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Autore: Vanya Imyarek    08/10/2017    8 recensioni
Italia, 2016 d.C: in una piccola cittadina di provincia, la sedicenne Corinna Saltieri scompare senza lasciare alcuna traccia di sé. Nello stesso giorno, si ritrova uno strano campo energetico nella città, che causa guasti e disguidi di lieve entità prima di sparire del tutto.
Tahuantinsuyu, 1594 f.A: dopo millenni di accordo e devozione, gli dei negano all'umanità la capacità di usare la loro magia, rifiutando di far sentire di nuovo la propria voce ai loro fedeli e sacerdoti. L'Impero deve riorganizzarsi da capo, imparando a usare il proprio ingegno sulla natura invece di richiedere la facoltà di esserne assecondati. Gli unici a saperne davvero il motivo sono la giovanissima coppia imperiale, un sacerdote straniero, e un albero.
Tahuantinsuyu, 1896 f.A: una giovane nobildonna, dopo aver infranto un'importante tabù in un'impeto di rabbia, scopre casualmente un manoscritto di cui tutti ignoravano l'esistenza, e si troverà alla ricerca di una storia un tempo fatta dimenticare.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Storie di Tahuantinsuyu'
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                                      CAPITOLO 8

           DOVE  CI  SI  RIBELLA, MA  ANCHE NO

 

 

 

 

                                                                Dal Manoscritto di Corinna

 

Insomma, tra un incontro e l’altro, tra l’impratichirmi della mia nuova posizione e il venire a capo dei meccanismi che regolavano la vita sociale della corte, erano passati dieci giorni in cui io avevo dovuto abituarmi a comportarmi benissimo. E non ne potevo più.

 Avevo passato così tanto tempo a pensare a me stessa come una ribelle, schifata dalla società rigida e perfezionista e con troppa spina dorsale per curarsi delle sue regole. Trovarmi lì, costretta a servire ai capricci di donne ricche e viziate senz’altra maniera di oppormi che il sarcasmo, quasi mi faceva paura. Quella non ero io, quella non potevo essere io. Avrei voluto solo andarmene di lì, arrivare al momento del mio ritorno a casa senza dover passare per tutto quello che stava in mezzo. Ma direi l’ovvietà se facessi notare che ciò era impossibile; e d’altronde, quel poco di buonsenso che avevo mi faceva notare che avevo molte più possibilità di avere il permesso di perseguire il sacerdozio se mi fossi mostrata una persona docile e obbediente che non una ribelle scatenata.

 Ma ciò non mi impediva di sentirmi come costretta in una gabbia, forzata nelle parole e nei movimenti, e credevo quasi di essere sul punto di esplodere. Sentivo di non poter andare avanti in quel modo, dovevo fare qualcosa per dimostrare a me stessa e agli altri che non ero una di quelle pecore patetiche che obbedivano docilmente a tutti gli ordini dei loro padroni. Alla faccia di quello che aveva detto Energia, avrei provato di essere diversa dagli altri.

 Vi era, però, la non insignificante complicazione che rifiutarmi di stare al mio posto avrebbe portato, a seconda della gravità del caso, a: schiaffi, percosse, possibile esecuzione. E io, intendiamoci, non ero certo tipa da spaventarsi di fronte a qualche sberla … però la resistenza non solo non avrebbe cambiato la mia situazione, sarebbe stata completamente inutile. Avrebbero continuato a darmi ordini, ed era più probabile che una resistenza a oltranza si concludesse con l’opzione ‘morte’ che con una loro desistenza. Ma il costante disgusto per la mia debolezza non cambiava. Come fare?

 Semplice, decisi alla fine: la mia ribellione sarebbe stata privata. Non grandi atti, ma trasgressioni di cui non avrebbe saputo nessuno. Magari mettere qualcosa nei cibi che dovevo portare alle dame più antipatiche, o nascondere loro oggetti. Forse erano dispetti un po’ infantili (solo forse?, direi ora), ma era il massimo che potevo permettermi.

 Una volta presa questa decisione, mi parve quasi che sarei morta, se non l’avessi posta in atto. Mi sarebbe piaciuto iniziare facendo aggiunte ai loro cibi, ma fui trattenuta dalla mia ignoranza di fauna e flora locale: e se nel mio tentativo di usare qualcosa di disgustoso avessi invece aggiunto qualcosa di velenoso, o peggio, buono? Avrei potuto chiedere ad Alasu, ma chissà perché, avevo la vaga sensazione che la figlia del farmacista non avrebbe granché approvato la mia impresa.

 Decisi dunque che avrei cominciato col nascondere degli oggetti, per quello non serviva un esperto erborista … e nemmeno una mano lesta, se te lo stessi chiedendo: ho già menzionato che quel tipo di donna non pulisce mai ciò che si lascia dietro, aspettandosi che siano gli schiavi a farlo?

 La mia vittima, la prima e unica volta che tentai un’azione simile, fu Uyella: era senz’altro quella che mi stava più antipatica, e poi quel giorno mi si era presentata l’occasione d’oro: pareva si desse una rappresentazione scenica di un qualche dramma romantico, e le dame orbate di Imperatrice avevano deciso di recarvisi in massa per passare il tempo. Molte di loro, dato l’improvviso cambio di temperatura classico primaverile, si erano lasciate dietro in quel giardino svariati guanti e mantelli di pelliccia.

 Le mie colleghe ripiegarono ordinatamente il tutto da brave schiavette ubbidienti, io riuscii a infilarmi i guanti di Uyella sotto il vestito mentre nessuno guardava, prima di imitarle con tutto il resto. Bene, lo scherzo procedeva! Adesso, dove avrei dovuto mettere quei guanti?

Non contavo certo di rubarglieli, sarebbero stati guai seri se me li avessero trovati addosso. Piazzarglieli su un albero o in una delle gabbie dei pesci non avrebbe funzionato, avrebbero di sicuro capito che qualcuno che li aveva messi apposta. Le stanze interne del palazzo sembravano già un’idea migliore. C’era una sala per i banchetti interni, ma fino a quel momento non l’avevo mai vista utilizzata, quindi non si sarebbe potuto imputare il tutto a una distrazione della ragazza. Però avevo visto un paio di volte, nei giorni di pioggia, le dame trasferire le loro conversazioni negli appartamenti dell’Imperatrice, in una sorta di salotto che a quanto pareva era destinato proprio a quei ricevimenti. Già un posto più credibile, al massimo la ragazza avrebbe pensato di essere stata sbadata e di averli dimenticati lì, piuttosto che capacitarsi che qualcuno le avesse fatto uno scherzo. Sai, ero fermamente convinta che le ragazze viziate mancassero di immaginazione.

 Mi diressi dunque verso il salottino, preparandomi la brillante scusa di volerne controllare l’eventuale disordine; ma mi arrestai proprio sul punto di entrarvi, sorpresa dalle voci dell’Imperatrice e della sua amica Chica. Loro non erano nella stanza, ma in quella accanto, che a quanto sapevo era la camera privata di Llyra. Okay, non me ne fregava niente di quello che si stavano dicendo, volevo solo fare uno stupido scherzo, sarei entrata moooolto piano, avrei nascosto i guanti sotto un cuscino e me la sarei filata altrettanto silenziosamente.

 Sulle prime non sentii neanche quello che si stavano dicendo, controllavo semmai che le voci non si avvicinassero. Poi una parola catturò la mia attenzione: “Dumaya”. Ehi, non era quel posto da cui proveniva quel ragazzo, Simay? Era il figlio del governatore, a quanto ricordavo.

 “E’ possibile” stava dicendo Llyra – una volta sentita quella parola, la mia attenzione si spostò involontariamente a tutto il discorso. “Etahuepa si è trattenuto solo per poche ore, avrebbe avuto tutto il tempo di distrarre il tesoriere e trovare quella lettera. Ma dato che Camzo sostiene di averlo lasciato da solo per pochi minuti, avrebbe avuto bisogno di sapere dove fosse esattamente la lettera per manometterla”

 Lettere manomesse? Stavo per caso ascoltando a qualcosa di interessante? Non mi dire che il padre di quel ragazzo tutto regole infrangeva la legge! Sarebbe stata una bella ironia …

“Il che ci porta al problema di come facesse a saperne l’ubicazione in primo luogo. Ha degli infiltrati? In tal caso, perché si è dovuto scomodare lui stesso, invece di fargli riportare il contenuto dal detto infiltrato? Senza contare che l’unico vero uso che Etahuepa potrebbe avere per la lettera è renderne il contenuto pubblico mostrandola come prova, e davvero non l’ha fatto”

 “E’ quello che non capisco, mia signora. Chiunque sia stato, perché lasciarci la lettera? Sappiamo che è stata spostata solo perché l’ordine delle carte in cui era infilata era sbagliato!”

 “Per lasciare prove e screditarci” replicò Llyra. “Immagina: il giovane Simay viene rivelato pubblicamente come figlio dell’Imperatore”

 Cosa?

 “Il padre è entusiasta di aver avuto un figlio dall’amore della sua vita, lo nominerebbe subito suo erede, ma le parole da sole non servono a nulla. Qualunque contadino potrebbe andare in giro dicendo di essere il suo figlio perduto. E allora come viene risolta la situazione? Il ragazzo rivela che le prove erano esistite tutto il tempo, e anzi, erano state occultate dalla stessa sposa fedifraga del sovrano. Possono essere rintracciate. L’Imperatrice cade in disgrazia con tutti i suoi figli, e Simay diventa erede ufficiale. Perfetto lieto fine”

 Che cavolo stavo ascoltando …? Io speravo in … non so … la rivelazione che non tutti gli abitanti di questo dannato posto fossero dementi servi dell’autorità imperiale, ma non a questo livello …! Oddio, e adesso che facevo? E se mi avessero beccata a origliare cosa mi sarebbe successo?

 “Allora avete distrutto la lettera, mia signora?”

 “Ti ho detto mille volte di chiamarmi Llyra! Comunque, no. Finché il ragazzo non sarà chiaramente inadatto al trono, ci sarà sempre la possibilità che sua madre cerchi di contattare mio marito, o qualcuno dei suoi fidatissimi. Devo poter riconoscere la grafia di quella donna, e purtroppo non sono in grado di farlo a occhio. Distruggerò la lettera solo una volta che il ragazzo sarà contaminato, a quel punto potrebbe provare solo un nostro scomodo coinvolgimento nella faccenda”

 Oh merda … cosa voleva dire ‘il ragazzo sarà contaminato’? Be’, grazie, che altro poteva dire un’Imperatrice che tentava di sbarazzarsi di uno scomodo erede al trono con quelle parole? Questa voleva far fuori quel Simay. Probabilmente trasmettendogli una qualche malattia mortale, per far credere che fossero cause naturali.

 Cazzo … ero passata da ascoltare cose che mi avrebbero messa in serio pericolo se fossi stata scoperta, ai progetti di uccidere qualcuno. Cosa potevo fare?

 “Ma … Llyra, non temi che la rintraccino?”

 “L’ho spostata. Pensavo che nessuno sarebbe mai andato a guardare in un mucchio di vecchie scartoffie, ma evidentemente ho sottovalutato la tolleranza dei miei avversari alla noia. Ora, vedi quel mio piccolo cassettino dei gioielli?”

 “E’ lì dentro? Non temi che le serve …?”

 “Non hanno alcun interesse a quel cassettino. Non potrebbero rubarmi nulla senza essere immediatamente scoperte, e la pena capitale non vale un bel gioiello”

 “Come credete giusto che sia, mia signora. Ma per quanto riguarda l’autore della manomissione …”

 Ma io cosa stavo facendo?! Ero lì, impalata in una stanza dove non sarei dovuta essere, ad ascoltare una conversazione a proposito della morte di qualcun altro. E che avrebbe potuto portare alla mia, di morte, se fossi stata sorpresa.

 L’idea di morire giustiziata in quel luogo, per qualcosa in cui nemmeno c’entravo, mi si parò improvvisamente davanti in tutta la sua concretezza. Niente più futuro, niente più possibilità di tornare a casa dalla mia famiglia, quasi sentii le lacrime agli occhi e un nodo in gola a quel pensiero, non volevo restare in quella stanza un secondo di più, girai sui tacchi e uscii più silenziosamente che potei. Non corsi neanche quando fui fuori dalla stanza, avrei solo attirato l’attenzione.

 Credo di essere sembrata catatonica a tutti quelli che mi hanno incrociata. Tornai nel giardino, Dylla mi corse subito incontro, e mi schiaffeggiò prima ancora di iniziare a parlare.

 “Dov’eri?!” sbraitò, tirandomi un secondo schiaffo e buttandomi a terra. “Questo posto funziona perché ha delle regole! Ha una struttura su chi debba essere dove, e quando!”

 Sottolineò ogni frase con un calcio. Non reagii. Mi sentivo come se fossi completamente incapace di muovermi, figurarsi uscire da quella situazione.

 “Tu non credere di sovvertirlo con le tue ribellioni da due soldi! Non conti niente in questo posto, capito? Non sei nessuno! Nessuno!”

 “Ma sta bene …?” mormorò un’altra schiava, notando la mia insolita assenza di reazioni.

 “Non me ne frega un accidente. Che sia in salute o in punto di morte, una schiava imperiale non mancherà mai ai suoi doveri. Ora tirati su, idiota!” ultimo calcio, poi l’aggressione finì. “Ho detto tirati su!” mi afferrò per una spalla e mi sollevò praticamente di peso, rimettendomi in piedi.

 Ritornai in me, almeno in una certa misura. Non potevo farmi vedere in quello stato, avrei attirato l’attenzione … certo, nessuno sapeva cosa avessi appena origliato, ma se avessi iniziato ad avere un atteggiamento così strano, Llyra o Chica avrebbero potuto notare la bizzarra coincidenza con la loro conversazione …

Non dissi nulla e mi rimisi al lavoro. Aiutai le altre serve a spazzare il giardino dalle foglie morte, e intanto cercai di venire a capo della situazione in cui mi ero andata a cacciare. Okay, in tutto il fottutissimo Impero, io ero una delle pochissime persone a sapere che: il figlio adottivo del governatore di Dumaya era il figlio illegittimo dell’Imperatore in carica, e che se questi l’avesse saputo il ragazzo sarebbe diventato il nuovo erede; l’Imperatrice contava di ammazzare il ragazzo, per assicurare a sé e alla prole il diritto al trono; qualcun altro nell’Impero era a conoscenza dell’identità di Simay; Llyra sapeva che qualcuno sapeva il punto sopra, ma non era sicura di chi.

 E io in tutto questo che cosa c’entravo? Nulla. Io avevo sentito tutto per sbaglio. non avevo alcun legame né con Simay né con la corte imperiale. Cioè, avevo condiviso un viaggio con il primo e tecnicamente ero al servizio della seconda, ma non si poteva dire che fossero legami profondi, specie considerato che contavo di filarmela di lì alla svelta. Non ero tenuta a fare niente.

 Non ero tenuta un corno. Quel ragazzo sarebbe stato ammazzato se non l’avessi avvertito. Cioè, magari lui sapeva già che l’Imperatrice gli stava addosso, magari a leggere quella lettera era stato davvero il suo padre adottivo, ma anche così, non poteva sapere che Llyra li aveva sgamati. Quindi sarebbe stata a rischio un’intera famiglia.

 E se a vedere quella lettera fosse stato qualcun altro? A quanto avevo potuto vedere di lui, Simay era uno di quei tipi tutti casa e tempio, felice di affrontare una vita da sacerdote. Non avrebbe avuto alcuna ragione di mentirmi: erano conversazioni private con una schiava che poi sarebbe finita chissà dove, venduta a chissà chi. E nessuno l’aveva obbligato a quelle conversazioni, se avesse avuto qualcosa da nascondere se ne sarebbe stato in portantina con papino e non mi avrebbe degnata di uno sguardo per tutto il viaggio.

 Senza contare la devozione quasi delirante che aveva mostrato verso l’autorità imperiale … ahi, altra brutta grana. Forse poteva voler dire che Simay non avrebbe voluto il trono, anche se gli fosse stato offerto, per rispetto ai suoi fratellastri legittimi, ma poteva anche voler dire che non avrebbe cercato di opporsi a Llyra se avesse cercato di ucciderlo. Non mi piaceva come il filo dei miei pensieri continuasse a tornare a questo tizio che veniva ammazzato.

 Ripensai alle conversazioni che avevamo tenuto durante il nostro viaggio. Simay era un imbranato di primissima scelta, bigotto, noioso e bacchettone, quando cercava di mostrarsi amichevole gli usciva della condiscendenza … ma qui si parlava della sua morte. Non aveva fatto nulla di male per morire. Era solo un ragazzo, un mio coetaneo, tecnicamente non era neppure adulto, andando per gli standard del mio mondo. La sua unica colpa era di esistere.

 Fui quasi sorpresa da quanto mi sentii triste al solo pensarci. Non era giusto, ecco. Lui non mi piaceva, ma dannazione, meritava di vivere!

 E io cosa potevo farci? Se fosse stato all’oscuro di tutto … inventarmi qualcosa come scusa per uscire, andare al Tempio di Achesay e spifferargli tutto?

 Non mi avrebbe creduta. Conoscevo quel tipo di persona, non avrebbe mai assunto che una magnifica Autorità potesse essere meno che pura e nobile d’intenti, a meno che non gli si piazzassero sotto il naso prove concrete. E nel mio caso c’erano: la lettera. Sapevo anche dove trovarla, avevo avuto una dose di fondello improponibile ad origliare proprio quella parte della conversazione.

 Sì, ma come fregarla? Non potevo andare lì, per quello che ne sapevo, l’Imperatrice era ancora lì dentro … avrei dovuto mettere un minimo di strategia in questo, una vera novità per me. Però non ero affatto reticente a un piano studiato: un solo passo falso, e la prossima nella lista nera della sovrana sarei stata io. La strizza al pensiero non mi era ancora passata: avevo sedici anni, quasi diciassette, non l’età in cui si pensa di poter morire, almeno nel mio mondo di origine. Morire lì, per intrighi in cui io non c’entravo affatto, senza mai più rivedere la mia famiglia, senza dire loro che gli volevo bene, che non ero sparita per mia volontà, senza che loro potessero mai sapere cosa mi fosse successo … era un pensiero che quasi mi toglieva il respiro. Non volevo, non volevo, dovevo star fuori da quella faccenda e far finta di non aver sentito niente, mandare ai Supay gli scherzi stupidi e riprendere a fare la brava schiavetta così da avere migliori credenziali per il Tempio di Pachtu … così il morto sarebbe stato Simay.

 No, cavolo! Gran bella situazione, non c’era che dire. Se avessi parlato avrei rischiato di farmi ammazzare, se non avessi parlato sarebbe stato ammazzato qualcun altro. Se pensavo che fino a due settimane prima i miei problemi erano costituiti dal passare l’anno scolastico con il minimo di impegno necessario!

 D’accordo, basta panico. Dovevo ragionare su questa cosa il più lucidamente possibile. Dal punto di vista morale, era ovvio cosa avrei dovuto fare. Ma io ero forse tipa da dar retta a quello che altri mi dicevano di fare? No, certo. Di solito mi invogliavano solo a fare l’esatto contrario, e in quel caso, l’opzione era meno che appetibile.

 Be’, Llyra era un’autorità, del resto. Di sicuro non avrebbe voluto che io mi impicciassi in quegli affari. Il mio animo ribelle andava tutto a favore del riferire a Simay … oltre al già molto convincente argomento di non far morire qualcuno.

D’altro canto, me la ricordavo la possibilità di morire, sì? Sicuro che me la ricordavo! Ma salvarmi la pelle a discapito di quella altrui … oh, era semplicemente una cosa troppo vigliacca da fare. Quelle erano le vere azioni da cagasotto, non mostrarsi remissivi verso un cavolo di potente.

 E va bene, avrei rubato quella dannata lettera.

 Cioè, l’avrei sottratta temporaneamente dal suo nascondiglio, scegliendo con cura un momento in cui l’Imperatrice fosse occupata, e sarei andata al Tempio di Achesay. Avrei detto che era per consegnare una missiva importante, in un certo senso non era neanche una bugia. Bene, bene, adesso dovevo solo documentarmi sugli orari della sovrana il giorno dopo.

 Era una donna piuttosto abitudinaria, Llyra: faceva colazione attorno a una cert’ora, poi lavorava per tutto il mattino, pranzava a una cert’ora, e poi lavorava fino all’ora di ritirarsi. Tra un ricevimento e una discussione con nobili, governatori e chissà chi altro, quando aveva tempo libero si intratteneva con le sue dame di compagnia. Oppure complottava omicidi, ma del resto, quel giorno le altre donne se n’erano andate alla rappresentazione, e lei probabilmente non aveva avuto abbastanza tempo per seguirle. Immaginai che la conversazione che avevo origliato fosse stata un caso unico, data l’importanza dell’argomento, e che di solito Llyra ordisse le sue trame la sera, quando non c’era nessuno ad aspettarla da nessuna parte. Per il giorno dopo, avrei potuto confidare nella sua solita routine.

 Decisi che avrei agito nel pomeriggio, e da quella base procedetti a studiare un vero e proprio piano, con la posta in gioco più alta che avessi avuto fino a quel momento.

 

Il giorno seguente, nel primo pomeriggio, mentre le dame cercavano disperatamente di zittire Parinya che non la finiva più su quanto le alghe di kutluqun facessero bene al viso e alle mani, sussultai come se mi fossi improvvisamente ricordata qualcosa, e filai senza una parola verso le stanze interne del palazzo.

 “Dove vai?” mi chiese subito Namina.

 “Mi sono appena ricordata di una commissione, e scusa tanto, ma se non mi sbrigo sono ufficialmente morta” le dissi, gli occhi sgranati per l’ansia. Devo aver dato una performance convincente, perché la schiava annuì e si mise a badare di nuovo alle nobildonne.

 Dovetti sforzarmi per non correre e per non sforzarmi di non farmi notare. Molteplici esperienze con insegnanti, segretari della scuola (praticamente dei servi che tenevano registri con i nomi degli studenti e delle carte a loro associate), bigliettai e una volta anche agenti di polizia (guardie) mi avevano insegnato che il modo migliore per passare davvero inosservati non è muoversi con cautela, è muoversi come se avessi tutto il diritto di fare quello che stai facendo. Molta gente è troppo pigra per indagare a fondo, se gli dai la giusta impressione. E i pochi schiavi che incrociai nel mio percorso non furono diversi.

 Ero stata poche volte nella stanza personale dell'Imperatrice, prima di allora, quando era stato il mio turno di rassettarla. Non ero ben sicura di dove fossero i gioielli: vedevo tante piccole credenze decorate, in giro per la stanza, ognuna sarebbe potuta essere quella giusta. In effetti ne aprii diverse, trovandovi profumi e cosmetici, prima di aprirne una che mi parò davanti una gran quantità di oro e gemme, gioielli ordinatamente impilati gli uni sugli altri. Eccola.

 Ignorai tutte quelle meraviglie in favore di rovistarci dentro, in cerca di carta (non voglio nemmeno immaginare come devo aver ingarbugliato collane e bracciali). Tin, tin, i gioielli ovviamente sbattevano delicatamente gli uni contro gli altri mentre frugavo: mi pareva un chiasso d'inferno. Mi ritrovai a mordermi il labbro, e se Llyra fosse tornata proprio in quel momento, non ne sarei uscita viva, dove cazzo era quella lettera, magari non si fidava di Chica e le aveva detto la collocazione errata, non ce l'avrei mai fatta e- sì! Sotto le dita, finalmente una consistenza più ruvida.

 La sfilai immediatamente: era un rotolo una specie di carta, molto più rigida e spessa di quella solita nel nostro mondo, tenuto chiuso con uno spago. Non si vedeva nessuna scritta esternamente, così controllai che la via fosse libera, uscii in fretta dalla stanza, e andai a nascondermi in una delle stanze per gli ospiti attualmente inutilizzata, dove sciolsi il nodo e iniziai a leggere.

 No, non volevo impararmi i fatti dell'Imperatore e della madre di Simay: volevo accertarmi che quella fosse la lettera giusta. Non sapevo quanto Llyra si fidasse davvero di Chica, quindi poteva averla depistata e messo la vera lettera altrove. Giusto il tempo di una rapida scorsa… sì, era decisamente la lettera giusta. Scritta dall’amante dell’Imperatore in persona … wow, sembrava una telenovela spettacolo drammatico.

 Certo, faceva uno strano effetto leggere quelle parole e pensare che fossero state scritte da una persona vera, per una persona vera ... sussultai, ricordandomi della situazione. Io quella lettera dovevo portarla a un'altra persona vera, che tra parentesi rischiava la pelle se non l'avessi fatto.

 Recuperai la mia aria di sicurezza e uscii, senza che nessuno mi questionasse. Neanche le altre dame che mi videro uscire lo fecero, assumendo che stessi portando un messaggio per conto di qualcuno. Non fu fino a che arrivai al Cortile delle Arti che qualcuno mi fermò.

 "Ehi, Corinna!" e ti pareva che non sarebbe stata una persona con cui mi sarebbe piaciuto molto parlare? Sayre per una volta aveva messo il naso fuori dalla sua bottega, e stava procedendo verso di me con un gran sorriso. "Stai bene? Linca mi ha detto che Dylla ti ha dato un brutto pestaggio, ieri"

 Mi sembrò che il cuore mi si fosse messo a fare capriole in petto. Si stava preoccupando per me? Be' ... io non sarei dovuta essere contenta di questa cosa! Non ero tipa da accettare la compassione altrui!

 Scrollai le spalle. "Non vedo come la cosa ti riguardi. E comunque ne è valsa la pena"

 "Perché? Cos'hai fatto?" mi chiese lui in risposta.

 "Cosa te ne frega?"

 "Da quella frase, avevo assunto che tu volessi un interesse più approfondito"

 "Tu assumi troppo. Comunque, avevo nascosto i guanti di Uyella" ammisi. "Se l'era cercato, viziata com'è scommetto che nessuno le ha mai dato un po' da preoccuparsi"

 "Dunque questo è il tuo concetto di giusta retribuzione! E a proposito di questo, hai sentito dell’ultimo lavoro della Dama Azzurra?"

 Wow, voleva proprio mettersi a chiacchierare! Da una parte, stavo facendo una sorta di balletto mentale per la felicità, dall'altra sapevo di dovermi sbrigare, prima che la mia assenza iniziasse a sembrare strana. "No, al momento non mi interessa che cos’abbia fatto una qualche tua collega. Adesso devo proprio andare, al massimo ripasserò più tardi"

 "Ma la Dama non … ah, spero tanto che tu ripassi" replicò lui, sfoggiando uno dei suoi spettacolari sorrisi. Emisi una sorta di grugnito in risposta e ripresi.

 Me l'ero cavata bene, vero? Mia madre diceva spesso che una ragazza non deve mai mostrarsi troppo ansiosa di uscire con un ragazzo, perché la fa sembrare già innamorata persa; piuttosto posporre, per dimostrare padronanza della situazione ... era così che suonava quello che avevo appena fatto, vero? A parte il fatto che poi, uscire ... lui sembrava piuttosto voler parlare di qualcosa che aveva fatto una sua collega artigiana dal nome d’arte altisonante, non proprio quello che dalle mie parti si definisce un appuntamento.

 Ma lo stesso, l'idea di parlare di nuovo con lui non mi faceva affatto schifo, specie se lui era altrettanto interessato ... ah, meglio rimandare quei pensieri al viaggio di ritorno. Adesso dovevo trovare lo strabenedetto Tempio di Achesay, mostrare una lettera che avrebbe potuto far saltare un po' di teste, forse gestire un tizio traumatizzato da improvvise e scottanti rivelazioni sulle sue origini e minacce di morte. Per quanto Sayre fosse carino, poteva tornarsene nei miei pensieri in un momento più rilassato.

 Trovare il Tempio fu un po' un'impresa, perché la gente continuava a darmi indicazioni usando come punti di riferimento edifici che io non conoscevo, e a un certo punto mi ritrovai pure nel bel mezzo di un mercato che nel suo caos mi fece perdere completamente l'orientamento. Stavo sprecando tempo, presto avrebbero iniziato a chiedersi che fine avessi fatto, ero nervosa, non riuscii nemmeno a interessarmi all'architettura completamente nuova in cui mi muovevo, continuavo a sbagliare strada, mandai a quel paese in paio di persone che ebbero l'ardire di urtarmi accidentalmente, praticamente ringhiai le mie richieste di informazioni successive, qualche anima buona me le diede lo stesso, e finalmente arrivai davanti a una cinta muraria al di là della quale, mi dissero, c'era il tempio.

 Entrai per una piccola apertura rettangolare, e sì, mi ritrovai in un ampio cortile con davanti un basso edificio in pietra. La gente chinava il capo quando vi entrava e tornava a camminare normalmente quando vi usciva, quindi immaginai che fosse il vero e proprio luogo di culto. Sì, ma io volevo un sacerdote che mi portasse da Simay! Non sembrava esserci nessuno che potesse esserlo. Dannazione, che perdita di tempo!

 Entrai a passo spedito e senza chinare il capo, cosa che per mia fortuna mi attirò subito l'attenzione di un tizio con una tunica nera e oro.

 "Dove credi di essere? Porta-"

 "Sei un sacerdote?" tagliai corto. Non il modo più discreto di fare il mio ingresso, ma avrai capito che già la mia educazione lasciava molto a desiderare, e per giunta in quel momento ero particolarmente nervosa.

 L'uomo mi guardò con aria confusa prima di assentire.

 "Bene. Allora dimmi dove sono i novizi, ho una lettera importante per Simay Etahuepai di Dumaya"

 L'uomo mi fissò sollevando un sopracciglio e storcendo la bocca. "Abbastanza importante da fargli interrompere le lezioni?"

 "Decisamente"

 "Hmf. Allora aspetta qui, i laici non possono entrare nell'area riservata ai sacerdoti. Te lo porterò io"

 Per quanto si fosse dimostrato scettico nei miei confronti, quel sacerdote fu di parola. Feci a malapena in tempo a osservare l'ambiente che mi circondava (un po'di curiosità l'avevo anch'io, e dovevo ammettere che quell'edificio di pietra, completamente buio tranne che per l'apertura che illuminava la statua di una dea particolarmente prosperosa), che quel tizio fu di ritorno con un Simay dall'aria molto sorpresa. Bene, finalmente si arrivava al dunque"

 

Tante scuse a Corinna, ma Choqo, questa parte, la voleva leggere dal punto di vista di Simay.

 Era stata sul punto di riprendere il suo manoscritto una volta finita la parte sull'orafo (l'aveva sorpresa leggere che Corinna fosse in realtà innamorata di un altro, e si chiedeva perché lei avesse sposato Simay e che fine avesse fatto Sayre; ma davvero al momento c'erano cose molto più interessanti da leggere) quando era iniziato il resoconto di come Corinna avesse accidentalmente origliato Llyra, ed era rimasta incatenata alla pagina. Non si era aspettata un risvolto simile: che fosse stato proprio l'animo ribelle dell'allora schiava a imporre una tale svolta agli eventi!

 Ma la reazione di Simay a scoprire le sue origini era qualcosa che andava letto dal punto di vista del ragazzo stesso.

 

                                                                      Dal Manoscritto di Simay

 

Il pomeriggio di quello stesso giorno mi parve relativamente privo di eventi: solo in retrospettiva posso dire che non fu affatto così. Ancora scosso dalle rivelazioni di Pacha, mangiai poco o nulla per pranzo, dovetti far forza a me stesso per rimanere concentrato sulla lezione (sui minerali e le loro proprietà benefiche o dannose sull’organismo umano) e mi ritrovai a passare la pausa serale in un angolo solitario del cortile. Non ero tipo da associarmi agli altri, quando avevo un problema.

 Così evitai molte domande quando l'attendente del Tempio mi si avvicinò. "C'è una giovane che chiede di te" disse. Questa era una sorpresa. Forse una schiava con una lettera da parte della mia famiglia?

 No: la persona che mi indicò l'attendente non solo era di condizione libera, anzi benestante a giudicare dalle sue vesti, ma era anche qualcuno che non avevo mai visto. Perché me ne sarei senz'altro ricordato: quella ragazza era davvero di una bellezza impressionante.

 Aveva la carnagione molto pallida e gli occhi grandi e luminosi, che spiccavano su un volto rotondo messo in evidenza dai capelli raccolti in una lunga treccia nera. Aveva un fisico molto prosperoso, ben sottolineato dalle pieghe della veste. Quando mi vide arrivare, mi rivolse un sorriso luminosissimo e con tutti i denti.

 Fui preso un po' in contropiede, lo ammetto: non mi aspettavo che una persona del genere avrebbe avuto ragioni per chiedere di me. Poi mi rimproverai mentalmente: anzitutto non avrei dovuto pensare a una ragazza in quel modo, in secondo luogo chiunque, a prescindere dal suo aspetto, poteva avere problemi che necessitassero di un conforto religioso.

 "Chiedevi di me?" esordii.

 "Sei Simay di Dumaya, giusto? Scusa se ti ho disturbato, ma anch'io vengo da quella città, e ho pensato che un conterraneo fosse la persona più adatta ad aiutarmi"

 Mi sorprese la sua mancanza di accento, se era davvero di Dumaya, ma del resto dimostrava pressappoco la mia età: doveva essere reduce da due anni di istruzione nella capitale, se davvero era di buona famiglia come il suo aspetto suggeriva.

 "Io sono Qillalla Huarcayi. Ti ringrazio per avermi ricevuta"

 "Dovere, anche se non so di quanto aiuto potrò esserti. Ho appena ricevuto l'iniziazione"

 "Appena iniziato ... scusa se sorrido, ma in un certo senso si ricollega al mio problema. Possiamo parlarne fuori di qui?"

 Acconsentii, era giustificato che non volesse parlare di questioni personali nel Tempio. Mi condusse in un angolo appartato del cortile dei laici, al riparo da orecchie indiscrete.

 "Vedi, io ho ormai raggiunto l'età da marito. La mia famiglia sostiene di avermi procurato un buon partito, ma ... nessuna ragazza vorrebbe sposare quell'uomo!"

 Non esattamente il tipo di situazione che ero abituato a gestire. Ricordavo al massimo le trattative per il matrimonio di qualche cugina, ma di norma, se le ragazze volevano lamentarsi, lo facevano tra loro, non chiedendo l'assistenza di un sacerdote. Doveva esserci qualcosa di più.

 "Ma se la tua famiglia l'ha scelto ..." iniziai.

 "La mia famiglia ha guardato solo le sue terre, non lui. Per cominciare, ha trent’anni più di me, ha abitudini disgustose ed è incapace di curare sé stesso. E poi è un ubriacone, quei soldi che ha li sta sperperando a vista d’occhio tra cila e gioco d’azzardo, ed è risaputo che per l’eccesso di alcol sia pure impotente!”

 Per come andava la società dell’epoca, le prime tre ragioni non erano sufficienti perché una ragazza rifiutasse un matrimonio, le ultime tre invece sì. Scopo del matrimonio era preservare le linee dinastiche e dare nuovi cittadini all’Impero, da crescere nel modo migliore concesso dalle capacità dei genitori. L’incapacità di procreare di uno qualsiasi dei due promessi sposi era condizione sufficiente perché l’altro annullasse il fidanzamento, abitudini incompatibili con la sana crescita di figli era a sua volta motivo di contestazione. Ma se le cose potevano essere risolte con tanta semplicità, perché questa ragazza si era rivolta a me?

 “Credo che un notaio potrebbe esserti più d’aiuto che un novizio sacerdote …”

 “Ci ho già parlato, infatti, e mi ha detto che ho tutti i diritti per rifiutare il matrimonio. I miei genitori non mi hanno permesso di mangiare per tutto il giorno, per essere andata da lui” rise amaramente. Ne rimasi turbato, doveva avere persone singolarmente severe e irragionevoli come familiari. Una brutta sfortuna per chiunque, ma soprattutto per una ragazza, dato che queste ultime non potevano emanciparsi e lavorare autonomamente.

 “Ma non è stata tutta la loro reazione. Si sono messi in testa che io volessi sposare qualcuno di più povero: quindi hanno detto che, se non avessi sposato quell’uomo, non mi avrebbero permesso il matrimonio con nessun altro”

 “Il tuo notaio non ha potuto …”

“Fare nulla, no. Ha potuto solo dirmi che avevo il diritto legale di rifiutare quel particolare sposo, non pretendere che i miei me ne scegliessero un altro. Dunque le mie alternative sono sposare quella persona, vivere l’esistenza umiliante di una zitella, o consacrarmi come sacerdotessa di Achesay, come hanno proposto altri familiari”

 Ah, adesso iniziavo a capire quale fosse il problema. Evidentemente la terza alternativa le pareva la migliore, e stava cercando di avere dettagli sulla vita sacerdotale. Certo, un’offerta di sacerdozio volontario sarebbe stata molto meglio, ma quella ragazza andava compatita: i suoi parenti l’avevano messa in una situazione assurda.

 “Quindi vuoi che ti spieghi come procede il noviziato?”

 “Non esattamente”

No?

 Lei sospirò, abbassando il capo. “Voglio essere sincera: fosse stato per me, non avrei mai scelto il sacerdozio. Venero e rispetto gli dei come ogni Soqar decente dovrebbe fare, ma non voglio consacrare la mia vita a loro. Io voglio un matrimonio, una famiglia, amici e amiche, alternare il lavoro con delle feste … scusami, ma mi pare che un sacerdote faccia anzitempo la vita del vecchio, confinato in un luogo senza alcun divertimento … e senza amore”

 “Immagino che sia necessario esserci portati” replicai. “Se ti interessano … queste cose, meglio che tu rinunci al sacerdozio. E’ una vita di dedizione alla divinità, non voglio neppure immaginare come debba essere una vita consacrata a qualcosa di non rispettato”

 “Oh, la gente entra nella vita religiosa per qualsiasi motivo. Tu, invece, sei un vero devoto, mi pare?”

 “Non posso sperare che la mia fede sia sufficiente a onorare la Grande Madre, ma le riservo tutto quello che posso”

 Lei fece un sorrisino. “Scusami, ma mi sembra una cosa un po’ triste. Tu passerai tutta la vita in assoluta dedizione, e in cambio cosa riceverai? La concessione di usare la magia della dea? Sembra una risposta un po’ fredda … ammesso che, come hai detto tu, una divinità consideri tutto il tuo impegno sufficiente. E se lo disprezzasse?”

 Non avevo mai sentito nessuno riflettere in quel modo. Aspettarsi un premio dalla divinità, come se fosse qualcosa di dovuto … davvero quella ragazza non era tagliata per la vita sacerdotale.

 “Se lo disprezzasse, sarei io in errore, perché non sarei capace di sufficiente devozione-“

 “Di nuovo” ripeté lei, sempre sorridendo. “Che tristezza. Ma è parte della vita sacerdotale sentirsi colpevoli per cose perfettamente naturali, vero? Dici che Achesay è la Grande Madre: non dovrebbe desiderare la tua felicità e mostrarti amore, come tutte le madri?”

 “Gli dei non sono in dovere di fare nulla, nei nostri confronti. Io ho scelto di accettare questa vita, adempiendo al mio dovere senza aspettarmi altra ricompensa che esso stesso. Tu evidentemente non sei fatta per una simile esistenza: non consacrarti, dunque”

 Dovevo essere stato un po’ brusco, perché la ragazza si ritrasse, sorpresa e, forse, vagamente ferita. Feci per dire qualcosa che addolcisse la mia frase, ma lei mi prevenne. “Oh, sei davvero rigido sulle tue posizioni. Continua pure a pensare che sto sprecando la mia vita fuori dal chiostro, io continuerò a pensare che tu stia sprecando la tua. Siamo in perfetta parità. Ma concordo su quello che hai detto riguardo alla mia scarsa devozione: ora ci sarebbe solo da spiegarlo ai miei genitori. Era per questo che sono venuta a parlare con te: sei a un tempo un novizio della dea cui vogliono consacrarmi, e il figlio adottivo del nostro governatore. Se tu mettessi una buona parola per me, ti ascolterebbero”

 Io non ricordavo di averla accusata di star sprecando la propria vita: forse qualcosa che avevo detto era erroneamente interpretabile? Preferii non perdermi in tentativi di correggerla, mostrando il mio appoggio nell’acconsentire a parlare con i suoi genitori. Le chiesi quando sarebbero venuti al Tempio.

 “Personalmente, preferirei che venissi tu a parlare con loro, sempre che tu riesca a ottenere il permesso dai tuoi maestri. Sono faccende strettamente legate alla famiglia, rifiuterebbero di discuterne in un luogo pubblico come il Tempio. Se tu dovessi ottenere il permesso, per cortesia, sii così gentile da incontrarci domani sera alla Locanda delle Acque Nere”

 “Farò del mio meglio per esserci, ma non posso garantire nulla. Se non dovessi presentarmi, dovreste venire voi”

 “Il giorno successivo ci saremo. Ti ringrazio davvero per il tuo ascolto. Sono stata davvero fortunata ad aver trovato una persona come te, in questo posto”

 Mi sorrise e mi strizzò l’occhio, non capii per quale motivo. Avevamo forse stretto un accordo particolare? Ignorai quegli strani segni e mi congedai, andando subito dopo a chiedere a Waray licenza di allontanarmi dal Tempio per portare assistenza a Qillalla, il giorno dopo.

 Il tono con cui il maestro dei novizi mi diede il suo assenso mi fece dubitare che avesse capito cosa gli avessi chiesto o che se ne sarebbe ricordato il giorno dopo, ma nel dubbio preferii non importunarlo ulteriormente e considerare la faccenda conclusa. Le preoccupazioni per l’Incendiario tornarono presto a sostituire quelle per Qillalla, nella mia mente.

 

Il giorno dopo, nel bel mezzo di una lezione su come usare il potere della dea per estrarre materiali dal suolo, mi ritrovai nell’alquanto imbarazzante situazione di avere l’attendente del Tempio che mi informava che una giovane schiava chiedeva di me. Qualcuno aveva saputo e riferito del mio colloquio con Qillalla e il fatto che due ragazze mi avessero richiesto nel giro di meno di un arco completo di sole non passò inosservato, né non commentato, dai miei compagni.

 Sforzandomi di non arrossire, seguii l’attendente, chiedendomi se in questo caso fosse davvero una lettera da casa. E invece no: rimasi stupefatto nel trovarmi davanti la ragazza che era stata mia compagna di viaggio, quella che credevo venduta in qualche posto infamante. Invece, a giudicare dalla tunica umile ma dignitosa e dalla lettera che aveva in mano, pareva aver trovato una sistemazione migliore. Buon per lei! Forse mio padre si era mosso a compassione e l’aveva comprata prima di tornare a Dumaya?

 “Oh, eccoti” fu lei la prima a parlare - qualunque cosa le fosse successa in quegli undici giorni, di sicuro non le aveva insegnato molto il rispetto per i liberi. “Ho qui una lettera per te. E usciamo di qui, probabilmente vorrai stare da solo per leggerla”

 L’attendente mi scoccò un’occhiata perplessa, io gli feci cenno che andava tutto bene, non era nulla di cui dovesse preoccuparsi. Non sono sicuro di aver avuto un’espressione altrettanto rassicurante: una lettera da casa che avrei voluto leggere da solo? Cosa poteva essere successo? Ingiustizie a danni della famiglia? Incidenti? Era morto qualcuno? Feci quasi fatica a respirare per l’ansia, mentre conducevo la schiava nell’angolo appartato in cui il giorno prima avevo parlato con Qillalla.

 “Da parte di chi è quella lettera?” riuscii a chiedere. Forse se avessi saputo il mittente avrei potuto capire qualcosa in anticipo …

“Da tua madre. Quella biologica, però”

 Cosa?

 

 

 

 

 

 

 

GLOSSARIO (e qualche trivia):

Mekilo: essere simile a uno scoiattolo, solo molto più grande, con zampe molto più lunghe e la coda in fiamme. Essendo un animale legato al fuoco, non è considerato sacro a nessun dio, ma sfruttabile da tutto il genere umano. Viene usato soprattutto per trasportare merci e persone.

Occlo: bovino ricoperto di squame e con protuberanze lunghe e sottili, simili a serpenti che stanno al posto delle corna e da cui esce fuoco. Anch’esso animale legato al fuoco, ma per la sua pericolosità e la capacità di controllare i loro getti di fuoco sono quasi esclusivamente cavalcature da battaglia.

Kutluqun: capre anfibie con alghe al posto della pelliccia. Sono considerate sacre al dio Tumbe, e per questo, per allevarle o catturarne di selvatiche, è necessaria l’autorizzazione di un sacerdote di quel dio.

Lymplis: pesci volanti, con le pinne coperte di piume. Sono sacri alla dea Chicosi, dunque è necessaria l’autorizzazione di un suo sacerdote per possederne uno. Malgrado ciò, sono popolari come animali da compagnia presso la nobiltà.

Kyllu: uccelli simili a cigni, fluorescenti. Sono sacri al dio Achemay, e allevati solo all’interno del palazzo imperiale. Il loro piumaggio è usato per decorare le corone dei sovrani.

 

Shillqui: piante in cui scorre un liquido per aspetto e consistenza simile al miele, che causa a tutto l’albero di agitarsi violentemente. Se bevuto, questo liquido dà gli stessi effetti agi esseri umani, ma è difficilissimo metterci le mani sopra. Pianta sacra a Pachtu, i suoi sacerdoti ne devono bere la linfa durante le cerimonie.

Likri: fiori simili a gigli rossi, dalle temperature bollenti, che esalano un fumo sottile. Se tuffati in acqua gelida e canditi, sono considerati ottimi per la pasticceria, ed essendo legati al fuoco, l’unico limite al coglierli è potersi permettere buoni guanti protettivi.

 

Qillori: cristalli di colore azzurro chiaro, molto usati in oreficeria.

Achemairi: cristalli di colore dorato, anch’essi comuni per l’oreficeria.

 

Notte: entità primordiale da cui tutto il mondo ha avuto origine.

Achemay: dio del sole, entità più importante del pantheon Soqar.

Achesay: dea della terra.

Chicosi: dea dell’aria.

Tumbe: dio del mare, dei fiumi e dei laghi.

Sulema: dea del fuoco.

Pachtu: dio dei fulmini e della vita.

Qisna: dea della morte e delle paludi.

Supay: esseri più collegati al folklore che alla religione vera e propria, sono creature della Notte, incaricati di torturare le anime dei peccatori che lì vengono gettate.

 

 

Ladies & Gentlemen,

ecco che finalmente è scoppiato il casino vero e proprio. Ecco i risultati di voler fare i ribelli a tutti i costi: potreste scoprire pericolosi complotti politici! Intanto, Simay ha la sua ben più piacevole (?) conversazione con Qillalla: alla luce di quanto è stato detto negli scorsi capitoli, cosa ne pensate della ragazza?

Piccolo momento di discussione sulla storia: nei prossimi mesi, intendo lavorare come un mulo per pubblicare il capitolo 18 (o 17 escludendo il prologo) prima del 12 gennaio. Il motivo è molto semplice: in quella data, inizierà la sessione di esame, e io in quel periodo ho la brutta abitudine di chiudere baracca e burattini su EFP, sia riguardo alle storie che riguardo alle recensioni, per dedicarmi interamente allo studio, riprendendo solo una volta finito l’ultimo esame. Quindi tra gennaio e febbraio potrei avere un’assenza anche piuttosto lunga, e il capitolo 18 è piuttosto importante, per una semplice ragione.

 In esso, i nostri eroi parleranno per la prima volta con l’Incendiario, e con questo intendo che lo faranno pienamente consapevoli della sua identità … perché di conversazioni con lui/lei, ne avranno già avute prima, ma totalmente ignari di chi fosse davvero. Il che significa che da questo momento in avanti siete liberi, se volete, di avanzare qualsiasi teoria su questo soggetto: ricordatevi solo che può essere un uomo o una donna, di qualsiasi età e status sociale, l’unico parametro è che almeno uno tra Simay e Corinna ci abbia fatto una chiacchierata, a prescindere dalla lunghezza. E siccome io sono una dolce e buona fanciulla (??), non intendo lasciarvi con il cliffhanger per più di un mese.

Finito questo avviso, grazie per aver letto, e un grazie speciale a tutti quelli che hanno recensito!

 

 

  
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