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Autore: Nao Yoshikawa    07/10/2017    11 recensioni
Jack era il fanciullo fragile come un cristallo, che avrebbe potuto cedere e rompersi da un momento all’altro. Alex era il principe che era venuto a salvarlo dalla sua solitudine, il raggio di sole che aveva squarciato le tenebre.
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“Quanti anni hai?” - domandò Jack curioso.
“Quattordici, sono nato a Giugno, tu?”
“Anche… ma sono nato a Marzo, in primavera. Puoi muovere l’alfiere a sinistra?”
“Vedo che stai imparando. E’ una bella stagione per nascere, non trovi?”
“Ah, nulla di speciale – borbottò – l’ultimo compleanno l’ho passato da solo”
Solo a quel punto l’espressione di Alex si rattristì un po’.
“E i tuoi amici…?”
“Quali amici? Nessuno vuole essere amico di uno che ha il cancro”
Genere: Fluff, Sentimentale, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
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Sotto la finestra

I raggi di un tiepido sole trafiggevano la finestra della camera di Jack.
La sua camera era il rifugio perfetto per ogni adolescente, con gli scaffali straripanti di videogiochi e fumetti, i poster attaccati al muro, e quel po’ di disordine che non mancava mai.
Da un po’ di tempo però, quello stesso rifugio era per Jack divenuta una sorte di prigione, estremamente confortevole, ma pur sempre una prigione.
Guardare la televisione oramai non era più tanto interessante quanto guardare fuori dalla finestra: il mondo, che in un modo o nell’altro, andava avanti anche senza di lui.
Un mondo che gli era sempre sembrato scontato, fin quando non era stato costretto a rimanervi lontano. Perché il suo corpo era ormai troppo debole, e i suoi polmoni troppo stanchi.
Talvolta gli mancava l’aria anche solo ad alzarsi in piedi.
Quella finestra rimaneva aperta di giorno, nelle belle giornate come quella. Era estate, e probabilmente a quell’ora molti dei suoi coetanei dovevano trovarsi in spiaggia a divertirsi, o a giocare. Talvolta si affacciava, e li vedeva passare, vedeva passare le immagini come se si fosse trattato del film più bello mai visto.
Osservava, con grande tristezza ma anche rassegnazione. Essere soli non era bello. E tutti quegli amici che credeva di avere, che tante volte erano venuti a trovarlo, erano pian piano spariti, si erano dissolti come nebbia.
Ma che se ne faceva uno come lui di finti amici? Aveva tutto ciò di cui aveva bisogno, lì, nella sua piccola cameretta, ad un passo dal mondo che non sarebbe stato suo per chissà quanto. Forse per sempre?
I suoi occhi azzurri erano fissi su un punto indefinito oltre la finestra.
Erano azzurri, ma un azzurro sbiadito, quasi comparso, e non erano per nulla luminosi.
La cosa più brutta del dover rimanere lì, era la noia. E a causa di quest’ultima le ore passavano fin troppo lentamente.
E un giorno come tanti, un giorno uguali a tutti gli altri, qualcosa cambiò. Qualcosa entrò da quella finestra, irrompendo nella sua camera senza alcun preavviso.
Un fresbee. Rosso e giallo. E in quel momento Jack ringraziò della sua abitudine di tenere la finestra aperta, altrimenti l’oggetto si sarebbe infranto contro i vetri, rompendoli.
Quando avvenne il fatto, il ragazzo si trovava disteso con la testa sul cuscino, a rileggere per l’ennesima volta lo stesso libro. Aveva sussultato, convinto che a fare irruzione fosse stato un uccello, o magari un procione, lì nel suo quartiere non mancavano mai.
Poi però si tirò su, lentamente, e si rese conto che non si trattava di un animale, bensì di un oggetto. Jack lo prese in mano, poi sollevò lo sguardo. Se il fresbee era finito lì, significava che qualcuno lo aveva lanciato. Ma chi?
Pian piano si avvicinò al davanzale, guardandosi intorno con fare circospetto.
Non c’era nessuno.
Fece spallucce. Era così tanto tanto tempo che non utilizzava un fresbee, un pallone.
La sua vita prima del cancro gli mancava. Questo nessuno avrebbe mai potuto capirlo per davvero. Forse era per questo che poco a poco i suoi amici se n’erano andati tutti.
“Scusa, credo che tu abbia qualcosa che mi appartenga!”
Una voce gentile e allegra lo dissuase dai suoi pensieri malevoli. Jack si sporse di poco, giusto quanto bastava per vedere chi avesse parlato.
La prima cosa che incrociò fu un paio d’occhi scuri, grandi e pieni di meraviglia. Poi vide un sorriso, due guance con qualche lentiggine su una pelle chiara, e tanti capelli neri scompigliati. Era un ragazzo, probabilmente suo coetaneo, che come un miraggio era apparso sotto la sua finestra.
“Hey – lo sconosciuto richiamò di nuovo la sua attenzione, sorridendo – ci sei?”
Jack ritornò in sé, allungando il braccio, nervoso.
“Sì, scusa. Ecco” - rispose con distacco. 
“Grazie” - rispose gentilmente l’altro, per poi prendere ad osservarlo, senza parlare.
Jack detestava essere osservato, soprattutto dagli estranei. Era evidente la sua malattia, lo sapeva. Il viso sciupato, gli occhi troppo grandi, la bandana legata in testa che serviva a coprirgli la testa, un tempo piena di capelli color dell’oro.
A volte si domandava cosa le gente avesse tanto da guardare, non era neanche bello.
“Beh, adesso puoi anche andare, no?” - domandò a quel punto, in imbarazzo.
“Oh, scusa, non volevo darti fastidio. Io e miei amici stavamo giocando, e uno di loro deve aver lanciato il fresbee troppo lontano. Spero di non averti colpito”
“Eh? No, sto bene...”
Quel ragazzo era ancora lì, non sembrava intenzionato ad andarsene. La cosa in fondo non gli dispiaceva, era bello chiacchierare con qualcuno, ma Jack aveva l’impressione di essersi dimenticato come fare.
“Forte – rispose lui – io mi chiamo Alex, tu come ti chiami?”
“Sono… Jack...” - sussurrò lentamente.
“Piacere di conoscerti, Jack – sorrise il corvino – abito in fondo alla strada, è strano che non ci siamo mai incontrati. Ti andrebbe di venire fuori con noi?”
L’altro rimase dapprima in silenzio. Era da così tanto tempo che nessuno gli chiedeva una cosa del genere, e sarebbe stato anche felice di accettare, se solo… se solo non fosse stato per quella maledetta malattia. Strinse i pugni.
“Tu sei gentile ma… ma io non posso...”
“Perché no?” - domandò sinceramente dispiaciuto.
Jack allora abbassò lo sguardo, arrabbiato. Lo stava forse prendendo in giro? Davvero non si accorgeva che davanti a lui c’era una persona con il cancro?
O forse se n’era accorto e si stava divertendo ad infierire. Questo pensiero lo fece innervosire ancora di più.
“Perché non posso, accidenti! - esclamò – non mi vedi? Non vedi che sono diverso da te e da tutti gli altri? Io ho il cancro, non posso fare quello che fate voi!”
Il suo sfogo era stato forte, al punto che neanche il ragazzo stesso capì da dove avesse tirato fuori quella forza.
D’altro canto, Alex era rimasto a fissarlo, con i suoi grandi occhi scuri. Sembrava sinceramente colpito, come se davvero non si fosse reso conto, fino a quel momento, delle sue condizioni. Solo qualche secondo dopo, Jack capì di essere stato forse troppo brusco. Non era da lui comportarsi in quel modo, e forse la colpa doveva essere attribuita alla troppa solitudine. Fece per aprire di nuovo bocca, ma la sua voce fu sovrastata da quelle di un gruppo di ragazzini che stavano chiamando Alex.
“Hey, hai recuperato il fresbee?”
“Dai Alex, sbrigati!”
“Andiamo!”
Alex si voltò a guardarli, poi guardò nuovamente Jack, che aveva in viso un’espressione indefinita..
Senza dire nulla si allontanò, sparendo insieme ai suoi amici, veloce così com’era arrivato.
Jack lo osservò andare via senza trovare il coraggio di richiamarlo a sé.
Bella mossa, penso fra sé e sé, avevi la possibilità di parlare con qualcuno, magari di farti anche un amico, e lo hai fatto andare via. Forse essere solo è proprio quello che merito.
Avvilito e affranto, tornò dentro con un profondo sospiro. La prossima volta avrebbe saputo come comportarsi, sempre se una prossima volta gli sarebbe stata concessa.
Il viso, la voce e l’espressione di Alex gli rimasero in testa, e gli rimasero in testa insistentemente anche quando tentò di dormire. Non aveva idea di che ore fossero  quando si addormentò, ma seppe con certezza che ore fossero quando si svegliò l’indomani.
Ad averlo svegliato era stato un rumore che batteva contro il vetro della finestra chiusa, chiusa rigorosamente solo di notte. Sembrava che qualcuno stesse lanciando dei sassolini per attirare la sua attenzione, e chiunque fosse, questo “qualcuno”ci stava riuscendo.
Ancora assonnato si tirò su, aprì la finestra e abbassò lo sguardo, ritrovandosi davanti l’ultima persona che si sarebbe aspettata di trovare.
“Buongiorno, Jack” - Alex era allegro come il giorno prima, sembrava essersi dimenticato della tanta poca gentilezza con cui era stato trattato.
“Emh… buongiorno – rispose lui incerto – ma cosa fai qui?”
“Mi andava di venirti a trovare – affermò lui tranquillo – mi dispiace se me ne sono andato così...”
Si stava scusando con lui? Con lui che era stato maltrattato?
“Ah, no! - esclamò – non chiedermi scusa, okay? Sono io che sono stato maleducato”
Alex sorrise di cuore.
“Ah, non me la sono presa. E per la cronaca, non è che non mi fossi accorto che tu… insomma… che tu non avessi quello che hai, è solo che non è stata la prima cosa che ho notato di te”
“Da-davvero?” - balbettò lui, trovando la cosa alquanto strana. Strana perché effettivamente le altre persone avevano sempre notato quello per primo, come se non contasse più tutto il resto.
“Davvero – esclamò lui dondolandosi – deve essere noioso stare sempre qui chiusi, così ho pensato che magari potevamo giocare insieme”
“Sì, e come – sbuffò – non posso muovermi”
“Non c’è bisogno che ti muovi, penso a tutto io. Nel mio zaino ho qualcosa che potrebbe tornarci utile”
Solo a quel punto Jack si accorse dello zaino verde che l’altro portava sulle spalle.
Alex lo gettò a terra. All’interno aveva un mazzo di carte e delle scatole contenenti probabilmente dei giochi da tavolo.
“Cosa…?” - sussurrò Jack.
“Da cosa vuoi cominciare? - domandò lui – posso insegnarti a giocare a poker, non per vantarmi, ma sono molto bravo. O forse preferisci che ti insegni a giocare a scacchi, in questo sono molto meno bravo, ma ci posso provare. Oh, oppure c’è il monopoli, certo sarebbe più bello se fossimo in tanti, ma ci possiamo arrangiare. Avanti, scegli…!”
“Perché? - domandò lui quasi istintivamente – perché lo fai?”
Alex allora inarcò un sopracciglio, mostrando un’espressione furbetta.
“Perché mi va. Allora, cosa scegli?”
Alla fine Jack optò per gli scacchi, gioco che lo aveva sempre affascinato ma a cui non aveva mai giocato. 
Chiunque si sarebbe ritrovato a passare di lì, probabilmente avrebbe sorriso nel vedere quel ragazzino a gambe incrociate sull’erba che muoveva le pedine al posto del suo amico intrappolato nella propria camera. E mentre giocavano, i due iniziarono a conoscersi.
“Quanti anni hai?” - domandò Jack curioso.
“Quattordici, sono nato a Giugno, tu?”
“Anche… ma sono nato a Marzo, in primavera. Puoi muovere l’alfiere a sinistra?”
“Vedo che stai imparando. E’ una bella stagione per nascere, non trovi?”
“Ah, nulla di speciale – borbottò – l’ultimo compleanno l’ho passato da solo”
Solo a quel punto l’espressione di Alex si rattristì un po’.
“E i tuoi amici…?”
“Quali amici? Nessuno vuole essere amico di uno che ha il cancro”
“Beh, io non mi chiamo nessuno! E’ nel momento del bisogno che si vedono gli amici”
“Sì, ma… tu non mi conosci neanche, ti ho anche trattato male”
“Ti ho detto che non me la sono presa, e poi mi stai simpatico”
“Ma sicuramente… preferiresti passare il tuo tempo con i tuoi amici di ieri, che con me...”
“Accidenti, parli tanto, tu. E comunque ho fatto scacco – rispose fiero – dovresti fare più attenzione”
A Jack venne da sorridere. Quel ragazzo era stravagante e lo trattava come una persona normale, uno qualunque. La cosa gli piacque parecchio, oramai aveva dimenticato cosa volesse dire essere trattati da pari.
Lui e Alex giocarono a scacchi tutto il pomeriggio, lui gli diceva quale pedina muovere e l’altro lo faceva con naturalezza.
E per la prima volta il tempo passò veloce. Alternavano il gioco al parlare, e quasi senza accorgersene si ritrovarono a ridere e a scherzare come se fossero stati amici da sempre.
Alex gli raccontò tante cose, delle estati passate al campeggio o al mare, della sua famiglia, delle scorribande a scuola, dei suoi hobby, e dei suoi sogni.
“Da grande sarò un medico, ci puoi giurare! - esclamò con una certa teatralità – non so ancora esattamente in cosa sarò specializzato, ma sarò un medico”
Jack sorrise amaramente.
“Mi piacciono i medici, quelli gentili, è chiaro. Gli ospedali un po’ di meno… soprattutto se finisci con il passarci la maggior parte del tempo”
Alex si zittì nuovamente. Delle volte quel ragazzo se ne usciva con delle frasi tanto seriose da non sapere come ribattere, malgrado in genere sapesse sempre cosa dire.
Il corvino strofinò nervosamente i palmi delle mani.
“Come… come è successo?” - sussurrò, alludendo chiaramente alla sua malattia.
“Facile, un giorno ho avuto una crisi respiratoria e ho scoperto che non era solo una crisi respiratoria” - rispose Jack con una naturalezza quasi agghiacciante.
“… Ah. Cancro… a cosa, se posso chiedere?”
“Ai polmoni – sospirò affranto – è fastidioso, molte volte non riesco a respirare. Ma credo che ancora peggio sia la chemioterapia. Sto così male ogni volta, ho la nausea, mi sento debole...”
“Ed è per questo che non puoi uscire?” - domandò con una curiosità tipica dei bambini.
“Anche – disse duramente – ma il fatto è che i miei polmoni ormai non funzionano più bene”
Fu a quel punto che Alex si avvicinò, poggiando le mani sul davanzale.
“Allora so come risolvere il problema. Io un giorno diventerò un medico, quindi potrò curarti. Lascia fare a me, ci riuscirò sicuramente”
Jack sospirò. Avrebbe tanto voluto dirgli che probabilmente non avrebbe vissuto abbastanza. In cuor suo lo sapeva, sapeva che la chemioterapia non lo aveva aiutato come avrebbe dovuto, sapeva che il cancro era progredito. In realtà i dottori non gli avevano detto quanto avrebbe vissuto, ma sapeva che non sarebbe stato ancora per molto.
Tuttavia non se la sentì di smorzare l’allegria di Alex, che era arrivato così, all’improvviso.
“Ridendo e scherzando siamo arrivati all’ora di cena! - esclamò ad un tratto il corvino – adesso devo proprio andare, ma ci vediamo domani, eh!”
“Sì – sussurrò osservandolo intensamente – a domani”
Lo vide raccogliere le  sue cose e salutarlo prima di scomparire verso il sole morente.
Era stata una giornata piacevole, piacevole come non accadeva da tanto.
Andò a dormire con la testa più leggera e più di buon umore del solito, ma con sempre la paura nel cuore che l’indomani sarebbe tornato ad essere solo.
Un altro giorno arrivò, e Alex fu lì ad attenderlo, con i suoi sorrisi, il suo entusiasmo e la sua voglia di vivere. Fu così che la loro amicizia ebbe inizio.
Jack era il fanciullo fragile come un cristallo, che avrebbe potuto cedere e rompersi da un momento all’altro. Alex era il principe che era venuto a salvarlo dalla sua solitudine, il raggio di sole che aveva squarciato le tenebre.
Forse era strano il fatto che un ragazzo considerasse un “principe” un suo coetaneo, soprattutto alla loro età. Ma a Jack veniva naturale appellarlo così, perché dopotutto non aveva nulla di diverso dagli eroi delle favole.
Con i giorni che passavano un po’ più veloci, Jack si rese conto che sarebbe stato ore a sentire parlare Alex, che veniva sempre sotto la sua finestra, infischiandosene del caldo afoso, e preferendo la compagnia di un burbero ragazzo con il cancro ad altri tipi di divertimento.
Questo lo fece sentire lusingato, speciale. Probabilmente era bello perché Alex non aveva visto in lui una persona malata da trattare con pietà, ma aveva visto un amico che voleva aiutare in ogni modo.
Ben presto l’estate lasciò posto all’autunno. Di lì a poco il corvino sarebbe tornato a scuola, diversamente da Jack che, vista la sua situazione, non avrebbe potuto neanche volendo. Oramai la loro amicizia si stava ben consolidando, malgrado il loro essere diversi e il loro modo diverso di approcciarsi alla vita.
“Non ti preoccupare, anche se dovrò tornare a scuola posso venire da te il pomeriggio”
Jack tentava però di mostrarsi indifferente.
“E dove lo trovi il tempo di studiare?”
“Ah, non ho bisogno di studiare”
“Sì, se vuoi diventare un medico”
Alex schioccò la lingua.
“Non mi hai ancora battuto a scacchi neanche una volta, questo non va bene. Quindi è doveroso per me esserci”
“Oh Dio – sospirò Jack – tu sei pazzo”
Fu quella volta che Alex trovò il coraggio di superare il limite che c’era sempre stato. Si aggrappò al davanzale, sollevandosi al punto che ora i loro visi erano vicini.
“Può darsi – sorrise – ma va bene così, no?”
E fu quella la volta in cui Jack sentì per la prima volta i l suo cuore battere con forza e ardore. Non seppe spiegarsi neanche lui il perché.
Le vampate di calore, le vertigini, il batticuore, di solito non erano cose che si provavano quando guardavi un amico. O almeno credeva.
L’autunno non era male come stagione. L’aria si rinfrescava e la natura si colorava di giallo-arancio-marrone. Era bello stare affacciati alla finestra e osservare il mondo cambiare. C’era però una cosa di cui Jack dovette rendersi conto. Le ore passate in solitudine non erano più spese a rimuginare sulla sua vita o su ciò che lo faceva arrabbiare. Erano ore spese ad aspettare fremendo Alex, aspettare di sentire la sua voce, di vederlo arrivare tutto contento con chissà quale storia da raccontargli, ad aspettare di ridere con lui per dimenticarsi per un po’ del suo dolore.
Quando quel giorno Alex arrivò alla sua finestra, Jack non se ne accorse neanche. Assorto com’era ad aspettarlo, si era addormentato sul davanzale.
Il corvino allora si avvicinò lentamente. Era la prima volta che lo vedeva dormire, e con quelle ciglia lunghe che aveva e i tratti delicati nonostante l’eccessiva magrezza, trovava che fosse indubbiamente bello.
Si chinò su di lui, e senza farsi troppi problemi gli accarezzò una guancia. Si soffermò ad ascoltare il suo respiro, così flebile, così fragile. Ogni respiro doveva essere una sorta di vittoria per lui.
Al tocco delicato della sua mano, Jack aprì gli occhi senza però sussultare. Sorrise nel ritrovarselo così vicino.
“Hey...”
“Hey – salutò allegro – il letto è molto più comodo, non credi?”
L’altro si sistemò la bandana sulla testa, poi prese ad ascoltare Alex, che ogni giorno ne aveva sempre una da raccontare. Quel pomeriggio gli raccontò che una sua compagnia di classe di nome Martha gli si era dichiarata, ma che l’aveva gentilmente rifiutata.
E Jack si rese conto di provare gelosia e sollievo. Il pensiero che qualcuno si avvicinasse a lui in quel senso lo faceva fremere di rabbia, anche se forse non aveva senso.
“Sì, insomma – Alex era impegnato nel suo discorso – a me le ragazze non piacciono. Sinceramente preferisco stare con i ragazzi, tra di noi possiamo capirci meglio. Non lo pensi anche tu?”
“Eh… io non lo so – rispose sinceramente in difficoltà – io non… so molto di queste cose. Non ho mai avuto una ragazza… o un ragazzo. Non ho mai neanche dato un bacio”
“Se è per questo neanche io – rispose – un bacio è una cosa importante. Se dovrò darlo a qualcuno, sarà al ragazzo che amo”
Imbarazzato, Jack abbassò il capo.
“Ma Alex, allora tu sei… tu…?”
“Gay? A quanto pare – disse divertito – molti credono che lo sia per moda, ma non è così. Ho sempre saputo di essere diverso dai miei coetanei, ma non mi importa. Non vedo perché dovrei negare quello che sono. Spero che per te non sia un problema”
“No, no, no! - rispose nervoso – assolutamente no!”
“Bene. Allora, ti va una partita a scacchi?”
Ed eccolo di nuovo lì, quel sorriso. Forse adesso Jack stava iniziando a capire. Forse anche lui era come Alex, forse anche a lui potevano piacere i ragazzi.
Ah, ma a cosa andava a pensare? A lui non piacevano gli altri ragazzi… a lui piaceva Alex e basta, con i suoi modi di fare, la sua dolcezza e la gioia di vivere.
Sì, probabilmente se avesse dovuto scegliere una parola perfetta per lui, sarebbe stata quella: vita.
La vita che Jack aveva dimenticato, ma che adesso aveva di nuovo davanti a sé.
Dopo quella confidenza, ebbe l’impressione che il loro rapporto si fosse fatto più stretto, più intimo.
Come cambiavano le stagioni, qualcosa stava cambiando in loro. Gli sguardi che si lanciavano erano più lunghi e intensi, il solo sfiorarsi provocava un gran batticuore ad entrambi, e lo stare insieme era diventato essenziale.
Stavano iniziando a capire che la loro amicizia si stesse trasformando in altro, come quando i boccioli si trasformavano in fiori.
Jack capì che per la prima volta si stava innamorando, e questo lo distraeva da tutto il male che aveva addosso. Ad un certo punto, aveva di nuovo voglia di sperare e credere in un futuro.
Era natale e ancora Jack non aveva battuto Alex a scacchi. Però almeno si era migliorato molto. Il corvino non demordeva, nonostante il freddo, nonostante la pioggia, la neve, il vento. Niente lo avrebbe fermato.
Tremando e battendo i denti dal freddo, la mattina del venticinque dicembre arrivò sotto la finestra dell’amico, di buon umore.
“Buon nataleeeee, Jack! Esci fuori, esci fuori, esci fuori!”
Dopo alcuni secondi l’altro cacciò la testa all’esterno.
“Buon natale anche a te, ma che hai da urlare tanto?” - domandò.
“Mi dispiace, ma voglio darti il mio regalo – disse con aria furba – il fatto è che per dartelo è necessario che io scavalchi”
Quella proposta, chissà perché, lo mise in agitazione. Fino a quel momento a separarli c’era stato un muro, non erano mai stati troppo vicini, e l’idea di andare oltre lo spaventava.
“Ma… per forza?”
“Sì Jack, per forza” - insistette.
“Uffa, e va bene – sbuffò – ma soltanto un attimo, poi torni giù”
Tutto contento, Alex si tirò su, e come se fosse stato seduto su un divano, si accomodò sul davanzale. Adesso lui e Jack erano nuovamente alla stessa altezza.
Calò un silenzio piuttosto imbarazzante.
“Emh… ebbene? Cos’è che devi darmi?”
Nell’averlo così vicino, Jack si accorse di come Alex lo stesse guardando.
Come nessuno lo aveva guardato mai, come se stesse osservando la cosa più bella al mondo.
Le labbra del corvino si curvarono in un dolce sorriso.  Si mise in piedi sul pavimento della sua camera, rendendosi conto di essere più basso. E si avvicinò a piccoli passi.
“Buon natale, Jack” - sussurrò avvicinandosi al suo viso.
Con la gote arrossata e gli occhi sbarrati, l’altro non seppe che fare. E prima che se ne accorgesse, ecco che Alex lo stava… baciando. Sì, era un bacio verso, molto meglio di quelli che si vedevano nei film. Le sue labbra erano la cosa più dolce che avesse mai assaggiato, e il suo abbraccio era così rassicurante che non avrebbe più voluto staccarsi.
Passarono circa dieci secondi prima che Alex si staccasse, se possibile ancora più sorridente di prima.
“Allora avevo ragione a pensare che hai proprio un buon sapore”
“Io… grazie...”
“Adesso vorrei baciarti ancora, ma se lo faccio non so se sarò più in grado di fermarmi. Ma non preoccuparti, perché quando sarai guarito ti porterò via di qui, oltre quella finestra, e allora non ci guarderemo più indietro. E’ una promessa”
Jack sorrise, cercando di scacciare le lacrime. Senza dubbio era innamorato, lo erano entrambi. Non avrebbe mai pensato che sarebbe arrivato a dare il suo primo bacio, né che il suo primo amore potesse essere un ragazzo suo coetaneo.
Eppure era felice che le cose fossero andate in quel modo.
Magari aveva ragione Alex. Non necessariamente doveva essere tutto perduto. A volte i miracoli accadevano, adesso aveva iniziato a crederci di più.
Come quando era apparso per la prima volta alla sua finestra. Anche quello era stato un miracolo, perché in un certo modo lo aveva salvato da se stesso e, cosa più importante, dalla solitudine.
Il pensiero di un futuro insieme… lo portava a credere e a voler guarire.
L’arrivo dell’anno nuovo fu per Jack una vittoria. Una vittoria perché non credeva neanche di arrivarci. Poi l’inverno era passato, ed era arrivato marzo, il mese in cui compiva gli anni.
Ma fu anche il mese in cui la sua salute si aggravò maggiormente. Ebbe una crisi respiratoria, come non ne aveva oramai da oltre un anno.
Si era però rifiutato di starsene in ospedale. Non voleva che Alex… lo vedesse steso in un letto con mille tubi e fili attaccati dappertutto. Aveva ancora una dignità che voleva difendere.
Si sentiva di nuovo debole, fragile e sconfitto. Sembrava un crudele scherzo del destino. Adesso che stava iniziando a pensare con positività, adesso che aveva trovato un motivo per vivere… ecco che tutto crollava di nuovo. E forse doveva aspettarselo.
Il giorno prima dei suoi quindici anni aveva, poco tempo prima, iniziato ad immaginarselo un po’ diverso. Si era immaginato di stare meglio, magari anche di uscire fuori, chissà. 
E di abbracciare Alex, camminare con lui, vivere tutte le meraviglia che un giovane amore portava.
E invece eccolo lì, più debole che mai.
Era sera, e di solito Alex non andava a trovarlo passato un certo orario. Ma vista la sua preoccupazione non avrebbe potuto fare altrimenti.
Oramai aveva imparato a scavalcare dalla finestra senza neanche chiedere il permesso. La cosa dava non poco fastidio a Jack che, nel ritrovarselo lì all'improvviso, alzò gli occhi al cielo.
“Non si usa più chiedere il permesso?” - domandò strascicato.
“Al diavolo il permesso – borbottò – come stai?”
“Come mi vedi” - sospirò.
Dolcemente il corvino gli accarezzò una guancia, e si rese conto di come il suo respiro fosse più silenzioso e fragile del solito.
“Questo non va bene – disse allegramente – domani è il tuo compleanno, non puoi permetterti di stare male. Speravo che stessi meglio per portarti fuori, ma se così non è allora possiamo fare altro. Per esempio stavo pensando che...”
“Alex – lo chiamò – ti prego… non dirlo”
“Ma perché no?” - domandò.
Jack chiuse gli occhi. Che si fosse solo illuso? In quei mesi non era guarito, la sua malattia non era regredita, il bene che aveva sentito era stato mentale e psicologico, ma non era bastato. Adesso stava iniziando ad avere paura che la fine fosse veramente vicina.
“Domani… domani – cominciò a dire – arrivati a questo punto non so neanche se ci sarà un domani per me”
“Ancora? Ne abbiamo già parlato, basta negatività!”
“Questa non è negatività… è realtà – disse guardandolo – dico, mi vedi? Non ho neanche la forza di alzarmi, né di parlare. Probabilmente è un segno”
Adesso il viso di Alex era rosso, e Jack poté vedere il suo viso assumere un’espressione che non aveva mai visto.
“Un segno?! Ma vuoi smetterla? Che cavolo devo fare per farti capire che vivrai?”
“Ah, smettila, lo hai sempre saputo anche tu che non c’erano sicurezze”
“Io non sapevo niente! Io ti ho promesso che guarirai, sono venuto qui per te ogni giorno perché ho capito fin da subito che eri forte, ma se adesso ti arrendi, mi deluderai”
L’altro sospirò.
“Non ti ho chiesto io tutto questo”
Alex a quel punto smise di respirare. Gli parve di rivedere lo stesso Jack della prima volta, un po’ burbero e chiuso in se stesso.
“E’ vero… non mi hai chiesto tutto questo. Ma io l’ho fatto. Ti ho trattato come un mio pari perché sei un mio pari”
“Lo so, Alex – disse esasperato – ma non voglio tu soffra. Quindi per favore, finché sei in tempo va… per te sarebbe stato meglio non conoscermi”
Alzò lo sguardo, scorgendo una cosa che mai si sarebbe aspettato di vedere.
Gli occhi scuri dell’altro ragazzo erano ricolmi di lacrime.
“Il cancro ti rende stupido forse? - domandò con rabbia – non mi interessa cosa pensi. Io sono felice di averti conosciuto, e non solo. Io voglio che tu possa stare meglio, voglio che tu possa alzarti, uscire di qui. Io voglio camminare mano nella mano con te, e correre con te, voglio baciarti fino a farci mancare l’aria, voglio farti sorridere ancora, perché è la cosa che meglio so fare. Voglio vedere fin dove arriveremo. Io lo voglio, Jack, per quanto stupido e illogico possa essere. Devi per forza farmi dire adesso che ti amo? Avrei preferito dirtelo in un altro modo!”
Ti amo. Le parole più preziosa che una persona potesse dire ad un’altra. Jack non pensava di meritarle. E nell’udirlo, gli occhi si bagnarono di lacrime. Mosse lentamente un braccio nella sua direzione, e allora Alex si avvicinò, abbracciandolo delicatamente. Poggiando la testa sul suo petto poté ascoltare il battito del suo cuore, il sono più rassicurante e bello che potesse esistere.
“Scusa, Alex. Non cambio mai… io… sì, sono sicuro di amarti anche io...”
“E allora vivi. E non ti arrendere. Dai, Jack… domani compi quindici anni, e ti prometto che sarà una giornata che non dimenticherai”
L’altro sorrise. La sua dolcezza, il suo amore e la sua speranza erano commoventi.
Jack voleva credere, lo voleva davvero, ma come poteva, non avendo alcuna certezza?
“Ti credo – sussurrò sorridendo – scusa per questa mia scenata”
Alex si asciugò gli occhi, e abbassandogli gli diede un bacio in fronte.
“Scusa tu, ho lasciato a casa la mia allegria stasera. Adesso ti lascio riposare. E ricorda che domani verrò da te presto”
Ti conviene – disse tranquillo e sereno – sarà la volta buona che ti batterò a scacchi. Forse ho capito come fare”
Il corvino rise mentre si avviava alla finestra.
Litigi, quale coppia non ne aveva. Ma loro ce l’avrebbero fatta. 
Sarebbe passato tutto.
Quando arrivò il giorno dopo, il diciassette marzo, Alex si presentò alla finestra del ragazzo.
“Jack! - urlò felice – hai visto, ce l’hai fatta! Quindici anni! Avanti, affacciati, ci aspetta una bellissima giornata!”
Nessuna risposta. Forse stava ancora dormendo.
“Jack! - chiamò – ti sto aspettando!”
E ancora una volta, nessuna risposta. Ci volle qualche secondo prima che la paura e il panico prendessero in lui il sopravvento.
Non poteva essere. No, era impossibile. Loro dovevano passare quella giornata insieme.
Quella mattina fu la mattina in cui il cuore di un ragazzo con troppi sogni si spezzò.
Era una bella mattina di primavera quando Jack, all’alba dei suoi quindici anni, esalò l’ultimo sofferto respiro.
La primavera e la rinascita che non avrebbe vissuto.
Alex lo odiò. Lo odiò perché glielo aveva ripetuto mille volte, di essere forte, di non arrendersi, ma non era stato ascoltato.
Il dolore, lacerante, lo fece star male. E lo fece star male per i giorni, le settimane e i mesi seguenti. 
La cosa più strana era che, nonostante tutto., continuò ad andare sotto quella finestra, nella speranza che Jack si affacciasse, mostrando i suoi bellissimi occhi azzurri e il suo sorriso, pronto a  giocare e a vincere la partita a scacchi della vita.
Ma questo non sarebbe accaduto. Quella finestra sarebbe rimasta chiusa.
Alex si ricordò in seguito del suo funerale, e di come non fosse riuscito a versare neanche una lacrima. Non perché non fosse triste. E che forse, nel suo profondo, sapeva e credeva che sarebbe morto anche lui, come il ragazzo che per primo aveva amato e che aveva deluso.
Gli aveva fatto una promessa che non aveva mantenuto!
I mesi però passarono, passarono gli anni, e lui continuò a vivere, diventando grande e a raggiungere il suo sogno: diventare un medico. Specializzato in oncologia.
E ancora più curioso fu il fatto che, molti anni più tardi, il giorno che si fu laureato, Alex tornò sotto quella finestra. Sorridendo e con gli occhi lucidi aveva alzato lo sguardo verso l’alto. Sicuramente, se Jack fosse stato lì gli avrebbe concesso uno dei suoi sorrisi e gli avrebbe detto che era stato bravo e che era riuscito nel suo intento.
Se chiudeva gli occhi poteva ricordare tutto, il loro bacio, le loro risate, le loro infinite chiacchierate. La vita che non sarebbe mai stata loro.
Sarebbe sempre stato il suo primo amore, quello che lo aveva portato ad essere ciò che adesso era. 
Non era vero che non lo aveva salvato. Perché lo aveva tirato fuori dalla solitudine a aveva reso i suo ultimi mesi di vita degni di essere vissuti.
E adesso avrebbe potuto aiutare tante altre persona come lui.
Con un nodo allo stomaco, ma oramai in pace con se stesso, Alex si allontanò. Probabilmente sarebbe tornato ancora sotto quella finestra.
In un modo o nell’altro, Jack sarebbe sempre stato lì. E sarebbero sempre stati due ragazzini, il fanciullo fragile come cristallo, e il suo principe che lo aveva salvato.

NDA
Io mi ero ripromessa che non avrei più scritto storie che trattavano certe tematiche. Perché ci sto troppo male.
Ma la mia vena artistica ha vinto ed ecco qua. Una storia angst, triste e drammatica. Perché? Perché non posso essere come quelle scrittrici normali che danno un happy ending a tutti?
E no, io devo sempre far soffrire.
E' stata un'agonia la parte finale, tuttavia sono molto contenta.
Spero che la storia sia piaciuta anche a voi T_T
   
 
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