Serie TV > Elisa di Rivombrosa
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Autore: wolfymozart    09/10/2017    1 recensioni
Sullo sfondo delle prime rivolte contadine antifeudali, si snoda la vicenda che ha per protagonisti Anna e Antonio. Come i rivoltosi si ribellano alle ingiustizie della società del tempo, allo stesso i due protagonisti, sono alle prese con una personale rivolta contro i propri destini segnati dagli errori, dalle incomprensioni e dalle scelte avventate del passato. La giustizia riuscirà a trionfare o prevarrà l'arroganza della sorte?
Genere: Azione, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Anna Ristori, Antonio Ceppi, Elisa Scalzi, Emilia Radicati
Note: Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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-Che le è successo? – chiese il medico, sforzandosi di dominarsi, come se si stesse informando sulle condizioni di uno qualsiasi dei suoi pazienti. Ma lei non era una paziente qualsiasi, non lo era mai stata, neppure quando lo riceveva a fatica, mandato a chiamare dalla servitù.
- Un agguato da parte di un gruppo di ribelli, così pare. Di più non so. – rispose l’amico, facendogli strada nel corridoio fiocamente illuminato dalla luce delle candele. - Tu ne saprai di certo più di me… - insinuò poi voltandosi e squadrando quello che era stato negli anni della giovinezza un suo caro amico, ma che ora stentava a riconoscere. Era sempre stato un anticonformista, un ribelle, pur nella sua estrema pacatezza e cortesia. Aveva rinunciato al titolo, alle terre, alle ricchezze, ma non lo credeva capace di invischiarsi in una ribellione armata, di essere colluso con gente di tale risma, gente che aveva attentato alla vita di sua sorella. Eppure il suo amico Antonio, il medico dei poveri, il difensore degli oppressi, era in combutta con quei tipi violenti che gli avevano riportato la sorella in fin di vita. E che lo mandavano a ringraziare, per giunta.
- Non capisco a che cosa tu ti riferisca – rispose lui, troppo angosciato per poter cogliere la sfumatura di accusa nelle parole dell’amico. Non gliene importava nulla dei ribelli, in quel momento.
- Antonio, che cos’è successo durante la mia assenza? – domandò Fabrizio mentre ormai stavano guadagnando la soglia della stanza di Anna, avanzando nel corridoio semibuio, illuminato qua e là dalla fioca luce di qualche candela prematuramente accesa.
- Lo dovresti già sapere. – rispose laconico, lo sguardo fisso su quella porta, che tanto temeva di aprire.
- No, non lo so. Quei bastardi mi hanno fatto il tuo nome, ti mandano a ringraziare. In quali guai ti sei cacciato? Sei loro complice? – lo scrutò in volto interrogativo.
- Fammi entrare. – ingiunse il medico all’amico che se ne stava con un braccio appoggiato allo stipite della porta, bloccandogli il passo e posando su di lui uno sguardo inquisitore. – Spostati, la marchesa sta male, non c’è tempo da perdere. – rincarò Antonio.
- La marchesa? Ora la chiami così? Un tempo non ti facevi scrupoli a chiamarla per nome… Mio cognato, quei contadini, troppe insinuazioni…Antonio, dimmi la verità, che cosa è successo tra te e mia sorella? – lo interrogò cupo Fabrizio, senza spostarsi di un centimetro.
- Non lo so dove si trova la mia legittima consorte. Chiedetelo a lui. Chiedetelo a quel pezzente! Sarà sicuramente più informato di me su dove si trovi quella puttana di vostra sorella!
- Ringraziate il dottor Ceppi! –
Tutti questi dettagli si stavano ricomponendo nella mente di Fabrizio in un quadro ben delineato, in cui il vecchio amico ricopriva un ruolo non certo secondario. Anche se non si capacitava di come fosse possibile quello che si immaginava; di come fosse possibile che sua sorella avesse finalmente messo da parte il suo orgoglio dopo tutto il rancore di quegli anni.
-Non è questo il momento! – esclamò per tutta risposta Antonio, scansando l’amico con un’irruenza inusuale per lui, sempre così pacato e controllato, e spalancò con gesto deciso la porta.
 
 
La luce soffusa delle candele e quella più viva del fuoco acceso nel camino alla destra del letto consentirono ad Antonio di scorgere adagiata tra i cuscini quella donna che non avrebbe mai voluto vedere in tali condizioni; quella donna che aveva sperato di rivedere felice, finalmente libera, raggiante; quella donna che aveva perso già una volta per colpa sua e non si sarebbe permesso per nulla al mondo di perdere di nuovo. Il volto pallido, le labbra esangui, i capelli bagnati di pioggia scomposti sul cuscino, le braccia inerti distese lungo i fianchi. Cercò il suo sguardo, anelò a scorgere in quegli occhi tanto profondi una risposta incoraggiante, ma fu inutile, le palpebre non accennavano a sollevarsi: aveva perso conoscenza.
Trattenne il fiato. Intorno il silenzio rotto soltanto dallo scrosciare violento della pioggia sui vetri delle finestre. Poi man mano gli si offrirono anche gli altri dettagli della stanza, quella stanza così accuratamente arredata, in cui si poteva cogliere ad ogni angolo il gusto raffinato della proprietaria, quella stanza sfarzosa ma senza eccedere, elegante ma senza ostentazione, pregiata ma al contempo austera. Un po’ come lei, così impeccabilmente elegante, così fiera ma allo stesso tempo severa e pudica; così rispettosa della forma eppure così profonda; così intransigente con sé e con gli altri eppure così dolce; così forte eppure così fragile. Così complessa, insondabile, imprevedibile. Per tutti, ma non per lui, l’unico a cui avesse consentito di guadare dentro di lei, senza veli o finzioni. Dopo essersi soffermato a constatare quella straordinaria corrispondenza tra l’arredamento e l’inquilina della stanza, si accorse di un’altra presenza umana, l’anziana serva Amelia, in ginocchio accanto alla padrona che aveva allevato sin da bambina, fra le mani un panno che le passava sulla fronte, sul volto, per asciugarle la pioggia e il sudore.
Non c’era altro tempo da perdere. Era lì per fare il suo dovere di medico, non per smarrirsi nei meandri di riflessioni inutilmente nostalgiche. Quella non era Anna, quella era una paziente, una paziente che necessitava di cure. E al più presto. Al resto avrebbe pensato dopo.
-Dottore, come mai non si sveglia? Che l’è successo? Ci dobbiamo preoccupare? – chiese l’anziana con voce ansiosa, ma al contempo riponendo una fiducia incondizionata nel medico.
Antonio non le rispose. Gettò a terra con un movimento brusco il mantello zuppo d’acqua e si precipitò dal lato opposto di Amelia. Un’occhiata veloce. Qualche ferita sul viso, sulle braccia, ma nulla di grave, tale da giustificare quello stato. Che diavolo le era successo? O era lui a non essere obbiettivo, a negare a se stesso la gravità delle sue condizioni?
Era una paziente come tante e lui era lucido: non avrebbe sbagliato la diagnosi, accadeva raramente. Le scostò una ciocca di capelli e finalmente si accorse della profonda ferita sul capo. Trasalì. Una ferita da corpo contundente. Chi diamine aveva osato colpirla in quel modo? Alvise? Iniziò a sudare freddo. Con le mani tremanti le scostò i capelli, quegli splendidi boccoli che avrebbe desiderato accarezzare, non recidere. Amelia si accorse del suo turbamento:
-Dottore, che succede? Vi sentite bene? È così grave? –. Forse che la sua incrollabile fiducia nel dottore stesse iniziando a vacillare?
- No, Amelia, non temere. Portami le forbici. E dell’acqua calda. Presto. – pronunciò in un soffio, senza nemmeno rivolgerle lo sguardo, che teneva fisso sul viso che tanto amava. Ma il suo amore, in quel frangente, non gli era che d’ostacolo.
- Sarà fatto, dottore, al più presto. – rispose Amelia alzandosi di slancio, nonostante l’età. Uscendo lasciò il passaggio a Fabrizio.
Il conte stava lì in piedi, in silenzio, le braccia conserte e lo sguardo corrucciato fisso ora sul medico ora sulla sorella. Prese posto in un angolo nella penombra; non disse una parola, osservava con scrupolosa attenzione le azioni di Antonio. Amelia rientrò con quanto richiesto e si acquattò accanto a Fabrizio, mormorando di quando in quando: - Oh Signore Santo, aiutaci! – e ripetendo all’infinito il segno di croce. Solo quei suoi devoti borbottii si udirono, fin quando la voce stentorea di Fabrizio squarciò il silenzio.
-Che ti prende, Antonio? –
Il medico si girò di scatto. Aveva reciso a malincuore varie ciocche di capelli e stava suturando, con il tocco più delicato che conosceva, quella brutta ferita. Sobbalzò alle parole dell’amico.
-Stai tremando! La tua mano non è ferma! Non te ne accorgi? Che ti prende? –
No, non se n’era accorto. Ma lo poteva benissimo immaginare. Dentro di lui tutto tremava: le speranze, i ricordi dolci ma strazianti di quegli ultimi giorni, il futuro radioso che si prospettava. Era l’intera sua vita a vacillare. Non c’era da stupirsi che anche le sue mani tremassero. Tuttavia non fu in grado di rispondere. Si voltò e riprese in mano i ferri. Ma, come per dar credito alle parole di Fabrizio, gli caddero di mano con un fragore metallico che fece sgranare gli occhi ad Amelia, impegnata nella fervente recita del rosario.
-Perdio! Non te ne accorgi proprio? Non sei in grado di svolgere il tuo lavoro in queste condizioni! – Stavolta il tono era quello di un rimprovero.  – Amelia, di’ ad Angelo di chiamare un altro medico! – ordinò poi.
- No! Non se ne parla! – si riscosse Antonio.
- Ma non ti vedi? Non riesci a reggere in mano i ferri! Tremi, ha gli occhi fuori dalle orbite. Non sei nelle condizioni di occuparti di mia sorella. E se, disgraziatamente, per colpa tua dovesse…non ci voglio pensare! Chiameremo qualcun altro. – concluse visibilmente preoccupato e alterato.
- Non succederà. Non succederà. – Più che convincere Fabrizio, tentava di convincere sé stesso.
- Ti ripeto la domanda: che cosa c’è stato tra te e mia sorella? È colpa tua se si trova in queste condizioni? Rispondimi! – gli ingiunse fissandolo dritto negli occhi.
- Colpa mia? Sì, perché le ho permesso di ritornare da quel lurido bastardo di tuo cognato. È lui ad averla ridotta così, non è vero? –
- Che c’entra mio cognato ora? Quei ribelli…che rapporti hai con quella gente, Antonio? Perché ti mandano a ringraziare e riportano a casa Anna come favore personale per te? –
- Favore personale per me? – chiese sinceramente sorpreso.
- Sì, proprio così. E tu ora mi rispondi: durante la mia assenza tu e Anna siete diventati amanti? Ciò spiegherebbe il motivo per cui non sei in grado di svolgere il tuo lavoro…le battute di mio cognato…-
- Non è il momento, Fabrizio. Non è questo il momento. -tagliò corto e fece per voltarsi e riprendere il lavoro, ma Fabrizio lo agguantò con foga e lo costrinse faccia a faccia con lui, stringendogli con forza il polso.
- Eh no! È questo il momento. Devo capire se sei o meno in grado di curare mia sorella! –
- Lo sono. Lasciami lavorare! – rispose Antonio, cercando di fuggire lo sguardo severo e preoccupato dell’amico.
La discussione si stava accendendo, quando Elisa fece irruzione nella stanza.
-Che diavolo state facendo voi due?-   domandò con voce isterica alla vista che le si parò davanti.
Fabrizio, fuori di sé per le sorti di sua sorella, stringeva con forza il polso dell’amico, costringendolo così di fronte a lui e impedendogli altri movimenti; Antonio, in evidente difficoltà, cercava di divincolarsi dalla stretta e al contempo di evitare gli occhi furenti dell’amico; Amelia, infine, sprofondata su di una sedia, si profondeva in preghiere e lamenti tali da far concorrenza alle prefiche romane– Oh Signore Santo, oh buon Dio, abbi pietà, abbi pietà- Un continuo sottofondo di preghiera che avrebbe garantito anche al peccatore più incallito l’ingresso diretto in paradiso! Ma bisogna scusarla, quest’anziana devota: di medicina capiva ben poco, degli altri discorsi dei due ancor meno, l’unica cosa che sapeva e poteva fare in quel frangente era scomodare il Signore, la Madonna e tutti gli altri santi messi insieme. Nessuno si curava invece di Anna che giaceva immobile nel letto, senza dar segno alcuno di intendere il trambusto che si era creato intorno a lei.
-Vi sembra il caso di mettervi a discutere adesso? Siete forse impazziti tutti e due? – rincarò la giovane serva con parole e modi che in altre circostanze sarebbero parsi quantomeno impertinenti.
- Elisa, non ti intromettere in cose che non ti riguardano! – le gridò di rimando Fabrizio, senza distogliere lo sguardo da quello del medico.
- Hai detto bene, riguardano la marchesa Anna, di cui nessuno di voi due sembra occuparsi! –
- Allora forse non ti è chiaro! Il tuo amico Antonio non è in grado di curarla, non riesce nemmeno a reggere in mano i ferri! E io che cosa dovrei fare? Stare a guardare? Mentre c’è in gioco la vita di mia sorella? – Fabrizio ora si era voltato verso la serva, liberando Antonio dalla stretta.
- Antonio è il medico migliore della contea, dovresti saperlo! –
- Pensavo anch’io che lo fosse, ma mi son dovuto ricredere. Manderò a chiamare un altro medico. –
- No, ti stai sbagliando! Si tratta solo di circostanze particolari, forse è per quello che…-
- Di quali circostanze parli? Che cosa sai tu che non so? Tra quei due è successo qualcosa, vero? – la incalzò.
- Non ne so nulla. E, in ogni caso, che cosa importa ora? Non è qui il problema.-
Mentre i due avevano preso a questionare animatamente, Antonio si era lasciato cadere su di una sedia accanto al letto, la testa tra le mani, lo sguardo basso. Che cos’era giusto fare in quel frangente? Il bene di Anna qual era? Che lui facesse un passo indietro? Forse un altro collega, uno di quei colleghi altolocati che tanto lo detestavano e che lui tanto detestava, un qualsiasi altro medico non coinvolto, razionale, freddo avrebbe curato Anna meglio di lui, che stentava a riconoscersi, incapace com’era di tenere a bada il tremore che lo scuoteva da capo a piedi. Forse Fabrizio aveva ragione: era in ansia per sua sorella, avrebbe desiderato per lei le cure migliori e si era spaventato nel percepire il turbamento nelle mani di colui al quale l’aveva affidata. Un altro medico, un collega, gli avrebbe tolto quel macigno enorme che gli gravava sulla coscienza, quella responsabilità spropositata che lo faceva tremare come una foglia: si sarebbe potuto mettere in disparte ad osservare, si sarebbe potuto abbandonare alla sua angoscia, alle speranze, ai rimorsi, senza dover per forza restare impassibile, razionale, freddo, mentre la donna che amava rischiava la vita. Sarebbe stato tutto più facile, si disse.
- Oh sì che importa! Manda Angelo a cercare il medico più vicino. Subito! – la voce concitata di Fabrizio squarciò il flusso dei suoi pensieri. No, non poteva permettere che un estraneo si avvicinasse ad Anna, non poteva lasciarla nelle mani del primo venuto, foss’anche un esimio collega, titolato e accademico. No. Era fuori discussione questo. Non si fidava di nessuno, non avrebbe rimesso nelle mani di nessun altro la vita della donna che amava. Spettava a lui questo compito, questa responsabilità. A lui solo. E se la sarebbe assunta fino in fondo, non si sarebbe sottratto.
- No! – gridò rialzandosi di scatto dalla sedia, i capelli scomposti, lo sguardo tanto alterato da far spavento. – Andatevene tutti! – aggiunse poi a voce alta. Elisa e Fabrizio lo guardavano sbigottiti, sorpresi da quella sua reazione. – Mi avete sentito? Fuori! – Fabrizio cercò di obiettare qualcosa, ma venne investito da quel suo inconsueto furore. – Lasciatemi solo con lei! Andatevene fuori! Tutti! – aggiunse rivolto alla povera Amelia, che raccattò in fretta il rosario e tra un Pater e un Salve regina per prima sgattaiolò barcollando fuori dalla stanza. Fabrizio non voleva desistere, ma lo sguardo dell’amico non lasciava adito a repliche. Con le mani alzate in segno di resa, si avviò alla porta, non del tutto convinto, chiedendosi ancora in cuor suo se fosse il caso di chiamare davvero un altro medico, un po’ più equilibrato, un po’ meno turbato. Solo Elisa si attardò. Volle, prima di uscire, avvicinarsi ad Antonio. Lei che sapeva tutto, lei che conosceva i reali motivi per cui quell’operazione gli costasse così tanta fatica, lei che era a conoscenza del perché del suo tremore, che aveva chiare le sue ansie, le sue paure.
- Sei proprio sicuro, Antonio, di farcela da solo? – gli sussurrò a voce bassa per non farsi sentire da Fabrizio.
Il medico, ancora scosso per quel suo gesto di stizza di poco prima, non le rispose, ma le diede ad intendere di aver capito i suoi dubbi e con un rapido cenno del capo la rassicurò circa la sua intenzione di andare avanti da solo. La giovane comprese questa muta risposta e, dopo un leggero buffetto di incoraggiamento sulla sua spalla, se ne uscì dalla stanza.
Finalmente solo, Antonio si inginocchiò accanto al letto: - Non ti lascio, Anna. Mi occuperò io di te, non ti lascerò nelle mani di nessun altro. E ti giuro che presto riaprirai gli occhi e di questa faccenda ci dimenticheremo. – le baciò una mano con devozione, poi, calmatosi un po’, riprese il lavoro interrotto. Tamponò, lavò, suturò la ferita, le passò insistentemente un panno bagnato sulla fronte, per alleviare la febbre che l’infezione aveva causato e, infine, distrutto, si abbandonò sulla sedia accanto a lei. Il fuoco del camino alle sue spalle gli asciugava la camicia ed i capelli, mentre fuori la pioggia continuava a scrosciare indefessa.
-E’ colpa mia, non avrei mai dovuto lasciarti andare questa mattina. Perdonami, ho sbagliato anche questa volta. Lo so, sbaglio sempre con te. Ma non puoi farmi questo, non puoi punirmi così! Ti amo, Anna, non mi puoi abbandonare proprio ora che ci siamo ritrovati!  – le parlava con voce rotta, esausto, angosciato, spaventato, per nulla sicuro del potere della sua medicina, in cui tanto aveva creduto. – Non lo farai, ne sono certo: me l’hai promesso. E tu non sei come me, tu le promesse le mantieni. Non è così, amore mio?-  Ma Anna sembrava non sentirlo, restava impassibile, persa in chissà quali angoli remoti.
Si era ormai nel cuore della notte, la candela sul comodino lanciava gli ultimi suoi bagliori prima di spegnersi del tutto, ma il fuoco del camino continuava a riscaldare e rischiarare le speranze di Antonio, la tenace lotta di Anna. Il pendolo a muro scoccò le tre. Da ore più nessuno aveva osato entrare nella stanza o anche soltanto bussare. C’erano solo loro due, nessun altro, nessuna barriera, nessun vincolo, nessun ostacolo sociale o familiare che si interponesse tra loro. Antonio l’accarezzava, le parlava, le confessava tutto quel che mai era riuscito a dirle prima, vuoi per orgoglio, vuoi per paura. Un momento di intimità, di comunicazione immediata e spontanea. Se solo i suoi occhi si fossero aperti…
Antonio era sfinito. Sfinito da quella interminabile giornata, dall’angoscia per Anna, da quell’operazione che gli era sembrata senza fine, dalle botte, dal sonno, dal freddo e dalla pioggia che gli aveva impregnato i vestiti, dall’accesa discussione che aveva ingaggiato con Fabrizio, da tutti i suoi dubbi, i suoi rimorsi e i suoi pensieri. Si assopì, la testa appoggiata al bordo del letto, la mano che nel sonno stringeva saldamente, disperatamente quella di Anna. Nella stanza solo il crepitare del fuoco, il rumore della pioggia battente e i loro respiri. La notte si incamminava verso l’alba.
Un sogno, piacevole, bello, di una giornata di sole nei giardini della tenuta. Di una giornata di primavera di tanti anni prima. I fiori nelle aiuole, le siepi curate, una giovane donna in abito chiaro che attende sul piazzale davanti all’ingresso. Bella, elegante, sembra in attesa di qualcuno o di qualcosa, di qualche notizia. Si guarda attorno, ansiosa ma contenta, fiduciosa. Lui la scorge avvicinandosi a cavallo, la riconosce, un ampio sorriso gli si stampa in viso. Tira le briglie per fermarsi sul piazzale, a pochi metri da lei. Con un agile salto scende di sella, impaziente. Lei gli sorride il sorriso di una giovane innamorata, poi gli corre incontro piena di speranza.
- Antonio! – lo chiama per nome avvicinandosi – Non darti pena per mio padre, acconsentirà sicuramente- aggiunge con un sorriso rassicurante. Gli porge poi la mano affinché lui gliela baci.
- Anche se non dovesse acconsentire, ciò non mi impedirà di tener fede alla promessa. Ti sposerò lo stesso, Anna, perché non potrei mai amare nessun’altra, se non te. – risponde lui fissandola con quei raggianti occhi azzurri. La giovane risponde al sorriso, illuminandosi di gioia e stringendogli la mano che teneva la sua. Ah se le cose fossero andate così! Ma solo nei sogni si può tornare indietro e cambiare il corso degli eventi. O forse no?
Una stretta. Una stretta di mano simile a quella riservatagli dalla giovane in sogno. Una stretta tanto leggera, quasi impercettibile, una stretta che non lo risvegliò del tutto dal suo sogno. Una stretta che però riaccese in lui la speranza. Ma la stanchezza era troppa, il sogno troppo bello per poterlo abbandonare proprio in quel momento: il sonno si riappropriò di lui. Ma qualcosa lo voleva richiamare a tutti i costi alla realtà, lo voleva risvegliare dalle sue fantasticherie. Sentì una mano accarezzargli i capelli. Questo non c’era nel sogno. Che stava succedendo? Si riscosse sotto quelle carezze tanto desiderate. Intrappolò quella mano nelle sue. E quando riaprì gli occhi, la gioia del suo sguardo fu inesprimibile.
-Anna! Ti sei svegliata! – esclamò alzandosi della sedia per inginocchiarsi vicino al viso di lei, per fissare finalmente i suoi occhi, senza mollarle la mano, che continuava a custodire gelosamente nelle proprie. Gli occhi che brillavano, la voce rotta dalla commozione, il sorriso stampato in volto. La stanchezza, la paura, i dolori dei colpi che cos’erano in quel momento? Nulla.
- Come ti senti? – le chiese.
- Sto bene - gli rispose di rimando Anna, con un debole sorriso. Poi aggiunse: - Sto bene perché non avrei voluto vedere altri che te. E tu sei qui. –
- Ma la ferita? Ti fa male? Riesci a ricordare quel che è successo? – emerse la preoccupazione del medico per la salute della sua paziente. Ma Anna non accennava a dare una risposta a quelle domande, si limitava a guardarlo con immutato amore, sorridendo. Questo atteggiamento, che deliziava l’uomo innamorato, non bastava però al medico che restava perplesso, non del tutto sollevato.
- Ma mi riconosci, quindi? Ti ricordi qual è il mio nome? – insistette, apprensivo, per accertarsi che le facoltà della memoria non fossero state danneggiate dal colpo.
- E come potrei mai dimenticarlo, Antonio? – disse, scandendo a voce più alta quel nome che tanti significati portava con sé, quasi infastidita dal fatto che lui la credesse priva di memoria, incapace di intendere. E soprattutto dal fatto che potesse pensare che, anche solo per un attimo, si fosse scordata del suo nome. Poi, liberata la mano dalla stretta di lui, gli accarezzò i capelli, lo strinse a sé e, seppur con grande sforzo, si sollevò sui gomiti per imprimergli un bacio sulle labbra. – Io ti amo, Antonio, non potrei mai dimenticarmi di te. Mai. – chiarì poi, baciandolo di nuovo.  – E poi, hai visto? Ho mantenuto la promessa. –
- Quale promessa? – era lui, in realtà, ad essere in preda a un’amnesia, la guardò smarrito.
- La promessa che ti ho fatto questa mattina.- rispose gettandogli le braccia la collo, lui la strinse sé ricordandosi in quel momento delle parole che gli aveva rivolto congedandosi. Anna proseguì: -  Come vedi, sono tornata da te! –
- Non ne ho mai dubitato, neppure per un istante…- le assicurò lui, la fronte appoggiata alla sua, accarezzandole una guancia e lasciando i suoi occhi perdersi in quelli di lei. Non riusciva più a staccare lo sguardo da quegli splendidi occhi finalmente dischiusi, luminosi e profondi come lo erano sempre stati. Forse appena velati dall’affanno appena passato, dalla commozione di quei momenti, ma comunque stupendi. – Tu non sei come…- tentò di continuare Antonio, ma quelle parole vennero interrotte da un bacio appassionato, quasi folle, come folli d’amore erano forse quei due in quel momento. Staccandosi un istante da lui per riprendere fiato da quel turbinio di emozioni, Anna soggiunse, come a voler suggellare una volta per tutte quella promessa d’eterno amore:
- E, accada quel che accada, non temere, amore mio: da te tornerò sempre –
   
 
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