianze umane.
“Le apparenze ingannano.” si disse, facendosi avanti.
Tutti a corte, tranne l’Imperatore, avevano capito che il “Generale” non era che un impostore, poiché il vero comandante dell’esercito imperiale, Hitomi Kagewaki, era stato ucciso molti anni prima da Naraku, che ne aveva preso il posto e la carica per sfruttarne il potere e le ricchezze, continuando ad ingrandire i suoi possedimenti in guerra grazie al benestare dell’Imperatore, che lo riteneva un amico fidato.
Povero sciocco, pensò la giovane.
Non immaginava nemmeno gli intrallazzi che molti nobili, umani e demoni, erano soliti ordire contro di lui per contendersi il potere. L’Imperatore Jinenji era troppo ingenuo per accorgersi delle trame di corte che miravano ad ucciderlo per prenderne il posto, e Naraku era al comando di tali cospirazioni, ma sapeva bene che se lo avessero scoperto, in quanto mezzo demone, non avrebbe avuto scampo contro i dai-yokai più fedeli a Jinenji. Doveva eliminarlo senza lasciare tracce, facendola passare per morte naturale, così, dopo averne sposato la figlia, sarebbe stato lui a diventare sovrano.
Sembrava un piano perfetto, ma non lo era del tutto.
“Mamma, zia, datemi tutta la forza di cui ho bisogno in questo momento.” pregò Kagome, inginocchiandosi con elegante deferenza davanti al demone ragno.
- Vedo che quell’inutile kappa aveva ragione quando ti ha definito una bellezza rara. Mi chiedo, però, perché tu non sia passata nel letto di quel demente di Jinenji e sia stata invece donata a me. – rivelò sospettoso l’han’yō dai lunghi capelli neri, alzandosi e girandole attorno, come per studiarla.
- Le stanze del Sovrano sono accessibili unicamente a donne nobili, soprattutto principesse, mio Signore. Io non detengo tale titolo. – rispose Kagome, mantenendo lo sguardo sul pavimento, come le era stato insegnato.
- E cosa saresti dunque? – chiese curioso Naraku.
- Un’umile contadina divenuta schiava dopo che i demoni dell’Imperatore ne hanno attaccato il villaggio. – spiegò la giovane.
- Una contadina dici? – ripeté il demone, prendendole il mento e alzandole il viso per osservarla meglio. – I tuoi lineamenti sono troppo delicati per essere solo una contadina e le tue mani non mostrano segni di fatica. – sostenne scettico.
- Mi hanno portata via all’età di otto anni, mio Signore. Sono stata allevata e istruita dalla Principessa Abi per essere donata a Sua Maestà come concubina, ma lui non accetta donne di umili origini. – chiarì Kagome, dicendo una mezza verità. L’Imperatore non sapeva neppure della sua esistenza.
- Abi? Quindi devi essere stata ben istruita per soddisfare un uomo. – ghignò Naraku, conoscendo bene la demone in questione.
- Questo dovrete giudicarlo voi… Kagewaki-sama. – gli si rivolse Kagome in tono suadente, fingendo di non conoscere la sua vera identità.
- Non vedo l’ora di scoprirlo. Prima, però, devi spiegarmi questo. – dichiarò il mezzo demone, mostrandole uno dei rotoli su cui aveva scritto in quei giorni. – Mi era stato riferito praticassi l’arte della pittura, non della scrittura. Non mi piacciono le donne che pensano troppo. –
- Mio Signore, al vostro cospetto io non mi permetto di pensare ad altro se non a voi. Quelle scritture sono nate per tenermi compagnia mentre guardavo dalla finestra i vostri splendidi ciliegi, nulla di più. Mi sentivo molto triste chiusa in quella pagoda completamente da sola. – affermò la giovane, rivolgendogli uno sguardo provocante.
- Non mi risulta fossi poi tanto sola. Perché Inuyasha ti ha portato quei rotoli? Che rapporto c’è tra voi due? – le chiese con tono adirato, preparando gli artigli per ucciderla.
- Nessun rapporto. Credo si fosse infatuato di me, ma come vedete vi sono rimasta fedele. Avrei potuto fuggire, ma non l’ho fatto. – rispose la ragazza senza alcun timore difronte all’ira del demone.
- Sei una donna singolare. – sostenne divertito Naraku, ritraendo gli artigli e porgendole la mano per farla alzare dalla sua posizione, per poi condurla al suo cuscino. – Ero già pronto all’ennesima crisi di pianto. Tutte le donne che passano per le mie stanze tremano di terrore. Tu no. –
- A differenza di altre, io so qual è il mio posto in questo mondo. La vita non mi è mai appartenuta e ho sempre saputo si sarebbe conclusa per mano di un uomo. Quindi, Kagewaki-sama, perché essere terrorizzata da voi quando conosco già il mio destino? –
- Interessante. Il tuo animo sottomesso mi piace; potrei anche decidere di tenerti in vita più a lungo se saprai soddisfarmi. – disse il demone, accarezzandole il seno da sopra il kimono.
- Sono qui per compiacere ogni vostro desiderio mio Signore. – rispose la giovane, spostandosi a baciargli il collo e toccargli la già evidente erezione.

Nascosto dietro uno dei pannelli scorrevoli segreti della camera di Naraku, Inuyasha digrignò i denti e strinse i pugni talmente forte da ferirsi con i suoi stessi artigli. La scena che stava osservando era a dir poco disgustosa. La donna tra le braccia di Naraku sembrava un’altra da quella che aveva conosciuto lui in quei giorni nella pagoda.
- Sapevo di trovarti qui. – lo sorprese alle spalle Miroku.
- Ho sprecato il mio tempo a quanto vedo! – sostenne con astio il giovane albino, distogliendo lo sguardo e voltandosi per andarsene risentito, quando la mano dell’amico lo fermò.
- Se fossi in te, resterei a guardare. – suggerì Miroku, facendolo girare nuovamente.
- E vederla divertirsi con quel bastardo? No, grazie! – replicò il ragazzo, quando qualcosa attirò la sua attenzione: un piccolo luccichio proveniente dalla mano di Kagome.

- Mi piace il tuo modo di fare. Abi ti ha istruita molto bene. – affermò Naraku, godendosi le attenzioni che la giovane concubina gli stava riservando.
- E non avete ancora visto il meglio, mio Signore… - sostenne Kagome accarezzandolo al petto e, approfittando della sua distrazione, conficcò la lama del tagliacarte al centro del cuore di Naraku, che venne quasi paralizzato da una fitta atroce che si espanse per tutto il suo corpo. – … Ma credo sia meglio per voi riposare prima. Vi vedo molto pallido. – lo sbeffeggiò, mentre la sua mano premeva ancora più in profondità l’arma.
- Ma cosa… maledetta! – esclamò il demone che, seppur stordito, la colpì con un pugno per allontanarla da sé e tirare via il tagliacarte, dalla cui lama fuoriusciva un liquido nero simile a inchiostro. – Che diavolo è questo? – domandò furioso, tenendosi dolorante il petto che bruciava come se fosse avvolto dalle fiamme.
- Un veleno adatto a voi… Naraku! La vostra ferita non si rimarginerà mai, quindi smettete pure di provarci! – lo informò la giovane, rimettendosi in piedi e notando quanto il demone si sforzasse di rimarginare la ferita.
Sperava morisse subito come gli altri demoni su cui aveva provato, ma Naraku era molto più resistente ai veleni rispetto agli altri yōkai. Rin l’aveva avvisata, quindi lo aveva messo in conto da tempo, tuttavia, in cuor suo, aveva ugualmente auspicato il contrario.
- Quindi sai chi sono, stupida donna! Allora dovresti sapere che i veleni non possono uccidermi. Il mio intero corpo è fatto di veleno! –
- Ma quello non è un veleno qualunque. – rivelò Kagome, prendendo lo yatate e mostrandoglielo. – Lo riconoscete? –
- Quello è… - mormorò sbigottito.
- Lo yatate della Principessa Midoriko custodito nel villaggio di Iga(*). Si tramanda che l’inchiostro al suo interno sia stato maledetto dallo spirito tormentato di Midoriko, brutalmente sgozzata dal padre a causa di una lettera che la giovane scrisse al suo amato proprio con questo pennello, in cui lo pregava di venire a prenderla prima che il genitore la costringesse a sposare l’uomo da lui impostole. La leggenda narra che gli schizzi del suo sangue raggiunsero il contenitore dell’inchiostro rimasto aperto, rendendolo così velenoso e corrosivo. Da allora, chiunque tocchi il liquido perpetuo al suo interno è destinato a morire, ma quando è perfettamente asciutto ha la singolarità di non lasciare traccia alcuna nelle sue vittime. Ma questo voi dovreste già saperlo, non è così? –
- Come fai ad avercelo? Chi sei? –
- Abitavo nel villaggio di Iga che avete distrutto nove anni fa per cercare questo yatate. Suppongo avreste voluto regalarlo all’Imperatore per ucciderlo senza lasciare tracce e poi prenderne il posto. Sbaglio? – ipotizzò Kagome.
A quelle parole, in uno scatto velocissimo, Naraku prese la giovane per il collo, sollevandola da terra. Nessuno conosceva i suoi piani per eliminare Jinenji, tranne una persona, che però aveva ucciso nove anni prima.
- Chi ti manda? Appartieni all’Organizzazione Shikon? – sibilò furioso ad un passo dal viso della giovane.
- Le vostre mani… sono sporche del sangue di innumerevoli innocenti. Sono in tanti a desiderare la vostra morte. – rispose Kagome con fatica.
- Già, ma non tutti hanno il coraggio di agire. È stata quella maledetta di Kikyo a dirti tutto? È ancora viva? -
Kagome non rispose e non cercò neppure di liberarsi. Poiché Naraku non era morto subito, come aveva sperato, conosceva la sua sorte, quindi combattere non sarebbe servito. La sua missione era comunque compiuta, così come la sua vendetta. Sarebbe morto ugualmente, anche se avrebbe impiegato più tempo, quindi sorrise soddisfatta, mentre dalle sue labbra un rivolo di sangue scorreva verso la mano del demone, che capì immediatamente che non avrebbe ricevuto risposta a nessuna delle sue domande.
- Maledetta puttana! – esclamò completamente fuori di sé, lanciandola contro i fusuma⁽²⁾, che si ruppero all’impatto. – Hai preso del veleno sapendo che ti avrei torturata per farti confessare! Ti assicuro che non avrai ugualmente una morte tanto indolore! – aggiunse, trasformando la sua mano in un enorme arto di ragno e tentando di trafiggerla, ma invano, poiché la donna non si trovava più per terra ma tra le braccia di Inuyasha. – Tu… - pronunciò Naraku, guardando con astio il suo ex guardiano.
Kagome aprì gli occhi e trovò il viso di Inuyasha guardarla preoccupato. Anche se egoisticamente, un senso di sollievo la avvolse come in un abbraccio, rasserenandola.
- Non ve ne eravate andato dunque… -
- Ve lo avevo detto: non ho creduto a una sola parola di ciò che avete proferito nella Pagoda Dei Ciliegi Rossi. – affermò lui, stringendola a sé.
- Per-perché… siete ritornato? – domandò poi quasi in lacrime, realizzando solo in quell’istante il peso del suo gesto. Lui non avrebbe dovuto essere lì.
- Non parlate troppo. Sono venuto per portarvi via. –
- È inutile portarmi via. Ho preso del veleno. Andatevene finché potete. - sussurrò appena, iniziando a perdere le forze.
Inuyasha la guardò sconvolto e sentì il mondo cascargli addosso. Dovevano uscire da lì il prima possibile e cercare un antidoto.
- Ma che scena patetica! Pensate di poter uscire vivi da qui? Il tuo yatate mi avrà anche ferito gravemente, ma ho tutte le forze necessarie per uccidere entrambi! – esclamò Naraku, tramutando anche l’altro braccio in un arto demoniaco e attaccandoli.
Inuyasha saltò da una parte all’altra, cercando di evitare gli artigli velenosi che si allungavano a dismisura per raggiungerlo. Con Kagome tra le braccia gli era impossibile estrarre la spada, cercò quindi una via di fuga, ma Naraku le bloccò utilizzando gli otto arti di ragno di cui disponeva quando si trasformava, riuscendo a ferirlo diverse volte.
- Dannazione! – ringhiò l’albino tra i denti, trovandosi con le spalle al muro.
Kagome osservò nauseata l’orrendo corpo del demone. Non era ancora del tutto trasformato in ragno, ma le zampe piene di peluria grigia che sbucavano dai fianchi, erano una scena a dir poco rivoltante.
- Dite le vostre ultime preghiere! – rise il mezzo demone ragno, ma prima di poterli colpire, uno dei suoi arti venne tranciato da una spada, finendo ai piedi di Inuyasha.
- Ma guarda! Un comune pezzo di ferro riesce a tagliarvi adesso. Sembra che qualcuno qui stia perdendo le sue forze. – lo sbeffeggiò Miroku, osservando soddisfatto la ferita appena inflittagli.
- Bastardo! Credi forse di potermi uccidere con quella spada? –
- Perché non tentare? – rispose Miroku, attaccandolo con l’arma sotto gli occhi stupiti di Inuyasha, che non si aspettava accorresse in suo aiuto.
I sette arti di Naraku iniziarono ad attaccare il demone contemporaneamente, ma Miroku riuscì a evitarli tutti senza troppi problemi, riuscendo a tranciarne un altro.
Colto dall’ira, Naraku si scagliò con maggiore violenza contro lo yōkai, colpendolo e allontanandolo da sé, frantumando così la spada che il giovane impugnava.
- Miroku! Sei ferito? – lo raggiunse allarmato l’albino.
- Dovresti preoccuparti maggiormente per le tue sai? – rispose il demone col codino, osservando le ferite del giovane amico.
- Non pensavo avresti davvero trovato il fegato per tradirmi. Soprattutto per quel mezzo cane. – gli si rivolse furente Naraku, che invece ben sapeva vi fosse un legame fraterno particolarmente stretto tra i due.
- Non vi ho tradito Generale. Ho semplicemente valutato cosa fosse davvero importante per me. –
- E sarebbe lui? Preferisci perdere la tua vita per salvare la sua? Che scelta davvero idiota! –
- Lo sarà per voi, ma non per me. –
- Bene. Allora prova a colpirmi ora che hai perso la tua spada. Vediamo come riesci a difendere la loro e la tua vita! -
- Non mi serve la spada. Forse dimenticate un particolare… – replicò il giovane, togliendo il rosario dal polso destro e aprendo così il vortice della sua mano ma, quando lo fece, Naraku gli lanciò contro un nido di Saimyosho, insetti demoniaci simili a vespe giganti che lo avvelenarono dall’interno del foro. – Ma queste da dove diavolo… - mormorò in preda al dolore, chiudendo velocemente il vortice e stringendo la mano al petto.
- Davvero pensavi fossi tanto sprovveduto da non sapere come bloccare quel venticello? – rise divertito Naraku, richiamando a sé una delle sue emanazioni, creata nel caso in cui i suoi guardiani lo avessero tradito. Apparve così un demone dai lunghi capelli lilla, delle catene ai polsi e una maschera di ferro a coprirgli la bocca. – Ricordate che io sono sempre un passo avanti a voi, stupide nullità! – aggiunse, mentre gli toglieva la maschera.
- Chi accidenti è quello? – chiese Inuyasha, sentendo l’odore di Naraku provenire dall’essere appena apparso dal nulla, il cui sguardo sembrava perso nel vuoto.
- Colui che vi ucciderà. – rispose Naraku, toccandosi nuovamente il petto. Stava esaurendo quasi tutte le forze. Doveva farli fuori in fretta e cercare un rimedio contro quell’inchiostro maledetto, o sarebbe stato spacciato.
- Non crediate sia così facile uccidermi! – ribatté Miroku, preparandosi a riaprire il suo vortice ma, nello stesso istante, Naraku prese un secondo nido d’insetti demoniaci.
- Miroku no! Aspirerai anche quelli! – provò a fermarlo Inuyasha, cercando nel frattempo un posto dove adagiare Kagome per poter aiutare l’amico.
- Non morirò certo per due insettini e un tizio incatenato! Ci vuole ben altro per uccidermi. Tu vai via con lei, o morirà. –
- Ma io… - provò a ribattere l’han’yō.
- Kagome-sama, il vostro antidoto? – lo interruppe Miroku, rivolgendosi alla ragazza tra le sue braccia, che rifletté incerta prima di rispondere.
- È in città. –
- Hai sentito che ha detto? Andate! Qui mi siete solo d’intralcio! –
Inuyasha esitò qualche istante, ma il volto sempre più pallido di Kagome lo convinse a fare come gli era stato detto, ma proprio mentre si preparava a balzare fuori dalla stanza, il demone con le catene gli sbarrò la strada, impedendogli la fuga.
- È con me che devi vedertela! – esclamò Miroku, colpendo con facilità il demone, che non sembrava poi tanto forte. – Tsk, è bastato po… - ma il giovane non finì la frase poiché qualcosa d’invisibile lo ferì al fianco destro.
- Miroku! – urlò Inuyasha, vedendo schizzare il sangue dal fianco dell’amico.
- Ridicoli! Pensavate fosse così facile fuggire? Juromaru non è debole come appare. – rise soddisfatto Naraku, sicuro di avere in pugno la situazione.
- Non è un piccolo taglietto che mi fermerà! – rispose Miroku, attaccando nuovamente il demone e mandandolo a terra con un solo pugno; subito dopo, però, un altro colpo al fianco, al sinistro stavolta, lo fece barcollare.
“Dannazione! Ma come diavolo fa a colpirmi da quella distanza senza che me ne accorga?” pensò il giovane demone, tenendosi il fianco appena ferito, dal quale sgorgava parecchio sangue.
A quella vista, Inuyasha provò nuovamente ad adagiare Kagome a terra per estrarre la spada ma Miroku lo fermò con un cenno della mano.
- Ti ho detto di andartene! – ribadì lo yōkai, mettendosi in posizione d’attacco e scagliandosi contro Juromaru, venendo poi colpito al braccio.
- La sua bocca... - sussurrò Kagome, osservando attentamente la scena.
- La sua bocca? – chiese perplesso Inuyasha.
- Deve stare attento… alla bocca di Juromaru. – ripeté la giovane.
Seppur confuso, Inuyasha non ci pensò due volte ad avvisare l’amico.
- Miroku, attento alla sua bocca! –
- Stupida femmina... – mormorò con rabbia Naraku, facendo segno alla sua emanazione di attaccare ma, ancora una volta, il demone con le catene fu scaraventato lontano da un colpo di Miroku che, a differenza delle volte precedenti, tenne gli occhi ben aperti, ma non accadde nulla; Juromaru si rialzò e restò immobile davanti ai suoi avversari con il suo solito sguardo assente.
- Stavolta non attacchi stupido demone senza espressione? – lo sbeffeggiò Miroku, anche se da ridere aveva ben poco. Il veleno degli insetti infernali lo stava indebolendo e contrastarlo non era facile. Dovevano fuggire da lì il prima possibile o sarebbero morti per mano di quell’essere bizzarro. – Avanti, fatti sotto! – lo incitò, osservando attentamente la sua bocca come gli era stato consigliato.
Uno scricchiolio proveniente dal pavimento fece voltare Inuyasha, che iniziò a seguirlo con l’udito. Qualcosa si muoveva sotto di loro ma non capiva cosa. Qualunque cosa fosse, si era spostato vicino ai piedi di Miroku, che però non ebbe tempo di avvisare.
Si svolse tutto velocemente. Miroku riuscì appena a vedere qualcosa simile a una saetta sbucare dalle assi dei tatami e trapassargli lo stomaco come se nulla fosse. Solo una cosa gli fu ben chiara: una risatina soddisfatta proveniente da ciò che lo aveva ferito, così capì. Si voltò subito e, con uno scatto velocissimo, afferrò quella saetta che si stava già dirigendo verso Inuyasha e Kagome che si trovavano proprio alle sue spalle, riuscendo così a bloccarlo poco prima che trafiggesse anche loro.
Inuyasha guardò con occhi sgranati l’essere fermo proprio davanti al suo viso. Al posto delle mani aveva delle falci da cui gocciolava ancora il sangue del suo amico, il suo aspetto filiforme ricordava quello di un verme, mentre la sua testa somigliava a quella di Juromaru, ma in proporzioni ridotte.
- Quindi sei tu quello che mi ha colpito finora. – disse Miroku, che teneva il piccolo demone per la coda.
- Ce ne hai messo di tempo per scoprirmi, stupido idiota! – parlò il piccolo demone, che al contrario di Juromaru pareva possedere un cervello, liberandosi dalla sua presa per sistemarsi vicino al più grande.
- Chi accidenti sei tu? – chiese Miroku, tenendosi dolorante lo stomaco.
- Io sono Kageromaru, il fratello di Juromaru, e sto per farvi tutti fuori! – ghignò il piccolo demone attaccandolo nuovamente, ma fu fermato da un colpo di Tessaiga che gli tranciò parte della coda.
- Questo è da vedere! – ribatté Inuyasha, stanco di assistere senza intervenire.
Kagome, seduta scompostamente in un angolo della sala, guardò preoccupata la scena che le si presentò davanti. Inuyasha aveva iniziato uno scontro con Kageromaru, mentre Miroku con Juromaru. Sembravano entrambi in difficoltà e le numerose ferite subite non erano certamente di aiuto, senza contare che Kageromaru riusciva a nascondersi sotto i tatami e al terreno sottostante, per poi sbucare fuori alle loro spalle. Con uno sforzo per lei immane, prese uno dei kanzashi dai capelli e ne intinse la punta dentro il contenitore d’inchiostro dello yatate. Chiuse gli occhi e ascoltò attentamente i suoni attorno a sé, cercando di annullare quelli che non servivano. I nove anni passati ad allenarsi con demoni e shinobi le stavano tornando utili anche in quella situazione. Trovato il suo obiettivo, Kagome lanciò la spilla per capelli in un punto ben preciso del pavimento, da cui uscì immediatamente il demone con una delle falci incrinata.
- Maledetta bastarda! – le urlò contro Kageromaru, osservando l’arto diventare nero.
- Così non attaccherai più alle loro spalle. – sussurrò con tono flebile, prima di scivolare a terra senza forze.
- Kagome-sama! – la chiamò Inuyasha, correndo subito al suo fianco. – Kagome, mi sentite? – la strattonò leggermente e lei aprì appena gli occhi in risposta, ma la sua pelle stava diventando sempre più gelida e pallida.
- Inuyasha, andate subito via! Qui posso vedermela da solo adesso! – dichiarò Miroku, preparandosi ad aprire il vortice.
- Miroku, ma come… -
- L’attacco di Kagome-sama ha indebolito entrambi i demoni, non sarà difficile sbarazzarmene adesso. – lo rassicurò lo yōkai. - E infine toccherà a te! – aggiunse, guardando verso Naraku, che pareva anch’egli indebolirsi sempre più.
- Se aprirai il vortice… però… - mormorò turbato l’han’yō.
- L’ho già detto! Non saranno quegli insetti a uccidermi! – esclamò deciso, aprendo il vortice e riuscendo ad aspirare senza problemi Juromaru e Kageromaru, che prima di essere totalmente risucchiato, ferì l’apertura della mano del giovane demone, allargando notevolmente il foro e la potenza con cui risucchiava le cose attorno a sé, tanto che Inuyasha dovette piantare la spada al suolo per non essere aspirato a sua volta con Kagome.
Naraku creò una barriera per proteggersi dalla forza dirompente del vortice che stava per trascinarlo a sé e lanciò un secondo nido di vespe contro lo yōkai, che lo aspirò suo malgrado. Quell’idiota di Kageromaru non aveva fatto altro che ampliare il potere di Miroku invece di ucciderlo. Non avrebbe avuto alcuna via di scampo se avesse aperto ancora una volta il vortice. Tuttavia, un pensiero rallegrava ancora il mezzo demone ragno: non sarebbe stato l’unico a perire quel giorno.
Miroku avvolse subito la mano con il rosario che lo aiutava a mantenere chiuso il vortice, accasciandosi a terra stremato e dolorante per via del veleno.
- Miroku! – lo raggiunse preoccupato Inuyasha.
- Anche se Juromaru e Kageromaru non ci sono più, non credere sia facile sbarazzarsi di me. Non sarò in perfetta forma, ma un verme come te non potrà neppure scalfirmi con un dito! – mentì Naraku, cercando di non dare a vedere quanto il suo corpo stesse cedendo sotto l’effetto del veleno dello yatate.
- Infatti l’ho fatto con una semplice spada, mozzandovi due braccia. – lo sbeffeggiò Miroku, rimettendosi lentamente in piedi nonostante tutto.
- Andiamocene insieme Miroku! Non credo possa seguirci ridotto in quel modo! – provò a convincerlo Inuyasha.
- Ingenuo! Quel mostro continua a essere più forte di entrambi anche ridotto in quel modo. Non senti che potente aura emana ancora? Se gli voltiamo le spalle per fuggire, non esiterà ad attaccarci! –
- E cosa proponi di fare? –
- Tu nulla. Devi solo fuggire da qui per non essermi d’intralcio. –
- Come puoi chiedermi di abbandonarti? Non lo farò! -
- Ho detto vattene! È un ordine il mio, Inuyasha! Non dimenticare chi comanda tra i due! – lo esortò nuovamente Miroku, con sguardo autoritario.
Kagome guardò il demone con occhi colmi di lacrime. Non voleva causare tanti problemi a Inuyasha e Miroku, che sicuramente sarebbe morto se l’han’yō non lo avesse aiutato.
Inuyasha, dal canto suo, tremava per la prima volta in vita sua, ma non di paura, quanto per frustrazione e indecisione. Non voleva lasciare Miroku da solo ad affrontare Naraku, perché sapeva benissimo che se lo avesse fatto non lo avrebbe mai più rivisto in vita. Tuttavia aveva fretta di allontanarsi da lì per salvare la vita della donna che aveva capito di amare.
Si sentiva come se avesse dovuto scegliere chi dei due salvare e la cosa gli procurava un dolore atroce al cuore.
Come poteva scegliere uno dei due?
- Se non ti decidi ad andartene, aprirò il vortice anche con voi due presenti! E giuro che non scherzo! – lo minacciò infine Miroku, dirigendo la mano verso loro due.
Inuyasha chiuse gli occhi sconfitto. Sapeva benissimo che il suo amico non lo avrebbe mai aspirato nel suo vortice, ma se quella era la sua decisione, gliene sarebbe stato grato per il resto della sua vita.
- Grazie fratello. - sussurrò l’albino con voce incrinata.
- Addio fratello. Andate e procreate! – gli sorrise il demone, facendogli l’occhiolino.
Inuyasha annuì, poi si voltò e spiccò un potente salto, uscendo dal castello.
Non appena si assicurò che l’amico fosse lontano, Miroku tolse il rosario dalla mano, ridendo soddisfatto in direzione di Naraku che, ormai incapace di muoversi per il terribile dolore al petto, innalzò una nuova barriera.
- Sai che se aprirai quel foro sarai risucchiato anche tu, non è così? – provò a dissuaderlo Naraku, che ancora nutriva la flebile speranza di salvarsi.
- E allora? Che cosa proponete? – ghignò divertito Miroku, che aveva intuito il piano del mezzo demone.
- Vattene col tuo amico traditore e la sua sgualdrina, e sparite dalla mia vista! Non sono più interessato a uccidervi. La vostra presenza mi ha stancato! – finse l’han’yō, cercando ancora di guarire la ferita.
- Pensate davvero che vi creda e vi lasci in vita dopo tutto quello che avete fatto? Non è più solo per proteggere Inuyasha… È per me e per tutta la gente innocente che avete ucciso che meritate di morire! Avrei dovuto ribellarmi molto tempo fa, ma ammetto di non averne avuto il coraggio, quindi, ora che ho la possibilità di farvela pagare, non me la lascerò scappare! – asserì Miroku, stanco di sentirsi il cane di quell’essere spregevole che si era pentito di servire per tutti quegli anni.
Era stata sua l'idea di mettersi al servizio di Naraku e con sé aveva trascinato anche Inuyasha. Pensava fosse una buona opportunità per loro, ma non sapeva quanto in realtà fosse abietto l'uomo per cui avrebbero lavorato. Avrebbe voluto ribellarsi molto prima, ma temeva per le sorti dell'amico, a cui invece sembrava andare bene quella vita. Finalmente si era presentata l'occasione giusta per farla finita con Naraku e per liberare non solo se stesso, ma soprattutto Inuyasha, che vedeva diventare sempre più indifferente di fronte alla vita o alla morte altrui.
Miroku non si era mai definito un demone dall’animo probo, tuttavia i massacri che era costretto a fare per Naraku iniziavano a pesare sulla sua coscienza. Per Inuyasha, invece, sembrava non fare differenza se la vittima da uccidere fosse un soldato avversario o un comune e innocuo contadino, e questo lo preoccupava. L’arrivo di Kagome era servito a risvegliare il suo cuore inaridito dalla guerra, quindi era felice per il suo amico e non si pentiva affatto della sua decisione.
- Bastardo! – gridò Naraku, provando a scappare con le poche forze rimastegli.
- Pronto a scoprire com’è l’inferno “Generale”? – chiese finalmente sereno Miroku, aprendo per l’ultima volta il suo vortice e risucchiando non solo Naraku, ma anche tutto ciò che aveva intorno, compreso il proprio corpo.
Dopo decenni di afflizione, era finalmente libero.

Dietro di sé, Inuyasha sentì il potente stridio del vortice di Miroku e ben sapeva che del castello non sarebbe rimasta traccia, così come del suo amico. Tratteneva a stento la rabbia verso se stesso per averlo lasciato da solo, cercando di impiegare tutte le sue energie nella corsa verso la città per recuperare l’antidoto, finché una piccola mano tirò la sua veste per richiamarne l’attenzione.
- Vi prego, fermatevi qui. – gli chiese Kagome con voce stanca.
- Non posso! Non c’è tempo da perdere! E poi siamo quasi arrivati! –
- Per favore, fermatemi. Non serve proseguire oltre. – insistette la giovane.
- Ma che dite! Dovete prendere subito l’antidoto! –
- Non esiste alcun antidoto. – gli rivelò la giovane, sorridendogli con aria colpevole.
- Co-cosa? – balbettò incredulo l’han’yō, fermando sconvolto la sua folle corsa sopra il ramo di uno degli alberi secolari della vallata.
- Vi ho mentito. Il veleno che ho preso non ha un antidoto. Perdonatemi. – si scusò dispiaciuta.
- Non potete dire sul serio! Ogni veleno ha un antidoto! Dobbiamo cercare un medico che conosca quale avete preso e sono sicuro che… -
- Inuyasha-sama, ho molta esperienza con veleni e pozioni. Non servirebbe a nulla cercare un medico, credetemi. –
- Quindi dovrei lasciarvi morire senza muovere un dito? È questo ciò che state dicendo? – esclamò con tono carico di dolore.
- Per me va bene così. Ho portato a termine la missione affidatami dai membri della Shikon e mi sono vendicata come desideravo. Naraku è probabilmente morto, ma anche se fosse riuscito a salvarsi dal vortice di Miroku-sama, morirà lentamente e in continua agonia, che non sarà comunque paragonabile a quella che ha inflitto a me nove anni fa. – asserì tristemente la giovane.
- Cos’è questa Shikon? Cosa vi ha fatto Naraku? – le chiese, sedendosi sul ramo con la ragazza tra le braccia.
- La Shikon è un’organizzazione nata per proteggere gli Imperatori degni di questo titolo dai traditori. Vi sono entrata quando quell’essere ha massacrato gli abitanti del villaggio dove sono nata. Iga era un posto pacifico, circondato da laghi e montagne, lontano dalle lotte di potere tra umani e demoni. In primavera tutto diventava magico per me che, all’epoca, avevo otto anni. L’odore dei fiori di ciliegio accompagnava i miei giochi e i miei studi come miko del tempio che custodiva lo yatate della Principessa Midoriko. – raccontò Kagome, cercando di nascondere le terribili fitte all’addome. Stava cercando di rallentare quanto possibile l’effetto del veleno provando a purificarlo grazie ai suoi poteri, così da passare almeno qualche istante in più con Inuyasha, ma le forze le stavano venendo meno sempre più e sapeva che le era rimasto davvero poco tempo.
Avrebbe tanto voluto incontrarlo in circostanze diverse.
- Vi avevano caricato di tale peso già in così tenera età? – chiese stupito l’han’yō.
- Scelsi io quel ruolo. Mia zia Kikyo era la miko che custodiva quella reliquia ed io avevo una vera e propria adorazione per lei. Mi affascinavano le sue preghiere e i riti per purificare lo yatate dalla negatività, così le chiesi se anch’io, come lei, avrei potuto un giorno diventare sacerdotessa e prendermi cura della purificazione dell’anima irrequieta della Principessa Midoriko. Avevo il potere spirituale per farlo, così iniziai il noviziato. Un giorno, mentre pregavo con mia zia, quel mostro attaccò il nostro villaggio per impossessarsi dello yatate. Intuendo subito il pericolo, zia Kikyo mi fece nascondere in una botola segreta sotto all’altare, consegnandomi la reliquia avvolta da una pergamena sacra che ne nascondeva l’aura agli yōkai. Da lì riuscivo a sentire tutti i discorsi tra lei e il demone di nome Naraku, così lo chiamava. Erano stati amanti, ma lei lo aveva lasciato per occuparsi dello yatate alla morte della precedente miko che se ne occupava. Naraku voleva lo yatate per diventare Imperatore e aveva chiesto alla zia di seguirlo come sua futura Imperatrice, ma lei rifiutò, così iniziò uno scontro tra i due e… – la giovane interruppe improvvisamente il racconto a causa di una fitta molto più forte delle precedenti e, quando tossì, una grossa quantità di sangue sporcò la manica del suo kimono.
Il suo tempo era esaurito.
- Kagome! – esclamò sconvolto l’han’yō alla vista del sangue. Lei stava morendo tra le sue braccia, ma lui non poteva impedirlo. – Vi prego… dobbiamo cercare qualcuno. Io… - sussurrò appena, stringendo dolorosamente i denti e voltandosi.
Kagome portò una mano sul suo viso, asciugando le lacrime che lui cercava di nascondere. Lo costrinse a guardarla negli occhi e gli sorrise.
- Inuyasha-sama, avete con voi i miei scritti, vero? – gli domandò, sicura che li avesse con sé.
- Sì. Scusatemi se li ho presi senza il vostro permesso, ma non volevo lasciarli nella pagoda. – si scusò, porgendoglieli.
Kagome prese uno dei fogli già scritti e lo voltò dalla parte bianca, prese il suo yatate e iniziò lentamente a scrivere qualcosa. Le costò molta fatica; la vista si stava annebbiando, le mani iniziavano a tremare e a non risponderle più correttamente, ma lei continuò imperterrita a scrivere fino all’ultimo verso.
- Attento a non toccare l’inchiostro umido. Una volta che sarà asciutto non correrete alcun pericolo. – lo avvertì passandogli cautamente il foglio, che Inuyasha lesse.

Non dimenticare che le cose finiscono perché altre migliori accadano.
I cicli si concludono per lasciare spazio a nuovi inizi.
Ma quante volte non riusciamo a lasciare andare il passato, ancorandoci a una realtà che non esiste più?
Quante volte abbiamo paura di non rivivere le stesse emozioni, di non essere più felici come eravamo?

Osserva come i fiori di ciliegio sono portati via dal vento per lasciare il posto alle ciliegie.
Ricorda che in ogni fine c’è sempre il seme di un nuovo inizio,
che i cicli sono perpetui e che le relazioni spesso cambiano per diventare migliori e più profonde.
Abbraccia il cambiamento e non ci sarà limite al meglio.


Per Inuyasha era terribilmente difficile accettare quelle parole.
Lui non voleva una fine per avere un nuovo inizio, anzi, non era nemmeno mai cominciata. Non ne avevano avuto il tempo e questo lo rendeva furioso con la vita. Lei, invece, sorrideva tranquilla come se non fosse la sua ultima notte in quel mondo.
- Come riuscite a sorridere in queste circostanze? -
- Sono felice di avervi conosciuto Inuyasha. Morire tra le vostre braccia, e non da sola come immaginavo accadesse, è il dono più bello che la vita potesse farmi dopo tanti anni di dolore. È per questo che sorrido. Non siate triste per me, vi prego. – continuò sorridente, accarezzandogli il viso, che lui spinse contro la mano per sentirne maggiormente il tocco. - Posso chiedervi un favore? – chiese improvvisamente.
- Tutto quello che volete. – rispose avvilito.
- Potreste seppellire i miei resti sotto a un albero di ciliegio? – domandò la giovane, con occhi pieni di speranza.
Inuyasha esitò qualche istante prima di rispondere. Avrebbe voluto baciarla e stringerla, non seppellirla. Avrebbe voluto passare la vita con lei, non vederla morire. Avrebbe voluto regalarle una vita tranquilla e felice, così come meritava dopo tanta sofferenza, non portare dei fiori sulla sua tomba.
Si sentiva impotente. Ancora una volta.
Non poteva far nulla per impedire alla vita di lasciarla; di lasciare lui. Non c’era più un demone da sconfiggere e non esisteva un Dio da pregare. Gli occhi di Kagome stavano perdendo luminosità, il pulsare del suo cuore era quasi impercettibile, la pelle era diventata terribilmente fredda, il respiro stava rallentando fino a cessare lentamente.
- Lo farò. Sceglierò il più grande e maestoso tra i ciliegi. – le promise, trattenendo le lacrime e forzando un sorriso per compiacerla.
- Vi ringrazio. – sorrise grata. - Se rinascerò, come i fiori di sakura in primavera, verrò a cercarvi… - furono le ultime parole di Kagome, prima che la mano che lo accarezzava scivolasse via senza vita lungo il suo fianco, spezzando completamente il cuore di Inuyasha che la strinse disperato, affondano il viso in quei capelli che amava annusare.

Restò lì, su quell’albero, per tutta la notte, stringendo e cullando il corpo di Kagome fino alle prime luci dell’alba. Il pensiero di doversene separare era talmente doloroso da laceragli l’anima. Non avrebbe mai più visto il suo sorriso, non l’avrebbe più osservata scrivere i suoi pensieri, non l’avrebbe più guardata dormire.
In poche ore aveva perso un fratello e la donna che amava, e lui non aveva fatto assolutamente nulla per impedirlo. Era stato completamente inutile. Si sentiva lui stesso inutile.
Che senso aveva vivere se era rimasto nuovamente solo? L’unica cosa che gli era rimasta erano i pensieri di Kagome, ma avrebbe potuto vivere solo di quelli?
Dopo infinite ore scese dall’albero, iniziando a cercare il sakura più bello di tutta la vallata. Ne trovò uno ancora in perfetta fioritura nei pressi di un tempio diroccato e scavò una buca ai suoi piedi. Seppur con immenso dolore, prese per l’ultima volta il corpo senza vita di Kagome tra le braccia e la baciò tristemente sulle labbra gelide, depositandola poi all’interno della fossa.
- Kagome… – sussurrò triste la voce di una giovane ragazza alle sue spalle.
Inuyasha si voltò e si trovò di fronte qualcuno che non avrebbe mai pensato di incontrare lì.
- Voi, Principessa Rin? La conoscete? – le domandò l’han’yō, confuso dalla presenza della figlia dell’Imperatore, mezzo demone anche lei.
- Che ci fate qui? Perché siete con lei? – chiese la giovane, altrettanto stupita di trovare il sicario di Naraku con la sua amica.
- Siete stata voi a mandarla a uccidere Naraku? Siete il capo dell’Organizzazione Shikon? – ipotizzò il giovane, non riuscendo a spiegarsi perché la conoscesse.
- Non sono il capo della Shikon, tuttavia ho pianificato con loro la morte di Naraku, un futuro marito troppo scomodo e pericoloso. E comunque è stata una sua scelta, così come quella di prendere il veleno per sfuggire alle torture di quel maledetto. – ammise la ragazza.
- Ha detto che c’era un antidoto. Perché mi ha mentito? – chiese più a se stesso che a Rin.
- Forse non capirete mai il perché vi abbia mentito. – rispose lei, intuendo subito che probabilmente Kagome lo aveva fatto per salvarlo da morte certa, costringendolo in quel modo a fuggire dal castello. Evidentemente era nato qualcosa tra i due, pensò la ragazza.
- Siete voi la colpevole della sua morte! Come avete potuto usarla solo per non sposare quel dannato? – le urlò contro Inuyasha scagliandosi contro di lei, ma prima che potesse anche solo sfiorarla, una mano artigliata lo afferrò per il collo, bloccandolo a mezz’aria e stringendolo con forza. – Lascia-mi… bastardo! – rantolò Inuyasha, cercando di liberarsi. Quel demone aveva una forza incredibile.
- Sesshomaru, lascialo. – lo fermò Rin, poggiandogli una mano sul braccio.
Sesshomaru lasciò la presa e guardò con disgusto il mezzo demone ai suoi piedi che tossiva in cerca d’aria.
- Sei il disonore della famiglia, stupido mezzo demone. – affermò freddamente lo yōkai dai lunghi capelli argentei.
- Famiglia? – chiese confuso il giovane, tenendosi il collo.
- Nostro padre ha sempre servito con lealtà gli Imperatori di questo paese fino al giorno in cui è morto; invece tu eri il cane di quel traditore di Naraku! – asserì con astio.
- Nostro… padre? – ripeté incredulo il mezzo demone.
- Inu No Taisho, nonché fondatore della Shikon, era il padre di entrambi. Sesshomaru è vostro fratello maggiore. – spiegò Rin.
- Fratellastro. – la corresse Sesshomaru.
Inuyasha era incredibilmente confuso. Non conosceva neppure il nome di suo padre fino a quel momento, figurarsi l’esistenza di un fratellastro. Poco gli importava però. Loro erano i responsabili della morte di Kagome.
- Non m’interessa chi sei! Perché non hai affrontato tu Naraku visto che sei così “leale all’Imperatore” come tuo padre, invece di mandare un’umana? O non ne avevi il coraggio? – ringhiò furioso.
- Cerchi un colpevole in tutti, senza vedere che l’unico colpevole sei tu con la tua debolezza. Quella ragazza è morta perché tu non sei stato forte abbastanza da proteggerla. – ripose il demone, ignorando la provocazione e ferendolo più con le parole che con la spada.
Inuyasha non replicò oltre. Quel Sesshomaru aveva ragione e lui lo sapeva. Se non fosse stato per Miroku, sarebbe morto anche lui e la cosa gli faceva rabbia.
- Se volete, potete unirvi a noi Inuyasha-sama. – gli propose Rin, vedendo in lui un’ottima risorsa per l'organizzazione.
- A voi? – chiese l’han’yō.
- Ci troverete a Iga, dove viveva Kagome. Addio. – rispose la ragazza, voltandosi e andando via con Sesshomaru, lasciandolo solo.
Inuyasha tornò a posare lo sguardo sul corpo di Kagome a pochi passi da lui. Restò a osservarla per altre lunghe ore, finché non decise di darle il giusto riposo che meritava. Coprì il suo viso, che ancora mostrava un lieve sorriso, con un fazzoletto preso dall’obi del kimono della ragazza e la ricoprì di terra. Cosparse la tomba con fiori di sakura e si sedette al suo fianco.

L’inverno era giunto velocemente. Gli alberi erano completamente spogli e non trasmettevano più quella parvenza di tranquillità che gli avevano regalato in quei mesi; soprattutto l’albero di Kagome. Tutto appariva ancora più triste e desolato, proprio com'era diventato il suo cuore. Dove prima c’erano fiori colorati, erano rimasti ramoscelli avvizziti, così come i rami dei sakura, ricoperti solo da qualche foglia ingiallita in procinto di cadere.
Non si era mosso da lì se non per cercare del cibo. Non aveva più un posto in cui recarsi e non aveva la forza per cercarlo. Avrebbe potuto mettersi in viaggio e farsi assumere da qualche altro Signore locale, ma lottare non era nemmeno l’ultima delle sue voglie e, soprattutto, non aveva più uno scopo che lo invogliasse ad andare avanti senza Kagome o Miroku. Si rendeva conto da solo di quanto fosse debole e patetico, ma non riusciva a comportarsi diversamente. Voleva solamente stare lì, accanto a lei, fino alla fine dei suoi giorni.
Si mise a leggere nuovamente i testi di Kagome. Molti non li comprendeva, ma a lui non importava; voleva solo sentirla vicina. Mentre era intento a leggere, una folata inaspettata di vento fece volare alcuni fogli che aveva adagiato accanto a sé, ma li recupererò prontamente, tranne uno, che andò a impigliarsi tra i rami secchi del sakura, lacerandosi in uno degli angoli.
- Dannazione! – imprecò, recuperandolo con attenzione per non strapparlo ulteriormente. Un pezzo mancante era già troppo.
Ci teneva a quegli scritti e perderli, o rovinarli, era qualcosa di inconcepibile per lui. Lesse quale dei fogli si era danneggiato, ma ne restò turbato visti i suoi precedenti pensieri.

Accetta le tue fragilità, sono la tua forza.
Come la forza del ciliegio è insita nella fragilità e nella purezza dei suoi fiori,
la tua forza si trova nelle vulnerabilità che ti rendono unico.
Non temere le tue debolezze, abbracciale, perché è proprio lì che risiede il tuo coraggio,
e accettarle è il segreto per essere te stesso.

Accettare le sue fragilità… era una cosa impossibile.
Non lo aveva mai ammesso nemmeno a se stesso prima di allora, ma odiava essere un han’yō. Se non lo fosse stato, forse, nessuno sarebbe morto. Avrebbe avuto la forza necessaria per combattere Naraku insieme a Miroku e almeno lui sarebbe rimasto vivo. Aveva quella stupida spada che gli aveva lasciato il padre e che, stando ai racconti di sua madre, disponeva di altri attacchi più potenti del Kaze no Kizu, ma non era mai riuscito a scoprire quali fossero, sicuramente a causa della sua debolezza. Accettare le sue fragilità, quindi, significava accettare di essere un inutile han’yō, incapace di proteggere le persone che amava.
Il vento si alzò nuovamente in quella giornata apparentemente tranquilla, scuotendo rumorosamente i rami del ciliegio, finché uno si spezzò e cadde sulla tomba di Kagome. Quando Inuyasha si avvicinò per toglierlo, notò che su quel ramo era rimasto impigliato il pezzo del foglio che si era strappato poco prima, e un assurdo pensiero lo colpì. Guardò la tomba, poi l'albero, infine decise.
Correndo a perdifiato, ritornò al castello di Naraku, o almeno di ciò che ne restava. Fiutando attentamente l’aria, Inuyasha riuscì a identificare un odore ben preciso, quello che aveva sentito debolmente in quei mesi, ma a cui non si era avvicinato per timore di soffrire maggiormente. Scavò tra le macerie e trovò ciò che stava cercando: il rosario di Miroku. Lo mise al polso destro ed estrasse Tessaiga, facendola brillare alla luce del tenue sole invernale. La guardò esitante per qualche istante, ma il lieve, quanto impossibile, profumo di fiori di ciliegio trasportato dal vento lo fece sorridere.
- Mi aiuterete a diventare più forte! – disse alla spada e al rosario. – Direzione Iga! - aggiunse, dando poi un ultimo sguardo al ciliegio di Kagome ben visibile anche in lontananza. – Tornerò. Te lo prometto. – promise, prima di allontanarsi.







- Ancora a leggere quel manoscritto? -
- Non smetterò mai di farlo Rin. Che vuoi? Perché sei qui? – le domandò Inuyasha, riponendo il prezioso oggetto dentro il suo kimono.
- Oggi è il cinquantesimo anniversario della sua morte, vero? – chiese la giovane han’yō, sedendosi al suo fianco.
- Già, il suo e di Miroku. – rispose tristemente l’albino.
- Lei non vorrebbe vederti così. La conoscevo bene e, nonostante tutto, amava la vita. Non vorrebbe che qualcuno vivesse in sua memoria come fai tu. Perché non cerchi una compagna e provi ad andare avanti? – provò a proporgli la ragazza, che in quegli anni si era affezionata al fratellastro del suo uomo.
- Non mi serve cercare una compagna. Sarà lei a trovare me un giorno, come fa ogni primavera. – le sorrise il giovane, serbando nel cuore le ultime parole di Kagome.
Ogni primavera la vedeva sbocciare nei fiori del sakura dove l’aveva seppellita e ogni anno quei fiori diventavano sempre più belli e colorati. Credeva fosse una stupida leggenda⁽⁴⁾ quella del colore dei ciliegi, ma forse doveva ricredersi; o magari era lo spirito di Kagome a renderli di quel colore. Purtroppo nessuno avrebbe potuto rispondere a quei quesiti.
Di sicuro, Inuyasha era convinto che sia Kagome che Miroku erano rimasti al suo fianco, così come sua madre Izayoi. Non era solo, come invece aveva creduto. La loro presenza, nel profondo del suo cuore, lo aveva aiutato a ottenere quella forza di cui aveva bisogno e che mai aveva trovato, ma non la semplice forza fisica, bensì quella della mente, ed era stata quella a fargli apprendere tutte le tecniche di Tessaiga, che in quegli anni aveva usato per proteggere, non per uccidere la gente, demoni o umani che fossero.
Aveva seguito i membri della Shikon in giro per le varie missioni, aiutandoli soprattutto nel loro scopo principale, ovvero proteggere l’Imperatore. Jinenji, il padre di Rin, era morto da diversi anni, tuttavia la ragazza non aveva smesso di far parte del gruppo, comandato dall’uomo con cui aveva scelto di passare la vita, rinunciando ai privilegi di principessa.
Parlando con lei, aveva scoperto anche come Kagome si fosse unita all’organizzazione. Rimasta l’unica sopravvissuta del villaggio di Iga, era andata a vivere da una sacerdotessa di nome Tsubaki, amica di Kikyo, che viveva poco distante dal villaggio. Tsubaki, però, non solo era una kuro miko⁽³⁾ ma faceva parte di quell’organizzazione, in cui entrò anche Kagome per vendicarsi di Naraku. Dopo averle insegnato come gestire i suoi poteri spirituali, Tsubaki l’aveva affidata ad Abi, da cui aveva acquisito le abilità di combattimento dei demoni shinobi. Successivamente, era stata introdotta a corte da Jaken, amico dell’Imperatore, ma soprattutto fedele servitore di Sesshomaru.
Fu così che Kagome venne data in dono a Naraku, con una trama ben ordita da anni.
La Shikon vantava numerosi membri di prestigio, sia demoni che umani. Non avrebbe mai immaginato potesse esistere una tale rete segreta che si muoveva tranquillamente davanti ai suoi occhi, al contrario di quelli di Naraku, perfettamente a conoscenza della sua esistenza. Forse proprio per quel motivo Kagome era stata valutata la più idonea a eliminarlo; in quanto semplice concubina umana, nessuno avrebbe mai sospettato di lei.
Ciò che più turbò Inuyasha di quel racconto, però, fu quando Rin gli rivelò i sentimenti contrastanti di Kagome in quegli anni di duro allenamento. Era decisa più che mai a vendicare gli abitati di Iga, ma soffriva nel rinnegare gli insegnamenti di Kikyo, che le aveva affidato lo yatate per purificarlo; lei, invece, aveva scelto il percorso inverso di sacerdotessa oscura, così da ampliare il rancore dell’anima di Midoriko e rendere più potente la maledizione dell’inchiostro. Si era così convinta di aver disonorato la memoria della sua amata zia.
"Sciocca. Sono sicuro che tua zia sarebbe fiera di te e della tua forza." pensò il giovane, accarezzando alcuni petali di sakura adagiati sulla tomba.
Pensando al legame di Kagome con sua zia, Inuyasha non poté fare a meno di pensare al suo con Sesshomaru; lo odiava e ammirava al tempo stesso. Aveva un carattere pessimo, soprattutto nei suoi confronti, tuttavia non gli mostrava più quell’astio avvertito nei primi tempi in cui era entrato nell'organizzazione. Era un ottimo comandante e godeva di un’incredibile astuzia che gli invidiava parecchio. Si chiese se mai ne avrebbe superato quantomeno la forza, ma giunto a quel punto non gli importava più. Si sentiva in pace con se stesso, con la sua natura di han’yō e col mondo. Aveva fatto tesoro di ogni consiglio di Kagome, facendone il suo stile di vita e più niente lo avrebbe destabilizzato, tranne una cosa forse: Rivederla.
Non avrebbe mai smesso di sperare che davvero, così come la primavera faceva ogni anno, la sua Kagome sarebbe rinata per tornare da lui con quello splendido sorriso che lo aveva conquistato dal primo momento nella Pagoda Dei Ciliegi Rossi. Un’utopia, lo sapeva, ma in fondo, come diceva Kagome
“Non dimenticare che le cose finiscono perché altre migliori accadano” e lui avrebbe atteso anche per tutta la vita quel momento; il suo momento.












(*) Ho scelto Iga come nome del villaggio di Kagome non a caso, ma perché la provincia di Iga era famosa per i clan shinobi (ninja) che vi nacquero, per questo motivo ho messo la base della Shikon in questo luogo. Tra l’altro, i suoi abitati vennero realmente massacrati durante la seconda invasione Tenshō Iga no Ran dai soldati di Oda Nobunaga che li vedeva come una minaccia.

⁽¹⁾ Zabuton: è il cuscino utilizzato per sedersi a terra

⁽²⁾ Fusuma: pannelli che fungono da porte scorrevoli con intelaiatura in legno ricoperto con carta di riso.

⁽³⁾ Kuro miko: sacerdotessa oscura

⁽⁴⁾ Si narra che il colore dei fiori del ciliegio in origine fosse candido ma, in seguito all’ordine di un imperatore di far seppellire i samurai caduti in battaglia sotto gli alberi di ciliegio, i petali divennero rosa per aver assorbito il sangue di quei nobili guerrieri.



Finalmente è finita ^^
Grazie a chi ha recensito e letto <3
Spero vi sia piaciuta almeno un po’ nonostante tutto ^^’ a me è piacuta molto, non perché l'abbia scritta io XD ma perché amo la storia originale, che ancora oggi mi mette grande triste :(
A rileggerci :*
Baci Faby <3 <3 <3
   
 
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