14
La Prova
Quando Airis si
risvegliò, la prima cosa che attirò la sua
attenzione fu il forte odore di ruta e caprifoglio. Socchiuse appena
gli occhi e si massaggiò la fronte, il cervello ancora
annebbiato dal sonno. Solo in un secondo momento, quando si
puntellò sui gomiti su una superficie morbida, si rese conto
di essere distesa su un pagliericcio e che, a parte una coperta, non
aveva altro addosso.
- Ti sei svegliata, lupa. -
Airis girò la testa di scatto nella direzione da cui
proveniva la voce e allungò la mano al suo fianco senza
guardare, ritrovandosi però ad artigliare il vuoto.
- Se stai cercando la tua spada, è lì sopra. - lo
sconosciuto le indicò un basso tavolo con un movimento del
capo, - Non ti servirà ora, non ho intenzione di farti del
male. -
- Dov'è Arghail? - gracchiò, la gola secca e
infiammata.
- L'uomo che viaggiava con te? È nella camera della mia
compagna, non si è ancora svegliato. -
Lo sconosciuto si alzò dallo sgabello in cui era rimasto
seduto fino ad allora – e chissà per quanto
l'aveva osservata dormire in silenzio, pensò Airis con un
brivido di inquietudine – e si avvicinò al
davanzale della finestra alla sua sinistra, da dove prese un mazzolino
di erbe da un cestello a terra per poi metterle in un piattino per
bruciarle assieme ad altre, la maggior parte delle quali erano
già ridotte in cenere. Subito nella stanza si diffuse un
odore simile a quello dell'incenso, e in qualche modo Airis
avvertì le proprie membra rilassarsi.
- Ti sei buttata in acqua per salvare il tuo amico. Un gesto molto
nobile, il tuo. - commentò l'uomo in tono casuale, come se
stesse discutendo del tempo.
Airis spalancò gli occhi. Si sentiva ancora un po'
intontita, ma ricordava perfettamente quello che era successo.
- Chi sei? - indagò cauta sforzandosi di restare aggrappata
alla lucidità, nonostante la percepisse scivolare via pian
piano, sempre di più.
Egli non rispose subito. Si avvicinò al focolare sotto la
finestra dove sobbolliva una pentola e, dopo aver aggiunto un po' di
legna, passò la mano sulle fiamme. Bastò quel
semplice gesto perché queste si ravvivassero, alzandosi
allegre fino a lambirgli le dita, senza però ustionarle.
Airis lo fissò sbalordita mentre lui continuava a regolare
il fuoco. Di spalle sembrava ancora più alto e slanciato di
quanto le era parso all'inizio.
- Sei un mago? -
- Tra la tua gente forse mi chiamereste così, sebbene sia
una definizione generica e imprecisa. -
Si voltò e la trafisse con uno sguardo penetrante. I suoi
occhi erano ambrati, leggermente sporgenti, con la pupilla ridotta a
una fessura nera. I capelli erano della stessa tonalità
delle braci ardenti, un arancione vivo che sulla punta della lunga
treccia sfumava in un giallo paglierino chiarissimo. Nascoste tra le
ciocche chiare, intravide delle orecchie a punta grandi come quelle di
un uomo, ma affusolate come quelle di un elfo.
- Non hai ancora risposto alla mia domanda. -
- Il mio nome è Urian, lupa rossa. Ti trovi tra quelli che
sono noti come i Monti Neri, più precisamente nella mia
casa. -
- E come fai a sapere cosa è successo? Perché ci
hai salvati? Come hai fatto a... - la sua voce si spense e in un attimo
la sua mente si perse nei ricordi della tempesta, della sensazione
dell'acqua che le riempiva i polmoni, della paura di morire annegata in
mezzo ai flutti violenti del mare.
Urian stirò le labbra in un mezzo sorriso: - So molte cose.
Vedo e ho visto frammenti di ciò che fu e di ciò
che sarà, anche se spesso non sono riuscito a interpretare
il loro significato. -
- Sei un... veggente? Un oracolo? -
Urian annuì solenne. C'era così tanta convinzione
in quel gesto che Airis si rese conto che non stava mentendo. Era
assurdo, irragionevole e impossibile, ma, come la maggior parte delle
cose che le erano successe negli ultimi anni, anche se stentava a
crederci era reale.
“Ed è anche la meno strana di tutte.”
- Tu sei la lupa rossa che vedo fin da quando sono nato. - Urian prese
il mestolo appeso alla parete sopra il tavolo e lo girò
nella pentola appesa a un gancio di ferro sopra le fiamme del
caminetto, - Sei sempre stata presente, anche se non ti sognavo tutte
le notti. Mi sono chiesto se esistevi davvero e cosa significassi per
me, se non fossi un crudele scherzo della mia mente, e sino ad oggi
credevo che sarei morto senza capire. -
Airis non sapeva come rispondere, così preferì
tacere e sfruttare la pausa per raccogliere le idee. Coprendosi il
corpo nudo con il lenzuolo, si mise a sedere e gettò
un'occhiata intorno. Si trovava in una stanza non molto grande, pervasa
dal profumo degli incensi che bruciavano sui davanzali delle due
finestre e dall'odore di minestra di verdure cotte. Il tavolo dove era
stata appoggiata la sua spada era ingombro di erbe, libri e pergamene,
mentre gli utensili da cucina, così come le pentole di rame,
erano attaccati alla parete su dei semplici chiodi di bronzo. Una
pelliccia di orso bruno fungeva da tappeto, con una zampa protesa verso
di lei e l'altra verso la cassapanca alla sua destra.
- Ora, invece, cosa credi? - lo interrogò dopo un momento.
Urian riprese a girare la minestra, prima in un senso poi nell'altro.
Si girò appena e fissò lo sguardo sulla porta
socchiusa, quella che dava sull'interno della casa. Un respiro un poco
più forte arrivò alle orecchie di Airis, seguito
dal crepitio della paglia schiacciata.
- Vado a vedere come sta il tuo compagno. Anche lui avrà
molte domande. -
Urian le passò accanto, uscì e sparì
oltre la soglia. La guerriera lo seguì con lo sguardo e,
quando fu lasciata sola, trasse un sospiro di sollievo. La presenza del
veggente la metteva a disagio, anche se non sapeva spiegarsene il
motivo.
La sala era calda e accogliente e la coperta la proteggeva dagli
spifferi che si intrufolavano sotto le finestre. Si alzò dal
pagliericcio e ispezionò l'ambiente con più
attenzione ai dettagli. Dietro le file di libri e fogli che infestavano
il tavolo scorse il profilo dello schienale di una sedia, sulla quale
era stata piegata la sua tunica con la sua biancheria. Era leggermente
umida e le maniche erano ancora bagnate, ma era sempre meglio che
andarsene in giro nuda. Indossò sul torace la fascia per
contenere il seno e la tirò finché non fu
abbastanza stretta.
In quell'istante la porta cigolò alle sue spalle e Urian
condusse Arghail verso il tavolo. Airis si riavvolse velocemente nella
coperta, si scostò e gli porse la sedia, ma il suo compagno
la rifiutò con un cenno. Aveva delle brutte occhiaie e il
taglio aperto sulla guancia gli conferiva un'aria ancora più
stanca.
- Non penso serva che ti chieda come ti senti. - gli disse con un
sorriso tirato.
- Immaginate bene, Generale. - ridacchiò lui, senza che gli
occhi si accendessero, - Vi... ti devo la vita, non so davvero come
ringraziarti. -
- Siamo compagni d'armi, non potevo lasciarti morire. -
Arghail annuì e portò la mano al collo, alla
ricerca della collana con l'anello. Quando le sue dita si strinsero
sulla pelle, si morse le labbra con espressione contrita ed
esalò un profondo sospiro carico di tristezza e
rassegnazione.
- Dove siamo? -
- Sui Monti Neri. Sei caduto dalla nave e la lupa rossa si è
buttata per salvarti. - spiegò rapidamente Urian.
- Sì, quello me lo ricordo, solo... - si interruppe e
alzò lo sguardo sul veggente, poi lo spostò su
Airis, - Una lupa rossa? -
- Ti spiego dopo. -
Arghail si massaggiò le tempie e strizzò gli
occhi per scacciare l'emicrania. Indossava una cioppa di lana grigia
con le maniche lunghe e abbastanza ampie, la quale metteva in mostra la
tunica a collo alto dello stesso colore che sottolineava più
del necessario il colorito pallido delle guance appena imporporate dal
calore della stanza.
- Mi dispiace che tu abbia perso la collana. - mormorò
Urian.
Arghail sussultò e lo fissò con tanto d'occhi.
- Tuttavia, non tutto ciò che è perduto lo rimane
per sempre. - aggiunse il padrone di casa con un sorriso enigmatico.
Quindi prese tre ciotole dalla credenza e li servì con due
mestoli di minestra a testa, prima di invitarli a sedere attorno al
fuoco. Arghail esitò e lanciò un'occhiata
dubbiosa ad Airis per vedere cosa avrebbe fatto, ma lei era
più concentrata su un altro dettaglio: i cucchiai, come i
chiodi alle pareti, erano di bronzo.
- Avete rischiato di morire nell'acqua gelida, dovete restare al caldo.
- mentre parlava, Urian aveva già ingoiato la prima
cucchiaiata, - Non c'è tempo per la diffidenza: per il
viaggio che vi attende dovrete essere in forze. -
Arghail si accigliò e lo studiò con gli occhi
ridotti a fessure: - Come fai a sapere che... -
- So molte cose, giovane aquila. Gli dei mi hanno maledetto rendendomi
partecipe del destino del loro creato, così che io potessi
essere la loro voce nel Mondo Nato dal Nulla. - sollevò
appena il capo e guardò Arghail, - Ho sentito molte cose del
cielo, altrettante della terra e forse di più dal Fanciullo,
dalla morte. -
- Sei... una sorta di profeta? -
- Presumo siano queste le definizioni corrette. Per la mia gente ero di
Darhaid, ma è passato molto tempo da quando ho smesso quelle
vesti. -
- Perché non lo sei più? -
- La conoscenza riservata solo agli immortali è difficile da
comprendere, a volte persino per gli stessi dei. E quando l'unica cosa
che i secoli possono intaccare è la mente, quello che
è un tempo era un leone diventa una fiera folle alla ricerca
del conforto del Fanciullo. -
Arghail annuì cupo, e così anche Airis, sebbene
non fosse convinta di aver capito davvero. La guerriera si sedette tra
lui e Urian e si godette il sapore della minestra sul palato. I pezzi
di carne avevano assunto il retrogusto dell'aglio e sulla lingua la
cannella pizzicava appena, mitigata dal sapore dell'alloro. Airis
divorò la sua porzione, incurante dei pezzetti d'aglio che
le si infilavano tra i denti, mentre Arghail mangiò con
calma, gustandosi ogni singolo boccone. Di tanto in tanto gettava delle
occhiate a Urian, intercettando il suo sguardo imperturbabile, ma
nessuno dei due aprì bocca se non per mangiare.
- Sei un Fae. - dichiarò Airis dopo interminabili minuti di
silenzio.
Urian sospirò, posò la scodella di fianco e la
spostò lontano. Le fiamme si riflettevano negli occhi
ambrati e le loro ombre danzavano sul viso e sulla pelle del collo e
delle mani, sottile come organza sulle vene in rilievo.
- Curiosa denominazione. L'avevo dimenticata. - sussurrò con
un sorriso mesto, lo sguardo basso sulle mani intrecciate in grembo, -
Fae, fate, popolo fatato... nomi generici, eppure molto più
precisi di molti altri. Da cosa lo hai capito? -
- Non ho visto ferro nella tua casa. -
Urian abbozzò un sorriso compiaciuto e accarezzò
una lingua di fuoco con la punta del dito.
- Sei un'attenta osservatrice, lupa rossa. -
- Perché ci chiami così? - intervenne Arghail, -
Lei “lupa rossa”, io “giovane
aquila”. Abbiamo dei nomi veri, sai? -
- Lo so, ma è meglio che io non li conosca. I nomi hanno
molto potere. - Urian socchiuse le palpebre un momento e poi le
riaprì, - Come stavo dicendo alla tua compagna prima che ti
svegliassi, l'ho sempre sognata, sin da quando ho memoria, con le
sembianze di una lupa rossa. Dapprima l'ho vista come una cucciola che
viveva assieme ai suoi genitori in un branco di lonze. Poi i suoi occhi
sono diventati bianchi e ha camminato dietro un altro lupo dal manto
grigio, lasciandosi alle spalle la sua foresta in fiamme e il corpo di
suo padre. -
Urian inclinò la testa verso di lei e Airis si impose di non
distogliere lo sguardo. Poteva percepire gli occhi di Arghail sulla
nuca e il suo desiderio di sapere, ma lo ignorò. Urian
conosceva ogni cosa, lo sentiva, e il fatto che non ci fosse segreto di
cui lui fosse all'oscuro le spaventava, la faceva sentire vulnerabile,
scoperta, esposta.
- A un certo punto, per molti anni non ti ho più sognata.
Alle volte ricomparivi in frammenti di visioni più leggeri
di una piuma, ma la mattina seguente il sole e il vento li avevano
già trasportati lontano. Ho tentato di richiamarti, di
trattenerti, eppure non ci sono mai riuscito: era come fare il tiro
alla fune con un gigante. Quando sei tornata, eri cambiata. I tuoi
occhi avevano ripreso colore e ti accompagnavi a un corvo, mentre
intorno a voi imperversava una tempesta di fuoco e fiamme di un bianco
abbacinante, che inghiottiva ogni cosa a parte voi. - si interruppe e
strinse nel pugno la cenere incandescente che si alzava verso l'alto, -
Questo è solo uno dei sogni che ricordo. Altri,
più di quanti vorrei ammettere, sono scivolati nell'oblio,
incompleti e incompresi. L'ultimo è stato quello della notte
scorsa, lo stesso che mi ha spinto a scendere fino alla spiaggia. -
Airis non ebbe il coraggio di parlare. Se anche prima poteva avere dei
dubbi su chi o cosa fosse, ora aveva la certezza che Urian non le stava
mentendo.
- E tu, giovane aquila. - disse rivolto ad Arghail, - Ti ho incontrato
solo nel sogno di ieri. Il tuo passato mi è precluso e il
tuo futuro... è una marea instabile, mutevole come il vento
e capriccioso come una femmina. L'unica cosa che so e che mi
è dato sapere è che sei importante. La chiave che
apre la tua porta spalancherà pure quella su un nuovo mondo,
se riuscirai a trovarla. - inclinò l'angolo della bocca in
un sorriso stanco che gli adombrò lo sguardo invece di
accenderglielo.
Arghail aprì la bocca per poi richiuderla senza proferire
parola. La delusione era racchiusa nella smorfia assunta dalle labbra,
nei pugni chiusi sulle ginocchia e nelle spalle basse. Airis gli si
avvicinò e gli batté una pacca sulla schiena, e
così rimase finché lui non trasse un profondo
respiro e si raddrizzò.
- Cosa credi significhino i tuoi sogni? -
- Possono voler dire tante cose, tutto è il contrario di
tutto e la logica collassa muta dinanzi a ciò che vedo.
Quello che ho potuto scorgere mi ha riportato alla mente una delle
antiche profezie della Volva. -
- La Volva? - ripeté con un misto di meraviglia e
soggezione.
- Erano trentatré. Trentatré Veggenti scelte tra
gli Alati, la stirpe creata da Yggrasil stesso. Esse, al Crepuscolo
degli dei, riferirono il messaggio ai più degni tra tutte le
razze create. Molti le trascrissero, altri si affidarono alla loro
memoria, ma il tempo è tiranno e i libri, così
come i ricordi, sono soggetti al suo imperituro scorrere. I
più hanno dimenticato e pochi non ne conservano altro che
frammenti senza senso. O se anche ce l'hanno, un senso, questo
è completamente stravolto. -
- E tu, invece? La conosci? -
Urian scrutò Arghail di sottecchi e iniziò a
recitare senza indugio.
- Ammantato delle tenebre degli Abissi,
il Protettore delle Profondità marcerà sul Mondo
Nato dal Nulla,
portando con sé la Stirpe forgiata dal suo stesso sangue.
I Popoli prenderanno le armi e la Morte li divorerà.
Tempo di spade, vento di distruzione, fuoco e cenere,
s'infrangeranno scudi e si alzeranno grida.
Tempo di tempesta, tempo di gelo.
Gemerà il suolo al tonfo dei cadaveri
e il crepuscolo avvolgerà il Mondo al calar del centesimo
inverno.
Sotto un unico stendardo i Popoli leveranno le armi al cielo
e riforgeranno i vincoli di sangue dimenticati.
Tempo di luce, vento di primavera, fuoco purificatore.
Splende, fulgida, Amarnwyn nella sinistra del Guardiano.
Davanti ai miei occhi si svolge il filo del Destino.
Feroce urla il Corvo dinanzi alle Schiere Oscure,
gracchia nei cieli del mondo alla ricerca del sangue perduto,
trama contro i figli di Yggrasil.
Dalle stelle del Nord, il sole arrossa la terra,
là dove Vita e Morte camminano fianco a fianco.
Nel tempo del lupo, la terra
si impregnerà di sangue innocente.
Il Guardiano spezzerà i lacci
per combattere la guerra del Mondo nato dal Nulla.
Arriverà alla fine dell'orizzonte, con la Morte come sua
fedele compagna e seguace.
Sprofonderà nel cuore della terra, con la luce del Padre a
fargli da guida.
Calcherà le Lande dei Primordi, con Amarnwyn e i figli di
Yggrasil.
Allora il Protettore delle Profondità vestirà le
carni del figlio del Corvo. -
Airis boccheggiò attonita.
“La stessa profezia che mi aveva riferito Cyril. Significa
che è lei la Volva?”
Arghail ascoltò rapito la profezia e, quando Urian tacque,
parve riscuotersi.
- Tu credi davvero che Airis abbia a che fare con... - si interruppe e
una risata isterica gli fece tremare le labbra, - Tutto ciò
non ha il benché minimo senso. -
- La realtà spesso non può essere misurata con un
metro di giudizio umano, giovane aquila. - Urian incrociò le
gambe e ravvivò le fiamme con un gesto della mano, -
Ciò che io credo potrebbe corrispondere al falso
può rivelarsi vero e viceversa. Non c'è certezza
nell'interpretazione dei sogni, se non che essi sono eventi che
saranno, furono o potrebbero essere. -
Arghail si passò una mano sulla faccia e sbuffò
frustrato.
- Di' quello che devi dire, Urian. - lo esortò Airis.
Il Fae rimase per un po' in silenzio, abbastanza da farle credere
d'averlo offeso per il tono brusco che aveva usato. Ma quando prese la
parola, la sua voce era pacata e seria.
- Credo tu sia la Guardiana, colei che è stata scelta dagli
dei per riportare l'equilibrio nel Mondo Nato dal Nulla. Il tempo
è il tuo peggior nemico, più del Fanciullo che ti
alita sul collo. Sei alla ricerca di Amarnwyn, la Forbice del cielo, e
della grazia per la realtà contingente che non ti
è più cara. Tuttavia, le uniche guide a cui ti
puoi affidare sono te stessa e i consigli di coloro che furono prima di
te. Quello che mi domando è se sei davvero degna di
ricoprire questo ruolo dopo ciò che hai fatto. - concluse,
trapassandola con un'occhiata talmente intensa da farla sentire nuda.
Airis si morse l'interno della guancia e istintivamente si
portò una mano sul petto, all'altezza del cuore.
- Perché dovrei dimostrare a te di essere degna? Chi sei
davvero? -
- Sono molte cose, a seconda di chi mi vede. Per te, lupa rossa, sono
un giudice e la mia gente i testimoni. -
Arghail strinse i pugni, ma, prima che decidesse di compiere qualsiasi
gesto avventato, Airis lo afferrò per la spalla. Il suo
doveva essere un semplice ammonimento, eppure il suo compagno non
riuscì nemmeno ad alzarsi. La squadrò stranito,
guardando prima la mano e poi lei, e solo allora Airis si rese conto
che lo stava tenendo fermo con solo la forza del braccio e senza alcuno
sforzo. Lo ritrasse lentamente e si osservò la mano, aprendo
e chiudendo le dita divenute fredde, come se il sangue fosse
improvvisamente defluito.
- Cosa accadrà se non dovessi risultare degna? -
- Per valicare i Monti Neri ti servono provviste, delle cavalcature
adatte e un consiglio sulla via da intraprendere. -
- Moriremo, quindi. - constatò Arghail con una smorfia, - Se
secondo il tuo giudizio Airis non sarà degna, moriremo. -
Urian si alzò, prese la spada che era posata sul tavolo e la
porse alla sua legittima proprietaria.
- Se non ce la facessi, il mondo come lo conosciamo finirà.
- mormorò Airis.
- Vorrà dire che la Volva ha errato nella sua scelta e che
quest'era di caos dovrà attendere la venuta di un altro
Guardiano. - disse Urian con voce calma e al contempo gelida.
La guerriera non capiva come potesse rimanere così
tranquillo. Strinse l'elsa della spada e la legò alla
cintola, mentre Arghail l'affiancò.
- Arghail, ascolta, so che è difficile da credere e capire,
ma... -
- Non ho detto che gli credo. Ciò che ci ha rivelato esula
da ogni schema logico e io non penso di... potermi fidare. Ancora
stento a credere che i Fae delle leggende siano creature realmente
esistenti. - bisbigliò e lanciò un'occhiata di
sottecchi alla porta, al di là della quale Urian era
sparito, - Ma tu gli credi e io ho promesso di avere fiducia in te. Ti
giuro qui e adesso che ti seguirò fino alla fine. Urian ha
ragione: non posso misurare le tue motivazioni con il mio secchio,
né giudicare secondo il mio parere, non finché il
quadro non sarà completo. Fino ad allora rimarrò
fedele alla mia parola. -
- Sei un uomo d'onore. -
- È una delle poche cose che posso dire di essere. -
Urian tornò qualche istante dopo con una pesante pelliccia
di muflone. Quando la porse ad Arghail, questi invitò Airis
a coprirsi, ma la guerriera rifiutò. Il capitano
alzò entrambe le sopracciglia perplesso, per poi mettersela
sulle spalle senza ulteriori insistenze.
Fuori l'aria era immobile e tirava un vento freddo che piegava i pochi
steli d'erba sopravvissuti alle gelate. La luce era obliqua, opaca,
fendeva il banco di nubi in lame sottili che non portavano alcun
calore. Non c'erano molte case e i pochi Fae che incrociarono erano
tutti imbacuccati come Arghail, anche se ce n'erano alcuni con gli
stessi capelli e occhi di Urian che giravano a gambe scoperte.
Una donna teneva un falco grosso come un'aquila reale sull'avambraccio,
una bestia dal piumaggio della testa nero con riflessi rossastri e il
becco color ardesia arcuato, quasi affilato. Non appena le passarono
accanto, ebbero addosso tre paia d'occhi, le due del rapace, grandi e
scure come piccole biglie, e quelle della Fae, con un'iride grande e
una pupilla così piccola da apparire come una fessura nel
blu.
Urian la oltrepassò come se non l'avesse nemmeno notata e
ignorò gli sguardi di tutti i Fae che erano all'esterno.
Airis invece ricambiò ogni occhiata senza mai lasciarsi
intimorire e, mentre avanzava, notò con un certo orgoglio
che anche Arghail li fronteggiava senza paura.
Non erano molti quelli che giravano per il villaggio –
perché quello era, un villaggio, con poche case di pietra
con il tetto di legno intrecciato –, ma quei pochi che
incontrarono sulla loro strada li scrutavano ostili, alcuni talvolta
facevano addirittua schioccare i denti d'argento, sorridendo
minacciosi.
Una ragazza che agli occhi di Airis doveva dimostrare sì e
no quindici anni abbassò il capo e svanì in un
turbinio di polvere e foglie secche; un bambino alto massimo quattro
piedi, con i capelli ricci e il naso schiacciato, elargì
loro un sorriso grifagno, anche lui scoprendo la dentatura argentata da
squalo; un uomo con i capelli tagliati poco sopra le orecchie, ispidi
come aghi di pino, e dagli occhi neri sprovvisti di iride li
degnò appena di uno sguardo, prima di montare su quello che,
di primo acchito, sembrava un cavallo dal collo tozzo come quello di un
toro e gli zoccoli biforcati. Airis notò le piccole corna e
la presenza di una coda canina. Nessuno però, nemmeno le tre
donne con la coda serpentina che sibilarono loro contro, ebbe il
coraggio di avvicinarsi. Bastava una semplice occhiata di Urian per
rimettere in riga i più bellicosi.
Quando furono fuori dal villaggio, Arghail si abbandonò a un
sospiro di sollievo e Airis allentò la presa sull'elsa della
spada. Attraversarono lo spiazzo erboso che abbracciava il villaggio e
si diressero verso est, inerpicandosi su un sentiero che si inoltrava
in un bosco di larici. Il vento faceva stormire le fronde e trasportava
con sé un profumo appena percepibile di salsedine,
così tenue da sbiadire, sopraffatto dall'intensa e fresca
fragranza del sottobosco, un misto di muschio, primule ed erica. Di
tanto in tanto una marmotta o una faina tagliava la strada di corsa,
andandosi a nascondere in un cespuglietto di mugo o in una tana scavata
tra le radici di un albero.
Urian era l'apripista, camminava davanti con ampie falcate senza
però distanziarli mai troppo. Li lasciava indietro quel che
bastava per garantire loro un po' di intimità o, come Airis
pensò, per metterli a loro agio e lasciar loro il tempo di
pensare, oppure semplicemente per permettere alla calma naturale del
bosco di permeare le loro menti e placare i loro animi.
Nel silenzio imperante, interrotto solo dai rumori degli animali o dal
mormorio del vento tra gli alberi, Airis si sentiva in pace con se
stessa, in comunione con la parte più profonda del suo
essere, e anche Arghail le sembrava rilassato, l'inquietudine scacciata
sia dal suo sguardo che dal suo corpo.
La vegetazione si diradò e il percorso uscì dal
bosco, proseguì su un clivo ripido dove l'erba cresceva
più rada e li condusse a fiancheggiare una parete rocciosa
nera tra le cui fessure ondeggiavano delle campanule dai petali viola,
i pistilli che brillavano come piccole gemme, ancora roridi di rugiada.
Da quell'altezza si poteva vedere il villaggio e il bosco di larici che
si estendeva a perdita d'occhi fino quasi alle pendici della montagna,
una vastità verde che toglieva il fiato.
Urian non disse nulla, né su come dovessero muoversi
né su dove dovessero mettere i piedi. Per lui era facile,
avanzava con la familiarità di chi conosce e vive da anni in
quei luoghi, senza mai esitare o fermarsi paralizzato dalla paura e
dalla meraviglia. Airis e Arghail procedettero a tentoni, lentamente,
affidandosi in tutto alla loro guida: si aggrappavano dove lui metteva
le mani, schivavano le pietre che lui evitava e si appoggiavano a
quelle che lui reputava sicure. Avevano entrambi le mani umide, ma il
sudore sul viso e sul collo si asciugava in fretta grazie alle continue
correnti che piegavano le saponarie e i crochi che spuntavano tra i
massi, questi ultimi protesi verso il sole, quasi anelando, supplici,
il calore di una primavera che tardava ad arrivare.
- Siamo arrivati. - li informò pacato Urian quando giunsero
in cima.
Airis dovette fare appello a tutta la sua dignità e orgoglio
per non lasciarsi cadere distesa sull'erba. Arghail azzardò
qualche passo e poi si sedette su una roccia che spuntava in mezzo a
una piccola foresta di romici e bucaneve, mentre Urian si spinse fino
al centro del prato, nel mezzo di un cerchio di pietre nere, alte
più di cinque piedi, attorno alle quali si erano radunati
una decina di Fae. Airis riconobbe anche qualche viso e le venne
spontaneo domandarsi come avessero fatto ad arrivare fin lì
senza che lei se ne accorgesse.
“Magia, ovviamente.”
Urian le fece cenno di avvicinarsi. Airis lanciò un'ultima
occhiata ad Arghail prima di avviarsi. Era già stata
convocata in un luogo come quello, quando ancora non era un Cavaliere e
la sua appartenenza all'esercito era opinabile. Quel giorno si era
sentita come in quel momento, con il cuore leggero e un fuoco freddo
che le serpeggiava nelle vene, rinforzando il suo coraggio e forgiando
la sua determinazione. Quando oltrepassò il cerchio di
pietre, il vento prese a soffiare più forte.
- Trentatré pietre, trentatré testimoni degli
dei. Lei è colei che la Volva ha scelto, la nuova Guardiana.
Quello che accadrà tra queste pietre è il volere
dei nostri genitori. Se sarà degna, metteremo da parte le
nostre divergenze con gli umani e l'aiuteremo nel suo compito; se
dovesse fallire, allora lasceremo che siano le Montagne a emettere
l'ultimo giudizio. - Urian aveva mantenuto lo stesso tono di voce,
eppure nel silenzio quasi totale ad Airis era sembrato un leone, - Non
dovrai dimostrare né la tua forza né il tuo
acume, Guardiana. Sei stata chiamata a rimettere in equilibrio la
bilancia del Caos e dell'Ordine. È questo il tuo fine
ultimo, il risultato che dovrai perseguire a qualsiasi costo, qualunque
sia il prezzo richiesto. -
Airis annuì. Gli altri Fae rimanevano fuori dal cerchio e
lei era il fulcro della loro attenzione. Glielo poteva leggere in
faccia che speravano nel suo fallimento.
“Bastardi.”
- Cosa devo fare per provarti che Cyril non ha sbagliato? -
Urian sollevò le sopracciglia e Airis si godette la ruga di
sorpresa sulla fronte. Dopo un momento, il Fae tornò
impassibile e riprese a parlare come se non gli avesse detto
alcunché.
- Ti verrà posta una domanda e dalla tua risposta
capirò se questo compito ti appartiene. -
Airis storse le labbra: - Pensi davvero di potermi giudicare da una
risposta? -
- Le parole, lupa rossa, sono importanti. Talvolta immiseriscono quello
che si cela nel cuore di un uomo, lo riducono a un cumulo di sillabe
che si perdono nel vento; ci sono volte, però, che sono
più potenti di qualsiasi magia o incantesimo, e anche un
semplice “sì” può cambiare il
mondo e dire molto di più di cento azioni. Un baro
risponderebbe alla domanda senza ponderare il peso di quelle parole o
carpirne il loro vero significato, l'essenza recondita che esse portano
con sé. E avrebbe errato, perché non è
ciò in cui crede davvero. -
Levò le braccia al cielo e una fiamma si generò
tra le sue mani.
- Sei un politico e fai parte di un collegio di tuo pari. Il tuo paese
è in guerra da molti anni con un altro, più forte
e potente. Tuttavia, negli ultimi mesi il vostro esercito ha riportato
diverse vittorie contro ogni pronostico. Il Consiglio deve decidere
cosa fare. Da un lato, metà di esso, così come
metà del tuo popolo, desidera la resa, che
trasformerà il vostro uno stato vassallo. In questo caso, la
guerra terminerà e gli uomini, ormai sfiancati dalle
innumerevoli morti e battaglie, potranno tornare a casa dai loro
familiari per arare la terra, rimpinguare la casse con il loro salario
e rendere più florido il commercio ormai da anni stagnante.
In più, dovrete rinunciare alla vostra religione, ai vostri
costumi e alle vostre tradizioni e adottare quelle dello stato
vincitore e, probabilmente, il Consiglio di cui tu fai parte
verrà sciolto. Dall'altro lato, potete continuare la guerra,
così come propone il tuo migliore amico. Egli desidera
proseguire, anche se questo significa armare ancora una volta
l'esercito e sacrificare la vita di molti uomini. Le casse dello stato
sono sufficienti per fornire armi per una sola, ultima battaglia,
quella che potrebbe decretare la fine o l'inizio di tutto. Se
perderete, diventerete schiavi, se ne uscirete vincitori vi potrete
arricchire, i vostri confini si estenderebbero fino al mare e potrete
vantare una ricchezza capace di rivaleggiare con quella dei re delle
leggende. Tu sei la piuma che potrà far pendere l'ago della
bilancia dall'una o dall'altra parte: se deciderai di schierarti con
chi desidera la pace, il tuo amico verrà avvelenato,
così da stroncare gli animi degli altri avversari e
raggiungere l'unanimità. Se invece parteggerai per lui,
l'unica cosa di cui avrai la consapevolezza è che altro
sangue verrà versato e, forse, inutilmente. -
Urian si zittì e fece un passo indietro, portandosi a
ridosso del cerchio. Airis non lo perse di vista finché non
si fermò, così vicino a una delle pietre che gli
sarebbe bastato far ondeggiare la mano per toccarla.
Trasse un profondo respiro e rilassò le spalle, spostando lo
sguardo sugli astanti e poi oltre, fino a trovare la rassicurante
presenza del cielo. Il vento aveva sfilacciato le nubi, liberando il
sole dalla sua prigionia coatta. Portava con sé il rombo
attutito di una cascata e lo sciabordio placido di un corso d'acqua.
Airis si riempì i polmoni di quell'aria fresca e chiuse gli
occhi. I suoni della natura le colmarono la mente ancora una volta e
misero a tacere ogni obiezione, ogni angoscia. Erano solo lei e il
vuoto pieno della vita in attesa della primavera.
La risposta emerse con una limpidezza disarmante, si profilò
davanti alle palpebre chiuse come se fosse sempre stata lì.
Puntò lo sguardo su Urian e poi lo passò su tutti
gli altri membri della comunità Fae lì raccolti,
per poi tornare sul Darhaid. L'ombra di un sorriso aleggiava sulle sue
labbra.
- Combatterò. - dichiarò ad alta voce, sicura e
ferma, - Combatterò perché un popolo senza
più un passato smette d'esistere. Combatterò
perché è giusto onorare il sacrificio dei caduti.
Combatterò perché non possiamo permettere alla
guerra di portarci via i valori che ci hanno resi uomini,
perché una pace nata dalla resa incondizionata ci
toglierebbe la libertà. -
- Anche se il risultato potrebbe essere una tragedia? -
- Ho smesso di aspettarmi certezze molti anni fa. - si mise una mano
sul petto, sopra la cicatrice che l'aveva condannata, - Che debba
vivere o che debba morire, mi prenderò le mie
responsabilità, nel bene e nel male. -
Urian la fissò negli occhi con un'espressione
imperscrutabile. Tutti attorno a loro trattenevano il respiro, anche la
natura sembrava imprigionata in un momento di stasi. Quindi
avanzò fino a lei e le posò una mano sulla
spalla, esercitando pressione per farle capire di inginocchiarsi.
- Il volere degli dei è sancito. - decretò
solenne, non appena Airis fu in ginocchio.
Tirò fuori dalla tasca un orecchino con la forma filiforme
di un drago. Era di cristallo nero, con le squame disegnate su tutto il
corpo e le ali appena aperte, come se si fosse appena svegliato. Glielo
accostò all'orecchio e, senza alcun preavviso,
cacciò dentro il primo ago nel lobo e il secondo nell'elice.
Airis inghiottì un urlo e si schiacciò la mano
contro l'orecchio, ma Urian l'allontanò con una manata.
- A... a che cosa serve? -
- Avevo sognato una lupa dal manto rosso che, in compagnia di una
giovane aquila, valicava i Monti Neri. - le disse, ignorando il suo
commento, la voce sempre calma e controllata, - Alle sue spalle il
Fanciullo raccoglieva le farfalle danzando tra le macerie, mentre
davanti a lei il buio ingoiava la luce e il Protettore delle
Profondità banchettava con il cuore del Corvo. -
Prese la parte restante della coda del drago e la infilò
nell'ago sul lobo, per poi assicurare la parte superiore con una
rotellina.
- Ledah... Ledah non ce la farà? È questo che mi
stai dicendo? - domandò col cuore in gola.
- Le scelte hanno un peso sull'avvenire, lupa rossa: ne basta una a
volte per cambiare il futuro che sarebbe potuto accadere domani. -
Airis aprì la bocca per chiedere ancora, ma Urian si era
già girato.
- Fornite alle Guardiana e al suo compagno tutto quello che
sarà necessario per il viaggio. - disse oltrepassando il
cerchio di pietre e si rivolse alla donna che era sparita non appena li
aveva visti, - Porta il mio messaggio agli altri membri del villaggio e
fa sì che la voce si sparga. -
- Volete davvero aiutare un'umana? Dopo tutto quello che ci hanno fatto
passare, come potete... -
Urian mise a tacere il Fae che aveva parlato con un gesto imperioso
della mano. Era un uomo alto e grosso, dagli occhi felini, la mascella
volitiva e le spalle larghe.
- Gli dei non sbagliano mai, Morel. - sibilò Urian e
l'occhiata gelida che gli scoccò lo costrinse ad abbassare
la testa, - Ora va' e riportali al villaggio. -
- Sì, Darhaid. -
Non appena Urian si allontanò, il Fae fece come gli aveva
ordinato. Arghail si era accostato ad Airis e le aveva stretto la
spalla con un sorriso trionfante che le scaldò il cuore.
L'abbracciò, incurante dell'improvvisa rigidità
della sua compagna.
- Lo sapevo che ce l'avresti fatta. - le sussurrò.
- Sì... sì, va bene, ma ora lasciami. -
Il soldato scoppiò a ridere e si allontanò, le
mani alzate in segno di resa. Sorrideva scanzonato e, sebbene nei suoi
occhi fosse rimasta un'ombra di inquietudine, la tensione aveva
abbandonato il suo corpo.
Quando il Fae fu abbastanza vicino, il vento turbinò intorno
ai loro corpi sempre più in fretta, alzando foglie,
strappando steli d'erba e alcuni sassolini. L'aria prese forma in un
cornice rettangolare fumosa, quasi tangibile. All'interno vi era una
fitta foschia, al di là della quale non si vedeva nulla.
Airis deglutì, la pelle leggermente imperlata di sudore, ma
non fece in tempo a fare o dire nulla che il Fae la spinse all'interno.
Si ritrovò al villaggio, davanti alla porta di Urian. Con le
gambe che le tremavano, si dovette appoggiare al muro prima di vomitare
tutto quello che aveva nello stomaco. Una parte schizzò
sulla pietra, ma la maggior parte le imbrattò i piedi.
- Airis, cos'hai? -
Arghail corse verso di lei e fece passare il braccio sotto l'ascella
per sostenerla. La guerriera aveva la bocca impastata e il sapore
rancido della bile sulla lingua. Era così forte che
vomitò di nuovo, stavolta con un po' più di
contegno.
- È refrattaria alla magia. -
Urian comparve alle loro spalle in un vortice di cenere accesa, al suo
fianco una donna con i capelli così chiari e sottili sa
sembrare trasparenti. Anche quelli del Fae che li aveva riportati
lì, osservò Airis, erano così.
- È una storia lunga. - rispose quando ebbe ripreso fiato, -
Ora dateci quello che ci serve e lasciateci andare. -
- Ho già dato disposizioni in merito. Entro un paio d'ore
sarà tutto pronto. -
Urian passò loro accanto, scostò la pozza di
vomito e aprì la porta, lasciandola aperta. Arghail, sempre
sorreggendola, la portò dentro e la fece sedere sul
pagliericcio.
- Hai molti più segreti di quelli che pensassi. -
Airis appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lasciando le mani a
penzoloni. Sentiva ancora un fastidioso malessere in fondo allo
stomaco, ma era abbastanza sicura di essersi svuotata del tutto.
- Solo un po' più degli altri. -
- Già. - ridacchiò l'amico e si sedette anche
lui, - Non avevo mai sentito dell'esistenza di un'allergia simile. -
- Sono l'eroina di un'epopea epica... dovevo pur avere qualcosa di
speciale, no? -
Arghail rise di nuovo.
- Lassilsan aveva un'ascia capace di spaccare le montagne, Chanim era
in grado di parlare con gli animali e la grande Airis, Cavaliere del
Lupo, grande Generale dell'esercito umano vomitava al primo sentore
magico. -
- Almeno sono originale. - lo rimbeccò.
- Questo non si può negare. Potrò sapere qualcosa
di più sulla mia misteriosa compagna di viaggio prima di
imbarcarci nella nostra missione? -
Airis esitò prima di rispondere. La sua testa era altrove,
concentrata su ciò che Urian le aveva detto, l'ultima frase
che le aveva rivolto prima di abbandonare le Pietre Giudici. E il suo
pensiero volò a Ledah, alla promessa che si erano fatti
prima di dividersi a Luthien, e poi alle parole di Hallende,
così simili a quelle di Davsten. Forse era davvero il
momento di cominciare a ricambiare la fiducia che tante persone avevano
riposto in lei.
- Un giorno. - sospirò con un sorriso mesto, guardandolo di
sbieco, - Un giorno ti dirò tutto. -
Arghail assentì e si alzò, scrollandosi la
polvere dalla cioppa.
- Tu riposa pure, ti sveglierò quando dovremo partire. -
Per la terza volta nella sua vita, Airis sentì di poter
dormire sonni tranquilli. E così fece.