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Autore: Me91    09/10/2017    0 recensioni
Questa storia ha partecipato al concorso"È solo questione di apparenza" indetto da Kris_piangente_minatrice e si è aggiudicata il secondo posto.
In una Terra macchiata dal male, i Signori del Nord, creature simili ad uomini ma fredde e terribili come demoni, hanno edificato il proprio regno. Gli stregoni sono quasi del tutto estinti, sconfitti in un’estenuante guerra per la pace contro queste creature oscure. I pochi stregoni rimasti sono perseguitati e ricercati dall’efficiente polizia, la cui sede si trova in una grigia e grande città - molto simile ad una Londra del 1800 -.
Aaron è un talentuoso illusionista di periferia, su il quale l’ispettore Brown inizia ad indagare, sospettando che sia uno stregone. Il ragazzo non si cura dell’ispettore, ribadendo la sua innocenza, e continua la propria vita, occupandosi della sorella Erin (grazie ai soldi ricavati da partite di Poker truccate), oppure cercando di svelare i segreti di un misterioso diario, appartenuto ad uno stregone, che pare celare la chiave per raggiungere un posto meraviglioso... una terra chiamata Nerfea, considerata “il mondo dei sogni”.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ci tenevo a concludere la pubblicazione di questa storia... spero vi sia piaciuta :) Buona lettura!


Capitolo 6

 

Quei tuoni, o forse esplosioni, non molto lontani, fanno d’improvviso destare Erin.

Balza sul letto, volgendo immediatamente lo sguardo alla finestra dalle tende socchiuse. Brilla qualcosa in lontananza che illumina il cielo notturno, così cupo. Da quanto tempo non si scorge più la luna...

«Aaron?» chiama Erin con ancora il volto rivolto ai vetri «Sai per caso cosa sta succedendo?»

Nessuno risponde.

«Aaron?» ripete Erin, girandosi verso la porta chiusa della camera.

Scansa le coperte e scende dal letto.

Le assi di legno cigolano sotto il suo passaggio, mentre esce dalla camera e attraversa il breve corridoio del primo piano in cui si trova, fino a fermarsi di fronte un’altra porta. E’ socchiusa.

Spinge il legno e sbircia all’interno; non c’è nessuno.

«Aaron?» chiama di nuovo la ragazza, preoccupata, entrando nel piccolo studio del fratello.

Un caos totale, come sempre. Però quel foglio ben piegato, lasciato di fianco il diario aperto, attira subito la sua attenzione.

Erin si avvicina lentamente, temendo di leggere qualcosa di orribile.

Guarda fugacemente la pagina del diario aperta, ma è scritta in maniera incomprensibile, con uno strano linguaggio; indecifrabile senza la chiave di lettura. Quindi torna a fissare il foglio e lo afferra.

Non si è sbagliata; è un messaggio per lei da parte di Aaron.

Lo legge rapidamente, tremando.

Gli occhi le si riempiono di lacrime, offuscandole la vista. Si morde un labbro, stringendo forte la lettera.

«Aaron...» piange, chiudendo gli occhi con forza.

 

I suoi passi risuonano per il lungo corridoio, cupi e terribili; rimbalzando sulle pareti di pietra sporche e umide. L’aria è gelida e ad ogni suo calmo respiro fuoriescono piccole nuvole calde dalle bianche narici. Quegli occhi, freddi e biancastri, sono fissi in avanti, verso Julian; fermo a braccia incrociate di fronte a una di quelle celle poste ai lati del corridoio.

Le poche torce che illuminano l’ambiente tremano un attimo quando infine Jaziel si ferma accanto il sicario e poi scende il silenzio.

Julian indica con il capo la cella davanti a loro, poi torna immobile.

Jaziel volge quindi l’attenzione in quella direzione.

Dietro le sbarre, vestito ora solo di stracci e incatenato alla parete, si trova Aaron. E’ seduto a terra e si abbraccia le gambe; si trova di lato rispetto le sbarre e la porta della cella e ha lo sguardo fisso sul pavimento. Trae pesanti respiri, tremando un po’ per il freddo, poco coperto dalla logora e sudicia casacca con cui l’hanno vestito.

Allora l’uomo dagli occhi di ghiaccio, senza staccare lo sguardo da Aaron, dice:

«Molto bene, Julian. Puoi andare; aspettami al piano di sopra.»

Il sicario fa un gesto con il capo e se ne va.

Dopo qualche istante, Jaziel si rivolge tranquillamente al ragazzo:

«E’ un piacere fare la tua conoscenza, Aaron.»

Il biondo non risponde, continuando a fissare il pavimento, inespressivo.

«Spero che la sistemazione sia di tuo gradimento, perché dovrai passare molto tempo qui.» continua l’uomo «Diciamo... più tempo possibile.»

Aaron allora accenna un sorriso amaro.

Jaziel alza un sopracciglio, chiedendo:

«Qualcosa ti diverte?»

«E’ divertente pensare che basterebbe togliermi la vita per rovinare i vostri piani...» mormora il giovane con una voce roca e stanca, ma anche con una punta di sarcasmo «Sarebbe così facile...»

«L’ironia si trova proprio qui.» commenta l’uomo, composto «Voi stregoni siete così attaccati alla vita che per voi il suicidio non è concepibile. La magia che risiede in parte in voi vi impedisce di uccidervi, non è così?»

«Sì, infatti.» sospira Aaron, socchiudendo gli occhi «Davvero ironico. Anche se volessimo, non riusciremmo mai ad ucciderci.» fa una breve pausa, per poi aggiungere cupamente:

«Ci avete privati anche della facoltà di scelta...»

«Affascinante, non trovi? E’ molto facile sottomettervi.» il volto di Jaziel è ancora privo di qualsiasi emozione, come la sua voce «Personalmente, ci trovo molto gusto.»

Aaron non risponde, ancora con lo sguardo fisso al suolo.

«Tratteremo bene la tua magia; ne avremo cura.» lo rassicura l’uomo «Non sarà sprecata.»

Aaron chiude gli occhi, percorso da un brivido più intenso.

Jaziel fa un piccolo inchino e dice:

«Ora perdonami, ma ho molto da fare.»

Si allontana con calma, con i passi che rimbombano ancora per il corridoio.

Infine, di nuovo il silenzio. Un silenzio cupo, gelido quanto l’aria delle Segrete.

Gli unici suoni sono i respiri pesanti e affaticati di Aaron e di qualche altro detenuto di quel corridoio; tra questi, ci sono anche gli altri quattro stregoni arrestati. Un paio sono avanzati negli anni, forse sessantenni. Gli altri due, poco più gradi di Aaron. Uno di questi è una bella ragazza con però uno sguardo spento e malinconico; è smunta, pallida e fragile, al pari degli altri imprigionati da molto tempo come lei. Aaron li ha notati mentre Julian lo accompagnava alla cella; sa che diventerà come loro. Un’anima triste, spenta... un’anima morta.

D’improvviso, quel cupo silenzio viene spezzato da uno sparo.

I prigionieri si voltano tutti verso una cella, a circa metà corridoio, davanti la quale si trova l’ispettore Brown, da pochi secondi tornato visibile e percepibile. Ha la pistola d’ordinanza puntata davanti a sé, verso il corpo, ora privo di vita, di uno dei due stregoni sessantenni: lo ha colpito in pieno petto; è stata una morte rapida.

L’ispettore si sposta verso una cella adiacente, dentro cui si trova l’altro stregone anziano. Questi capisce e rimane immobile, chiudendo serenamente gli occhi. Brown alza l’arma su di lui e spara senza esitazione.

Nella cella accanto c’è la bella ragazza; la strega, mentre l’ispettore si avvicina, allarga le braccia, mettendosi in ginocchio, e gli sorride, pregandolo dolcemente:

«Una morte rapida, ti prego.»

Brown annuisce con il capo e la colpisce in mezzo agli occhi; lei cade di lato con il sorriso sulle labbra.

Quando l’ispettore si ferma davanti la sua cella, l’altro stregone rimasto sospira con un’aria rasserenata:

«Finalmente...»

La pistola spara.

Mentre si odono voci, grida, e passi per delle scale, Brown si porta davanti ad Aaron.

Il giovane non si è scomposto per niente; è rimasto seduto con lo sguardo a terra. Solo un piccolo sorriso puro sulle sue labbra.

«E’ l’unico modo...» mormora l’ispettore con un tono che sa di scusa e gli occhi colpevoli.

«Lo so. E lo sapevano anche loro.» Aaron allude agli stregoni appena morti.

«Mi dispiace.» confessa Brown, sofferente.

«Non preoccupatevi, ispettore. La nostra è una morte necessaria.» Aaron alza gli occhi su di lui e gli sorride ancora «So di una resistenza fuori dalla città... degli stregoni che si stanno preparando per lottare. Avrei dovuto unirmi a loro alla fine di questa settimana; pensavo da un po’ di partire e questo mi sembrava il momento opportuno. Non c’è stato tempo...»

«Mi dispiace...» ripete Brown, non riuscendo a darsi pace.

«Ispettore... va bene così.» Aaron lo guarda pacatamente, forse felice «Raggiungeremo un posto migliore di questo. Anche voi... potrete rivedere vostra moglie, se ci crederete.»

L’ispettore tira le labbra, mentre gli occhi si fanno lucidi e qualche lacrima gli scorre sulle guance barbute.

«Credeteci intensamente, ispettore. Lo farò anch’io. Sto per raggiungere la terra dei sogni...» conclude lo stregone, con gli occhi carichi di contentezza.

Brown annuisce più volte con il capo.

«Ci credo.» sussurra intensamente e alza l’arma verso la fronte del ragazzo «Forse a presto, allora.»

Preme il grilletto.

Un colpo basta e Aaron cade indietro contro il muro.

Subito dopo, udito dei chiari passi in fondo al corridoio, Brown si volta in quella direzione, lasciando cadere la pistola a terra senza provare a fare resistenza.

Tre spari precisi al suo petto che risuonano tra le pareti. L’ispettore scivola al suolo, con Nives come ultimo pensiero.

Julian, in fondo al corridoio, ha ancora l’arma puntata in avanti; ansima, è corso lì, appena sentiti gli spari di Brown.

«Maledizione!» impreca Julian, avanzando e notando tutti gli stregoni morti.

Si ferma accanto l’ispettore, immobile a terra con ancora gli occhi aperti nel vuoto, e dà un’occhiata nella cella di Aaron. E’ morto anche lui.

«Maledizione!» ripete, dando poi un calcio alle sbarre con rabbia.

«Julian.»

Il sicario si volta; a circa metà corridoio, di fronte la cella del primo stregone morto, si trova un freddo Jaziel. Lo sta guardando negli occhi.

«Com’è potuto accadere?» gli chiede Jaziel, gelido.

Julian stringe i pugni, irrigidendosi.

«Credo sia entrato sotto l’effetto di un incantesimo.» suppone il sicario, indicando l’ispettore a terra «Un incantesimo che ha imposto Aaron su di lui poco prima che lo trovassi.»

«Ha ucciso tutti gli stregoni.» fa notare Jaziel, senza però accennare ira o qualsiasi altra emozione «Le loro magie sono ora inutilizzabili.»

«Lo so.» sbotta Julian, secco «Ma questo non è un mio problema. Il mio incarico è terminato, no?»

Jaziel rimane impassibile, quando asserisce:

«Sì, è terminato.»

«Bene. E’ finita.» sentenzia il sicario, sicuro.

Jaziel trae un breve sospiro, indicando con un ampio gesto gli stregoni morti intorno a lui.

«Sì, in effetti dovrò ricominciare tutto daccapo...» commenta, alzando poi un sopracciglio, e aggiunge:

«Posso iniziare direttamente con te.»

Julian fa un passo indietro, raggelando.

«Jaziel, tra noi due c’è un patto!» gli ricorda il sicario, perdendo ogni certezza.

«Credevi davvero che lo avrei rispettato?» fa l’altro, continuando a guardarlo con quel sopracciglio alzato «Abbiamo bisogno della tua magia. In fondo... sei solo uno stregone.»

Julian digrigna i denti ed esclama:

«Non mi farò catturare!»

Alza la pistola, pronto a sparare, ma non fa in tempo.

In una breve frazione di secondo, il volto di Jaziel muta, perdendo ogni sembianza umana; gli occhi si ingrandiscono e il bianco del bulbo scompare, divenendo nero; le labbra si allungano e divengono sottili e bluastre; i canini crescono, simili a zanne. Poi, mentre Julian è colto dentro da un profondo terrore e ribrezzo, il demone scatta in avanti, afferrando il collo del sicario con entrambe le mani, stringendolo con forza e sbattendo il ragazzo a terra.

La pistola finisce sul pavimento, scivolando via.

Jaziel avvicina di colpo il viso a quello dello stregone e gli sibila, con una voce acuta e disumana:

«La feccia come te merita solo la morte. Se ancora non ti ho fatto fuori è solo perché mi servi. Mi sono sempre servito di te e tu, cieco e stupido, non l’hai capito. Farai la fine di quegli stregoni; utilizzeremo la tua magia per i nostri scopi. E la sfrutteremo finché tu, vecchio e malato, non morirai qui dentro, in queste buie prigioni... una fine degna per uno come te.»

Julian è pietrificato dalla paura.

«Faremo fuori tutti quelli come te.» prosegue a dire Jaziel, con gli occhi che gli saettano folli da un lato all’altro del viso dello stregone «E noi Signori del Nord non avremo più oppositori.»

Si tira poi su, facendo alzare con la forza Julian; poi lo spinge dentro una cella vuota, dopo averlo privato del pugnale.

Con un gemito, Julian finisce a terra, tremante.

«Addio.» è l’ultima parola di Jaziel, mentre il suo volto e la sua voce tornano quelli di sempre.

Se ne va poi via e lo stregone si aggrappa con forza alle sbarre, urlando dalla disperazione.

 

*

 

Erin... questa lettera è per te.

Intanto fuori, sul lungo ponte deserto che conduce allo scuro edificio, base della polizia, si trova Erin; dritta, immobile, fissa l’edificio in silenzio. Ha gli occhi gonfi di lacrime e arrossati e in mano stringe ancora con forza la lettera che le ha scritto il fratello. Nella mente, quelle parole...

Questo è un addio. O meglio, un “arrivederci”. Erin... sto per uscire di casa e vado a morire, oppure a farmi catturare. Non c’è altro modo. Lo faccio per te, sorellina, perché se scappo potrebbero rintracciarti e torturarti per farti parlare, per poi imprigionarti a vita... e non voglio che questo accada.

La ragazza chiude gli occhi, fremendo.

Non essere triste, piccola mia. Come ho detto, è solo un arrivederci. Perché, Erin... ho trovato Nerfea. E ora dirò anche a te come raggiungerla, così che potremo incontrarci lì.

La giovane esita un attimo, muovendo un passo in direzione della base della polizia.

Ti chiedo solo di non venirmi a cercare per la città e di fidarti di me.

Lentamente, Erin torna sui suoi passi e si avvicina alla balaustra del ponte. Vi si affaccia, dirigendo lo sguardo a quell’abisso nero sottostante.

Intanto, sorellina... ho una confessione da farti. Sì, sono uno stregone.

Perdonami, perdonami ti prego, ma non potevo dirtelo. Saresti stata in pericolo.

E’ vero, i nostri genitori lo sapevano. E si chiedevano perché... perché ero nato in questo modo?

Nessuno lo sa, Erin, il perché e il come nascano degli stregoni. Tu sei fortunata a non esserlo, in questo mondo maledetto...

Erin trae un sospiro, tremando ancora e continuando a fissare il vuoto sotto di lei. Posa le mani sulla balaustra di pietra e stringe i pugni, mordendosi un labbro.

Fin da piccolo sapevo che ero nato con uno scopo. All’inizio credevo che il mio compito sarebbe stato quello di fare qualcosa di significativo nella lotta contro i Signori del Nord. Ci credevo fermamente, ma ora che sono alla fine... beh, non so se riuscirò. Forse; ho ancora un po’ di tempo.

Ma ora, ora che sto per affrontare una possibile morte, o comunque una vita ricca di sofferenze, ho davvero capito.

Il mio unico scopo era quello di proteggere te, mia amata sorella.

Nuove lacrime sgorgano dagli occhi della giovane, mentre un’aria pungente le fa danzare i capelli; le gocce salate vengono trasportate via dal vento.

E posso farlo, invitandoti a raggiungere Nerfea.

Erin, esiste davvero, ma... ma arrivarci, camminare sotto il suo sole, accarezzare l’erba dei suoi prati, ammirare il suo cielo, ha un prezzo. Un caro prezzo.

La vita.

Erin sta ancora singhiozzando, ma, a poco a poco, si calma, prendendo profondi respiri e cercando di regolare i battiti del cuore.

Trovata la lucidità, sale in piedi sulla balaustra, poi rimane ferma in quella posa.

Nerfea non è altro che l’Aldilà. E’ quasi impossibile da raggiungere semplicemente perché gli uomini, con il passare del tempo, hanno smesso di credervi. Solo credendoci fermamente, infatti, si possono varcare i confini della morte per giungere lì, in quella terra dei sogni. Ognuno la immagina a suo modo e io, che spero di riuscire a raggiungerla, immagino di trovarti lì con me, sorellina.

Ti prego, sognala anche tu come me. Non avere indugio. La morte, poi la vera vita.

Ti voglio bene, piccola mia. Ricordati anche di questo quando sognerai Nerfea... e mi troverai là.

Va tutto bene, Erin. Sta volta va tutto bene davvero.

Erin chiude gli occhi e sospira per un’ultima volta.

«Io ci credo, Aaron.» sussurra al vento, senza indugio alcuno.

Allarga le braccia e si lascia cadere nel vuoto.

Va tutto bene...

 

*

 

Un bianco accecante, una luce fastidiosa.

Erin sbatte più volte le palpebre, cercando di adattare gli occhi doloranti e lacrimanti.

Scosta lentamente il dorso della mano che ha davanti il viso e abbassa quindi il braccio, aprendo del tutto gli occhi e dischiudendo di un poco le labbra, estasiata.

Un prato vastissimo, di un verde acceso, sotto un cielo chiaro, azzurro, azzurrissimo. L’aria è tiepida e piacevole; si slaccia la giacca di lana e la fa scivolare a terra, alzando poi lo sguardo in alto e osservando rapida uno stormo di uccelli passare sopra di lei.

In quel momento, qualcuno le cinge le spalle delicatamente, accostandola al proprio corpo.

Lei si volta di scatto, sobbalzando, e dirige lo sguardo in quello del giovane biondo al suo fianco.

«Ti stavo aspettando, Erin.» le mormora Aaron, con un’espressione così dolce da farle fremere il cuore.

La ragazza porta un braccio intorno i fianchi del fratello e gli sorride.

«Scusa il ritardo.»

«Non importa; qui il tempo non esiste.» Aaron le accarezza una guancia, poi la invita a voltarsi.

Erin si gira lentamente per guardare alle sue spalle.

Le labbra le si dischiudono del tutto e lei rimane così, impalata dallo stupore, con gli occhi sgranati.

«E’ ancora più bello di come lo immaginavamo, vero?» commenta il fratello, stringendola ancor di più a sé.

Davanti a loro, si estende il mare.

Ed è bellissimo.

Erin non riesce a smettere di guardarlo, meravigliata; teme che, appena volterà lo sguardo, quella bellezza scomparirà... ma no, quel sogno è eterno. E i due fratelli rimangono così, abbracciati l’uno all’altra, in mezzo a quel bel prato di quella bellissima terra chiamata Nerfea.

 

Fine

  
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