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Autore: Sajoko    08/10/2017    0 recensioni
Bigby Wolf, sceriffo di Fabletown, dopo aver risolto l’intricato caso dell’Uomo storto, continua a svolgere il suo dovere: proteggere le fiabe.
Snow, diventata capo ufficio, decide di assumere un secondo detective. Bigby non è molto entusiasta dell’idea; il suo lavoro implica molti pericoli e non vuole mettere a rischio la vita di un partner.
Poco tempo dopo, in città succede l’imprevedibile: un uomo armato, distrugge il negozio di Johann il macellaio. Misteriosamente, dopo l’arresto, l’uomo muore sotto gli occhi dei due detective. Indagheranno sul caso, ma non sanno che ciò li porterà ad un affare molto più grande ed intricato.
La città di Fabletown è colma d’imprevisti, misteri e soprattutto segreti; e le favole sanno come nasconderli sotto gli occhi di tutti…
Genere: Avventura, Azione, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Cap.2: The new Detective
 
Ogni volta che camminava in una radura, bosco o anche solo nei dintorni di qualche villaggio, Bigby doveva stare attento. Il motivo era perché tutti i personaggi di quel mondo lo temevano e, proprio per la paura che avevano, lo cacciavano via. C’era anche chi lo volevano morto.
 
Bigby, conosciuto come il Grande e Grosso Lupo Cattivo nel mondo delle fiabe, aveva fatto molte stragi: aveva ucciso e mangiato centinaia di bestiami, persone, animali del bosco e altri sarebbero finiti sulla lista degli omicidi.
Esatto: omicidi. Così gli abitanti dei villaggi definivano il procurarsi il cibo di Bigby.
Per gli abitanti del villaggio erano omicidi, ma non per Bigby: lui era un predatore e ogni predatore si procura il cibo cacciando e uccidendo.
Il problema non era Bigby; il problema era che lui, essendo l’unico predatore più forte di quel mondo “perfetto”, la gente non riusciva a conviverci e ad abituarsi.
 
Bigby non aveva paura dei cacciatori armati di fucile o dei fattori armati di forconi; lui li avrebbe sfidati ad attaccare per primi e li avrebbe affrontati uno per uno, mandandoli tutti al tappeto.
Non aveva paura di morire. Non temeva nulla… almeno fino a “quel giorno”.
Nonostante siano passati molti anni, ancora oggi, nei suoi sogni, Bigby rivive quel momento.
 
Quel giorno, il Lupo era riuscito a trovare delle prede lasciate casualmente fra l’erba di una radura di un villaggio vicino. Probabilmente erano state uccise da qualche cacciatore.
Pensando che potesse trattarsi di una trappola, si guardò attorno: non percepiva alcun pericolo e quindi ne approfittò. Sbranò una dopo l’altra le carcasse morte e pranzò divinamente.
Quel giorno, era riuscito a procurarsi del cibo senza muovere neanche un dito.
 
Sentendosi sazio, tornò nella foresta per andare a riposarsi. Si sentiva pieno e finalmente felice. Quello era uno dei pochi momenti in cui poteva provare quell’emozione in maniera pura e veritiera.
 
Mentre camminava nel bosco, incrociò una pecorella intenta a brucare l’erba fresca. La pecorella, sollevando il muso da terra, vide il Lupo e dalla paura si pietrificò all’istante.
Da quanta paura aveva, non riusciva neppure a muoversi. Il Lupo percepì il terrore che scorreva nelle vene di quel piccolo animale.
 
Più per istinto che per fame, il Lupo attaccò la pecorella e la catturò tra le sue enormi fauci. Solo dopo averla catturata, si rese conto di essere talmente sazio da non avere più alcuna fame.
Decise di lasciarla andare ma, data la sua reputazione di senza cuore, doveva trovare una buona giustificazione per la sua “pietà”. Appena lasciò la presa, il Lupo disse:

- … Ho deciso di lasciarti andare, solo a condizione che tu sappia esprimere tre desideri in maniera intelligente. -

La pecorella, sconcertata da quella assurda richiesta, dopo aver pensato per un istante, rispose in maniera tale da spiazzare il Lupo:

- … Se è così, per prima cosa, vorrei non averti mai incontrato! Secondo: se proprio tutto questo doveva avvenire, avrei voluto incontrarti cieco; ma visto che nessuno di questi due desideri è stato esaudito, adesso vorrei che tu venissi maledetto! Desidero che tu faccia una brutta fine! Ci hai reso la nostra vita impossibile! Hai mangiato centinaia delle mie compagne che non ti avevano fatto alcun male! -

Il Lupo rimase in silenzio. Dal suo sguardo non sembrava colpito ma, nella sua mente, vagavano molti pensieri.
Inaspettatamente, invece di arrabbiarsi com’era prevedibile, il Lupo rispose:
 
- … Apprezzo la tua sincerità. Hai avuto molto coraggio a dirmi ciò che realmente pensavi. Ora sei libera. -
Così dicendo, il Lupo liberò la pecorella e se ne tornò nella fitta foresta senza voltarsi.
 
In quel momento, il suono di un clacson svegliò Bigby all’improvviso. Si guardò attorno: era seduto sulla poltrona. Il vento si era placato e, di sottofondo, si percepivano i clacson delle macchine.
Si mise comodo, poi si passò una mano sul viso barbuto e mandito di sudore. Si strofinò gli occhi, poi strinse le tempie con la mano. Aveva un dolore lieve ma fastidioso che gli martellava in continuazione.
 
Quella conversazione così inaspettata e surreale lo ha perseguitato in sogno per diversi anni. Non avrebbe mai immaginato che un animale così piccolo, mansueto e docile, potesse provare tanto rancore verso qualcuno…
 
Essendo ancora presto per andare al lavoro, Bigby decise di occupare il tempo in maniera diversa. Mentre lo scrosciante fragore dell’acqua fredda spariva nel lavandino, Bigby si lavò il viso e ripensò al sogno: un animale così fragile, dolce e innocuo, dimostra con una schietta sincerità il suo odio verso il suo predatore senza alcuna esitazione.
Forse la pecorella era riuscita a parlare spontaneamente perché sapeva che il Lupo non lo avrebbe uccisa; ma ciò che più lo stupì, fu il fatto che provasse così tanto odio per lui.
Può davvero un animale provare così tanto ribrezzo per un altro animale?
Non si pose la stessa domanda per l’uomo perché era in un contesto diverso: i sentimenti di disprezzo e disgusto sono il pane quotidiano dell’uomo… ma un animale, può davvero odiare qualcuno? Bigby ripensò ai suoi stati d’animo quando seguiva la vicenda dell’Uomo Storto: si, un animale poteva per davvero provare tanto odio.
Dopo essersi sistemato, preparato e aver controllato i fascicoli di lavoro, Bigby uscì dal suo appartamento e si diresse a piedi verso il Business Office.
Erano le 8 passate, ma Fabletown era già sveglia ed immersa nel suo gran caos mattutino.
 
Camminare fino al lavoro gli piaceva: gli permetteva di vedere gente nuova, vedere luoghi che non aveva mai visitato e immagazzinare profumi nuovi ogni giorno nella sua mente. Da quando aveva iniziato i trasferimenti nel nuovo appartamento, ogni giorno Bigby provava sensazioni nuove e s’immaginava come sarebbe stato provarle nel mondo delle fiabe. A volte provava un po’ di nostalgia, ma troppi ricordi erano legati a momenti frustranti e tristi…
Scacciò quei pensieri dalla testa: il passato è passato. Ora stava ricominciando una nuova vita, una nuova reputazione. Non c’era più nessuna pecorella a maledirlo. Nessuno lo avrebbe più temuto.
Quando arrivò di fronte al complesso del Woodland Luxury Apartment, Bigby notò Gren e Jack fermi al portone principale intenti a parlare. Mentre finiva la sua sigaretta, Bigby percepì uno strano profumo, diverso da qualsiasi altro che aveva memorizzato. Ne percepiva una lieve traccia e pensò che probabilmente proveniva dai due uomini di fronte a lui.
Buttò la sigaretta, superò il cancello in ferro che si chiuse alle sue spalle e si diresse verso il portone principale. Mentre si avvicinava, Bigby sentì Jack dire:

- Certo che era proprio uno schianto! Ma dico, l’hai vista? –

Gren lo guardò infastidito:

- Ti ricordo che quella è umana Jack. Noi non dobbiamo farsi ingannare dai tipi come quelli. -

Jack fece spallucce:

- E allora? Ho soltanto espresso la mia opinione. Quel tipo di persona con quel tipo di bellezza non si avvicinerebbe a noi neanche per sbaglio. È troppo in alto per potersi abbassare al nostro livello. E, guarda che cosa rara, si è fermata a parlare proprio con noi… non dirmi che non credi alle coincidenze? –

Gren si voltò verso Jack:

- Mio dio Jack, la fai un po’ troppo pesante secondo me! Ci ha chiesto soltanto dove fosse l’ufficio, non se volessimo…! -

I due videro Bigby avvicinarsi e subito si zittirono. Bigby non sapeva di cosa stessero parlando ma non gli interessava.
Quando fu vicino ai due, il profumo che aveva percepito prima, aumentò leggermente. Non erano i due uomini.
Jack salutò Bigby:

- Buongiorno Sceriffo. Bella giornata oggi, non trova? –

Gren si appoggiò allo stipite del portone e, senza speranza, sospirò:

- *Sigh* … Già, proprio una bella giornata Jack… sarebbe ancora più bella se tu la smettessi di parlare! –

Bigby li guardò perplesso:

- Buongiorno anche a voi… che vi prende? Sembrate… persi in altri pensieri. –

Gren guardò Jack, ridacchiò divertito e disse:

- Tsè! A parere di Jack, appena varcherai la porta dell’ufficio, diventerà una bella giornata. –

Jack poggiò le mani sui fianchi e rispose:

- Hey! Io ho gusto per le cose belle; non so se mi spiego… -

Bigby guardò Jack confuso. Ancora non capiva di che stessero parlando.

I due fecero per andarsene, ma in quel momento, Jack poggiò una mano sulla spalla di Bigby e disse:

 - Comunque sia Detective, a mio parere, sarà meglio che ti prepari ad una visione paradisiaca. Ciao ciao! -

Entrambi si diressero verso il cancello e Jack continuò a parlare con Gren (cosa che molto probabilmente non aveva voglia di fare a quell’ora del mattino).
Bigby non capì cosa stesse prendendo a quei due, ma non se ne curò affatto e varcò il portone principale.
Mentre camminava per il corridoio per dirigersi in ufficio, percepì nuovamente quel profumo strano, ma questa volta più intensamente. Era un profumo diverso che non aveva mai percepito nella città ma che, stranamente, gli sembrava familiare. Quel profumo gli ricordava quando viveva ancora nella foresta nel mondo delle fiabe. Percepiva quel profumo ogni volta che, dopo la poggia, il terreno restava bagnato per qualche ora.
Ecco cos’era: profumo di terra bagnata dopo la pioggia. Molto insolito da queste parti.
Non riusciva a spiegarsi il perché sentiva questo profumo e notò che più si avvicinava all’ufficio, più s’intensificava. Appena fu di fronte alla porta, Bigby riconobbe le voci di Snow e Bufkin… poi sentì la voce di una terza persona. Dal tono, sembrava femminile.
Curioso, aprì la porta e vide Snow seduta dietro alla scrivania, mentre Bufkin stava appollaiato sopra una colonna di pietra guardando con sguardo perso le due donne. La persona misteriosa dava le spalle alla porta, quindi Bigby non la vide subito in faccia. Che fosse la Zia Foglia verde? No, non era lei; l’avrebbe riconosciuta subito.
Snow e la persona misteriosa stavano parlando e scherzando. Snow era contenta a giudicare dalle parole:

- Sai, non immaginavo che avresti accettato. Di solito, tutti preferiscono altre zone come il centro piuttosto che la periferia. Qui c’è davvero il peggio del peggio. –

La persona misteriosa ridacchiò divertita e rispose:

- Beh, è proprio per questo che ho accettato: qui c’è più da fare. Il posto ideale insomma! –

Risero nuovamente. Bigby si avvicinò e quando Snow lo vide, si alzò e gli venne incontro:
 
- Buongiorno Detective Wolf. Ho una notizia da darle. –

Bigby ne fu sorpreso: Snow non lo chiamava mai “Detective”, figuriamoci per cognome. Lo faceva solo nei momenti formali. Appena gli fu vicino, Snow disse:
 
- Le presento il nuovo Detective del nostro distretto, nonché suo nuovo partner e collega. –

Bigby rimase basito: nuovo partner di chi? Nuovo Detective di cosa? Che cosa stava succedendo? La persona misteriosa finalmente si alzò dalla sedia, si voltò verso Bigby e si presentò.
Quando la vide, Bigby capì di cosa stavano parlando Gren e Jack poco prima.
La ragazza gli porse la mano e si presentò:

- Molto piacere, collega. Mi chiamo Jane Bleddyn. –

La ragazza avrà avuto non più di 30 anni, cappelli grigio/bianco mossi fino alle spalle, maglietta bianca, pantaloni attillati neri, anfibi neri e un giacchetto in pelle nero. Il suo sguardo era più unico che raro: l’occhio destro era azzurro mentre il sinistro era verde; aveva qualche lentiggine sul naso e labbra leggermente carnose di colore scuro.
Bigby capì immediatamente il perché Jack gli avesse detto quella frase.
Le strinse la mano e si presentò:

- … Sono il Detective Bigby Wolf… molto piacere… -

Mentre le stringeva la mano, il suo fiuto percepiva il profumo di terra bagnata: proveniva da lei. Quando la lasciò andare, Bigby tornò alla realtà: quella ragazzina sarebbe diventata sua partner? Ma scherziamo?
Si voltò verso Snow e con gentilezza disse:

- Ehm… Posso parlarti un attimo in privato? –

Snow annuì, si scusò con Jane e si diressero lontano verso gli scaffali affinché le loro voci non si sentissero. Sicuro di non essere sentito, Bigby sfogò il suo disappunto:

- … Ma che diavolo è questa storia? Assumi un nuovo detective a mia insaputa e nemmeno vieni a parlarmene? –

Snow guardò Bigby stupita, poi replicò seccata:

- Non te l’ho detto proprio perché sapevo che non avresti voluto un partner al tuo fianco! Dopo il caso dell’Uomo Storto hai rischiato troppe volte di morire! So che sei orgoglioso e testardo, ed è proprio per questo che ho dovuto farlo a tua insaputa! –

Bigby si passò una mano davanti alla faccia:

- Questo non giustifica il fatto che tu me lo abbia nascosto! Sono io la persona con cui lavorerà quella ragazza! Ho il diritto di sapere certe cose! Potevi almeno chiedermi se mi andasse di condividere il lavoro con qualcuno! –

Snow iniziava a innervosirsi:

- Senti, non sto diffidando delle tue capacità, ma non posso rischiare che tu muoia per mano di qualche spietato criminale che ti ha sparato con dei proiettili d’argento, quindi non venirmi a fare storie! La decisione è stata presa ed è già stata assunta! Inizierà oggi, quindi da adesso è la tua nuova partner; che ti piaccia o no! –

Bigby sgranò gli occhi. Era piuttosto seccato:

- Cosa? Stai scherzando vero? Come puoi dirmi che la decisione è stata già presa? Da quanto tempo è che lavori a questa idea? Non so nulla di lei: non so nemmeno se ha esperienza o se è alle prime armi, non so se ha i requisiti giusti per interrogare un sospettato… figuriamoci catturarlo o inseguirlo quando serve! –

Snow s’innervosì ancora di più:

- Pensi davvero che io scelga i nostri lavoratori a caso? Ho controllato da cima a fondo, parola per parola, la sua carriera in polizia: ha lavorato al distretto 2 di Washington per quasi 4 anni, di cui uno lo ha passato sotto copertura per scovare una banda di narcotrafficanti; si è trasferita al distretto 15 di Boston per 5 anni; risolvendo diversi omicidi di civili e faide tra gang della città. Infine, è arrivata qui; adesso è una detective e svolge questo ruolo da qualche mese, ma ha tutte le carte in regola per lavorare qui. –

Bigby, sentendo queste informazioni, si stupì; ma non per il fatto che fosse una brava poliziotta, ma più per lo stravolgimento di carriera: perché iniziare la sua carriera alla grande, per poi ritrovarsi in un quartiere qualsiasi di Fabletown? Non aveva senso…
Bigby ne era sempre meno convinto, Snow invece, ne sembrava entusiasta. Cercò di passare sopra la questione, ma non riusciva a smettere di porsi le tante domande a cui voleva una risposta.
Si passò una mano davanti al viso e alla fine accettò il compromesso:

- … Ok, va bene. Le darò un periodo di tempo per dimostrarmi quanto sa fare. Se mi creerà dei problemi, tu risolverai la questione. D’accordo? –

Snow annuì. Tornarono entrambi verso la nuova Detective che stava parlando con Bufkin. Appena li vide tornare, li accolse con un sorriso leggero. Snow, in modo gentile, le disse:

- Il Signor Wolf le darà tutte le informazioni necessarie per i prossimi giorni. Se ha bisogno di qualsiasi cosa, può chiedere al suo collega o a me. –

Jane annuì e ringraziò i due:

- Vi ringrazio. Spero di essere all’altezza delle vostre aspettative. –

Snow sorrise. Bigby invece, la scrutò a lungo: c’era qualcosa di strano in quella donna...
All’improvviso, il telefono squillò e Snow fu costretta ad allontanarsi:

- Chiedo scusa, devo andare a rispondere. Nel frattempo, Detective Wolf, perché non fornisce le informazioni base alla nuova collega? –

Snow si avviò, mentre Bigby la seguì con lo sguardo. Era frustrato e infastidito; non avrebbe voluto un partner. La città non ne aveva bisogno… lui non ne aveva bisogno!
Mentre Bigby vagava nei suoi pensieri, all’improvviso Jane disse:

- Puoi chiedermelo, sai. –

Bigby si voltò verso Jane e la guardò piuttosto confuso:

- … Chiederti cosa? –

- Perché questo strano cambiamento di carriera. In molti se lo sono chiesto quando mi trasferivo. Ormai è diventato di routine. –

Bigby rimase in silenzio per qualche istante. Che avesse sentito la conversazione con Snow di poco fa? Era piuttosto improbabile, dato che le loro voci erano ben coperte dagli scaffali alti e lei stava parlando con Bufkin.
Rimasero in silenzio per qualche istante finché Bigby, curioso, le domandò:
 
- … Perché hai accettato questo posto di lavoro? -
 
Jane si arrotolò la manica destra del giacchetto e rispose:
 
- Avevo bisogno di cambiare aria. Troppe responsabilità negli altri distretti che non facevano per me. Me la cavavo, ma non riuscivo a sopportarle tutte insieme. –
 
Bigby rimase in silenzio. Non era la risposta che si sarebbe aspettato e non lo soddisfò a pieno.
Mentre si sentiva Snow parlare in sottofondo, Jane disse:
 
- Ho letto anch’io il fascicolo della tua carriera: hai iniziato subito come Detective e hai risolto diversi casi, ma la cosa che più mi ha stupito è il fatto che tu non abbia mai cambiato zona della città. Sei rimasto nei quartieri di Manhattan praticamente da sempre. -
 
Bigby prese una sigaretta dal pacchetto di Huff ‘n Puff, ne offrì una a Jane che accettò. Prese l’accendino, accese prima quella di Jane, poi la propria. Dopo una boccata di fumo, Bigby rispose:
 
- Le abitudini sono difficili da cambiare. Dopo tanti anni che vivi nelle stesse zone, inizia a diventare parte di te. Sai com’è: “Il Lupo perde il pelo, ma non il vizio.” –
 
Jane sorrise. Stavano iniziando a conoscersi meglio e a Bigby per un momento, le sembrò una persona simpatica.
La ragazza prese una boccata, soffiò il fumo verso l’alto e si guardò attorno:
 
- Sono rimasta piuttosto sorpresa che non ci sia una tua foto identificativa nel fascicolo… Non ti piace essere fotografato? –
 
Bigby guardò la ragazza, prese un ultima boccata e spense la sigaretta:
 
- … Non mi piace stare al centro dell’attenzione e non ne sono abituato. Vivo comunque senza foto che mi identifichino come un carcerato. –
 
Jane ridacchiò:
 
- Eheh. Si, in effetti, è quello che sembra: siamo considerati i buoni, ma veniamo comunque registrati nello stesso modo dei criminali. Ironico, non trovi? –
 
Bigby la guardò e accennò un sorriso leggero. Quella ragazza sapeva il fatto suo; ed era anche sarcastica.
Snow tornò verso di loro: aveva un’espressione preoccupata in viso e Bigby lo notò subito. Spense la sigaretta e le chiese:
 
- Snow, tutto bene? –
 
Appena fu vicina, disse:
 
- Era un emergenza: Johann il macellaio è nei guai. –
 
Jane si alzò dalla scrivania a cui era appoggiata. Bigby le chiese:
 
- Cos’è successo? –
 
- Un uomo è entrato nel suo negozio e all’improvviso ha dato di matto. Glielo sta distruggendo. –
 
Bigby guardò Snow, poi Jane e le disse:
 
- Andiamo subito. –
 
Jane buttò via la sigaretta e seguì Bigby. Appena gli fu vicino, lui le disse:
 
- A quanto pare la tua giornata lavorativa inizia alla grande Jane. –
 
***
 
Quando i due detective arrivarono al negozio, trovarono Johann fuori sul marciapiede. Era pallido e visibilmente spaventato; dalla disperazione si stava mangiando tutte le unghie delle dita. Davanti a lui, il negozio aveva le vetrine frantumate e c’erano vetri rotti sparsi per tutto il marciapiede.
Appena Johann vide i due Detective, corse verso di loro e sollevato disse:

- Bigby! Meno male che sei arrivato! Quel pazzo sta distruggendo tutto! Ti prego, aiutami! –

Bigby sentì il rumore di vetri infrangersi da dentro il negozio. Chiese maggiori indicazioni a Johann per capire con chi aveva a che fare:

- Sai chi è quel tipo? Lo conosci o lo hai mai visto prima d’ora? –

Johann, spaventato e mandito di sudore rispose:

- Non ho la più pallida idea di chi sia! Quando è entrato nel negozio era piuttosto tranquillo: voleva comprare della carne ma poi, all’improvviso, è saltato oltre il bancone urlando e mi ha strappato dalle mani il machete! Dopo di che, ha iniziato a colpire qualsiasi cosa, sempre urlando come un pazzo! –

Si sentì un altro rumore di vetri infranti, aggiunto poi da un urlo agghiacciante.
Bigby si voltò verso Jane. Voleva metterla alla prova:

- Che ne pensi? –

Quest’ultima guardò Bigby, poi il negozio, infine Johann:

- Che età dimostra l’aggressore? –

Johann ci pensò per qualche istante:

- Non saprei… forse tra i venti e i trent’anni, ma potrebbe essere più vecchio… Non saprei dire con certezza. -

Jane guardò il collega:

- Forse è un tentativo di vandalismo. –

Bigby guardò Jane con fare confuso:

- Come fai a dirlo? –

Jane gli spiegò la sua versione:

- Le gang dei quartieri malfamati utilizzano spesso questo rituale per accettare un nuovo membro nel gruppo: lo scopo della missione è quella di dimostrare la propria autorità e freddezza facendo irruzioni in luoghi pubblici. Solo andando contro le leggi sociali possono dimostrare di non volerne far parte. –

Bigby pensò che fosse una buona ipotesi, ma non aveva nessuna conferma.
Jane continuò con la sua ipotesi:

- E a giudicare dalla descrizione di Johann, il malvivente ha un’età tra i venti e trent’anni: di solito le gang sono formate da ragazzi giovani o adolescenti. Il tutto porta a questa possibilità. -

Mentre si voltava verso il negozio, Bigby disse:

- Come hai detto tu, è una possibilità, ma non abbiamo nessuna conferma. Per quel che mi riguarda, potrebbe essere chiunque. –

I due detective guardarono l’entrata del negozio e notarono che i rumori avevano smesso. Bigby guardò Jane:

- L’unico modo per scoprirlo è entrare e fermare quel tipo. -

Dopo aver ordinato a Johann di stare fuori e aspettare, i due si avvicinarono e aprirono la porta in vetro socchiusa. Quando videro l’interno, rimasero senza parole: le vetrine erano frantumate e i cocchi di vetro erano sparsi ovunque sul pavimento; la carne fresca era cosparsa ovunque e sulle pareti di legno c’erano graffi di coltello.
I due Detective perlustrarono l’area per verificare i danni; Jane si avvicinò al bancone e toccò uno dei tagli:

- Ha usato un arma molto affilata, come ha detto Johann. A giudicare dallo spessore sembrerebbe proprio un machete... –

Bigby si avvicinò ad una delle vetrine infrante. Su uno dei cocchi c’era del sangue fresco. Prese il frammento di vetro tra le dita e lo esaminò:

- Qui c’è del sangue. E non è di Johann. -

Jane si avvicinò a Bigby, esaminò il pezzo di vetro e disse:

- Forse il malvivente si è ferito mentre danneggiava il negozio. –

Bigby si alzò e si guardò ancora attorno. Mentre controllava in giro, chiese:

- Vedi tracce di sangue da altre parti? –

Jane si guardò attorno:

- … No, non mi sem –

All’improvviso, i due sentirono un rumore. Sembrava che qualcuno o qualcosa avesse sbattuto forte sulla lamiera. I due detective si voltarono e videro una porta socchiusa che portava sul retro del negozio. Si sentirono distintamente altri tonfi a ritmo regolare.
I due detective si guardarono e capirono la situazione: il delinquente era sul retro, probabilmente in trappola.
Bigby lasciò il pezzo di vetro a terra e raggiunse il bancone. Ad ogni suo passo, il vetro scricchiolava sotto il suo peso.
Appena raggiunse la porta, si rivolse a Jane:

- Coprimi le spalle. Se accade qualcosa, sii pronta ad agire. –

Jane annuì. Bigby superò il bancone e con la mano destra aprì lentamente la porta semichiusa. Aperta la porta, trovarono la cella frigorifera piena di carni appese al soffitto da enormi ganci. Non sapeva perché, ma a Bigby quell’atmosfera li ricordava il giorno che incontrò la pecorella…
Di sfuggita, gli sembrò di vedere la pecorella che gli diceva a bassa voce:

Che tu sia maledetto, assassino!

Bigby rimase in trace e credeva davvero di sentire quella voce, ma quando Jane lo spronò ad andare avanti, ritornò alla realtà:

- Hey collega, che ti prede? Tutto a posto? -

Bigby si riprese e annuì; cautamente, entrarono nella gelida cella.
Bigby ricordava quel luogo: c’era stato la prima volta quando andò da Johann per scoprire informazioni sull’Uomo Storto. In quell’occasione aveva scovato un laboratorio dove si produceva droga illegalmente.
Mentre Bigby e Jane spostavano i pesanti pezzi di carne fredda per farsi strada, stavano sempre all’erta. Il delinquente poteva essere ovunque. Per qualche istante, i colpi sulla lamiera erano stati interrotti, ma poi, improvvisamente, avevano ripreso con frequenza. Ogni 7 colpi, il malvivente si fermava per qualche istante, poi ricominciava battendo sempre più forte.
I due Detective erano guidati dal solo suono dei colpi, mentre i pezzi di carne gelata appesi gli impedivano di vedere oltre. Dentro la cella era buio e non c’era un minimo di luce. Bigby e Jane sentivano i colpi sempre più forti fino a quando, dopo aver spostato un manzo intero, Bigby vide il malvivente intento a colpire la serranda in lamiera con un machete. L’arma era molto affilata e nonostante l’oscurità della stanza, la lama brillava in maniera scintillante.
Bigby mise un braccio avanti a Jane e fece per farla indietreggiare, ma lei rispose a bassa voce:

- Non ce né bisogno. –

Bigby si voltò verso Jane. Era rimasto scocciato da questa frase e come risposta disse:

- Ti faccio notare che quell’uomo sta tenendo in mano un machete; se ci attacca, ci fa a pezzetti, quindi...! -

Mentre i due parlavano, il delinquente si era voltato verso i due. Quando lo videro in faccia, i due detective non riuscirono a nascondere la loro espressione di sorpresa. Bigby sgranò gli occhi, mentre Jane esclamò:

- Oh mio dio… -

L’uomo era ricoperto di schegge di vetro su tutte le braccia e le mani. Il sangue scuro e denso gli scorreva sugli arti. Il colore pallido della pelle lo faceva assomigliare ad un cadavere. Il viso era scavato, pieno di vene superficiali. Gli occhi, spalancati erano arrossati e risaltava il colore azzurro del suo iride. Quella combinazione di colori lo facevano assomigliare ad un mostro.
La bocca era in una smorfia di tensione, quasi come se fosse sotto attacco; i denti che mostrava erano rovinati o mancanti. Dall’aspetto magro, quasi scheletrico, i due non gli avrebbero dato non più dell’età affermata da Johann. Quel ragazzo era in uno stato di salute orribile.
 
Bigby lo scrutò a lungo, mentre il ragazzo ansimante sembrava avere lo sguardo perso nel vuoto. Notò anche il modo di vestire trasandato: scarpe da ginnastica mezze rovinate, pantaloni da tuta da ginnastica grigi strappati, felpa nera con sotto una canottiera bianca sudata piena di macchie di unto. Bigby pensò che fosse un vagabondo.
Mentre ipotizzava nuove idee sul malvivente, Jane gli disse:

- Hai notato le sue pupille? Sono completamente dilatate… -

Bigby osservò gli occhi dell’uomo e constatò che Jane aveva ragione. Quest’ultimo notò anche qualcos’altro:

- Sembra confuso… Non ci vede? -

Jane lo osservò meglio. Effettivamente il malvivente si guardava attorno con fare confuso e la bocca semi spalancata, ma sembrava non aver visto i due detective.
In quel momento, l’uomo iniziò a contorcersi e disse:

- …Il sapore della Mimosa! Non assaggiare il sapore della Mimosa! È ostile! –

Lo ripeté per altre due volte mentre i due detective lo guardavano ogni suo movimento in caso decidesse di saltarli addosso. L’uomo si contorceva su sé stesso e ripeteva sempre la stessa frase all’infinito.
Dopo qualche istante, Bigby decise di agire; a passi lenti, si avvicinò all’uomo e tentò di parlargli:

- Hey amico! Ti conviene mettere giù quel machete o rischi di passare guai seri. –

L’uomo non considerò minimamente Bigby e continuò nel suo delirio di parole:

- …Il sapore della Mimosa! Non assaggiare il sapore della Mimosa! È ostile! –

Bigby stava perdendo la pazienza. Decise di avvicinarsi ancora e disse:

- Senti amico; non hai ancora fatto nulla di male. Perché non metti giù quel –

Improvvisamente, l’uomo si voltò di scatto verso Bigby e brandendo il machete in aria urlò:

- STAI LONTANO DA MEEEE! –

Colto alla sprovvista, Bigby fece un passo indietro e tentò di prendere i polsi dell’uomo per fermarlo. Ci riuscì.
Mentre l’uomo si dimenava per colpire il detective, Bigby notò la forza incredibile di quel pazzo: nonostante fosse magro, debole e di aspetto ridotto male, riusciva a tenere testa alla forza di Bigby.
I due lottarono per qualche secondo, ma il malvivente riuscì a liberare la mano con cui teneva saldo il machete e riuscì a ferire Bigby al braccio. Indietreggiarono entrambi: l’uomo, col fiatone, lasciò cadere di punta la lama sul pavimento e riprese fiato, mentre Bigby si guardava il taglio al braccio e si chiedeva:

Come cazzo ha fatto? È impos…!

Mentre alzava lo sguardo, Bigby vide di nuovo l’uomo brandire il machete e con un urlo scagliarglisi contro. Bigby si preparò a contrattaccare, ma notò che alla destra del malvivente c’era Jane. Che diavolo stava facendo?
L’uomo non l’aveva notata. Quest’ultima riuscì a prendergli il polso e lo disarmò all’istante. Usando il suo slancio, spinse il machete verso un pezzo di carne, che si conficcò con estrema facilità. Appena l’uomo mollò la presa dal manico, Jane ne approfittò: tenendolo stretto per il polso, Jane riuscì a colpirlo al ginocchio col piede facendolo cadere; poi lo prese per la spalla e lo scaraventò faccia a terra. Era completamente immobilizzato.
Bigby rimase senza parole: era riuscita a fermarlo e a disarmarlo senza alcuna difficoltà. Jane si poggiò con tutto il peso sulla schiena dell’uomo facendo pressione col ginocchio.
Dopo una smorfia di dolore, l’uomo urlò:

- LASCIAMI! LA MIMOSA VUOLE UCCIDERMI! –

Jane prese le manette, ammanettò il pazzo e disse:

- Se non la smetti di urlare, la Mimosa sarà l’ultimo dei tuoi problemi! Ora sta zitto! –

Jane strinse forte le manette e costrinse l’uomo a rimanere a terra. Bigby si avvicinò a Jane, prese l’uomo per il braccio e le disse:

- Ottimo lavoro collega. Adesso ci penso io. –

Jane guardò Bigby, si alzò in piedi e lasciò che quest’ultimo portasse l’uomo fuori. Jane si sistemò la maglietta e si diresse verso l’uscita assieme al collega. Mentre Jane faceva strada tra i pezzi di carne, si voltò verso Bigby; notò il taglio al braccio e gli chiese:

- Stai bene? Stai perdendo sangue… -

L’uomo continuava a dimenarsi nonostante fosse fisicamente stanco, ma Bigby lo spingeva leggermente in avanti per costringerlo a camminare. Bigby guardò Jane con occhi tranquillizzanti:

- Sto bene. È solo un taglio superficiale. –

Jane guardò Bigby per qualche istante con espressione preoccupata, poi si voltò per far strada. Appena furono fuori dalla cella frigorifera, Bigby notò l’incredibile sbalzo di temperatura. Dalla fredda cella, al caldo tepore primaverile. Sembrava di essere appena usciti da un incubo.
 
Attraversarono il negozio invaso da cocchi di vetro. Ad ogni passo il vetro si disintegrava in minuscoli pezzi. Quando uscirono dalla porta principale, Johann tirò un sospirò di sollievo:

- Fiù! Meno male che lo avete catturato. Temevo il peggio. –

Jane si avvicinò al macellaio e con un sorriso leggero lo rassicurò:

- Non si preoccupi, stiamo tutti bene. Adesso che è in nostra custodia, non dovrà più temere di nulla. –

Bigby guardò Jane parlare con Johann: era molto gentile con le persone, ma severa quando si trattava di lavoro… ottimo atteggiamento professionale.
Mentre Jane sbrigava le faccende burocratiche per il rapporto finale, Bigby si mise a parlare con l’uomo:

- Ok bello, te lo chiedo un ultima volta: mi dici perché hai distrutto il negozio? Avevi un conto in sospeso con Johann? –

L’uomo si dimenava ancora dalle manette e digrignava i denti per sembrare più aggressivo. La bava gli scendeva dai lati della bocca.
Bigby stava perdendo la pazienza:

- … Qual è il tuo nome? Ti ha mandato qualcuno? –

L’uomo delirava ma non parlava. Emetteva strani versi animaleschi, si dimostrava aggressivo e non guardava in faccia Bigby.
Decise di lasciar perdere. Lo avrebbe interrogato in centrale.
Dopo aver finito con Johann, Jane raggiunse Bigby:

- Allora? Ha cantato? –

Bigby scosse la testa:

- Neanche una parola. È completamente andato. –

Jane sospirò. Bigby prese nuovamente per il braccio l’uomo; dopo averlo alzato da terra, gli diede una leggera spintarella e disse:

- Forza amico; adesso andiamo in centrale. Magari ti tornerà a voglia di parlare. –

I due detective si incamminarono sul marciapiede fino all’ufficio.
 
***
 
- La Mimosa… dov’è la Mimosa? Vuole uccidermi! La Mimosa è qui… -

Nella sala degli interrogatori, l’uomo continuava a delirare e pronunciare la stessa frase. Da quasi due ore, ovvero da quando Bigby e Jane lo avevano rinchiuso lì dentro, era rimasto seduto in un angolo della stanza tutto raggomitolato e non aveva detto nessun altra parola.
I due detective erano dall’altra parte della stanza e osservavano l’uomo delirante dal vetro a specchio. Non avevano idea di cosa fare perché, nonostante Snow e Bufkin avessero fatto delle ricerche per scoprire almeno il suo nome, dall’ufficio non era emersa nessuna informazione.
Era già passato mezzogiorno e i due detective erano nella stanza ad osservare l’uomo. Jane teneva una tazza di caffè in mano mentre Bigby fumava una sigaretta.
Dopo aver bevuto un sorso, Jane domandò:

- Forse dovremmo portarlo all’ospedale; non mi sembra in gran forma. –

Bigby prese una boccata di fumo, inspirò profondamente e mentre espirava disse:

- No, troppo rischioso: potrebbe ferire qualcuno, o peggio, fuggire. Abbiamo provato a contattare il Dr. Swineheart, ma al momento non è reperibile. –
Jane bevve un secondo sorso di caffè:

- … Quindi non faremo nulla? Resteremo qui a fissarlo finché non farà qualcosa? –

Bigby fumò l’ultimo pezzo di tabacco, spense il mozzicone nel posacenere pieno e disse:

- Purtroppo non abbiamo altra scelta. –

Jane sospirò infastidita. Non per l’atteggiamento del collega, ma perché non potevano fare proprio nulla in quel momento.
Bevve l’ultimo sorso di caffè e butto il bicchiere di carta tiepido dentro il cestino quasi colmo. Bigby incrociò le braccia e si appoggiò al tavolo, mentre Jane si avvicinò al vetro, si appoggiò alla parete e continuò a fissare l’uomo nell’angolo.
Mise le mani in tasca e disse:

- … Potremmo portare un suo identikit e andare nei quartieri a domandare alla gente del luogo chi sia. Forse potrebbe darci una pista da seguire. –

Bigby si grattò la barba e rispose:

- Potremmo, ma non abbiamo conferma che faccia parte di una gang di uno di questi quartieri. Potrebbe essere anche uno che viene fuori città, chi lo sa… -

Jane sospirò ancora e tornò a fissare l’uomo. Aveva iniziato a dondolare e con le spalle batteva contro il muro. Jane rimase a fissarlo per qualche secondo finché, stufa del silenzio nella stanza, disse:

- Ma non c’è proprio niente che possiamo fare? Non riesco a starmene con le mani in mano! Ci sarà qualcosa che –

Bigby si voltò verso Jane e con aria decisa le disse:

- Anche a me non piace starmene qui a non fare nulla! E credimi che lamentarsi non risolverà il problema. –

Jane rimase in silenzio e tornò a guardare l’uomo. Bigby sospirò, si passò una mano sul viso e disse:

- … Vorrei anch’io poter fare qualcosa piuttosto che starmene qui ad aspettare, ma dobbiamo avere pazienza: Snow sta facendo il possibile per avere informazioni su quell’uomo. –

Jane si voltò verso Bigby, si spostò dalla parete e disse:

- Potrei interrogarlo io. Tu hai già provato e non ha funzionato; magari con me può –

Bigby la interruppe subito:

- Assolutamente no! Hai visto come ha reagito al negozio di Johann: non è abbastanza lucido di mente per rendersi conto di ciò che lo circonda e questo lo rende un pericolo per la nostra sicurezza! –

Jane si avvicinò a Bigby e insistette:

- Potrei fare un tentativo, che ti costa? –

Bigby si alzò dal tavolo e con aria furiosa si avvicinò a Jane:

- Ascoltami bene ragazzina: sei appena arrivata in questo distretto e, come ben saprai, ci sono delle regole da rispettare! Tra l'altro, essendo il tuo primo giorno qui, mi aspetto che tu almeno obbedisca a dei semplici ordini! Se pensavi che avresti ottenuto la libertà di agire come ti pare nonostante la tua bella carriera passata, beh, ti sbagli! Qui ci sono dei limiti e vanno rispettati! –

Jane rimase in silenzio, mentre Bigby continuò a fissarla. Jane non riuscì a sostenere lo sguardo severo di Bigby e lo abbassò. Poi tornò a guardarlo e annuendo disse:

- … Ok. –

Tra i due piombò il silenzio. Jane si voltò verso il vetro e Bigby continuò a guardarla. Si sentì in colpa per averle risposto in quel modo, ma non sapeva in quale altro modo dirlelo. Non poteva rischiare che si facesse del male.
Bigby si passò una mano dietro la nuca e fece per dire:

- … Jane, io -

In quel momento, Snow entrò nella stanza e si rivolse ai due detective:

- Allora? Novità dal nostro uomo? –

Bigby e Jane si voltarono verso Snow. Lui le rispose:

- Niente purtroppo. Le sue condizioni sono rimaste uguali e Swineheart non è disponibile per venirlo a visitare. Tu hai qualche novità? –
Snow negò con la testa:

- Niente da fare: quest’uomo non è presente nei nostri fascicoli dei ricercati e nemmeno in quelli degli altri distretti. È come se fosse un fantasma… -

Bigby si voltò verso il vetro; l’uomo stava continuando a dondolare e a sbattere la schiena contro la parete della stanza. In quel momento, Bigby si rese conto di avere le mani legate.
Snow guardò l’uomo e scioccata disse:

- Dio… che cosa lo avrà mandato in questo stato? –

Inaspettatamente, Jane prese parola:

- … Sig.na Snow, vorrei chiederle il permesso di poter interrogare l’uomo nonostante le sue condizioni evidentemente alterate. –

Bigby si voltò verso Jane con espressione scazzata e nella sua mente pensò:

Cazzo! Allora non vuole proprio ascoltarmi!

Snow si voltò verso Jane e confusa disse:

- Come pensi di farlo parlare? Hai appena detto che è in uno stato mentale alterato. Come può fornirci delle informazioni? –

Jane si rivolse a Snow come se Bigby non fosse più nella stanza:

- Posso riuscirci. Ho un metodo efficace per farlo parlare, ma dovete almeno lasciarmi provare. Ho bisogno della sua approvazione per metterlo in pratica. –
Bigby guardò Jane con aria arrabbiata. Non voleva proprio ascoltare! Si voltò verso Snow che, a differenza sua, guardò Jane con aria di indecisione. Guardò l’uomo, poi di nuovo Jane e disse:

- … D’accordo. Ti autorizzo ad interrogarlo. –

Bigby si voltò verso Snow e con aria convolta rispose:

- Cosa? Stai scherzando vero? Hai visto in che condizioni è? –

Snow si voltò verso Bigby e gli rispose:

- Infatti andrai con lei per assicurarti che non faccia nulla di male alla tua collega. –

Sospirò leggermente, infastidito da quell’ordine. Non si sarebbe mai aspettato che Snow cadesse ai piedi di quella donna.
Si voltò verso la collega, poi verso il vetro e disse:

- … *Sigh* …Ok, d’accordo. Non più di 5 minuti. –

Jane sorrise compiaciuta, mentre Bigby nella sua testa pensava:

“Ti farà bene avere un partner vicino!” … “Non ti creerà problemi, te lo assicuro!” … Puttanate!

I due detective uscirono dalla stanza ed entrarono in quella di fianco; l’uomo, nonostante avessero aperto la porta, non si era mosso di un millimetro dal suo angolo. Bigby fece aspettare Jane fuori per qualche istante poi, dopo aver controllato, lo prese per un braccio, lo fece sedere e rimase dietro di lui per controllare ogni sua mossa. Nonostante il contatto fisico, l’uomo non si dimostrò infastidito; continuava a contorcersi su sé stesso e a ripetere sempre la stessa frase:

- La Mimosa… dov’è la Mimosa? Vuole uccidermi! La Mimosa è qui… -

Bigby sospirò, poi guardò verso il vetro a specchio. Dall’altra parte, c’era Snow che assisteva a tutta la scena. Non poteva vedere l’espressione di preoccupazione sul suo viso, ma percepiva la paura anche da un'altra stanza.
Poco dopo, Jane entrò, si sedette di fronte all’uomo che continuava a torcersi sulla sedia e con sguardo serio rimase a fissarlo per qualche istante. L’uomo non aveva nemmeno notato la presenza di Bigby e Jane e continuava a guardarsi attorno con aria confusa.
Jane rimase in silenzio per qualche istante e nella mente di Bigby pensava se fosse stata davvero una buona idea fare l’interrogatorio. Lo scrutò per bene, poi iniziò a fare domande:

- … Come ti chiami? –

L’uomo continuava a distorcersi e a guardarsi attorno alla stanza. Bigby osservava l’uomo, poi Jane, come se avessero un turno da rispettare. Jane aspettò qualche istante, poi passò alla seconda domanda:

- … Perché hai aggredito l’uomo della macelleria? –

Nemmeno questa volta rispose. Continuò a contorcersi e a guardarsi attorno. Bigby sospirò e guardò Jane: sapeva quello che faceva o no?
Passarono altri istanti di silenzio, poi la terza domanda:

- … Che cosa ti ha costretto a agire in questo modo? –

Per l’ennesima volta, nessuna risposta da parte dell’uomo. Bigby perse la pazienza: fece per prendere l’uomo e disse:

- Ok, ora basta. Questo tizio non par –

Jane allungò la mano per fermarlo e gli disse:

- Fermo. Sta andando bene. Lasciami fare. -

Bigby si fermò e tornò al suo posto. Rimasero nel silenzio per altri secondi finché, Jane domandò la quarta domanda:

- … Chi è la Mimosa? –

All’improvviso, sentendo quella domanda, l’uomo smise di contorcersi e s’irrigidì. Bigby rimase senza parole. Ci era riuscita.
Nella stanza calò un silenzio tombale; solo il respiro affannato dell’uomo rompeva quel silenzio inquietante.
L’uomo rimase fermo per qualche secondo, poi, lentamente, si voltò verso la detective. Iniziò a fissarla con la bocca semi spalancata e occhi sbarrati che, con quegli occhi rossi e azzurri, era molto, molto inquietante. Bigby si preparò in caso l’uomo avesse qualche altro attacco di pazzia e rimase pronto ad agire.
L’uomo fissò Jane per qualche istante. Jane continuò a fare domande:

- … Perché la Mimosa è ostile? –

Dopo quella domanda, l’uomo alzò lentamente il braccio tremante e puntò il dito contro la detective. Appena fu il più in cima possibile, con voce flebile disse:

- … La Mimosa… -

Jane rimase ferma e guardò Bigby. Stavano per avere qualcosa finalmente. L’uomo continuò a puntare il dito contro Jane per qualche secondo, poi abbassò il braccio con la stessa lentezza fino ad appoggiarlo sul tavolo. Rimase in silenzio per qualche istante con espressione di chi pensava a qualcosa. Infine, l’uomo disse una frase che confuse tutti i presenti nella stanza:

- … La Mimosa ostile… non si può fuggire dalla Mimosa… se usufruirai di lei, lei ti consumerà l’anima… -

Nessuno capì quella frase. Chi era questa Mimosa ostile? Era una persona?
Jane cercò di trovare altre informazioni:

- … Perché non si può fuggire dalla Mimosa? Perché –

All’improvviso, l’uomo fece una mossa azzardata che sorprese tutti: si alzò di scatto dalla sedia, fece ribaltare il tavolo davanti a lui e, con un urlo, si avventò verso il collo di Jane. Presa alla sprovvista, Jane cadde all’indietro con la sedia e sbattè la schiena contro lo schienale. L’uomo le affondò le dita affusolate sulla gola e tentò di strangolarla. Mentre cercava di stringere la pelle della donna, urlava come un ossesso e con voce agghiacciante aumentava la sua presa.
Bigby reagì pochi secondi dopo: quando l’uomo si avventò su Jane, si lanciò contro l’uomo e lo prese per le spalle per toglierlo da dosso a Jane. Ancora una volta, Bigby constatò la forza di quell’uomo: nonostante fosse debole e magro, la sua forza riusciva a tenere testa a quella di Bigby.
Lottarono per qualche istante, ma sembravano passati minuti interi. Jane cercava di liberarsi dalla presa salda dell’uomo e iniziava a perdere lucidità a causa della mancanza di ossigeno. Bigby cercò di liberarla ma sembrava tutto inutile.
Dall’altra parte della stanza, Snow assisteva alla scena scioccata, impotente di agire. Poteva solo assistere e sperare che Bigby riuscisse a salvare la collega.
Dopo alcuni secondi di battaglia, Bigby pensò ad una strategia diversa: prese la gola dell’uomo col braccio e fece forza affinché mollasse la presa. Strinse più forte che poté e rimase per qualche istante. Jane intanto, stava perdendo lucidità e iniziava a soffocare sotto il peso delle mani possenti di quel pazzo. Bigby strinse ancora più forte, finché l’uomo iniziò ad allentare la presa dalla gola di Jane. Dopo interminabili minuti e grida, Jane fu libera. Si allontanò dai due e tossì forte; prese anche diverse boccate d’aria nonostante le bruciasse tutta la gola.
Bigby intanto, mantenne salda la presa e l’uomo si dimenava e urlava per liberarsi. Dopo qualche istante, l’uomo si calmò e alla fine svenne per la mancanza d’aria. Bigby lo lasciò giacere a terra e controllò il battito cardiaco: era ancora presente. Per il momento, era solo svenuto.
Col fiatone, si riprese, poi si voltò verso la collega ancora che tossiva fortemente; si avvicinò a lei, le prese il viso con le mani e le disse:
 
- Stai bene? sei ferita? –
 
Jane tossì nuovamente e dopo qualche respiro profondo rispose:
 
- … *Cough cough* … Sto bene… -
 
Bigby controllò che stesse effettivamente bene; aveva segni rossi su tutto il collo e sapeva che sarebbero peggiorati col tempo. Controllò bene che non avesse tagli o altro e alla fine le disse:
 
- … Porca puttana Jane! Perché devi fare di testa tua? –
 
Jane allontanò la mano di Bigby, lo guardò e disse:
 
- Sapevo quello che stavo facendo! –
 
Bigby la guardò con aria furiosa:
 
- Certo, come no! Ti stava per uccidere! Te l’avevo detto di lasciar perdere! –
 
Jane si innervosì e rispose:
 
- Stava andando tutto a meraviglia! Sembrava calmo quando gli stavo facendo le domande! E sicuramente io non… Bigby… che gli prende? –
 
Bigby si voltò: dietro di lui, l’uomo che stava accasciato a terra, iniziò a fare degli strani versi e ad avere delle convulsioni, prima lente, poi sempre più violente. Bigby e Jane si precipitarono ad aiutarlo: dalla bocca gli usciva della schiuma densa e gli occhi gli si erano capovolti al contrario. Era uno spettacolo agghiacciante.
Bigby cercò di capire cosa gli stesse succedendo e cercò di proteggerlo dalle gambe del tavolo affinché non sbattesse la testa. Le convulsioni si facevano sempre più forti ma i due detective non potevano fare nulla per aiutarlo.
All’improvviso, le convulsioni cessarono e l’uomo si fermò lentamente fino a rimanere immobile. Aveva gli occhi sbarrati e la bava continuava ad uscirgli dalla bocca. Bigby controllò il respiro dell’uomo. Non respirava. Mise due dita sulla vena per sentire il polso, poi con aria combattuta si voltò verso Jane e disse:
 
- … E’ morto. –
 
Jane rimase senza parole. I due fissarono il corpo inanimato del cadavere e rimasero in silenzio.
Chi era quella persona? Ce diavolo gli era successo? Che cosa lo aveva ucciso?
   
 
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