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Autore: Koa__    07/10/2017    14 recensioni
«Un penny per un palloncino» aveva gridato un buffo ometto con il viso dipinto di bianco e un gran fatiscente cappello calato sopra la testa. Uno un po’ retrò e con una toppa di un colore diverso, rammendata assai male, che gli concedeva un’aria vagamente decadente. «Un penny per un palloncino» aveva ripetuto, a voce un po’ più alta mentre una folla di bimbi festanti e gente curiosa gli si radunava attorno.
Genere: Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Sherlock Holmes
Note: AU, Kidfic | Avvertimenti: nessuno
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Rage Over a Lost Penny





«Un penny per un palloncino» aveva gridato un buffo ometto con il viso dipinto di bianco e un gran fatiscente cappello calato sopra la testa. Uno un po’ retrò e con una toppa di un colore diverso, rammendata assai male, che gli concedeva un’aria vagamente decadente. «Un penny per un palloncino» aveva ripetuto, a voce un po’ più alta mentre una folla di bimbi festanti e gente curiosa gli si radunava attorno. Ballava, il buffo ometto col cappello. Danzava e faceva strane mosse coi piedi. Intonava quel motivetto che poco lontano si udiva provenire delle giostre. Canticchiava e lo faceva con voce appena un poco stonata. Molti ridevano del suo spettacolo, sganciavano una moneta o due e poi lo incitavano a proseguire. Volevano che il buffo ometto con la tuba rattoppata si esibisse in altre danze. E il buffo ometto col cappello, di meglio non chiedeva.

Sherlock Holmes era, in quello sfacciato scherzare, una maschera di confusione. C’erano tante cose strane del mondo che non riusciva del tutto a comprendere, e sebbene matematica e biologia fossero relativamente semplici da assimilare, le persone erano il suo più grande dilemma. Non riusciva davvero a capirle, né ad afferrare la ragione per cui certi suoi coetanei dovessero strillare per un orribile palloncino dalla forma assai banale, che madri e tate negavano loro. Un paio di bambini alla sua destra strepitavano come se si fossero sbucciati le ginocchia. Uno di loro, più o meno della sua stessa età, aveva grandi lacrimoni a bagnare una costellazione di lentiggini su naso e zigomi. Piangeva alla stessa maniera di come zampillavano le fontane e intanto indicava il buffo ometto col cappello che, per lui, diventava sempre più distante. “Ne voglio uno, mamma” aveva gridato, prima di riprendere a frignare. Piangere per un palloncino… I bambini non li avrebbe mai capiti del tutto; lui non avrebbe mai speso neanche un penny per una sciocchezza di quel genere.
 
«Quale vuoi, ragazzo? Quale di questi?» Sherlock sobbalzò per lo spavento. Lui? L’uomo col cappello si stava rivolgendo a lui? E per quale ragione? Aveva forse l’aria di uno che giocava coi palloncini? Doveva quindi dire se lo voleva o meno? Oppure poteva semplicemente andarsene, facendo finta di niente. Era un obbligo, il rispondere alle domande e anche quando non si aveva nulla da dire. Gliel’aveva spiegato mamma, che si faceva così e lui credeva a mamma più che a qualunque altra persona al mondo.

Sherlock sbatté le palpebre. Una, due e forse addirittura tre volte. Non si sorprese nello stare a osservare con una punta di raccapriccio, l’ampio sorriso che deformava i tratti del volto del buffo ometto col cappello. A guardasi era orrendo, pensò facendo una smorfia di disgusto. Con quelle labbra tirate a quel modo, la pittura dipinta in faccia e che si crepava all’altezza degli zigomi, denti ingialliti e mani rugose. Non era certo un qualcosa che valesse la pena studiare con attenzione. Eppure, il piccolo Sherlock Holmes ne rimase ugualmente affascinato e, con incanto, restò fermo a fissarlo. Solo il buonsenso o più probabilmente un vago timore, lo fecero indietreggiare di poco. Pur essendo perfettamente sicuro che quello sconosciuto non fosse pericoloso, preferì mantenersi a una certa distanza. Le persone non gli piacevano. Le persone lo abbracciavano, toccavano e senza domandargli il permesso. A nessuno di loro sembrava importare del fatto che non volesse esser baciato sul nasino da chicchessia, e che non gradiva gli si tirassero le orecchie il giorno del suo compleanno. Sherlock non era scemo, per quanto ne dicesse Mycroft. Lo sapeva che non si poteva far sparire magicamente nasi e dita. Gli adulti, però, parevano svagarsi un mondo nel fargli credere che parti del suo corpo venissero amputate. Che idioti…

I pensieri tornarono al presente proprio nell’attimo in cui il buffo ometto ripeté per una seconda volta quella stessa domanda, alla quale accompagnò un inchino vistoso. Lì attorno, un gruppetto di bambini scoppiò in una sonora risata, divertiti da smorfie e facce strane. Sherlock ancora faticava a capire cosa ci trovassero di bello. Cosa pretendevano facesse? Doveva comprarne uno? E poi che avrebbe dovuto farci? Andare in giro con uno stupido coniglio rosa per tutto il giorno? Se l’avesse fatto, Mycroft lo avrebbe preso in giro per il resto della vita.
«I palloncini sono per gli stupidi» enunciò, con fare saccente. Aveva sollevato il naso all’insù e intrecciato le mani dietro la schiena. Ben sicuro di se stesso e delle proprie convinzioni, già incredibilmente forti per l’età che aveva.
«Oh, sono certo che ce l’hai un penny con te.»

Aveva un penny? Ovvio che sì. Ne aveva due. Due miseri penny che nonna Holmes gli aveva regalato qualche giorno prima. “Comprati quello che ti piace” aveva detto lei, strizzando l’occhio mentre faceva cenno di non dir niente a nessuno. No, Sherlock non aveva proprio capito perché dovesse mentire su una cosa così innocua come due monete. Però aveva taciuto, ingozzandosi di torta di mele e latte al cacao. Probabilmente aveva anche annuito, perché le torte di mele avevano il potere di convincere chiunque. Persino Mycroft si sarebbe persuaso d’essere davvero un idiota.

Ora, invece, Sherlock se ne stava lì. Con le piccole mani ficcate a forza nelle tasche dei pantaloni e le dita strette attorno a un paio di penny. Lo sguardo deciso e determinato nel rispondere a tono a quello scemo di un clown, che pretendeva si mettesse a giocare come un neonato. Lui aveva sette anni e mezzo, si chiamava Sherlock Holmes ed era decisamente sopra la media rispetto ai compagni. Meno intelligente rispetto a suo fratello, ma questo era un dettaglio che non amava mai sottolineare troppo e sul quale si poteva far finta di niente.
«Ne sei sicuro, piccolino?»
«Grazie, no» aveva ribadito, dopodiché se n’era andato.
 
Lo aveva notato allora. Prima che s’incamminasse verso sua madre che, poco distante, sedeva su una panchina del parco e chiacchierava con un paio di amiche. Oltre il gruppetto di bambini, appena dietro il buffo ometto con la tuba rattoppata, c’era un ragazzo un poco più basso e forse di uno o due anni più grande d’età. Indossava una camicia ben larga e calzoncini corti, le scarpe invece erano vecchie e logore. Aveva capelli biondi e due occhi di un blu profondo, arrossati probabilmente per il pianto. Un’espressione triste gli deformava i tratti del viso in una maniera che Sherlock trovava ingiusta. Quel bambino avrebbe dovuto sorridere, si disse. Su tutto, a esser interessante era quel che stava facendo. Da minuti era tutto preso a rovistarsi nelle tasche dei pantaloni. Era sicuramente in cerca di un qualcosa, magari di un penny? Chiaro: avrebbe voluto comperare un palloncino, ma non aveva soldi sufficienti. Ecco perché di tanto in tanto osservava con aria sconfitta l’ometto dei palloncini. Fatti suoi, pensò facendo spallucce e incamminandosi. Voleva chiedere a mamma il permesso per compare dei dolcetti allo zenzero e stava proprio per andarsene, questa volta davvero, quando per una strana ragione cambiò idea. Successe dopo che il bambino dai capelli biondi ebbe sollevato lo sguardo in sua direzione. Neanche preoccupato d’asciugarsi le lacrime che gli arrossavano le guance, incatenò lo sguardo a quello di Sherlock. Poi, semplicemente sorrise. E per la prima volta, al più piccolo di casa Holmes, anni sette, una cascata di ricci capelli scuri sopra la testa, mancarono le parole.

Aveva caldo. Questo fu il primo pensiero sensato che si ritrovò a formulare. Sentiva d’avere la faccia in fiamme e gli sudavano le mani. Era quasi certo che gli stesse succedendo un qualcosa nello stomaco, perché sembrava che delle farfalle gli fossero entrate dentro. Ma poi anche il cuore, era normale che battesse così svelto? Più guardava il sorriso di quel bambino, più strano percepiva se stesso. Addirittura si sentì svenire dopo che questi ebbe sollevato una mano, agitandola appena. Lo stava salutando. Lui? Proprio lui! Salutava lui. Nessuno lo salutava ridendo, anzi spesso ridevano di lui e delle cose che diceva. Di certo non lo salutavano. Per questa ragione Sherlock detestava le persone, oltre al capire mai come dovesse comportarsi in situazioni del genere. In quel momento, però e senza quasi rendersene conto, lo salutò in rimando.

«Un penny per un palloncino!»

Il buffo ometto col cappello rattoppato si stava allontanando. Lui con i suoi palloncini colorati, legati insieme da una corda e che reggeva con una sola mano, se ne andava fischiettando il motivetto della giostra. Via, in direzione d’un'altra zona del parco. Una più popolata e dove trovare qualcuno a cui vender palloncini. Il buffo ometto dalla faccia dipinta che, incurante d’ogni cosa, si portava addosso lo guardo triste di un piccolo bambino biondo e ne spezzava le più grandi speranze. Sherlock comprese in quel momento cosa dovesse fare. Prima di vederlo sparire dietro la curva, iniziò a correre più veloce che poteva. Giù, lungo la stradina che spariva tra gli alberi. Sotto al sole tiepido d’ottobre e con il venticello leggero che pareva quasi volesse essergli d’aiuto. Corse, il piccolo Sherlock Holmes. Più svelto che sapeva. Mettendo un passo dopo l’altro quasi fosse capace di volare e una volta che lo ebbe raggiunto, per fermarlo, gli tirò un lembo della giacca logora.
«Quello rosso» disse a voce ben alta, porgendogli un penny mentre questi si lasciava andare a una risata di cuore. Un divertimento sfacciato, vivo e sincero.
«Lo sapevo» lo prese in giro mentre Sherlock tremava di rabbia. Tenne stretto dentro di sé il desiderio di gridare, e tanto da mordersi la lingua. Serrò le labbra, allungando la mano aperta con maggior decisione. Come a dirgli di sbrigarsi a prendere quel penny scintillante. Il suo orgoglio fremeva, strepitava per urlare. Non si preoccupò di dirgli che non era per lui. Non perse del tempo prezioso. Mycroft gli aveva insegnato che con gli idioti non ne valeva la pena e in questo era quasi sicuro che suo fratello avesse ragione. Quindi non puntualizzò un bel niente, anche se una vocina dentro di sé avrebbe voluto fargli presente che il palloncino rosso era per un’altra persona. Più semplicemente strinse il cordino e tornò indietro.

Sherlock Holmes non era mai stato di molte parole. Poco importava che a casa propria si lanciasse in veri e propri monologhi, era piuttosto raro che snocciolasse discorsi non necessari in presenza di persone che non conosceva. Aveva notato che molti fraintendevano le sue intenzioni, prendendosi una confidenza che Sherlock non voleva affatto dare. Tacere spesso era meglio che parlare. In quell’occasione, però, la sua era più che altro timidezza. Era come se faticasse persino a pensarle, certe cose. Quasi gli fosse impossibile pronunciare una sola sillaba.
«Tuo» sussurrò a mezza bocca, porgendogli la corda sottile mentre il palloncino rosso ondeggiava leggero. Mosso dal vento. Il rossore sempre più evidente su guance altrimenti pallide. Un sorriso felice che s’allargava sul volto del bambino biondo. Poi un bacio delicato ad impreziosir uno zigomo spigoloso. Un nome mormorato a mezza bocca. John. Sherlock Holmes, piacere. Piacere mio. Una promessa suggellata sul fare del tramonto. Rivedersi proprio lì, il giorno successivo. Poi risate e un palloncino rosso a guadar verso il basso, testimone dell’inizio di un qualcosa.

Sorrideva, il buffo ometto dal capello rattoppato. S’allontanava a passo lento e cadenzato lungo i viali arrossati dell'autunno e nel mentre fischiettava il motivetto di una giostra. Faceva inchini a ricordi di bambini. Saltellava con far di ballerina e s'inoltrava dentro a una sottile nebbiolina. Sparì dopo la volta d'una curva, nell'alito leggero della sera. Andava a vender palloncini a cascate d'altri festanti bambini. Con sorriso delicato e mani rugose di vecchiaia, era il buffo ometto dalla tuba rattoppata.
 
 


Fine



Annotazioni: Qualche giorno fa è capitato che nel gruppo FB “Il giardino di Efp”, mi venisse in mente di partecipare al giochino: “obbligo, verità o salvataggio”. L’obbligo che mi è stato dato era quello di scrivere una ff AU.
“Rage over a lost penny” è un brano di Beethoven che ha parzialmente ispirato la storia e ne ha dato il titolo. Lascio il link qui a titolo informativo, non l’ho invece messo in alto alla pagina perché ho intenzione di discostarmi in maniera netta dalla musica classica.
Grazie a tutti coloro che sono arrivati sino in fondo.
Koa
 
   
 
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