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Autore: DameVonRosen    08/10/2017    3 recensioni
Un Sandor Clegane crudele e spietato, ma anche incoerente, sofferente e combattuto, che mai vorrebbe fare i conti col proprio passato e con le proprie paure, ma che col tempo si renderà conto dell'inevitabilità di questo scontro.
Storia ambientata nel contesto di GOT, con personaggi nuovi e completamente scollegati rispetto ai libri o alla serie TV; solo alcuni sono stati estrapolati, cercando di farlo nel modo più fedele possibile, mantenendo inalterato il loro Background, la loro storia e il loro carattere.
Amo le storie in stile SanSan, ma in giro ce ne sono davvero molte e il rischio di ripetere quanto già prodotto da altri, o anche scadere nel banale e nel "già letto" era alto. Ho quindi optato per qualcosa di differente :) adoro il personaggio del Mastino, adoro quella sua profonda complessità che ogni tanto emerge.
Non temete se all'inizio il nostro amato Sandrone è apparentemente posto in secondo piano rispetto alla storia, non sarà sempre così ;)
Attenzione: possibile (probabile) linguaggio volgare, scene violente o contenuti forti.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Altri, Bronn, Nuovo personaggio, Sandor Clegane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Non-con, Tematiche delicate
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Sentiva la propria carne sciogliersi e sfregare contro i carboni ardenti. Il dolore lancinante e perpetuo si insinuò dalla pelle fin dentro il midollo, l’odore nauseante di carne bruciata gli riempì i polmoni e la consapevolezza che era dal suo viso che proveniva quel fetore non fece altro che aumentare la sua angoscia.

<< Fa male, fratellino? >> sibilò al suo orecchio una voce fin troppo familiare. D’un tratto realizzò che vi era una mano premuta con forza sul lato sinistro del suo viso, che lo schiacciava contro quell’inferno di fuoco.

La mano di Gregor.

<< Magari la prossima volta non ruberai i miei giocattoli >>

Avrebbe voluto urlare e scappare via, ma era come se dalla sua bocca non potesse uscire alcun suono, come se fosse destinato a starsene lì a morire di dolore, tra le aspre risate del fratello. Cercò di alzare gli occhi e lo sguardo si posò su quel ghigno spaventoso che sempre l’aveva terrorizzato e che ora si stava godendo quel macabro spettacolo. Iniziò a non respirare più, un senso di soffocamento lo pervase. “Sto morendo” si ritrovò a pensare, le risa del suo aguzzino gli rimbombarono nella mente. “Non respiro, sto soffocando… il fumo… è buio…”
 

Con uno scatto improvviso, spalancando gli occhi, si drizzò sul busto e restò in quella posizione una buona manciata di secondi, la bocca spalancata come per catturare tutta l’aria della stanza. Il senso di soffocamento era svanito, ma sentiva ancora il suo corpo legato e appesantito; abbassando lo sguardo, realizzò.

<< Lenzuolo di merda, ‘fanculo >> imprecò fra sé e sé, sciogliendo quell’ammasso di stoffa che si era attorcigliata attorno al corpo. E pensare che quando era andato a dormire, poche ore prima, quel pezzo di tessuto era ben disteso sopra di lui. Nel momento in cui capì di aver appena avuto un altro dei suoi dannatissimi incubi, un senso di rabbia lo pervase. Rabbia perché, nonostante fossero ormai passati più di quindici anni, quella parte del suo passato continuava a fargli visita, quasi ogni notte, sempre nello stesso modo. Rabbia perché si sentiva impotente di fronte a questi episodi. Erano fuori dal suo controllo e dalla sua volontà.

“So squartare un uomo con una mano sola ma ho gli incubi come una cazzo di mammoletta” si ritrovava spesso a pensare. Guardò il cielo fuori dalla finestra, la luna ancora bene in vista.

“C’è ancora tempo” rifletté, rimettendosi finalmente sdraiato e, poggiando una guancia contro quello che doveva essere un cuscino, cercò di prendere sonno, che non tardò a giungere.

 



<< Davvero un abito splendido, milady! Dubito che molti sarti della capitale siano in grado di comporre un vestito tanto grazioso ed elegante >>
 
Le parole della sua ancella erano sempre esageratamente gentili, ma se normalmente le avrebbe dato fastidio ricevere quei complimenti così plateali e diretti, quel giorno le fecero più piacere del solito, tanto che si sentì arrossire e sorridendo chinò il capo, sistemando meccanicamente l’orlo della gonna.
 
<< Sei molto gentile Irina, sperò che verrà apprezzato anche dalla mia famiglia e dai nostri ospiti. A proposito, tra quanto arriveranno i Cassel? >> disse guardandola in volto.
 
L’ancella assunse un’aria spaesata e vagamente colpevole, segno che non sapeva rispondere alla domanda della sua lady.

<< Perdonatemi mia signora, ma non sono stata informata sull’ora di arrivo dei lord, vado immediatamente a chiedere >>

<< Ti ringrazio. Per il vestito ci penso da sola, ti aspetto dopo per l’acconciatura >> si congedarono e, una volta sola, trasse un profondo respiro e si in camminò alla terrazza della sua camera, dove Irina le aveva preparato la colazione. Restò piacevolmente colpita alla vista di quel piatto imbandito di cibo, al centro del quale primeggiava il suo amato dolce alle ciliegie. Mentre mangiava non poteva non pensare a cosa sarebbe successo quel giorno: suo padre era il lord di Starfall, Tailon Dayne, e aveva invitato un suo vecchio amico a fargli visita dopo parecchi anni. Bevendo l’ultimo sorso di sidro di mele, cercò di ricordarsi dell’ultima volta in cui Gerard Cassel aveva fatto visita in casa loro.

Aveva circa tredici anni e insieme a lui era venuta tutta la famiglia al seguito: la moglie Elaine, composta e rigida, insieme ai figli Adrian e Finn, poco più grandi di lei e molto socievoli e simpatici. Pensare ai momenti passati insieme le fece spuntare un pallido sorriso sul volto. Sapeva che avevano un altro fratello, un fratellastro per la precisione, ma questi era venuto a Starfall solo una volta ed in incognito. Otto anni fa una setta di fanatici aveva minacciato di uccidere tutti i bastardi del continente occidentale; a quel punto lord Cassel si affidò proprio a suo padre, chiedendogli di tenere al sicuro il figliastro finché pace e sicurezza non si fossero re-insediate. Chiaramente i figli legittimi non seppero mai che il loro terzo fratello avesse madre diversa dalla loro, e così doveva essere. In pochi conoscevano questo segreto e Nymeria lo aveva scoperto per puro caso.

“Potrei anche averlo conosciuto, questo Qoren Cassel, inconsapevolmente ma potrei averlo fatto” pensò divertita mentre si avviò verso il letto, posando lo sguardo sull’abito che stava per indossare.

Per essere stato fatto da lei era decisamente ben curato e rifinito, rifletté mentre passava le dita sulle cuciture: non una sbavatura, non una manica o un orlo tagliato male, non un’imprecisione. Per il colore era inizialmente orientata su tonalità come il turchese o l’indaco, che ricordassero il mare che tanto amava; dopo aver però passato personalmente in rassegna tutte le sartorie di Starfall, dovette rassegnarsi al fatto che nella sua città non vi erano tessuti di quel colore. Optò quindi per un abito lungo fino a terra color glicine, il colore della sua casata, con le spalle scoperte ma con maniche in pizzo fino al gomito. La scollatura a cuore realizzata metteva in risalto l’incavo dei seni, ma senza essere volgare o indecorosa, pensò soddisfatta. L’unica parte dell’abito sui cui, fino all’ultimo, ebbe titubanze fu lo strascico: volendo mettervi anche un po’ di pizzo, oltre al tessuto, per abbinarlo alle maniche, la parte posteriore del suo vestito finì per essere quasi più vistosa dell’anteriore.

“Pazienza, se non piacerà lo regalerò a qualcuno” pensò mentre si tolse la camicia da notte. Appena la veste finì a terra il suo sguardo indugiò sul corpo proiettato allo specchio davanti a sé: quasi si sorprese quando vide ancora una volta i segni di quell’incubo subito anni fa. Da quando era accaduto non permetteva a nessuno di vestirla, svestirla o in generale di vedere la sua pelle nuda. I suoi genitori ignoravano quello che le era accaduto, poiché ai tempi si vergognava molto ed era stata ben lungi dal raccontarlo a qualcuno. Ma un giorno Irina entrò senza bussare nella stanza e la vide, allora dovette raccontare. Era così scioccata che lanciò un grido. Ricordò il viso dell’ancella, bianco come uno straccio, che la guardava come non avrebbe voluto la guardasse nessuno.

Dovette dirglielo.

Ma le fece giurare che mai e poi mai l’avrebbe detto a qualcuno, nemmeno ai suoi genitori.
Non sapeva neanche quanti anni fossero passati ormai, non sapeva neanche il suo nome. Ma un giorno entrò di soppiatto nella sua stanza, la minacciò con un coltello alla gola e le fece tutto ciò che poté farle: le rubò tutta la giovinezza, l’innocenza, la felicità che poteva avere dentro di sé. Le fece un male atroce mentre la picchiava o la penetrava con violenza, tante volte tentò di ribellarsi o minacciò di raccontare tutto al padre, ma quel che ottenne fu altro dolore.

E ancora.

E ancora dolore.

E la promessa che se l’avesse fatto non sarebbe sopravvissuta un giorno.

La cosa continuò per tanto tempo finché quella bestia se ne andò così come era venuta, di punto in bianco. Non lo rivide mai più, sperò che fosse morto o che fosse stato scoperto, ma era comunque troppo spaventata per raccontarlo a qualcuno. Si vergognava immensamente senza saperne il motivo, dentro di sé le crebbe il timore che, una volta saputo che non era più casta e pura e che il suo corpo non era più candido e immacolato, sarebbe stata guardata diversamente, con sdegno, ribrezzo o peggio, commiserazione. Da quando glielo raccontò Irina si legò molto a lei, forse per affetto, ma nonostante ciò non le permise mai di vederla senza vestiti un’altra volta.

Un tonfo rimbombò per tutta la stanza e la destò bruscamente dai suoi tristi pensieri:

<< Mia signora, sono Irina, posso entrare? >>

L’ansia prese il sopravvento, nel momento in cui si rese conto di aver impiegato mezz’ora solo per indossare sottana e bustino, ma cercò di mantenere la calma.

<< Irina! Sono in ritardo terribile, devi aiutarmi, entra >> la fece entrare poiché comunque, anche se in modo poco elegante, era vestita.

<< Mia signora ma... dovete ancora vestirvi? >>

<< Beh direi di sì, tu che ne dici? >> le scoccò uno sguardo che doveva essere duro, ma le uscì un’espressione oltremodo ridicola e la sua ancella sorrise.

<< Adesso vi aiuto, comunque non preoccupatevi, i vostri ospiti arriveranno tra circa due ore >>

Trasse un respiro di sollievo e guardò il volto di Irina riflesso allo specchio

< Meglio così. Beh, cominciamo dunque >>.
   
 
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