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Autore: Rossella Stitch    09/10/2017    1 recensioni
Dieci capitoli. Dieci parole. Due donne. Un unico amore.
Questa Medieval Supercorp è una sorta di continuo della shot "A night to love a life to stay".
Dieci capitoli nei quali verrà esplorato il rapporto di Kara e Lena in un arco temporale che spazia dal passato, al presente e chissà, forse anche al futuro.
Dieci momenti che raccontano di un impavido cavaliere e della duchessa che le ha rubato anima e corpo.
Una fanciulla che non ha mai avuto bisogno di essere salvata da alcun cavaliere, soltanto amata e questo Lady Zor-El lo ha capito dal primo istante.
Genere: Erotico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash | Personaggi: Kara Danvers, Lena Luthor
Note: AU, Lime, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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WORD II
 
 



 
Retrouvailles – Francese
La gioia che si prova quando si incontra una persona amata dopo una lunga separazione.
 
 




Giaceva da più di due ore nel suo morbido letto, ma – nonostante le membra dolenti e il lacerante mal di testa – non riusciva a chiudere gli occhi e spegnere la mente.    
Un pensiero fisso nel cervello, come un chiodo che si insinuava a suon di martellate, non l’abbandonava da giorni e anche quella sera – la sua ultima sera prima del grande giorno – non era riuscita a godersi appieno nulla di quanto le era stato concesso dalla vita.

Qualche settimana prima il generale J’onzz – braccio destro di suo padre – le aveva offerto un’opportunità che di sicuro alla sua età non avrebbe mai immaginato di poter ricevere.  
Nonostante l’anticonformismo che caratterizzava la sua persona, Kara sapeva di essere il cavaliere più preparato tra i giovani che, in quegli ultimi anni, avevano invaso i campi di addestramento militare del Re e sapeva per certo di essere stata anche l’unico cavaliere di appena quindici anni ad aver partecipato alla prima battaglia contro i temutissimi uomini del Nord. E adesso che ne aveva quasi diciotto, poteva vantare esperienze sul campo che l’avevano sicuramente forgiata nel profondo. Il suo animo gentile non lo aveva mai celato in nessuna occasione, perché semplicemente non riusciva ad indossare una maschera e fingere di essere qualcuno che non era. Ci aveva provato, eccome se ci aveva provato. Ma nei pochi tentativi in cui aveva provato ad essere più rude ed incattivita, aveva fallito miseramente, dimostrandosi ridicola agli occhi di chi in realtà avrebbe dovuto rispettarla.

Ma di tempo ne era trascorso da quando era ancora alla ricerca di una sua dimensione, poiché la risolutezza e la professionalità che la contraddistinguevano con gli anni le avevano permesso sì di mostrarsi agli altri nella sua autenticità, ma anche di far capire a chi le stava intorno che, solo perché possedeva delle naturali inclinazioni gentili e misericordiose, non era da sottovalutare. Anzi.
Aveva dato prova di sé stessa in moltissime occasioni e probabilmente doveva ringraziare la sua testardaggine per l’offerta del generale. L’uomo infatti, dopo un’attenta consultazione con il generale Zor-El, aveva deciso di promuovere Kara e cederle un’intera classe di aspiranti cavalieri. Sarebbe dovuta partire per un intero mese, diretta verso l’isola di Jersey, dove risiedeva un campo di addestramento che King George in persona aveva fatto costruire all’inizio del suo regno.         
L’uomo credeva fortemente nelle sue milizie ed aveva sempre auspicato di riuscire in grandi imprese grazie al suo rinnovato e potente esercito.

Kara era molto entusiasta all’idea di dover insegnare le sue conoscenze a delle giovani mani inesperte. Ricordava ancora con estrema nitidezza quando, da bambina, sorrideva felice all’idea di poter giocare agli spadaccini con suo cugino. Era sempre stato quello il suo sogno: voleva essere d’ispirazione, una guida per gli altri. Ma un mese di lontananza avrebbe comportato soprattutto un mese di assenza dal compito che oramai da più di due anni ricopriva: un mese senza poter assolvere il proprio dovere in quanto personale cavaliere della duchessa Luthor.    
Un mese senza Lena. Un mese senza la fanciulla che amava.

“Posso sentire sin da qui il piccolo scoiattolo che gira in tondo nella tua testa e che probabilmente non si ferma da ore.”

Quando la voce roca di Lena le arrivò dritta alle orecchie, Kara si rese conto di essersi persa nei suoi pensieri e di aver lasciato trascorrere decisamente troppo tempo. Tempo che avrebbe potuto utilizzare per far riposare corpo e mente, invece di sottoporli entrambi a torture psicologiche inutili.

La mora era letteralmente distesa sul corpo di lei, i lunghi capelli corvini a ricoprire sia le sue spalle sia ciò che si poteva scorgere del busto di Kara. Entrambe nude ed avvolte in enormi coperte e pellicce, intrecciate in un groviglio di braccia e gambe che non permetteva quasi di capire dove terminasse il corpo di una ed iniziasse quello dell’altra.            
Kara sentì il naso di Lena iniziare a giocherellare con il suo collo e istintivamente sorrise. Sin dalla prima volta in cui avevano deciso di condividere intimamente il loro amore, aveva scoperto che l’altra era dipendente dall’odore che la sua pelle emanava e senza che potesse opporre alcun tipo di resistenza, ad un certo punto aveva imparato a non esimersi dallo sporgere il collo ed accogliere il naso di Lena, che insidiosa e sbarazzina si inebriava del profumo di Kara, percorrendo con la punta del naso, dall’alto in basso, traettorie invisibili.

“Non riuscirò mai a capire perché ti piace tanto l’odore della mia pelle.” Sussurrò la bionda, chiudendo gli occhi e lasciandosi trasportare dai leggeri brividi provocati dai tenui tocchi dell’altra.

L’unica risposta che ricevette fu un mugolio estasiato che fuoriuscì dalla labbra carnose di Lena, ancora immersa nel suo virtuoso gioco.

Quando però la mano destra della mora iniziò a strisciare lentamente verso il fianco scoperto di Kara e le dita iniziarono a muoversi scompostamente sulla carne calda, l’altra si rese conto di ciò che stava per accadere e nel modo più imperioso che conosceva, iniziò ad opporsi a quella divertente tortura.

“Non osare Le’, sai che sono più forte di te e potr-“

Ma le proteste cessarono ancor prima di cominciare quando Kara si ritrovò a dover soffocare nei capelli dell’altra un misto tra risa ed urletti divertiti. Il peso di Lena non le permetteva di muoversi con facilità e le risa iniziavano a bruciarle nel petto, facendole mancare quasi il respiro. Così, dopo alcuni attimi, decise di ricorrere a misure drastiche per far si che l’altra – in quel momento anch’ella scossa da risate incontrollate – smettesse di torturarla e senza pensarci troppo decise di addentare dolcemente la spalla nivea di lei.

“Ah!” Esclamò sconvolta Lena, riemergendo dal collo di Kara e guardandola negli occhi con uno sguardo che urlava vendetta. “Kara Zor-El!” Continuò poi, assottigliando la vista e arricciando il naso in una maniera che Kara trovava assolutamente adorabile.

“Si?” Rispose flebilmente l’altra, cercando di riprendere fiato dopo tutto quel ridere.

“Dimmi che non lo hai fatto davvero!” Esclamò impettita Lena.

“Cosa? Io non ho fatto niente!” Controbatté lei, sporgendosi subito dopo verso il naso dell’altra per depositavi un tenero bacio.

Ma Lena si sottrasse da quel gesto d’affetto e in un attimo rotolò dall’altra parte del letto, sgusciando via da baci e carezze per alzarsi e dirigersi verso il grande specchio posto al centro della stanza, senza curarsi minimamente della sua nudità. Quando la sua immagine riflessa la guardò negli occhi, la mora si rese conto di avere il viso completamente stravolto: guance rosse, labbra gonfie e occhi chiari che brillavano come diamanti esposti al sole.            
Quello specchio riportava l’immagine della felicità e Lena non si curò neppure un attimo dei lunghi capelli in disordine o del rossore che la pervadeva interamente, perché adesso aveva scoperto l’effetto visivo che la vicinanza di Kara comportava. Aveva scoperto che effetto aveva su di lei l’amore.

“Non ti ho lasciato alcun segno Lena, sta tranquilla. Torna qui dai…” La esortò Kara, alzando il busto fino ad ora adagiato sui cuscini ed incrociando lo sguardo dell’altra che, nel frattempo, di rimando la stava osservando tramite il riflesso dello specchio. Si stropicciò goffamente gli occhi e poi raccolse i lunghi capelli biondi tra le mani, adagiandoli sulla sua spalla sinistra, iniziando poi a giocarci.

“Sei la creatura più splendida sulla quale abbia mai posato lo sguardo, lo sai?” Sussurrò dopo alcuni istanti la mora, voltandosi verso Kara ed avvicinandosi lentamente al letto, sguardo serio e movimenti appena accennati. “Alle volte sembra quasi tu non appartenga a questa terra.”

In un secondo il viso ed il collo della bionda iniziarono a risplendere di un vigoroso rossore e nulla poté impedire a Lena di sorridere sorniona. Sapeva quanto i complimenti imbarazzassero la sua amata, ma nonostante tutto non perdeva mai occasione per rincarare dolcemente la dose quando poteva. Del resto non aveva detto nulla che non pensasse, anzi. Era fermamente convinta delle sue parole e spesso dubitava anche di essere in grado di dimostrare all’altra ciò che sentiva, non nel modo giusto almeno.

“Un eccesso momentaneo di pudicizia ti ha rubato la lingua?”

Kara rise leggermente, allungando le mani in direzione di Lena in una muta richiesta: quelle mani urlavano contatto, amore, brividi. E la mora non si fece attendere ulteriormente, eliminando la leggera distanza che le separava con pochi passi e senza troppe cerimonie si sedette cavalcioni su Kara.
Braccia forti in un istante le circondarono i fianchi nivei e a sua volta Lena  avvolse le sue attorno al collo di Kara. Seno contro seno, fronte contro fronte e nasi che giocherellavano tra loro come sempre.

“Non è pudicizia…” Rispose quindi Kara, incontrando poi le labbra di Lena in un tenero bacio a fior di labbra. “E’ che mi emoziono q-quando esclami certe parole. Non so… non sono nulla di speciale infondo.” Continuò, un lieve sorrisino timido a confermare quanto in realtà non riuscisse a vedere ciò che invece Lena vedeva ed amava in lei.

Dita gentili si insinuarono tra i capelli chiari di Kara e iniziarono a donarle carezze appena sussurrate, ma allo stesso tempo incisive.

“E’ proprio questo che amo di te…” Disse Lena, guardando fermamente l’altra negli occhi, volendo esprimere in ogni modo ciò che sentiva. “Sei inconsapevole della tua purezza ed è proprio per questo che sei bellissima. Se ne fossi cosciente, in qualche modo cercheresti di ostentare le tue caratteristiche, invece tu… Dio Kara, tu non comprendi quanto sei speciale ed è proprio questo che attrae le persone che ti circondano.” Continuò, baciandola poi ripetutamente, a labbra piene, per evitare che l’altra potesse sminuire quanto detto. “Domani andrai via ed il pensiero di esserti lontana per così tanti giorni mi sta facendo diventare matta. Ma non ti lascerò andare finché non avrai capito cosa vedo quando ti guardo. Intesi?” Sussurrò ancora ad un sospiro di distanza dall’altra.

“H-ho capit-“ Ma Lena non la lasciò parlare ancora, congiungendo nuovamente le loro labbra in un bacio adesso più importante, necessario. I denti della mora arpionarono il labbro inferiore di lei succhiandolo e mordendolo, esortando l’altra a dischiudere le labbra per lasciarla entrare. Kara non la fece attendere affatto e nel momento stesso in cui accolse la lingua dell’altra nella sua bocca, strinse ancor di più la presa intorno ai suoi fianchi, spingendosela addosso come se volesse eliminare anche il più piccolo millimetro di spazio esistente tra loro.       
Si baciarono per alcuni minuti, nei quali entrambi i corpi ripresero a tremare febbrilmente a causa della ritrovata passione. Le gambe di Lena avvolte attorno al busto dell’altra, dita frenetiche che solcavano delicatamente la cute di Kara, la quale non riusciva quasi a capire dove fosse a causa dell’intensità di quel contatto.

Quando una mano di lei iniziò a scivolare verso in ventre di Lena però, la mora capì che doveva fermarsi. Non era ancora il momento di lasciarsi trasportare dalla passione. Voleva che Kara sapesse e che sapesse ora.

“F-ferma…” Ansimò quindi, distaccandosi gentilmente dalle labbra dell’altra e guardandola di nuovo negli occhi. Occhi che in quello stesso istante si schiusero, brillando di un misto tra lussuria e confusione.

“T-ti ho fatto male?” Sussurrò a sua volta Kara, cercando di apportare immediatamente la dovuta distanza tra i loro corpi per sincerarsi che l’altra stesse bene. Ma Lena non la lasciò allontanare di un centimetro, trattenendola per le spalle e stringendo la presa nei suoi capelli.

“Shh… ascoltami.”

Kara riportò le sue mani sui fianchi di lei e sentendo – nonostante tutto – i suoi muscoli ancora doloranti e stanchi, riportò nuovamente la schiena sui cuscini, trascinando con  sé anche l’altra e coprendola poi come poteva con delle coperte.

C’è chi dice sia un esercito di cavalieri, chi dice sia un esercito di fanti, c’è chi dice sia una flotta di navi la cosa più bella sulla terra. Io invece dico che è ciò che si ama.” Esclamò con convinzione Lena, occhi lucidi e fieri.

“S-saffo…” Sussurrò Kara, che ricevette conferma quando vide l’altra sorridere ed annuire flebilmente.

“La prima volta che mi hai dedicato delle parole, è stato grazie a Saffo.” Iniziò a spiegare Lena. “E questo frammento mi ricorda te. Ogni parola. Ti amo, ti amo e ti amo. Così tanto che alle volte mi sembra di sentire qualcosa muoversi dentro di me come se fossi posseduta. T-tu mi hai sconvolto la vita Kara e sappi che non potrò mai ringraziarti abbastanza per quello che sei e per quello che mi dai.” Continuò, guance oramai bagnate e voce tremante. “E v-voglio che tu parta con questa consapevolezza.”

“Partirò solo per poter assaporare il gusto della riunione.” Esclamò in tono dolce Kara, per poi baciare con devozione le guance bagnate di lei. “ T-tu mi vedi per ciò che sono e non per come gli altri vorrebbero che fossi. E ti renderò fiera di me amore, possa la presenza di Dio suggellare questa mia promessa. Tornerò da te Le’ e sarai fiera delle mie gesta.”
 



 
                ****



 
Sette giorni erano già trascorsi da quando il Generale Zoe-El e i nuovi cadetti erano partiti per l’addestramento e con essi, anche Kara aveva temporaneamente lasciato alle sue spalle sia il Wessex sia il suo cuore, accudito dalle mani amorevoli della fanciulla che amava.

La traversata verso l’isola di Jersey era stata tranquilla e pacifica, accompagnata da tenui raggi solari che s’infrangevano con precisione sulla superficie di scudi ed elmi, da una frizzantina aria che solleticava costantemente l’olfatto dei passeggeri ed una trepidante attesa che scorreva nelle vene di tutti i cadetti. Nessuna presentazione ufficiale era stata ancora fatta, per cui i giovani che avevano deciso di prender parte all’addestramento non erano ancora a conoscenza delle fattezze del loro istruttore, tanto meno erano a conoscenza delle metodologie di insegnamento utilizzate da quest’ultimo. Alcuni ex allievi con i quali dei giovani avevano avuto modo di parlare, sostenevano che il buon vecchio cavalier Snapper – dai modi rudi e imperiosi – in realtà in passato si era dimostrato molto più magnanimo e misericordioso di quanto tutti credessero e la maggior parte dei componenti dell’attuale esercito del Re consideravano il saggio insegnante come un mentore ed un modello da seguire.

Proprio per questo Kara aveva chiesto al generale J’onzz di potersi presentare personalmente ai suoi allievi e soprattutto di poterlo fare a tempo debito, ovvero il primo, effettivo giorno di addestramento.

Le mura del plesso che ospitava gli allievi si ergevano imponenti quasi sulle spiagge dell’isola, ai piedi di un’enorme scogliera che – frastagliata e minacciosa – delimitava l’intera struttura dai boschi del luogo, tradizionalmente conosciuti come dimora di creature sovrannaturali.
Nessuno aveva mai creduto davvero alle fantasticherie che i veterani di guerra raccontavano su quel luogo, ma oramai da decadi ogni giovane del Wessex veniva influenzato da tali racconti, tanto da crescere con il timore di poter malauguratamente imbattersi in una strana creatura mostruosa.

Il Generale J’onzz e i suoi uomini invece, risiedevano in un recintato completamente differente rispetto agli alloggi degli aspiranti guerrieri, molto più confortevole ed indicato grazie anche ad una piccola servitù locale che da anni prestava servigio costante per mantenere in buone condizioni il luogo.

Quando Kara appoggiò i suoi effetti personali su quello che doveva essere un letto, si rese conto che non sarebbe riuscita a dormire affatto, per qualche notte almeno. Quella stanza misera e sterile non faceva altro che sbatterle in faccia tutto ciò che aveva lasciato dietro di sé quando aveva messo piede sulla nave che li avrebbe condotti su quell’isola. Più volgeva lo sguardo attorno a sé e più realizzava le differenze: non c’erano le enormi vetrate della stanza di Lena che portavano sempre tanta luce, non c’era neppure un libro, non c’erano specchi e non c’era alcuna traccia di Lena. Era tutto così misero, così insignificante e sapeva di poter quasi risultare eccessiva se la sua reazione fosse stata osservata da occhi esterni, ma davvero non riusciva a capacitarsi dell’aura tetra e cupa che circondava quelle quattro mura.

Ma appunto, i primi sette giorni erano trascorsi e tra preparativi e quant’altro, era arrivato finalmente per gli allievi il giorno di iniziare l’addestramento pratico.

Le onde del mare si infrangevano forti quella mattina, i gabbiani erano già alti nel cielo nonostante fosse appena l’alba e la salsedine già iniziava a depositarsi sulle decine di armi posizionate ordinatamente sul lato interno della grande spiaggia. Kara camminava a piedi nudi sul bagnasciuga, ipnotizzata dal modo in cui l’acqua risucchiasse all’istante le impronte che – un passo dopo l’altro – lasciava alle sue spalle. I suoi stretti pantaloni neri di cotone arrotolati fino alle ginocchia, la casacca blu che le fasciava perfettamente le spalle, le braccia muscolose e il busto, la sua fidata spada che – come un cane dormiente – non lasciava mai il suo fianco destro. Si sentiva pronta quella mattina, nonostante le aspettative e le titubanze lei sapeva di potercela fare e lo avrebbe dimostrato.

Quando iniziò a sentire alcune voci profonde provenire dall’entroterra, legò velocemente i capelli con un nastro in una coda alta e strinse più che poté il nodo. Non voleva affatto che il vento permettesse al nastro di sciogliere la presa sulla sua selvaggia chioma e in più non voleva dare in alcun modo spettacolo, sapendo benissimo che ogni occasione sarebbe stata colta al volo per ricordarle quando di differente ci fosse in lei.

“Benvenuti!” Esclamò a voce alta, tono sicuro e sguardo risoluto, mentre voltava definitivamente le spalle al mare per dedicare la sua attenzione al gruppo di giovani allineati di fronte a lei.           
Sorrise leggermente quando scorse gli occhi sgranati di alcuni e iniziò ad un udire un lieve bisbiglio che – come il ronzare di una mosca – dopo alcuni istanti iniziava quasi a sovrastare il rumore delle onde.

“Immagino abbiate capito già chi sono, ma le espressioni perplesse di alcuni di voi mi dimostrano che non a tutti è ben chiara la mia presenza. Quindi senza indugio adesso mi presenterò, dopo di che non vorrò più udire alcun suono provenire dalle vostre file.” Continuò Kara, ferma di fronte al gruppo, schiena dritta e le mani appoggiate come d’abitudine sulla sua cintura. “Sono Kara Zor-El, secondo cavaliere della corte di King George, consigliere di corte e membro effettivo delle milizie attive da circa quattro anni.” Spiegò pacatamente, esternando in quelle parole tutta la fierezza che ne poteva derivare dalla sua posizione. “E si, sarò il vostro nuovo insegnante per l’addestramento pratico e per i prossimi venticinque giorni vi allenerete per diventare ciò che spero per voi sia un onore, oltre ad essere un dovere: ovvero dei cavalieri.”
 



                                                                                                            ****                                     



 
Era duro soprattutto psicologicamente, se ne stava rendendo conto quando dopo circa dieci giorni dall’inizio dell’addestramento ancora c’era qualche ragazzo che cercava di sfidarla o di voler ostentare in qualche modo una mascolinità che – Kara sapeva per certo – non li avrebbe sicuramente salvati in battaglia, anzi. Ed era proprio mentre cercava di pensare ad un modo per far capire ai suoi ragazzi l’inutilità della forza bruta, che entrò nella sala grande per cenare e inaspettatamente si trovò scrutata da occhi chiari fin troppo conosciuti. Occhi che la fissavano con attenzione e che appena incrociarono lo sguardo sorpreso di Kara si illuminarono a giorno.

“Padre!” Urlò lei, cancellando velocemente la distanza che la separava dall’uomo. Quando le fu abbastanza vicino non ci pensò due volte e con un breve salto si ritrovò avvinghiata alle possenti spalle del generale Zor-El. Fu subito avvolta dall’odore forte di legna che contraddistingueva l’uomo e quando le braccia forti di lui le avvolsero la vita, le venne spontaneo stringerlo ancora di più ed iniziare a ridere di cuore. “ Oh padre, sono così felice di vedervi. Cosa ci fate qui?”

“Ciao mio piccolo eroe…” Sussurrò il padre, affondando il viso nei capelli sciolti di Kara, inebriandosi del suo odore che tanto gli ricordava quello della sua adorata moglie. “Prima di tutto sono venuto a farti visita. Ero curioso di sapere come stessero procedendo le cose qui. Sono davvero tanto fiero di te.”

Dopo alcuni istanti, il generale lasciò andare sua figlia, dirigendosi poi entrambi verso il tavolo già imbandito per la cena. Vino rosso in quantità, tanto pollo e patate bollite: per Kara quella sera sarebbe stata festa grande.

“Sta andando davvero bene padre. Certamente non è stato semplice i primi giorni, soprattutto perché sapete quanto sia complicato – e fatico ancora a capirne il motivo – per gli altri darmi credito, ma sono davvero soddisfatta di come procede l’addestramento. Non sembra apparentemente, ma sono tutti ragazzi dotati ed intelligenti.” Esclamò Kara con fervore, prendendo posto al tavolo e fronteggiando il padre, il quale sorrise divertito notando l’entusiasmo della fanciulla. 

Senza troppi indugi, entrambi iniziarono a consumare il loro lauto pasto e se qualcuno avesse presenziato al banchetto, di sicuro non avrebbe notato alcuna differenza riguardo l’attitudine che entrambi gli El avevano nei confronti del cibo.

Cinque cosciotti di pollo, due caraffe di viso e un’enorme ciotola di patate dopo, padre e figlia erano fin troppo soddisfatti sia della cena sia della felice riunione familiare. L’improvvisa serietà del generale però, acquisita senza che nessuno potesse avere il tempo di capire, fece insospettire Kara, che con delicatezza cercò di comprendere i motivi del suo mutamento d’umore.

“Ditemi padre, siete qui anche per un’altra ragione, non è vero?”

Dal suo canto, l’uomo afferrò saldamente il calice di vino posto sul tavolo oramai spoglio e ne bevve una generosa quantità, come a voler estrapolare dal vino il coraggio che gli mancava per poter parlare. Ed effettivamente quel comportamento risultava ambiguo agli occhi di Kara, così abituata alla risolutezza e l’imponenza che caratterizzavano la figura di suo padre.

“Padre, mi fate preoccupare se continuate ad indugiare…”

“Tua madre ed io abbiamo discusso a lungo qualche giorno fa, mia cara.” Iniziò quindi il generale, posando il calice di fronte a sé e discostandosi poi dal tavolo per iniziare a camminare lentamente per la stanza. “Non credevo di dover essere io a parlartene, ma tua madre ha sagacemente constatato quanto tu sia simile a me,  più di quanto entrambi vogliam credere e quindi ho deciso di parlarti di persona perché volevo prestare onore al legame che da sempre ci lega.”

“C-certo padre, vi voglio molto bene anche io, lo sap-“

“Quando tornerai al castello, tua madre ed io abbiamo deciso che è arrivato il momento di introdurti a corte in veste ufficiale e vorremmo organizzare una cena con Sir Lar Gand[1] e la sua famiglia.” Esclamò perentorio il generale, imponente in tutta la sua stazza mentre si ergeva al centro della sala.

Ci vollero alcuni istanti prima che Kara prendesse coscienza di quanto era stato detto e non appena si rese conto di ciò che avrebbero potuto significare quelle parole, sentì nel petto una strana morsa dolorosa, come se la gabbia toracica stesse stringendo eccessivamente intorno a polmoni, cuore e il tutto si riducesse ad un’enorme ostruzione che non le permetteva quasi di respirare.            
Loro non potevano… loro non sapevano…

“P-padre…” Tentò di pronunciare Kara, alzandosi involontariamente dalla sedia e avvicinandosi di poco al centro della stanza, dove il generale volgeva ancora lo sguardo altrove, probabilmente timoroso di incontrare la figura di sua figlia.

“So che tutt-“

“No padre, voi n-non sapete assolutamente nulla. Nulla!” Esclamò in preda al panico Kara, cercando ancora di capire cosa dire e come comportarsi. “C-che significa che avete discusso? A-avete parlato di me, del mio futuro… mentre io cerco di fare del bene, d-di essere, anzi no, di dimostrare chi sono e di cosa sono capace… v-voi semplicemente decidete che è arrivato il momento per farmi smettere di essere un cavaliere e d’un tratto dovrei fare cosa, di grazia? No, vorrei saperlo.”

“Potresti iniziare a comportarti come una fanciulla comune, Kara!” Esclamò quindi l’uomo, rivolgendo finalmente l’attenzione alla ragazza, la potenza di quelle parole che rimbombava nella stanza come l’eco di una frustata.

“Io sono una fanciulla comune padre, più comune di quanto possiate credere.” Esclamò con foga la bionda, negli occhi un’incredulità dilaniante. “Credete che la mia posizione sociale abbia compromesso la mia femminilità per caso? C-cosa vi fa pensare di poter alludere in questo modo senza mancarmi di rispetto?”

“Bada bene a come parli ragazzina, che se c’è qualcuno che dovrebbe parlare di rispetto, quello sono io. Io Kara, non tu!” Rispose rabbioso l’uomo, puntando il dito conto la bionda ed alzando la voce come poche volte era accaduto. “Ho accettato così tanti compromessi a causa tua. Io sono stato deriso perché a detta altrui ho trasformato mia figlia in un uomo mancato. Io sono stato minacciato a causa dell’inappropriata condizione sociale che da sempre ti caratterizza. Io Kara, quindi non parlarmi di rispetto. E sono fiero della persona che sei nonostante tutt-“

“Nonostante cosa, di cosa parlate padre? Perché improvvisamente emerge tutto questo?” Domandò esasperata Kara, oramai stufa di girare intorno alla questione.

E quando incrociò gli occhi di suo padre, scuri come un mare notturno in tempesta, capì che il danno era più grave di quanto pensasse.

“Che cosa avete fatto? Cosa le avete detto padre?” Sibilò furibonda, avvicinandosi all’uomo in un istante per fronteggiarlo come non aveva mai neppure pensato di poter fare in tutta la sua vita. “RISPONDETEMI!”

“Le abbiamo raccontato tutto perché volevamo un consiglio, visto che è la persona che ti conosce meglio e quando abbiamo finito il nostro discorso, era emaciata e silenziosa come se stesse per avere un mancamento. Ed è lì che ho capito l’assurdità di quanto stava accadendo.” Rispose il generale, azzerando la distanza che lo separava dalla figlia per poi arpionarle le spalle e scuoterla con vigore. “E stava accadendo sotto il mio sguardo, il mio!”

“Che cosa avete fatto… c-che cosa…” balbettò tra i denti lei, cercando di divincolarsi dalla presa intensa del padre alla ricerca di aria. Ma l’uomo non la lasciava andare, anzi. Continuava a scuoterla ed urlare domande sconclusionate, come se in quelle parole stesse riversando mesi e mesi di paure e sospetti, come se stesse esternando tutto il dolore fino ad allora sopito, volutamente accantonato.

“PERCHE’ L’AMO PADRE. IO LA AMO!”

Attimi di glaciale silenzio seguirono le parole di Kara, spezzati soltanto dal respiro affannoso di quest’ultima, che a pieni polmoni aveva urlato ciò che avrebbe sperato di svelare in circostanze molto più accoglienti.

Suo padre era sempre stato un uomo buono, ai suoi occhi appariva da sempre come un marito amorevole, un combattente valoroso ed una persona da stimare in qualsiasi circostanza. E non avrebbe mai pensato che la stessa persona che da bambina l’adagiava delicatamente sulle sue spalle nel vano tentativo di farle toccare il cielo o che l’aiutava a difendersi contro i prepotenti, sarebbe stata in grado di giudicarla così malamente, serbando un rancore ed un dolore assolutamente incomprensibili per lei.      
Da sempre il legame che univa i suoi genitori – nonostante cadute accidentali ed incidenti di percorso – era stato per lei fonte di ispirazione, un qualcosa  cui aspirava con ogni fibra del suo essere. Kara aveva sempre sperato di poter trovare in qualcuno lo stesso amore che i suoi genitori avevano trovato l’uno nell’altra e tanti erano i dolcissimi momenti nei quali si era ritrovata a pensare “un giorno avrò anch’io qualcuno che mi guarderà come si guardano loro.” E ci era riuscita. Inaspettatamente aveva trovato tutto ciò che desiderava ed anche di più, perché Lena andava decisamente oltre ogni aspettativa possibile e perché suo padre non poteva essere felice per lei? Perché doveva sabotare così malamente un’unione di anime che, a suo giudizio, riteneva più forte di ogni volontà?

“Tu l’ami…” Mormorò quindi il generale, esclamando quelle poche parole con un tono così flebile, vuoto. Quasi come se avesse realizzato in quel preciso momento la natura del sentimento che albergava in sua figlia. “L’amore Kara… l’amore ha permesso l’estinzione di intere civiltà, lo sai questo?” Continuò poi, lasciando andare – ora con rinnovata gentilezza – la presa sulle spalle della bionda per poggiare poi le sue mani grandi ai lati del viso di lei, accarezzandone le guance con i pollici incalliti nel vano tentativo di asciugarle e magari donarle conforto. “ Tu non puoi sapere cosa sia l’amore a quest’età bambina mia, tu non lo sai…”

“P-padre, vi prego…” Gemette Kara, non riuscendo in alcun modo a placare i singhiozzi che le scuotevano il petto. Le stavano squarciando le membra così dolorosamente che avrebbe voluto soltanto rannicchiarsi e continuare a piangere, sperando che tutto quel dolore improvviso potesse lasciarla in pace. “I-io non posso… n-non posso vivere senza di lei. N-non riesco…” continuò a balbettare, cercando di prendere fiato ad ogni parola pronunciata. “C-ci ho provato, ma non riesco. Non voglio. I-io non voglio vivere senza di lei… t-ti prego non permettere c-che accada.”

“Oh figlia mia…” Esclamò con commozione il generale, attirando con veemenza la ragazza a sé per stringerla poi al petto, lasciandole il tempo di esternare tramite il pianto tutte le sue emozioni. Le baciò il capo color del grano ripetute volte, ammonendosi mentalmente per essere stato così cieco, così volubile ed assetato dalla voglia di essere socialmente rispettabile. Ma la disperazione della sua bambina – perché nonostante la sua posizione e le sue gesta, l’uomo avrebbe guardato Kara e l’avrebbe sempre vista come la sua bambina dalle lunghe trecce bionde e il sorriso smagliante – lo aveva colpito come un pugno in pieno volto e non era stato capace di dar ascolto a nulla se non al suo amore paterno. “Perdonami Kara, perdonami.”

Kara si strinse spasmodicamente al busto del padre, rifugiandosi nel suo abbraccio come se volesse scomparire in esso. Sentiva, quasi come un riverbero lontano, le scuse dell’uomo e l’affetto sprigionato da quelle parole. Ma il senso di vuoto che l’aveva posseduta da quando quella conversazione stava avendo luogo, purtroppo non la lasciava andare e non riusciva ad  immaginare alcuno scenario futuro senza la donna che amava. Senza Lena niente avrebbe mai potuto avere un futuro. Niente. Ed allora capì.

“Ascoltami mio piccolo eroe, ci penserò io a risolvere questa situazione, d’accordo?” Esclamò l’uomo con un inedito vigore. “Parleremo con tua madre e cercheremo di farla ragionare. Lei ti vuole bene quanto me e sono sicuro che troveremo una soluzione, perché deve esserci una soluzione a tutto ciò.”

Kara, che nel frattempo era riuscita a placare il pianto che la stava devastando, si scostò gentilmente dal petto dell’uomo e con occhi rossi e colmi di lacrime finalmente lo guardò. “Darei la mia vita per lei padre, non sono disposta a nessun tipo di compromesso. E’ bene che sia chiaro questo.” Disse con convinzione, un lampo di puro orgoglio a trafiggerla interamente. “Quando tornerete non parlatele, non avvicinatevi a lei e lasciate tutto in sospeso. Al mio ritorno ci penserò io.”




                                                                                                           ****



 Potevano essere trascorsi attimi, giorni, mesi o addirittura anni.    
Il sole avrebbe potuto cedere il suo posto alle tenebre più fitte senza che lei ne notasse la differenza. Il mondo avrebbe potuto iniziare addirittura a girare su sé stesso come una trottola, per lei non avrebbe avuto alcuna importanza. Nulla aveva più importanza per lei da diverso tempo oramai e nessuno era stato in grado di modificare lo stato emotivo di Lena. Si sentiva come rinchiusa in un’ampolla, con razioni di aria e libertà talmente povere da farla sentire come un animale in gabbia che veniva periodicamente schiacciato dal peso della sua impotenza, tanto da farle mancare il respiro.     
Si sentiva esattamente a quel modo: come un animale indifeso al quale mani forti e grandi stavano brutalmente strappando la vita. Stava soffocando e non riusciva, anzi non voleva affatto capire come porre rimedio a tutto ciò.

Nessun luogo del Wessex era in grado di donarle sollievo, neppure rinchiudersi nella sua amata biblioteca – che da anni era il suo luogo sicuro, il posto in cui riusciva ad evadere con la mente e con l’anima – poteva nulla contro l’oscurità che lentamente si stava facendo strada nel suo essere. E quante volte aveva provato a rifugiarsi nella sua quotidianità per scampare ai continui tumulti interiori che la rendevano prigioniera, ma purtroppo la sua quotidianità comportava la presenza fissa di una persona in particolare, di colei che prima era tutto e adesso era la causa di tutto.

“Duchessa, vi ho portato dei frutti da poco raccolti… dovreste mangiare qualcosa.” Sussurrò la domestica, entrando nella stanza principale della biblioteca con un vassoio ricolmo di frutti freschi. Si avvicinò lentamente al grande tavolo sempre pieno di libri e pergamene, che però in quel periodo era costantemente vuoto e avvolto da una strana aura malinconica e servì il cibo. “Poggio qui, per qualsiasi cosa sono qui fuori Duchessa.”

“Grazie Jane.” Rispose freddamente Lena, in piedi come una statua di fronte ad una delle grandi vetrate della stanza, lo sguardo rivolto verso l’orizzonte ma che in realtà non era focalizzato su nulla in particolare. Semplicemente si posizionava lì e guardava fuori, concentrata ad evitare ogni ricordo di lei e desiderando di poterla incontrare solo per urlarle in faccia tutto il suo rancore.

“Duchessa?” La richiamò ancora la domestica prima di uscire definitivamente dalla stanza.

“Mh?”

“Lei non vorrebbe vedervi in questo stato, lo sapete vero?” Domandò la donna, sperando vivamente di non essere stata in alcun modo irrispettosa.

“Se avesse voluto davvero sincerarsi delle mie condizioni, sono sicura che lo avrebbe fatto di persona Jane.” Rispose la mora, la voce che adesso vibrava di una rabbia repressa e che non avrebbe mai e poi mai fatto emergere. Non voleva dare ulteriori soddisfazioni a nessuno, sapendo benissimo che spesso i domestici – per quanto amabili e cortesi – non potevano sottrarsi agli interrogatori dei membri della corte del castello.  “Non è qui da più di quaranta giorni, non ho notizie da altrettanti giorni e non so se ne avrò mai più, quindi adesso come adesso mi importa ben poco di ciò che vorrebbe o meno!”

“D-duchessa?”

“Puoi andar-“

“Si, puoi andare Jane. Sei sempre efficiente. Ti chiameremo in caso di bisogno.” Esclamò con dolcezza una terza voce.

“Con permesso.” Si congedò quindi la domestica, inchinandosi leggermente per poi lasciare velocemente la stanza chiudendosi la porta alle spalle.

Lena non aveva osato girarsi, nonostante sapesse che Kara era lì a pochi passi da lei. Come poteva presentarsi all’improvviso dopo tutto quel tempo? Chi le dava il diritto di farle così male? Perché era lì poi? Cosa pretendeva?

“Sei tornata!” Esclamò quindi, chiudendo per un attimo gli occhi e cercando di calmare il suo animo in tumulto. Prese un piccolo respiro e senza aspettare risposta si voltò per fronteggiarla, braccia incrociate al petto e sguardo fiero tipico di un Luthor.

“Pochi minuti fa sono arrivata. Ho poggiato i miei pochi effetti personali nel fienile e sono subito corsa qui. Speravo di essere in tempo per la frutta del pomeriggio.” Esclamò timidamente Kara, avvicinandosi lentamente al centro della stanza. Indossava degli abiti diversi rispetto al solito e Lena lo aveva notato immediatamente.   
Una lunga gonna merlettata color sabbia ricopriva interamente le sue lunghe gambe, una casacca di cotone bianco le fasciava armoniosamente il busto, lasciando intravedere – tramite un intreccio di lacci - il petto leggermente abbronzato. Lunghi boccoli  -forse ancora più biondi del solito -  ricadevano morbidi sulle spalle e soltanto dopo qualche attimo Lena notò che la fedele spada di Kara era avvinghiata alla sua schiena. Era semplicemente bellissima, così selvaggia e guerrigliera.

Quando i loro occhi si incrociarono però, Kara capì in un istante che Lena non stava bene. Era pallida, i suoi occhi erano spenti e le spalle ricurve come se portasse un peso immondo sulle spalle. Doveva parlarle e doveva farlo subito.

“Lena io…”

“Non preoccuparti, sono a conoscenza di tutto e non mi devi alcuna spiegazione. Infondo sapevo che prima o poi qualcosa di simile sarebbe accaduto e meglio adesso, visto che siamo ancora giovani e non quando sarebbe stato troppo tardi.” Incalzò Lena, cercando di non far capire all’altra quanto le fosse costato pronunciare quelle parole.

“Tu cos- No!” Rispose con veemenza Kara, avvicinandosi di qualche passo all’altra per poterla fronteggiare. “Tu non sai assolutamente nulla, quindi lascia che ti spieghi. Per l’amor di Dio, perché siete tutti così sicuri di sapere ogni cosa quando poi in realtà non sapete mai nulla?” Continuò, frustrata come poche volte Lena l’aveva vista. “Adesso taci e lasciami parlare!”

Il sopracciglio destro di Lena si inarcò in maniera a dir poco innaturale e la smorfia sarcastica che increspò le sue labbra, fecero capire all’altra che poteva continuare senza timore di essere interrotta.

“Non so cosa ti abbiano detto, quali fandonie ti abbiano raccontato o quali insinuazioni siano state fatte sul nostro conto. Non lo so e non lo voglio sapere.” Iniziò Kara, poggiandosi quindi sul bordo del tavolo e posizionando le mani su di esso, ai lati dei suoi fianchi. “Mio padre è venuto a farmi visita sull’isola qualche tempo fa. Ho scoperto che sa tutto di noi due e che purtroppo si è lasciato sopraffare dalle aspettative di mia madre. Sono delle brave persone e dei genitori amorevoli, lo sai anche tu. Sai quanto mi amino e quanto sia loro affezionata.”

Una breve pausa seguì quelle parole, mentre Lena continuava a scrutarla con diffidenza.

“Si chiama Mon-El, il gentiluomo che mia madre avrebbe voluto fosse il mio futuro sposo. E-e si, immagino che sia un uomo buono e avvenente, ma nulla di tutto questo avverrà mai Lena. Mai.” Continuò la bionda, scostandosi dal tavolo e allungando entrambe le mani verso l’altra.
Sapeva di doverle il suo tempo e per questo si stava approcciando a lei nella stessa maniera in cui ci si dovrebbe approcciare ad un animale indifeso: aveva allungato le mani per far capire all’altra che poteva abbassare la guardia, che poteva smettere di avere paura da sola. Poteva lasciarsi andare ed avere paura insieme a lei, perché – anche se all’apparenza poteva sembrare l’opposto – anche Kara in quel momento era assolutamente terrorizzata.

Lena osservò attentamente quegli occhi imploranti che le chiedevano un atto di fede, scrutò attentamente le sue mani e solo allora notò quella sinistra di lei completamente fasciata fino al polso. “Che cosa hai fatto alla mano?” Le domandò quindi, non riuscendo a nascondere la preoccupazione.

Kara abbassò per un secondo lo sguardo e quando ricordò l’accaduto, rivolse all’altra un sorriso di dolce rassicurazione. “Non è nulla, mi ha trafitto un pugnale per sbaglio e per un po’ non potrò muovere la mano. Ma non è grave come sembra.”

Lena sgranò gli occhi intimorita, azzerando istintivamente le distanze che la separavano dal corpo dell’altra e senza indugiare oltre prese la mano ferita di lei tra le proprie, iniziando delicatamente ad accarezzarne le bende con la punta delle dita.

“Sei scomparsa. N-non ho saputo più nulla di te da quando sei partita e dopo aver parlato con tuo padre n-nessuno mi ha più detto nulla sul tuo conto.” Sussurrò flebilmente la mora, concentrando tutta la sua attenzione sulla mano ferita di Kara ed evitando in ogni modo lo sguardo penetrante di lei, che dal suo canto la scrutava con attenzione, cercando di capire come comportarsi. Non voleva ferirla ulteriormente, anzi. Voleva risolvere tutto e ritornare alla loro vita di sempre, fatta di amore e rispetto reciproco. “Mi hai fatto male Kara…”

La bionda non riuscì a trattenersi oltre e approfittando della vicinanza dell’altra, l’afferrò per la vita e la strinse forte, insinuando il viso nel suo collo e stringendo la presa.

“M-mi dispiace, mi dispiace. T-ti prego perdonami se puoi…”Singhiozzò devastata Kara, lasciandosi andare ad un pianto liberatorio che per troppo tempo aveva trattenuto. Non voleva dimostrare nulla a nessuno, voleva soltanto che l’altra la perdonasse, che perdonasse i suoi genitori e perdonasse una società che purtroppo non sarebbe stata mai in grado di accettare quello che erano. “N-non sapevo cosa fare, sono stata così male a-a causa d-di mio padre e n-“

“Shh, odio vederti piangere, ti prego calmati.” Disse Lena, alzandosi sulle punte ed avvolgendole le spalle con le braccia, stringendosela addosso più che poté. Una mano ad accarezzarle i soffici capelli e l’altra che stringeva forte parte della sua tunica, come a volersi aggrappare a lei per non lasciarla andare più via.

“N-no, io non…” Tentò di replicare Kara a corto di fiato. “Sono stata sincera,, g-gli ho detto c-che ti amo e che non ci voglio vivere s-senza di te… i-io non voglio stare s-senza di te. Hai capito?” Continuò con disperazione, stringendo convulsamente la vita dell’altra e scossa da tremiti incontrollati. “T-ti prego, ti prego…”

Lena attinse a tutta la sua forza per far si che l’altra riemergesse dal suo collo per far incrociare i loro sguardi e quando accadde, anche Kara notò che il viso dell’altra era solcato da silenziose stille salate. Sentì il suo viso accarezzato da mani gentili e l’odore inebriante di Lena la stava confondendo, così fissò lo sguardo nelle iridi liquide di lei e dopo alcuni respiri profondi tentò di parlare.

“Sono partita perché volevo dimostrare a m-me stessa e a te che possiamo essere entrambe o-orgogliose della persona che sono. V-volevo tu fossi fiera di me e volevo d-dimostrarti che avrei combattuto sempre per ciò che per me è importante.” Iniziò Kara, indietreggiando di qualche passo per appoggiarsi al tavolo, ma non avendo mollato la presa sulla vita dell’altra, Lena fu costretta a seguirla. Quando la bionda si poggiò sulla superficie improvvisamente Lena divenne di qualche centimetro più alta di lei e involontariamente un dolce sorriso sbocciò dalle sue labbra carnose. “E l’ho fatto Lena, te lo giuro. Ho combattuto per me stessa e p-per noi, dichiarando apertamente a mio padre quanto io ti ami, quanto la mia vita sarebbe inutile senza di te e-e quanto io mi senta d-dipendente dall’amore che mi dai.”

Dal suo canto, l’unica risposta sensata per Lena fu avvicinare le sue labbra a quelle dell’altra per unirsi in un tanto agognato bacio. Si sfiorarono lentamente, quasi come fosse il loro primo contatto ed entrambe sospirarono ripetutamente ogni volta che le loro labbra si accarezzavano anche solo per un istante. Ma dopo alcuni attimi, il bisogno di ricongiungersi esplose prepotente nel cuore di entrambe e Lena si ritrovò a spingere di più le labbra contro quelle di lei, mordicchiandone il labbro inferiore alla ricerca di più contatto. Timidamente Kara schiuse le labbra, lasciandosi inondare dal sapore frizzante di lei e in un attimo il resto del mondo scomparve per lasciare posto ad una profonda e necessaria ricongiunzione di anime. Le loro lingue lottarono pacificamente per alcuni minuti, bisognose di esplorare a vicenda la bocca dell’altra nel tentativo di abbattere ogni barriera, ogni timore, ogni tensione.

Ad un tratto però, Kara sentì fuoriuscire un leggero lamento dalla gola dell’altra e titubante si distaccò per capire cosa l’avesse turbata.

“H-ho sbattuto la mano sull’impugnatura della tua spada e mi ha ricordato la sua forza.” Esclamò Lena, rispondendo alla tacita domanda di Kara. “Noi dobbiamo essere unite Kara, perché solo così saremo più forti e capaci di proteggerci a vicenda. Promettimi che non mi terrai mai più allo scuro di nulla, perché non è tenendomi lontana che mi proteggerai. Intesi?” Continuò poi, baciandola di nuovo a fior di labbra e continuando ad accarezzarle il viso con venerazione. “Non ricordavo fossi così bella e vestita così poi… mi manca il respiro.”

“Credevo amassi i miei abiti.” Rispose imbronciata Kara, abbassando lo sguardo sul mento di lei ed iniziando a tempestarlo di baci. “Non accadrà mai più nulla di simile comunque, è una promessa. Non so ancora bene come affronteremo mia madre, ma so che lo faremo insieme e questo mi rasserena molto.”

“Quando dico che ti amo non lo dico soltanto perché ti desidero Kara, non lo dico perché è bello dirlo o perché è qualcosa che si dice quando ci si unisce ad un’altra persona.” Spiegò Lena, guardando l’altra negli occhi con una serietà disarmante. “Quando dico che ti amo lo dico perché sono profondamente, violentemente, inesorabilmente innamorata di te. Provo amore per te, un amore che prima d’ora avevo soltanto potuto conoscere tramite i miei libri e non avrei mai pensato neppure nei miei pensieri più reconditi di poter avere tutto per me un amore come questo. Ma ce l’ho e anche se so che mi ami, so anche che non è questo il punto. Non ti amo perché mi aspetto qualcosa in cambio o perché pretendo di essere ricambiata per ciò che ti offro. Ti amo perché amarti mi fa sentire bene, mi rende migliore e forse sarà anche egoistico, ma non mi importa. Se egoismo significa questo, allora vorrei che tutti lo fossero un po’ di più.”

Il sorriso e gli occhi lucidi di Kara, fecero comprendere a Lena che l’altra aveva capito le sue parole e dopo averle scompigliato bonariamente i capelli, decise di allontanarsi da quel magnifico corpo e lasciarsi alle spalle tutte le emozioni negative che l’avevano marchiata a fuoco in quell’ultimo periodo. Voleva ricominciare, andare avanti con la fanciulla che amava.

“Dai, ero venuta per la frutta perché ho fame, quindi direi che adesso possiamo mangiare. Che dici?”

E quando Kara parlava di cibo, significava davvero che era tutto sistemato tra loro, per cui divertita, Lena aggirò velocemente il tavolo ed iniziò a servirsi. “Si, direi che possiamo mangiare la nostra frutta.”
 
[1] Riferimento a personaggi DC
  
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