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Autore: Jade Tisdale    08/10/2017    0 recensioni
Post seconda stagione | Nyssara
È passato un mese dalla sconfitta di Slade, e mentre Starling City cerca di risollevarsi in seguito ai danni subiti, il Team Arrow continua a vigilare sulla città, proteggendola dai numerosi e frequenti pericoli.
Sara, invece, ha fatto ritorno a Nanda Parbat. Ma qualcosa, o meglio, una notizia, potrebbe dare una nuova svolta alla sua vita. E mettere a rischio quella di chi le sta intorno.
*
«La tua ragazza» sussurrò la mora «è questa Nyssa?»
Sara annuì, arrossendo lievemente.
«Dev'essere una persona splendida. Voglio dire, se è ancora con te dopo aver saputo di questa storia, significa che ti ama veramente.»
*
«Credevo di essere perduta per sempre» sussurrò, solleticandole dolcemente la pancia nuda «ma poi sei arrivata tu, e hai sconvolto completamente la mia vita. Tu mi hai ritrovata, Sara. Mi hai ritrovata e mi hai fatta innamorare follemente di te con un semplice sorriso.»
Nyssa intrecciò la propria mano in quella di Sara, rossa in viso.
«E poi» proseguì, con un sussurro «in questo inferno chiamato vita, stringerti la mano è la cosa migliore che mi sia potuta capitare.»
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, FemSlash | Personaggi: Nyssa al Ghul, Oliver Queen, Ra's al Ghul, Sarah Lance, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Love is the most powerful emotion'
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Capitolo 15:
Six years together

 

 

 

 

Quando il gruppo arrivò in ospedale, più o meno venti minuti dopo, Lyla era appena entrata in travaglio. Riuscivano a sentire le sue urla dal corridoio, cosa che terrorizzò a morte John, ma ciò non gli impedì di entrare nella stanza e di sostenere la sua futura moglie mentre partoriva la loro primogenita.
Circa due ore dopo, Lisa Alena Diggle venne al mondo insieme alle prime luci del mattino. La prima persona a tenerla in braccio fu suo padre, il quale non avrebbe mai scordato il miscuglio di emozioni che aveva provato quella notte. Ma in quel momento, non gli importava più di niente e di nessuno: esistevano soltanto lui, Lyla e Lisa. E niente lo avrebbe reso più felice di aver passato una notte insonne al fianco delle due donne che amava di più al mondo.

*

Lo sbadiglio di Sara fece eco nel corridoio, attirando subito l’attenzione di Nyssa, la quale sbucò dal salotto un secondo dopo con l’indice davanti alla bocca.
«Non fare troppo rumore, o sveglierai Sin.»
«Che ore sono?»
«Le undici.»
Sara rispose con un’alzata di spalle, andandosi poi a sedere al tavolo della cucina. «Prima o poi si dovrà svegliare anche lei.»
«Sarai proprio una brava madre. Adesso ne ho la conferma.»
Mentre Nyssa si sedeva di fronte a lei e le porgeva un piatto con tre waffle ancora caldi, Sara rise sotto ai baffi.
«Abbiamo dormito solo un paio d’ore. Lei sarà andata a letto più di dieci ore fa.»
«Tu credi?» domandò l’Erede del Demonio, poggiando i gomiti sul tavolo. «Se è ancora qui, vuol dire che ieri sera sarà andata a bere da qualche parte. Poi avrà giocato a biliardo fino alle tre di notte, e a breve dovrà prepararsi ad affrontare il post-sbronza peggiore della sua vita.»
Canary inarcò un sopracciglio. «Come fai a sapere tutte queste cose?»
«Non ne ho la certezza. Sono solo ipotesi.»
«Sì, ma, intendo… come può il tuo cervello anche solo ipotizzare una cosa simile?»
Questa volta, fu Nyssa a scrollare le spalle. «Da quando siamo qui guardo molta TV» spiegò. «E poi, tra sedici anni potremmo avere un figlio ribelle come lei. Dobbiamo essere preparate a quest’eventualità.»
«Giusta osservazione» ammise la bionda, mandando giù un boccone. Subito dopo, una strana sensazione la pervase, e prima ancora che potesse prevederlo si ritrovò a singhiozzare.
Nyssa la osservò per qualche istante, fino a quando non arrivò il secondo singhiozzo e la mora scoppiò a ridere di gusto.
«Che c’è?» protestò Sara, portandosi istintivamente una mano davanti alla bocca.
«Sei divertente» ammise la figlia di Ra’s, con una strana luce negli occhi.
Canary corrucciò le sopracciglia, ma subito dopo si ritrovò a dover sorridere a sua volta. Dopo cinque anni passati a Nanda Parbat, era strano pensare che la sua vita stesse riprendendo la strada della normalità. Le erano mancati i momenti innocui come quello, e il solo pensiero che Maseo avrebbe potuto distruggere la bolla di quiete che lei e Nyssa erano riuscite a creare le faceva venire la pelle d’oca.
«Vorrei più momenti come questo.»
Al sussurro della mora, Sara alzò lo sguardo di colpo. Fino all’anno prima, quella vita l’avevano solo sognata. Ma adesso, finalmente, avevano la possibilità di ricominciare da capo, di avere una seconda occasione per diventare delle persone migliori. E Sara non avrebbe permesso a niente e a nessuno di portarle via quel desiderio che stava prendendo vita. Né a Maseo, né tantomeno a Ra’s.
«Ne avremo altri, habibti. Te lo prometto.»



«Quindi non torni per pranzo?»
Sara scosse il capo, sistemandosi il colletto della giacca di fronte allo specchio. «Non credo. Oliver ha detto di volermi parlare del bambino, e vista l’ora deduco che mangeremo qualcosa lungo la strada. Tu andrai a vedere come sta Josh?»
«Sì, tra un’ora o due magari. Bisogna solo dire a Sin che oggi resterà sola per tutto il giorno.»
«Ci puoi pensare tu? Ollie mi sta aspettando, sono già in ritardo di un quarto d’ora» spiegò la bionda, con una piccola risata.
«Ma certo» sorrise Nyssa, sistemandole una ciocca di capelli sulle spalle. «Ora vai.»
Sara le diede un bacio, dopodiché si voltò e uscì dalla porta, non prima di aver riservato un occhiolino all’amata.
Nyssa si passò una mano tra i capelli. Era stata una lunga notte, e sebbene si fosse conclusa nel migliore dei modi, l’idea di essere nel mirino di Sarab non la faceva sentire meglio.
Quando si voltò, il suo sguardo incontrò una zazzera di capelli scuri e due occhi che la scrutavano con attenzione.
«Va tutto bene?» domandò in tono fermo.
Non appena Sin si rese conto della gaffe, trasalì. «Sì. Scusami. È che vi ho sentite parlare dal corridoio e volevo sapere se è successo qualcosa.»
«Oh, no, tranquilla. Sara ha soltanto delle commissioni da sbrigare, e io devo andare a fare visita a un amico malato.»
La ragazzina annuì piano. «Capisco.»
Nyssa spostò il peso da una gamba all’altra. «Per te è un problema restare qualche ora a casa da sola?»
«No, figurati. Sono sola da tutta la vita.»
La figlia di Ra’s al Ghul colse al volo il significato di quella battuta. «Già. Sara mi ha raccontato quello che ti è accaduto. Mi dispiace per i tuoi genitori.»
Cindy rispose con un’alzata di spalle. «Fa niente. Ormai ci ho fatto l’abitudine.»
Nyssa ruotò leggermente la testa di lato, appoggiandosi contro al muro. «Sai, anch’io ho perso mia madre da piccola.»
«Ah sì?» domandò Sin, mettendosi le mani in tasca. «È uno schifo, non è vero?»
L’Erede si ritrovò a dover annuire. «Sì. Più che uno schifo» sussurrò. «Aveva l’età di Sara quando mi ha lasciata. Io ne avevo appena sette.»
«Mi dispiace.» Cindy deglutì a fatica. «Io nemmeno me lo ricordo il viso di mia madre. Mio padre diceva sempre che era morta prima che imparassi a camminare.»
«Mio padre si è sempre rifiutato di parlarmi di lei.»
A quelle parole, Sin alzò lo sguardo, puntando i propri occhi in quelli di Nyssa. Solo allora si rese conto che le due non avevano mai avuto un dialogo concreto, ma a quanto pare l’essere entrambe orfane era un buon punto per iniziare a comunicare.
«Ho preparato dei waffle» esclamò Nyssa ad un tratto, un sorriso a contornarle le labbra. «Ne vuoi un po’?»



Con grande sorpresa da parte di entrambe, la conversazione tra Sin e Nyssa proseguì per oltre un’ora al tavolo della cucina. Grazie a quella chiacchierata iniziata per caso, avevano scoperto di avere molte cose in comune.
«Hai diciotto anni, giusto? Quindi hai finito le superiori lo scorso Maggio.»
«In realtà, non ho mai concluso gli studi. Ho lasciato il liceo all’inizio del secondo anno» ammise la ragazzina. «Insomma, finché mi sballottavano da una famiglia adottiva all’altra ero obbligata ad andarci, ma poi sono fuggita e... beh, con la vita di strada che conducevo, non mi sarei mai potuta permettere di finire la scuola.»
Nyssa poggiò i gomiti sul tavolo, intrecciando le mani sotto al mento. «Beh, se ti può consolare, io non sono mai andata a scuola.»
«Suppongo che la tua situazione fosse un po’ diversa dalla mia. Cioè, non che sappia molto del tuo passato! Anzi, non so proprio niente» si corresse. «Però, Sara me l’ha detto chi sei. Ho dedotto che tu non abbia avuto una vita normale.»
«No, niente affatto» rise la donna, divertita all’idea che Cindy provasse ancora un certo timore nei suoi confronti. «Però ci sono state persone che mi hanno insegnato molte cose basilari come i calcoli, o addirittura più complesse a livelli quasi impossibili.»
Sin alzò un sopracciglio. «In che senso?»
«Diciamo che alla tua età sapevo già parlare fluentemente cinque lingue diverse.»
Cindy si paralizzò sul posto per qualche istante prima di riprendere la parola. «Non ci posso credere.»
In tutta risposta, Nyssa annuì. «Oltre all’inglese so perfettamente l’arabo, il mandarino, il giapponese e il russo.»
«Figata. Quindi puoi insegnarmi come insultare le persone in cinque lingue diverse?»
Nyssa sembrò pensarci su. «Sì, direi che si può fare. Ma solo a condizione che io possa aiutarti a scegliere le vittime.»
A quelle parole, Sin scoppiò a ridere con tutte le sue forze, trovando il coraggio di smettere solo quando le venne il mal di pancia. «Sei forte» dovette ammettere.
La figlia di Ra’s sorrise a labbra chiuse. «Anche tu.»



Da quando Sara e Oliver si erano incontrati, avevano parlato di tutto meno che del loro bambino. La prima cosa di cui avevano discusso erano state le condizioni di Josh, per poi concentrarsi sulla figura di Maseo Yamashiro ‒ che Oliver le rivelò essere un suo vecchio conoscente, raccontandole dell’anno trascorso a Hong Kong ‒ e sulla figlia di Lyla e Diggle.
Ma dopo più di tre ore di passeggiate, spuntini e spostamenti in limousine, non avevano ancora detto una parola sul loro figlio. O almeno fino a quando non capitarono di fronte a un negozio per bebè, e a quel punto Sara non riuscì più a tenersi tutto dentro.
«Perché hai voluto che ci incontrassimo, Oliver?» domandò, bloccandosi nel bel mezzo del marciapiede.
L’uomo, colto alla sprovvista, assunse un’espressione stupita. «Non è ovvio?»
«No, per niente» protestò lei, corrugando la fronte. «È da questa mattina che cerchi di evitare l’argomento, ma non possiamo andare avanti così a vita. Lo sai.»
Oliver sospirò pesantemente, per poi passarsi rassegnato una mano sul viso. «Vieni con me.»
Sara lo seguì con un groppo in gola. Ci vollero altri dieci minuti di silenzio e di camminata prima che i due arrivassero a destinazione.
«Te lo ricordi questo posto?»
Sara si guardò intorno con fare curioso.
«È il parco in cui andavamo sempre a giocare da piccoli» realizzò. «Io, te, Laurel e Tommy.»
Quando pronunciò quell’ultimo nome, Oliver ebbe un sussulto. «Già.»
Sara si lasciò cullare dalla brezza autunnale che le accarezzava il viso. I suoi occhi non vedevano altro che le persone presenti nel parco: una donna con una carrozzina azzurra che osservava vigile la propria figlia giocare sull’altalena; dei bambini rincorrersi a vicenda; un uomo giocare con il proprio cane facendogli riportare un rametto di legno; una ragazza intenta a leggere un libro con la schiena contro a un albero. Tutto ciò le sembrava terribilmente normale e inusuale al tempo stesso, perché ormai erano anni che Sara non si concedeva un momento così, in mezzo alla natura e alle persone.
«Perché mi hai portata qui?» sussurrò, con la gola secca.
«Perché credevo non ci fosse altro posto migliore per parlare» ammise Arrow, indicando una panchina poco distante.
I due si sedettero titubanti, quasi temessero di essere diventati troppo grandi per sedersi in quella panchina sacra che, da bambini, ritenevano fosse off-limits per gli adulti.
«Stanotte, quando abbiamo dovuto salvare la vita di un uomo, ho pensato che non fossi più destinato a essere Oliver Queen. La mia vita ormai è al Covo. Io sono lui, e sono fiero di esserlo. Ma a volte, nelle situazioni estreme, mi ritrovo a pensare che non riuscirei mai a gestire una vita normale.» Sospirò, abbassando inspiegabilmente lo sguardo. «Poi ho visto John diventare padre, e ho capito che diventare padre è la cosa più bella che possa capitare a una persona, ma è anche la più difficile.»
«Che intendi dire?»
«Intendo dire che, dopo quello che è capitato questa notte a Josh, ho realizzato che avere un figlio potrebbe essere un rischio. John e Lyla non conducono una vita facile, ma hanno comunque deciso di provare a costruirsi una famiglia pur sapendo che la loro bambina potrebbe diventare un bersaglio facile. Ma io non sono come loro. Io non voglio che le persone debbano pagare a causa mia.»
Sara sentì il battito del proprio cuore accelerare rapidamente. «Vuoi dirmi che hai cambiato idea? Non vuoi più fare parte della sua vita?»
«No, tutto il contrario» affermò lui, voltandosi per guardarla negli occhi. «Voglio diventare padre. Ma non voglio nemmeno vivere con la paura che qualcuno possa fare del male a nostro figlio.»
Quando la bionda intuì l’antifona, non poté fare a meno di replicare. «Questa città ha ancora bisogno di Arrow.»
«Sappiamo entrambi che prima o poi lui non esisterà più.»
«Sì, ma non adesso. Non così presto, Ollie» protestò Sara, irritandosi. «Non puoi smettere di essere un vigilante solo perché stai per diventare padre. È assurdo! Dig non lo farà, e non dovresti nemmeno tu.»
Lui sospirò ancora, scuotendo appena il capo. «Non lo so, Sara. Questa vita è complicata.»
«Lo è per tutti» lo schernì la donna.
«Lo so, ma con il coinvolgimento di Maseo, io‒»
«Adesso non devi preoccuparti di Maseo. Non è lui la nostra vera minaccia.»
Oliver inspirò a fondo. «È Ra’s.»
Sara annuì. «Finché lui non viene a sapere nulla di questa storia, non ci succederà niente. Se la nostra teoria è vera, Maseo sta cercando di riportare Nyssa a Nanda Parbat, e solo una volta fatto ciò parlerà con Ra’s della mia gravidanza. Lui vuole diventare la nuova Testa del Demonio, perciò quando Ra’s verrà a sapere che sua figlia gli ha mentito per tutto questo tempo, non ci penserà due volte a dare il titolo di Erede a Maseo.»
«Ma è solo una teoria, no?» puntualizzò Oliver, abbassando il tono di voce. «Non avete nessuna garanzia che Ra’s non sia già stato messo al corrente della situazione.»
La bionda si ritrovò a dover deglutire ancora. «No. Ma se Ra’s sapesse di noi, non credi che ci avrebbe cercate prima?»
«Magari Maseo è solo una pedina. Magari è stato proprio Ra’s a mandare quegli uomini a sorvegliarvi.»
Sara aveva cercato di scacciare quell’idea per sentirsi in pace con sé stessa, ma era un’opzione più che plausibile. E lei non aveva prove sul fatto che Ra’s non fosse coinvolto.
«Ascoltami, Ollie» esordì, mentre l’uomo si prendeva la testa tra le mani. «So che cosa stai provando in questo momento. Ci sono passata anch’io. Ci sto passando tutt’ora. Ma credimi quando ti dico che non possiamo sapere cos’abbia in serbo per noi il futuro, e che adesso l’unica cosa che possiamo fare è pensare a crescere questo bambino nella maniera più normale possibile.»
A quelle parole, Oliver sembrò riprendere speranza. «Io voglio solo il meglio per mio figlio. Voglio che abbia una famiglia che lo ami e che lo faccia sentire accettato per quello che è.»
«È proprio questo che intendevo» rivelò la donna. «Non ho mai pensato di avere l’esclusiva. Questo bambino è nostro. Né mio, né tuo, ma di tutti e due. Avrà una madre e un padre. Però, per me è importante che veda anche Nyssa come una madre. Capisci ciò che intendo?»
Lui annuì appena. «Credo di sì. Una sorta di famiglia allargata?»
«Sì. Logicamente, tu e Felicity avrete la vostra vita e io avrò la mia con Nyssa. Il bambino vivrà con entrambi, senza alcuna pressione. Ma voglio che tu sappia che questa gravidanza è davvero importante per me e Nyssa.»
«In caso contrario, dubito che avreste rischiato così tanto fuggendo da Nanda Parbat.»
Sara sorrise appena. Era contenta di sapere che Oliver poteva ancora capirla. «Quello che voglio dire è che non devi sentirti obbligato a smettere di essere chi sei ogni notte. Che tu sia pronto o meno a diventare padre, non sei costretto a rinunciare ad essere un eroe. Ma qualsiasi scelta prenderai, a me interessa solo che mio figlio abbia un padre su cui contare. E questo non significa vivere ogni giorno sotto il suo stesso tetto, o avere il suo cognome, o doverlo chiamare per forza “papà”. Significa semplicemente esserci.»
Arrow si passò una mano tra i capelli, mentre un sorriso beffardo gli si formava sul volto. «A dir la verità, mi piacerebbe molto che avesse il mio cognome e che mi chiamasse “papà”» rise, contagiando anche Sara. «Però, forse sono d’accordo sul fatto di non vivere nella sua stessa casa.»
Di fronte allo sguardo confuso della donna, Oliver si affrettò a tranquillizzarla. «Non sto dicendo che non voglio prendermi cura di lui o di lei. Dico solo che… a essere onesti, quando mi hai rivelato di essere incinta ero tutt’altro che felice. Mi sono concentrato su Felicity, sul fatto che non sarei stato un buon padre e sulla paura che un bambino sarebbe potuto essere nel mirino di tutti quelli che ce l’hanno con Arrow. E come puoi vedere, a distanza di un mese le mie idee non sono cambiate di molto.» Rise ancora, ma questa volta si trattò di una risata nervosa causata dalla paura e dalla tensione. «Sto solo dicendo che probabilmente non me lo merito un lusso simile. Mio figlio sarà ben accetto in casa mia ogni volta che lo vorrà, ma tu e Nyssa non avete mai avuto dubbi al riguardo. Lo avete amato fin dal primo istante. Perciò, non credo sia una cattiva idea farlo crescere sotto le vostre regole.»
«Oliver... quando ho scoperto di essere incinta, anch’io ero scioccata. La tua reazione è stata più che normale. Ma questo non fa di te una cattiva persona, o un padre che non merita di veder crescere il proprio figlio.»
Un gruppetto di bambini passò di fianco a loro in quello stesso momento, provocando una vena di nostalgia negli occhi di Oliver.
«Lo so, Sara. Ma dopo quello che è successo, non posso avere la sicurezza che tra me e Felicity le cose andranno sempre a gonfie vele. E poi, non potrei mai e poi mai lasciare che mio figlio cresca con una baby-sitter. Io e Felicity lavoriamo costantemente giorno e notte, invece so che voi ve ne prenderete cura fino in fondo. Perciò, niente settimane alterne o roba simile. Il bambino vivrà con voi. Mi sento più sicuro così. Tra qualche anno, magari, quando sarò finalmente pronto e avrò la certezza che le cose tra me e Felicity saranno veramente serie, ne riparleremo.»
Il lieve sorriso sulle labbra di Oliver non fece altro se non tranquillizzare Sara. «Ma certo. E, nel frattempo, potrete venirlo a prendere tutte le volte che lo vorrete.»
Dimenticarsi della Lega per qualche minuto fu un sollievo per entrambi, anche se Ra’s sarebbe comunque rimasto un problema più a lungo di quanto avrebbero potuto immaginare.



Nyssa salì i gradini della scala antincendio a due a due, facendo attenzione a non rovesciare la busta marrone. Quando raggiunse il terzo piano dell’edificio, fu lieta di trovare la finestra del salotto aperta, e così entrò.
«Se avessi bussato alla mia porta sarei venuto ad aprire» scherzò Josh con un sorriso.
«Credevo dormissi e non volevo svegliarti» spiegò la mora, avvicinandosi lentamente a lui. «Per te.»
«Che cos’è?» domandò l’uomo, prendendo tra le mani il sacchetto che Nyssa le stava porgendo.
«Zuppa calda. Dubito che avessi le forze per prepararti da mangiare.»
«No, infatti» asserì lui. «Ti ringrazio. È stato molto gentile da parte tua.»
«Dopo che mi hai salvato la vita, è il minimo che potessi fare.»
«Beh, tecnicamente hai già ricambiato il favore questa notte. Dubito che senza il tuo aiuto sarei sopravvissuto.»
La figlia di Ra’s si sedette accanto a lui sul divano, rivolgendogli uno sguardo sereno. «Ti rimetterai presto, te lo assicuro. Ma se vuoi andare a fare dei controlli, o…»
Lui scosse la testa. «No. Sono a posto così. Mi fido di te e di Oliver.»
A quelle parole, Nyssa non poté che rispondere con un sorriso.
«Che poi, chi avrebbe mai immaginato che Oliver Queen fosse Arrow? È assurdo! Voglio dire, sì, è credibile, ma è comunque una cosa fenomenale!»
«Adesso non montarti la testa. Non puoi chiedergli un autografo solo perché ti ha donato il suo sangue» ironizzò lei, per poi ritrovarsi a dover sospirare. «Sarà meglio che vada. Ho promesso ad Adam che avrei coperto il tuo turno. Lui finisce tra mezz’ora, perciò devo sbrigarmi.»
«Aspetta» esclamò lui, bloccandola per un braccio. «Cosa gli hai detto?»
«Che ti sei preso la febbre.»
Josh fece una smorfia. «Sicura di poter riuscire a stare al bar da sola per così tante ore?»
«Adam mi ha detto che se verso le otto inizia ad esserci meno affluenza, ho il suo consenso per chiudere il locale. E poi ho il tuo per quella sorpresa» puntualizzò, alzandosi in piedi.
Lui annuì appena. «Giusto. Me ne ero completamente scordato. Allora, buona fortuna!»



Sara si era diretta al Mystery Cafè non appena aveva ricevuto il messaggio di Nyssa. Alla fine era andata al lavoro per aiutare Adam, ma lasciarla da sola per quasi sei ore nel locale non era stata una buona idea. Doveva aver combinato qualche guaio dei suoi, perché l’aveva pregata di salire sul primo taxi e di raggiungerla il prima possibile. Magari aveva rotto la macchina del caffè e non sapeva come ripararla, o, peggio ancora, si era dimenticata il rubinetto aperto e aveva allagato la cucina. Decise di scacciare quei pensieri negativi solamente quando arrivò di fronte alla vetrina del locale, ma non appena mise piede all’interno del bar una strana sensazione le pervase lo stomaco.
«Nyssa?» proruppe, ma nessuno rispose.
Il locale era buio e vuoto, ma Sara poté vedere chiaramente ogni cosa al proprio posto, dalle sedie sopra ai tavoli alle confezioni di biscotti e di zucchero ben ordinate sopra al bancone.
«Nyssa?» chiamò ancora, iniziando a preoccuparsi. Poi notò una flebile luce provenire dal fondo del locale e decise di seguirla.
Prima ancora che Sara potesse capire cosa stesse succedendo, il respiro le venne a mancare dall’emozione. Nel bel mezzo del tavolo apparecchiato per due spiccavano una serie di candele profumate, adornate con dei petali di rose fresche. I piatti erano chiusi con le rispettive cloche, ma Sara riusciva comunque a sentire un buon profumo provenire da entrambi. Subito dopo, un rumore di passi catturò la sua attenzione, costringendola a voltarsi.
Nyssa indossava una camicia bianca e dei pantaloni neri che sembravano essere stati creati apposta per lei. I capelli erano spettinati a causa dell’estenuante giornata di lavoro, e il lieve trucco che si era sistemata quel pomeriggio era ormai scomparso del tutto.
Ma a Sara non importava. Prima d’ora, non l’aveva mai vista così bella e così genuina come in quel momento.
«Prima che tu me lo chieda, questa roba non è mia» esordì timidamente, indicando il proprio abbigliamento. «Josh ha un armadietto pieno di cambi in caso avvenissero dei piccoli incidenti. Mi sono rovesciata delle bevande ghiacciate addosso e queste erano gli unici indumenti che ho trovato della mia misura. Più o meno.»
«Quindi era vero che hai combinato un pasticcio.»
L’Erede si strinse nelle spalle. «In parte sì. Ma mi serviva una scusa per farti venire qui.»
La bionda sorrise, rendendosi conto solo in quel momento della musica leggera proveniente dai vari diffusori sparsi per il locale.
«Hai fatto tutto questo da sola?»
Nyssa annuì debolmente. «Non sarà il giorno in cui ci siamo scambiate il primo bacio o in cui ci siamo messe ufficialmente insieme, ma per me è mille volte più importante. E tu lo sai bene.»
A quel punto, Sara non riuscì più a resistere. Trasse Nyssa tra le proprie braccia e la baciò con tutta la passione che aveva in corpo. Le mise una mano in un fianco e l’altra tra i capelli, assaporando ogni respiro che si concedevano tra un bacio e l’altro.
Ormai non erano più le ragazzine di sei anni prima, si erano trasformate in due splendide donne che, molto presto, sarebbero anche diventate madri. Ma si amavano come il primo giorno, si desideravano come la prima notte d’amore e si capivano come la prima volta che i loro cammini si erano incrociati.
Dopo interminabili minuti di baci e di carezze, Nyssa intimò l’amata di sedersi e iniziarono a mangiare. Parlarono della loro giornata, bevvero Coca-Cola ‒ anche se Nyssa concesse a Sara mezzo bicchiere di vino, per una volta ‒ e poi, come di consueto, andarono sul tetto per guardare le stelle.
Era stata la serata più semplice del mondo, ma l’unica in grado di renderle pienamente felici.
Il miglior anniversario di sempre.

*

«Finito!»
Sara sorrise di fronte all’esclamazione di Nyssa. «Lo voglio vedere!» rispose a sua volta, con gli occhi che le brillavano.
La figlia di Ra’s al Ghul ricambiò il sorriso, dopodiché si spostò di qualche passo, permettendo così alla bionda di vedere il risultato finale di quel lungo pomeriggio di lavoro.
«Ma è… bellissimo» sussurrò, accarezzando il legno bianco del lettino.
Erano passate poco più di tre settimane dalla loro cenetta romantica al Mystery Cafè, ma in quel breve lasso di tempo avevano acquistato un sacco di cose per il nascituro. Sara aveva scelto il lettino, che sarebbe potuto essere utilizzato fino all’età dei sei anni; Oliver aveva comprato dei mobili abbinati che erano già stati messi nella camera del bambino, attualmente ancora occupata da Sin; Laurel aveva fatto scorte di pannolini, biberon e ciucci; Nyssa, invece, aveva prosciugato quasi uno stipendio solo in tutine colorate ‒ non sapendo il sesso, aveva preferito abbondare.
Sara stava quasi per entrare nell’ottavo mese, perciò si era già messa a preparare la valigia per l’ospedale. C’erano calze, bavaglini, pigiami, ma aveva la costante impressione di aver dimenticato qualcosa, un po’ come tutte le altre mamme prima di una partenza o di un avvenimento importante. Ancora non le sembrava vero che nel giro di un paio di mesi sarebbe diventata madre, e la cosa la eccitava e terrorizzava al tempo stesso.
«Speriamo che non si rompa subito» scherzò Nyssa, attirando l’attenzione di Canary.
Quest’ultima scosse la testa. «Impossibile. Hai fatto un ottimo lavoro.» Poi sospirò, portandosi una mano sul ventre. «Dobbiamo anche pensare al compleanno di Laurel. Dopo tutto quello che ha fatto per noi, una festa a sorpresa come si deve è il minimo che si merita.»
«Abbiamo ancora due settimane per pensarci» la rassicurò la mora, accarezzandole i capelli. «Adesso concentriamoci solo sul nostro bambino.»
Le due si scambiarono uno sguardo complice, finché Sara non ebbe un sussulto.
«Quasi dimenticavo» esclamò sorridente. «Ho scoperto che mia madre non ha mai buttato via la mia culla. Dopo il divorzio l’ha portata con sé a Central City, ma dice che è come nuova.»
Nyssa inarcò un sopracciglio. «A cosa ci serve una culla se abbiamo già comprato il lettino?»
«Potremmo metterla in salotto» propose Sara. «Così riusciremo a muoverci liberamente per la casa senza il timore di doverlo lasciare da solo in camera da letto. Se vogliamo guardare la tv o preparare la cena, possiamo tenerlo d’occhio costantemente.»
Nyssa sembrò pensarci su per qualche istante, dopodiché trasse a sé Sara e poggiò le labbra sulle sue, non prima di aver sussurrato: «Mi sembra un’idea perfetta.»

*

Sara uscì dall’ufficio di Laurel con un sorriso stampato sulle labbra. Era andata a trovarla per parlarle degli ultimi preparativi per la cameretta del bambino, facendole anche promettere che il giorno successivo l’avrebbe aiutata a scegliere un passeggino.
Era felice di avere il supporto della sorella. Dopo tutto quello che avevano passato dal suo ritorno in città, era certa che da adesso in poi niente le avrebbe più divise. Avrebbero sicuramente continuato a litigare per il resto delle loro vite, ma non si sarebbero mai allontanate l’una dall’altra. Di questo ne era certa.
Prese una boccata d’aria, inspirando a pieni polmoni l’aria fresca di inizio Novembre. Il sole stava iniziando a tramontare, perciò decise di tornare a casa.
Non ci sono taxi, pensò, guardandosi intorno. Non credo che una passeggiata mi farà male.
Così, si infilò le mani in tasca e prese a camminare, con un sorriso smagliante a farle compagnia. Dopo non molto, una donna con una carrozzina le passò a fianco e lei non poté fare a meno di fermarsi per guardare il bambino. Stava dormendo, ma aveva il viso di un angelo.
«Oggi sono tre mesi da quando è nato» spiegò la madre, con gli occhi che le brillavano. «Il suo gemello non ce l’ha fatta. Ringrazio il cielo che almeno il mio piccolo Sawyer sia qui con me.»
Quelle parole non erano mai passate per la mente di Sara. Il suo bambino ce l’avrebbe fatta, senza ombra di dubbio. Anche di questo era certa.
Continuò a camminare a testa alta, poggiando la propria mano sul pancione ogni volta che il bambino scalciava. Ma poi, quando improvvisamente lo sentì scalciare ancora più forte, quasi seguendo il ritmo del suo cuore, Sara capì che qualcosa non andava, e l’urlo che sentì subito dopo ne era la prova.
Si voltò, ritrovandosi faccia a faccia con un uomo poco più alto di lei. Riconobbe all’istante la divisa della Lega, restando letteralmente senza fiato. Si sentì morire. Le sue gambe si paralizzarono sul posto, ma quando il mercenario cercò di colpirla con la propria spada, Sara fu costretta ad assecondare il formicolio che percepiva alle mani e bloccò la spada con entrambi i palmi, procurandosi una ferita profonda alla mano destra.
Subito dopo, l’uomo ritrasse l’arma e tutte le persone presenti in quella strada ‒ donne, bambini, anziani ‒ iniziarono a gridare e a scappare via, il più lontano possibile, senza sapere che a quell’uomo vestito di nero non importava niente di loro. Il suo unico obiettivo era Sara, la quale lo stava osservando con uno sguardo minaccioso e i pugni serrati davanti al proprio viso.
«Ta-er al-Sahfer» esordì lui, con voce ferma. «È tempo di tornare a casa.»
Sara ebbe un déjà-vu. «Prima di convincermi a tornare a Nanda Parbat, dovrai passare sul mio cadavere.»
Sul volto del guerriero andò a formarsi un ghigno compiaciuto. «Allora lo farò.»
Canary evitò un colpo di spada appena in tempo, dopodiché gli assestò un calcio basso, seguito da una gomitata in pieno viso. L’uomo sembrò perdere l’equilibrio, così Sara ne approfittò per rubargli la spada. Subito dopo, però, le mani dell’uomo strinsero il suo collo più forte di quanto avrebbe immaginato, e l’arma cadde a terra.
«Almawt qadim[1]» sussurrò l’uomo, mentre Sara tentava vanamente di liberarsi dalla sua presa. «La takhaf[2]» aggiunse, gli occhi assetati di sangue.
Fu allora che Sara vide prima una, poi due, infine tre auto della polizia sfrecciare verso di loro. Nella prima c’era anche suo padre, ma ci volle un po’ prima che riuscisse a riconoscerlo.
Non aveva più forze. Le girava la testa, non aveva più aria. Si stava arrendendo. Perdonami, pensò, rivolgendo le sue scuse sia a Nyssa che al suo bambino. Non farà male. Lo giuro.
E poi, proprio quando Sara era convinta che il suo cuore avrebbe smesso di battere, avvertì un movimento nella pancia. Poi un altro. E un altro ancora. E quella sensazione le diede speranza.
Imitando il suo bambino, anche lei iniziò a scalciare, e continuò a farlo fino a quando, con le sue ultime forze, non riuscì a colpire il mercenario allo stomaco. A quel punto, lui lasciò la presa sul suo collo e Sara cadde malamente a terra. Il mondo intorno a lei girava come una trottola, il bambino continuava a scalciare e suo padre scese dalla volante insieme ad altri due agenti. Il guerriero era inginocchiato a terra e sputava sangue senza sosta. Allora Sara ebbe un’idea.
Si alzò in piedi, afferrò la spada e si diresse barcollante fino al mercenario che aveva attentato alla sua vita. Poi gli piantò la lama nella spina dorsale, e prima che i poliziotti potessero raggiungerli, Sara iniziò a correre dalla parte opposta. Prima di sparire in un vicolo vicino, però, sentì l’impellente bisogno di voltarsi: il combattente della Lega non c’era più, ma per una frazione di secondo lei e suo padre si scambiarono uno sguardo intenso e preoccupato. Riprese a correre, incurante di tutto.



Nyssa stava leggendo tranquillamente un libro in salotto quando la porta si aprì all’improvviso, portandola ad alzarsi di scatto e ad afferrare un coltello da sotto il divano. Si voltò in direzione dell’atrio, tenendo stretta l’arma nella mano destra. Trovò la forza di abbassarla solamente quando vide Sara con le spalle contro al muro e il volto madido di sudore.
«Cos’è successo?» domandò preoccupata, avvicinandosi alla bionda per poi metterle una mano sulla fronte.
«Mi hanno attaccata» sussurrò lei poco dopo. Aveva il respiro affannato e il cuore che minacciava di esploderle da un momento all’altro. «Un uomo… ha cercato di uccidermi.»
«Oh, no» mormorò Nyssa, sentendo la rabbia ribollirle nelle vene. «Sei riuscita a vederlo in viso?»
«No, ma…» Prese un respiro profondo, piegandosi un poco verso il basso. «Era della Lega.»
Quando Sara vide l’espressione di Nyssa farsi ancora più cupa, si affrettò a riprendere la parola. «Ho dovuto affrontarlo. Non volevo, ma ho dovuto. Se non avessi combattuto, io… lui…»
Canary si lasciò andare ad un pianto disperato, mentre la figlia di Ra’s gettò l’arma a terra e colse l’amata tra le proprie braccia.
«Scusami» sussurrò tra un singhiozzo e l’altro, nascondendo il volto nella spalla di Nyssa. «Ho dovuto, Nyssa. Ho dovuto...»
«Hai fatto quello che dovevi fare» le sussurrò l’Erede del Demonio all’orecchio, accarezzandole dolcemente i capelli nel tentativo di calmarla. Ma Sara era un fiume in piena, e Nyssa non ce la faceva più.
Con la mano libera, estrasse il cellulare della tasca e compose un numero che ormai conosceva a memoria. Quando la persona dall’altro capo del telefono rispose, Nyssa fece del suo meglio per nascondere il terrore che provava.
«Ho bisogno che tu mi aiuti a rintracciare una persona. Subito



«Hai intenzione di starmi col fiato sul collo per tutta la sera?»
Arrow digrignò i denti, trattenendo a stento il suo disperato bisogno di tirargli un pugno in faccia. «Sta’ zitto.»
Malcolm accennò un sorrisino, iniziando a giocherellare con la sedia di Felicity. «Devo dire che è molto comoda. Chissà quanto ti sarà costata.»
«Chiudi quella bocca, Merlyn» sbottò il vigilante, puntando l’indice contro il viso dell’uomo. «O giuro che…»
Un rumore di passi attirò l’attenzione dei due uomini, i quali si scambiarono uno sguardo. Nyssa comparve nel loro raggio visivo subito dopo, seguita a ruota da Sara. La figlia del Demonio camminava con passo deciso e adirato. Malcolm sapeva che avrebbe scaraventato quella rabbia su di lui, per questo decise di alzarsi in piedi e di sfidarla andandole incontro.
«Brutto bastardo!» urlò la mora, aggredendolo con tutte le forze che aveva in corpo. «Sei stato tu, non è vero? Sei stato tu?!»
Merlyn la lasciò fare, mentre sul suo viso si andava a formare un’espressione divertita. «Non so proprio di cosa tu stia parlando.»
«Mi riferisco al fatto che Maseo Yamashiro ha messo una taglia sopra alle nostre teste» spiegò, stringendo con forza il bavero della sua giacca. «E sai quando è iniziato tutto questo? Dal giorno in cui hai fatto ritorno a Starling City. Non vorrai farmi credere che si tratti di una pura coincidenza.»
«Credi davvero che Maseo Yamashiro non ti stesse tenendo d’occhio già da tempo? Andiamo, Nyssa. Non ti credevo così ingenua.»
«Lo so bene che mi controllava. Ma chissà come mai i suoi uomini hanno iniziato ad attaccarci solo dopo il tuo arrivo in città.»
«Sembrerebbe quasi che sia stato tu a dare loro il permesso di passare alla fase successiva» concluse Sara. Mentre pronunciava quelle parole, un brivido le attraversò la schiena.
Malcolm spostò lo sguardo verso di lei, per poi tornare a studiare gli occhi carichi di odio di Nyssa.
«Io non c’entro niente con questa storia, e tu lo sai bene. Anzi, lo sapete entrambe. Ma forse il pensiero che ci fosse il mio zampino rendeva le cose più facili da accettare.»
Sara si strinse nelle spalle, mentre Nyssa serrò la mascella. Non potevano essere certe che Malcolm fosse coinvolto, ma non potevano nemmeno affermare il contrario. Era un mistero che forse non avrebbero mai risolto.
L’Erede lasciò andare lentamente la presa sull’Arciere Nero, per poi allontanarlo con uno spintone.
«Non mi fido di lui» proruppe Oliver, avvicinandosi a Sara.
«Nemmeno io» ammise Nyssa. «Ma questa volta sta dicendo la verità.»
Malcolm si sistemò accuratamente il nodo della cravatta sotto lo sguardo vigile dei presenti. «Se volete togliervi dai piedi Maseo e i suoi scagnozzi, perché non lo affrontate e basta?»
«Perché non vogliamo scatenare una guerra.»
«Esistono altri modi in cui la Lega ha mai risolto i suoi problemi?»
Nyssa trattenne il respiro. Non aveva mai sentito niente di più vero. Nessuno si era mai messo contro la Lega degli Assassini senza essersi scontrato con essa. Una guerra era un ostacolo impossibile da evitare.
«Ora, se volete scusarmi, avrei un’importantissima cena con mia figlia a cui non posso mancare» li informò Malcolm, infilandosi le mani in tasca.
Sara e Oliver, seppur titubanti, furono costretti a spostarsi per permettergli di passare. Tuttavia, prima di uscire dal Covo, Merlyn si fermò a un soffio da Nyssa.
«C’è un solo modo per porre fine a tutto questo. E tu sai benissimo qual è.»

*

C’erano state notti in cui Sara non era riuscita a chiudere occhio. Era successo soprattutto tra la ventiquattresima e la ventiseiesima settimana, ma sua madre l’aveva rassicurata dicendole che lei aveva sofferto di insonnia durante entrambe le gravidanze. Tuttavia, non appena Sara aveva raggiunto il traguardo dei sette mesi, la situazione si era capovolta: ogni volta che si metteva a letto le sue palpebre si chiudevano senza che lei se ne accorgesse, e Nyssa passava ore e ore a osservarla mentre dormiva.
Nemmeno adesso la situazione era poi così diversa. Sara stava dormendo profondamente, mentre l’Erede del Demonio teneva lo sguardo fisso su di lei come se temesse che qualcuno potesse portargliela via. Tremava al solo pensiero che Sarab avesse davvero ordinato agli uomini che avevano ingaggiato di uccidere Sara. Non sarebbe stato più logico riportarle a Nanda Parbat vive? Non aveva senso.
La cosa più difficile che Nyssa aveva fatto quella notte era stata ammettere a sé stessa che Malcolm Merlyn aveva ragione. L’unico modo che aveva di scoprire la verità era incontrare Maseo. Anche se questo avrebbe significato dargli un vantaggio non indifferente.
La figlia di Ra's lanciò una rapida occhiata alla sveglia sul comodino. Segnava le quattro e trentotto. Nyssa sbuffò rivolta al soffitto, poi la sua attenzione venne catturata da una lieve vibrazione del materasso. Si voltò verso Sara, ma prima che potesse anche solo sfiorarla, percepì un altro movimento. Fu allora che capì. Non era stata Sara a muoversi. Era stato il bambino.
Emozionata e sorpresa, Nyssa si alzò in piedi lentamente, facendo del suo meglio per non svegliare l’altra donna. Si diresse verso il lato del letto in cui dormiva Sara, si accovacciò piano e osservò meravigliata il suo pancione. Non si era resa conto di quanto fosse cresciuto in così poco tempo.
Una piccola protuberanza si fece spazio nella camicia da notte di Sara. Nyssa intuì che si era trattato di un piedino. Si chiese come fosse possibile che Sara riuscisse a dormire in quelle condizioni, ma poi realizzò che la stanchezza e lo stress dovevano aver fatto la loro parte. E se nemmeno un bambino che scalciava irrequieto era riuscito a svegliarla, probabilmente non ci sarebbe riuscita nemmeno lei, perciò si decise a compiere il grande passo.
Prese un respiro profondo. Il cuore prese a batterle all’impazzata mentre appoggiava con dolcezza la mano nello stesso punto in cui aveva visto la sporgenza provocata dal piede del bambino.
«Ehi, piccolino» sussurrò, rivolta ai fiorellini bianchi stampati sul tessuto viola della camicia. «Sei parecchio agitato questa notte, eh?»
In tutta riposta, il bimbo scalciò ancora. Nyssa provò una sensazione inspiegabile all’altezza del petto. Sapeva che era una follia, ma il solo contatto della sua mano con la pancia di Sara le faceva credere che il bambino in realtà fosse dentro di lei.
«A quanto pare sei molto irrequieto, come la tua mamma» proseguì, scandendo le parole con attenzione.
Lui scalciò ancora, questa volta con più forza. E a quel punto, Nyssa crollò.
«Ascoltami bene, piccolino» esordì, iniziando ad accarezzare il pancione. «Non permetterò a nessuno di farti del male, okay? Hai capito? Dovranno passare sul mio cadavere prima di poterlo fare. Tu meriti di vivere, e anche la tua mamma. Vi proteggerò a qualunque costo. Te lo prometto. A qualunque costo
Nyssa tirò sul col naso. Le bruciava la gola, e aveva le guance rigate dalle lacrime. Non le importava. Sentiva di essere diventata un tutt’uno con Sara, e forse fu proprio quello a darle la forza di non arrendersi. Era il momento più intimo e più bello che avesse mai vissuto prima d’ora con la donna che amava, anche se lei non lo avrebbe mai saputo.
«E ti giuro che non permetterò che ti portino via da me. Sei troppo importante. E farò qualunque cosa pur di garantirti una vita tranquilla e felice. Non dimenticarlo mai.»
Nyssa sospirò pesantemente, asciugandosi le lacrime con la mano libera. Poi smise di accarezzare il pancione di Sara, e finalmente un sorriso le contornò le labbra. Il bambino aveva smesso di scalciare.


 

 

 

 

 

 

[1] “La morte sta arrivando” in Arabo.
[2] “Non avere paura” in Arabo.








Ho dovuto chiamare la bimba di Lyla e John Lisa perché in questa fanfiction Sara non è morta per mano di Thea, pertanto non avrebbe avuto senso che la primogenita della famiglia Diggle prendesse il nome di Canary.
Intanto, Maseo ha spostato il mirino su Sara, cosa che ha mandato completamente fuori di testa l’Erede del Demonio (non chiedetemi perché stia facendo un recap del capitolo a fine capitolo perché non ha senso, a quanto pare il freddo mi dà alla testa).
Secondo voi cos’ha intenzione di fare Nyssa? Ci dobbiamo preoccupare? Lo scoprirete nel prossimo episod‒ ehm, capitolo.

P.S. Dovrete pazientare fino al 15 Novembre in occasione del compleanno di Laurel!

   
 
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