Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: Himenoshirotsuki    09/10/2017    3 recensioni
[Seguito di "Fuoco nelle Tenebre"] [La stori è un pausa un mesetto, ma non sospesa. Finisco Fighting Fire e riprendo ad aggiornare!]
Dopo gli ultimi eventi, il destino di Esperya sembra ancora più incerto. Lyssandra muove i fili da dietro le quinte, Mirya e i bambini sono rintanati ad Alabastria, mentre Ledah è stato catturato. Sembra che il ritorno di Aesir e della sua era dell'oscurità sia inevitabile, ma c'è ancora qualcuno che si oppone, qualcuno che ha pagato un prezzo di sangue per diventare ciò che è. Con un nuovo corpo e un solo anno a disposizione, Airis dovrà adempiere al suo compito di Guardiano affinchè i drow e il dio dell'oscurità non facciano di nuovo piombare Esperya in un caos di morte e distruzione.
Battaglia dopo battaglia, incontro dopo incontro, in un lungo viaggio attraverso lande desolate e città e regni meravigliosi, Airis scoprirà così i dettagli di una macchinazione destinata a cambiare le sorti del mondo, ma, soprattutto, la verità sul suo passato, una verità che potrebbe distruggerla.
Genere: Avventura, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Guardiani'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

14

La Prova

Quando Airis si risvegliò, la prima cosa che attirò la sua attenzione fu il forte odore di ruta e caprifoglio. Socchiuse appena gli occhi e si massaggiò la fronte, il cervello ancora annebbiato dal sonno. Solo in un secondo momento, quando si puntellò sui gomiti su una superficie morbida, si rese conto di essere distesa su un pagliericcio e che, a parte una coperta, non aveva altro addosso.
- Ti sei svegliata, lupa. -
Airis girò la testa di scatto nella direzione da cui proveniva la voce e allungò la mano al suo fianco senza guardare, ritrovandosi però ad artigliare il vuoto.
- Se stai cercando la tua spada, è lì sopra. - lo sconosciuto le indicò un basso tavolo con un movimento del capo, - Non ti servirà ora, non ho intenzione di farti del male. -
- Dov'è Arghail? - gracchiò, la gola secca e infiammata.
- L'uomo che viaggiava con te? È nella camera della mia compagna, non si è ancora svegliato. -
Lo sconosciuto si alzò dallo sgabello in cui era rimasto seduto fino ad allora – e chissà per quanto l'aveva osservata dormire in silenzio, pensò Airis con un brivido di inquietudine – e si avvicinò al davanzale della finestra alla sua sinistra, da dove prese un mazzolino di erbe da un cestello a terra per poi metterle in un piattino per bruciarle assieme ad altre, la maggior parte delle quali erano già ridotte in cenere. Subito nella stanza si diffuse un odore simile a quello dell'incenso, e in qualche modo Airis avvertì le proprie membra rilassarsi.
- Ti sei buttata in acqua per salvare il tuo amico. Un gesto molto nobile, il tuo. - commentò l'uomo in tono casuale, come se stesse discutendo del tempo.
Airis spalancò gli occhi. Si sentiva ancora un po' intontita, ma ricordava perfettamente quello che era successo.
- Chi sei? - indagò cauta sforzandosi di restare aggrappata alla lucidità, nonostante la percepisse scivolare via pian piano, sempre di più.
Egli non rispose subito. Si avvicinò al focolare sotto la finestra dove sobbolliva una pentola e, dopo aver aggiunto un po' di legna, passò la mano sulle fiamme. Bastò quel semplice gesto perché queste si ravvivassero, alzandosi allegre fino a lambirgli le dita, senza però ustionarle. Airis lo fissò sbalordita mentre lui continuava a regolare il fuoco. Di spalle sembrava ancora più alto e slanciato di quanto le era parso all'inizio.
- Sei un mago? -
- Tra la tua gente forse mi chiamereste così, sebbene sia una definizione generica e imprecisa. -
Si voltò e la trafisse con uno sguardo penetrante. I suoi occhi erano ambrati, leggermente sporgenti, con la pupilla ridotta a una fessura nera. I capelli erano della stessa tonalità delle braci ardenti, un arancione vivo che sulla punta della lunga treccia sfumava in un giallo paglierino chiarissimo. Nascoste tra le ciocche chiare, intravide delle orecchie a punta grandi come quelle di un uomo, ma affusolate come quelle di un elfo.
- Non hai ancora risposto alla mia domanda. -
- Il mio nome è Urian, lupa rossa. Ti trovi tra quelli che sono noti come i Monti Neri, più precisamente nella mia casa. -
- E come fai a sapere cosa è successo? Perché ci hai salvati? Come hai fatto a... - la sua voce si spense e in un attimo la sua mente si perse nei ricordi della tempesta, della sensazione dell'acqua che le riempiva i polmoni, della paura di morire annegata in mezzo ai flutti violenti del mare.
Urian stirò le labbra in un mezzo sorriso: - So molte cose. Vedo e ho visto frammenti di ciò che fu e di ciò che sarà, anche se spesso non sono riuscito a interpretare il loro significato. -
- Sei un... veggente? Un oracolo? -
Urian annuì solenne. C'era così tanta convinzione in quel gesto che Airis si rese conto che non stava mentendo. Era assurdo, irragionevole e impossibile, ma, come la maggior parte delle cose che le erano successe negli ultimi anni, anche se stentava a crederci era reale.
“Ed è anche la meno strana di tutte.”
- Tu sei la lupa rossa che vedo fin da quando sono nato. - Urian prese il mestolo appeso alla parete sopra il tavolo e lo girò nella pentola appesa a un gancio di ferro sopra le fiamme del caminetto, - Sei sempre stata presente, anche se non ti sognavo tutte le notti. Mi sono chiesto se esistevi davvero e cosa significassi per me, se non fossi un crudele scherzo della mia mente, e sino ad oggi credevo che sarei morto senza capire. -
Airis non sapeva come rispondere, così preferì tacere e sfruttare la pausa per raccogliere le idee. Coprendosi il corpo nudo con il lenzuolo, si mise a sedere e gettò un'occhiata intorno. Si trovava in una stanza non molto grande, pervasa dal profumo degli incensi che bruciavano sui davanzali delle due finestre e dall'odore di minestra di verdure cotte. Il tavolo dove era stata appoggiata la sua spada era ingombro di erbe, libri e pergamene, mentre gli utensili da cucina, così come le pentole di rame, erano attaccati alla parete su dei semplici chiodi di bronzo. Una pelliccia di orso bruno fungeva da tappeto, con una zampa protesa verso di lei e l'altra verso la cassapanca alla sua destra.
- Ora, invece, cosa credi? - lo interrogò dopo un momento.
Urian riprese a girare la minestra, prima in un senso poi nell'altro. Si girò appena e fissò lo sguardo sulla porta socchiusa, quella che dava sull'interno della casa. Un respiro un poco più forte arrivò alle orecchie di Airis, seguito dal crepitio della paglia schiacciata.
- Vado a vedere come sta il tuo compagno. Anche lui avrà molte domande. -
Urian le passò accanto, uscì e sparì oltre la soglia. La guerriera lo seguì con lo sguardo e, quando fu lasciata sola, trasse un sospiro di sollievo. La presenza del veggente la metteva a disagio, anche se non sapeva spiegarsene il motivo.
La sala era calda e accogliente e la coperta la proteggeva dagli spifferi che si intrufolavano sotto le finestre. Si alzò dal pagliericcio e ispezionò l'ambiente con più attenzione ai dettagli. Dietro le file di libri e fogli che infestavano il tavolo scorse il profilo dello schienale di una sedia, sulla quale era stata piegata la sua tunica con la sua biancheria. Era leggermente umida e le maniche erano ancora bagnate, ma era sempre meglio che andarsene in giro nuda. Indossò sul torace la fascia per contenere il seno e la tirò finché non fu abbastanza stretta.
In quell'istante la porta cigolò alle sue spalle e Urian condusse Arghail verso il tavolo. Airis si riavvolse velocemente nella coperta, si scostò e gli porse la sedia, ma il suo compagno la rifiutò con un cenno. Aveva delle brutte occhiaie e il taglio aperto sulla guancia gli conferiva un'aria ancora più stanca.
- Non penso serva che ti chieda come ti senti. - gli disse con un sorriso tirato.
- Immaginate bene, Generale. - ridacchiò lui, senza che gli occhi si accendessero, - Vi... ti devo la vita, non so davvero come ringraziarti. -
- Siamo compagni d'armi, non potevo lasciarti morire. -
Arghail annuì e portò la mano al collo, alla ricerca della collana con l'anello. Quando le sue dita si strinsero sulla pelle, si morse le labbra con espressione contrita ed esalò un profondo sospiro carico di tristezza e rassegnazione.
- Dove siamo? -
- Sui Monti Neri. Sei caduto dalla nave e la lupa rossa si è buttata per salvarti. - spiegò rapidamente Urian.
- Sì, quello me lo ricordo, solo... - si interruppe e alzò lo sguardo sul veggente, poi lo spostò su Airis, - Una lupa rossa? -
- Ti spiego dopo. -
Arghail si massaggiò le tempie e strizzò gli occhi per scacciare l'emicrania. Indossava una cioppa di lana grigia con le maniche lunghe e abbastanza ampie, la quale metteva in mostra la tunica a collo alto dello stesso colore che sottolineava più del necessario il colorito pallido delle guance appena imporporate dal calore della stanza.
- Mi dispiace che tu abbia perso la collana. - mormorò Urian.
Arghail sussultò e lo fissò con tanto d'occhi.
- Tuttavia, non tutto ciò che è perduto lo rimane per sempre. - aggiunse il padrone di casa con un sorriso enigmatico.
Quindi prese tre ciotole dalla credenza e li servì con due mestoli di minestra a testa, prima di invitarli a sedere attorno al fuoco. Arghail esitò e lanciò un'occhiata dubbiosa ad Airis per vedere cosa avrebbe fatto, ma lei era più concentrata su un altro dettaglio: i cucchiai, come i chiodi alle pareti, erano di bronzo.
- Avete rischiato di morire nell'acqua gelida, dovete restare al caldo. - mentre parlava, Urian aveva già ingoiato la prima cucchiaiata, - Non c'è tempo per la diffidenza: per il viaggio che vi attende dovrete essere in forze. -
Arghail si accigliò e lo studiò con gli occhi ridotti a fessure: - Come fai a sapere che... -
- So molte cose, giovane aquila. Gli dei mi hanno maledetto rendendomi partecipe del destino del loro creato, così che io potessi essere la loro voce nel Mondo Nato dal Nulla. - sollevò appena il capo e guardò Arghail, - Ho sentito molte cose del cielo, altrettante della terra e forse di più dal Fanciullo, dalla morte. -
- Sei... una sorta di profeta? -
- Presumo siano queste le definizioni corrette. Per la mia gente ero di Darhaid, ma è passato molto tempo da quando ho smesso quelle vesti. -
- Perché non lo sei più? -
- La conoscenza riservata solo agli immortali è difficile da comprendere, a volte persino per gli stessi dei. E quando l'unica cosa che i secoli possono intaccare è la mente, quello che è un tempo era un leone diventa una fiera folle alla ricerca del conforto del Fanciullo. -
Arghail annuì cupo, e così anche Airis, sebbene non fosse convinta di aver capito davvero. La guerriera si sedette tra lui e Urian e si godette il sapore della minestra sul palato. I pezzi di carne avevano assunto il retrogusto dell'aglio e sulla lingua la cannella pizzicava appena, mitigata dal sapore dell'alloro. Airis divorò la sua porzione, incurante dei pezzetti d'aglio che le si infilavano tra i denti, mentre Arghail mangiò con calma, gustandosi ogni singolo boccone. Di tanto in tanto gettava delle occhiate a Urian, intercettando il suo sguardo imperturbabile, ma nessuno dei due aprì bocca se non per mangiare.
- Sei un Fae. - dichiarò Airis dopo interminabili minuti di silenzio.
Urian sospirò, posò la scodella di fianco e la spostò lontano. Le fiamme si riflettevano negli occhi ambrati e le loro ombre danzavano sul viso e sulla pelle del collo e delle mani, sottile come organza sulle vene in rilievo.
- Curiosa denominazione. L'avevo dimenticata. - sussurrò con un sorriso mesto, lo sguardo basso sulle mani intrecciate in grembo, - Fae, fate, popolo fatato... nomi generici, eppure molto più precisi di molti altri. Da cosa lo hai capito? -
- Non ho visto ferro nella tua casa. -
Urian abbozzò un sorriso compiaciuto e accarezzò una lingua di fuoco con la punta del dito.
- Sei un'attenta osservatrice, lupa rossa. -
- Perché ci chiami così? - intervenne Arghail, - Lei “lupa rossa”, io “giovane aquila”. Abbiamo dei nomi veri, sai? -
- Lo so, ma è meglio che io non li conosca. I nomi hanno molto potere. - Urian socchiuse le palpebre un momento e poi le riaprì, - Come stavo dicendo alla tua compagna prima che ti svegliassi, l'ho sempre sognata, sin da quando ho memoria, con le sembianze di una lupa rossa. Dapprima l'ho vista come una cucciola che viveva assieme ai suoi genitori in un branco di lonze. Poi i suoi occhi sono diventati bianchi e ha camminato dietro un altro lupo dal manto grigio, lasciandosi alle spalle la sua foresta in fiamme e il corpo di suo padre. -
Urian inclinò la testa verso di lei e Airis si impose di non distogliere lo sguardo. Poteva percepire gli occhi di Arghail sulla nuca e il suo desiderio di sapere, ma lo ignorò. Urian conosceva ogni cosa, lo sentiva, e il fatto che non ci fosse segreto di cui lui fosse all'oscuro le spaventava, la faceva sentire vulnerabile, scoperta, esposta.
- A un certo punto, per molti anni non ti ho più sognata. Alle volte ricomparivi in frammenti di visioni più leggeri di una piuma, ma la mattina seguente il sole e il vento li avevano già trasportati lontano. Ho tentato di richiamarti, di trattenerti, eppure non ci sono mai riuscito: era come fare il tiro alla fune con un gigante. Quando sei tornata, eri cambiata. I tuoi occhi avevano ripreso colore e ti accompagnavi a un corvo, mentre intorno a voi imperversava una tempesta di fuoco e fiamme di un bianco abbacinante, che inghiottiva ogni cosa a parte voi. - si interruppe e strinse nel pugno la cenere incandescente che si alzava verso l'alto, - Questo è solo uno dei sogni che ricordo. Altri, più di quanti vorrei ammettere, sono scivolati nell'oblio, incompleti e incompresi. L'ultimo è stato quello della notte scorsa, lo stesso che mi ha spinto a scendere fino alla spiaggia. -
Airis non ebbe il coraggio di parlare. Se anche prima poteva avere dei dubbi su chi o cosa fosse, ora aveva la certezza che Urian non le stava mentendo.
- E tu, giovane aquila. - disse rivolto ad Arghail, - Ti ho incontrato solo nel sogno di ieri. Il tuo passato mi è precluso e il tuo futuro... è una marea instabile, mutevole come il vento e capriccioso come una femmina. L'unica cosa che so e che mi è dato sapere è che sei importante. La chiave che apre la tua porta spalancherà pure quella su un nuovo mondo, se riuscirai a trovarla. - inclinò l'angolo della bocca in un sorriso stanco che gli adombrò lo sguardo invece di accenderglielo.
Arghail aprì la bocca per poi richiuderla senza proferire parola. La delusione era racchiusa nella smorfia assunta dalle labbra, nei pugni chiusi sulle ginocchia e nelle spalle basse. Airis gli si avvicinò e gli batté una pacca sulla schiena, e così rimase finché lui non trasse un profondo respiro e si raddrizzò.
- Cosa credi significhino i tuoi sogni? -
- Possono voler dire tante cose, tutto è il contrario di tutto e la logica collassa muta dinanzi a ciò che vedo. Quello che ho potuto scorgere mi ha riportato alla mente una delle antiche profezie della Volva. -
- La Volva? - ripeté con un misto di meraviglia e soggezione.
- Erano trentatré. Trentatré Veggenti scelte tra gli Alati, la stirpe creata da Yggrasil stesso. Esse, al Crepuscolo degli dei, riferirono il messaggio ai più degni tra tutte le razze create. Molti le trascrissero, altri si affidarono alla loro memoria, ma il tempo è tiranno e i libri, così come i ricordi, sono soggetti al suo imperituro scorrere. I più hanno dimenticato e pochi non ne conservano altro che frammenti senza senso. O se anche ce l'hanno, un senso, questo è completamente stravolto. -
- E tu, invece? La conosci? -
Urian scrutò Arghail di sottecchi e iniziò a recitare senza indugio.
- Ammantato delle tenebre degli Abissi,
il Protettore delle Profondità marcerà sul Mondo Nato dal Nulla,
portando con sé la Stirpe forgiata dal suo stesso sangue.
I Popoli prenderanno le armi e la Morte li divorerà.
Tempo di spade, vento di distruzione, fuoco e cenere,
s'infrangeranno scudi e si alzeranno grida.
Tempo di tempesta, tempo di gelo.
Gemerà il suolo al tonfo dei cadaveri
e il crepuscolo avvolgerà il Mondo al calar del centesimo inverno.
Sotto un unico stendardo i Popoli leveranno le armi al cielo
e riforgeranno i vincoli di sangue dimenticati.
Tempo di luce, vento di primavera, fuoco purificatore.
Splende, fulgida, Amarnwyn nella sinistra del Guardiano.
Davanti ai miei occhi si svolge il filo del Destino.
Feroce urla il Corvo dinanzi alle Schiere Oscure,
gracchia nei cieli del mondo alla ricerca del sangue perduto,
trama contro i figli di Yggrasil.
Dalle stelle del Nord, il sole arrossa la terra,
là dove Vita e Morte camminano fianco a fianco.
Nel tempo del lupo, la terra
si impregnerà di sangue innocente.
Il Guardiano spezzerà i lacci
per combattere la guerra del Mondo nato dal Nulla.
Arriverà alla fine dell'orizzonte, con la Morte come sua fedele compagna e seguace.
Sprofonderà nel cuore della terra, con la luce del Padre a fargli da guida.
Calcherà le Lande dei Primordi, con Amarnwyn e i figli di Yggrasil.
Allora il Protettore delle Profondità vestirà le carni del figlio del Corvo. -
Airis boccheggiò attonita.
“La stessa profezia che mi aveva riferito Cyril. Significa che è lei la Volva?”
Arghail ascoltò rapito la profezia e, quando Urian tacque, parve riscuotersi.
- Tu credi davvero che Airis abbia a che fare con... - si interruppe e una risata isterica gli fece tremare le labbra, - Tutto ciò non ha il benché minimo senso. -
- La realtà spesso non può essere misurata con un metro di giudizio umano, giovane aquila. - Urian incrociò le gambe e ravvivò le fiamme con un gesto della mano, - Ciò che io credo potrebbe corrispondere al falso può rivelarsi vero e viceversa. Non c'è certezza nell'interpretazione dei sogni, se non che essi sono eventi che saranno, furono o potrebbero essere. -
Arghail si passò una mano sulla faccia e sbuffò frustrato.
- Di' quello che devi dire, Urian. - lo esortò Airis.
Il Fae rimase per un po' in silenzio, abbastanza da farle credere d'averlo offeso per il tono brusco che aveva usato. Ma quando prese la parola, la sua voce era pacata e seria.
- Credo tu sia la Guardiana, colei che è stata scelta dagli dei per riportare l'equilibrio nel Mondo Nato dal Nulla. Il tempo è il tuo peggior nemico, più del Fanciullo che ti alita sul collo. Sei alla ricerca di Amarnwyn, la Forbice del cielo, e della grazia per la realtà contingente che non ti è più cara. Tuttavia, le uniche guide a cui ti puoi affidare sono te stessa e i consigli di coloro che furono prima di te. Quello che mi domando è se sei davvero degna di ricoprire questo ruolo dopo ciò che hai fatto. - concluse, trapassandola con un'occhiata talmente intensa da farla sentire nuda.
Airis si morse l'interno della guancia e istintivamente si portò una mano sul petto, all'altezza del cuore.
- Perché dovrei dimostrare a te di essere degna? Chi sei davvero? -
- Sono molte cose, a seconda di chi mi vede. Per te, lupa rossa, sono un giudice e la mia gente i testimoni. -
Arghail strinse i pugni, ma, prima che decidesse di compiere qualsiasi gesto avventato, Airis lo afferrò per la spalla. Il suo doveva essere un semplice ammonimento, eppure il suo compagno non riuscì nemmeno ad alzarsi. La squadrò stranito, guardando prima la mano e poi lei, e solo allora Airis si rese conto che lo stava tenendo fermo con solo la forza del braccio e senza alcuno sforzo. Lo ritrasse lentamente e si osservò la mano, aprendo e chiudendo le dita divenute fredde, come se il sangue fosse improvvisamente defluito.
- Cosa accadrà se non dovessi risultare degna? -
- Per valicare i Monti Neri ti servono provviste, delle cavalcature adatte e un consiglio sulla via da intraprendere. -
- Moriremo, quindi. - constatò Arghail con una smorfia, - Se secondo il tuo giudizio Airis non sarà degna, moriremo. -
Urian si alzò, prese la spada che era posata sul tavolo e la porse alla sua legittima proprietaria.
- Se non ce la facessi, il mondo come lo conosciamo finirà. - mormorò Airis.
- Vorrà dire che la Volva ha errato nella sua scelta e che quest'era di caos dovrà attendere la venuta di un altro Guardiano. - disse Urian con voce calma e al contempo gelida.
La guerriera non capiva come potesse rimanere così tranquillo. Strinse l'elsa della spada e la legò alla cintola, mentre Arghail l'affiancò.
- Arghail, ascolta, so che è difficile da credere e capire, ma... -
- Non ho detto che gli credo. Ciò che ci ha rivelato esula da ogni schema logico e io non penso di... potermi fidare. Ancora stento a credere che i Fae delle leggende siano creature realmente esistenti. - bisbigliò e lanciò un'occhiata di sottecchi alla porta, al di là della quale Urian era sparito, - Ma tu gli credi e io ho promesso di avere fiducia in te. Ti giuro qui e adesso che ti seguirò fino alla fine. Urian ha ragione: non posso misurare le tue motivazioni con il mio secchio, né giudicare secondo il mio parere, non finché il quadro non sarà completo. Fino ad allora rimarrò fedele alla mia parola. -
- Sei un uomo d'onore. -
- È una delle poche cose che posso dire di essere. -
Urian tornò qualche istante dopo con una pesante pelliccia di muflone. Quando la porse ad Arghail, questi invitò Airis a coprirsi, ma la guerriera rifiutò. Il capitano alzò entrambe le sopracciglia perplesso, per poi mettersela sulle spalle senza ulteriori insistenze.
Fuori l'aria era immobile e tirava un vento freddo che piegava i pochi steli d'erba sopravvissuti alle gelate. La luce era obliqua, opaca, fendeva il banco di nubi in lame sottili che non portavano alcun calore. Non c'erano molte case e i pochi Fae che incrociarono erano tutti imbacuccati come Arghail, anche se ce n'erano alcuni con gli stessi capelli e occhi di Urian che giravano a gambe scoperte.
Una donna teneva un falco grosso come un'aquila reale sull'avambraccio, una bestia dal piumaggio della testa nero con riflessi rossastri e il becco color ardesia arcuato, quasi affilato. Non appena le passarono accanto, ebbero addosso tre paia d'occhi, le due del rapace, grandi e scure come piccole biglie, e quelle della Fae, con un'iride grande e una pupilla così piccola da apparire come una fessura nel blu.
Urian la oltrepassò come se non l'avesse nemmeno notata e ignorò gli sguardi di tutti i Fae che erano all'esterno. Airis invece ricambiò ogni occhiata senza mai lasciarsi intimorire e, mentre avanzava, notò con un certo orgoglio che anche Arghail li fronteggiava senza paura.
Non erano molti quelli che giravano per il villaggio – perché quello era, un villaggio, con poche case di pietra con il tetto di legno intrecciato –, ma quei pochi che incontrarono sulla loro strada li scrutavano ostili, alcuni talvolta facevano addirittua schioccare i denti d'argento, sorridendo minacciosi.
Una ragazza che agli occhi di Airis doveva dimostrare sì e no quindici anni abbassò il capo e svanì in un turbinio di polvere e foglie secche; un bambino alto massimo quattro piedi, con i capelli ricci e il naso schiacciato, elargì loro un sorriso grifagno, anche lui scoprendo la dentatura argentata da squalo; un uomo con i capelli tagliati poco sopra le orecchie, ispidi come aghi di pino, e dagli occhi neri sprovvisti di iride li degnò appena di uno sguardo, prima di montare su quello che, di primo acchito, sembrava un cavallo dal collo tozzo come quello di un toro e gli zoccoli biforcati. Airis notò le piccole corna e la presenza di una coda canina. Nessuno però, nemmeno le tre donne con la coda serpentina che sibilarono loro contro, ebbe il coraggio di avvicinarsi. Bastava una semplice occhiata di Urian per rimettere in riga i più bellicosi.
Quando furono fuori dal villaggio, Arghail si abbandonò a un sospiro di sollievo e Airis allentò la presa sull'elsa della spada. Attraversarono lo spiazzo erboso che abbracciava il villaggio e si diressero verso est, inerpicandosi su un sentiero che si inoltrava in un bosco di larici. Il vento faceva stormire le fronde e trasportava con sé un profumo appena percepibile di salsedine, così tenue da sbiadire, sopraffatto dall'intensa e fresca fragranza del sottobosco, un misto di muschio, primule ed erica. Di tanto in tanto una marmotta o una faina tagliava la strada di corsa, andandosi a nascondere in un cespuglietto di mugo o in una tana scavata tra le radici di un albero.
Urian era l'apripista, camminava davanti con ampie falcate senza però distanziarli mai troppo. Li lasciava indietro quel che bastava per garantire loro un po' di intimità o, come Airis pensò, per metterli a loro agio e lasciar loro il tempo di pensare, oppure semplicemente per permettere alla calma naturale del bosco di permeare le loro menti e placare i loro animi.
Nel silenzio imperante, interrotto solo dai rumori degli animali o dal mormorio del vento tra gli alberi, Airis si sentiva in pace con se stessa, in comunione con la parte più profonda del suo essere, e anche Arghail le sembrava rilassato, l'inquietudine scacciata sia dal suo sguardo che dal suo corpo.
La vegetazione si diradò e il percorso uscì dal bosco, proseguì su un clivo ripido dove l'erba cresceva più rada e li condusse a fiancheggiare una parete rocciosa nera tra le cui fessure ondeggiavano delle campanule dai petali viola, i pistilli che brillavano come piccole gemme, ancora roridi di rugiada. Da quell'altezza si poteva vedere il villaggio e il bosco di larici che si estendeva a perdita d'occhi fino quasi alle pendici della montagna, una vastità verde che toglieva il fiato.
Urian non disse nulla, né su come dovessero muoversi né su dove dovessero mettere i piedi. Per lui era facile, avanzava con la familiarità di chi conosce e vive da anni in quei luoghi, senza mai esitare o fermarsi paralizzato dalla paura e dalla meraviglia. Airis e Arghail procedettero a tentoni, lentamente, affidandosi in tutto alla loro guida: si aggrappavano dove lui metteva le mani, schivavano le pietre che lui evitava e si appoggiavano a quelle che lui reputava sicure. Avevano entrambi le mani umide, ma il sudore sul viso e sul collo si asciugava in fretta grazie alle continue correnti che piegavano le saponarie e i crochi che spuntavano tra i massi, questi ultimi protesi verso il sole, quasi anelando, supplici, il calore di una primavera che tardava ad arrivare.
- Siamo arrivati. - li informò pacato Urian quando giunsero in cima.
Airis dovette fare appello a tutta la sua dignità e orgoglio per non lasciarsi cadere distesa sull'erba. Arghail azzardò qualche passo e poi si sedette su una roccia che spuntava in mezzo a una piccola foresta di romici e bucaneve, mentre Urian si spinse fino al centro del prato, nel mezzo di un cerchio di pietre nere, alte più di cinque piedi, attorno alle quali si erano radunati una decina di Fae. Airis riconobbe anche qualche viso e le venne spontaneo domandarsi come avessero fatto ad arrivare fin lì senza che lei se ne accorgesse.
“Magia, ovviamente.”
Urian le fece cenno di avvicinarsi. Airis lanciò un'ultima occhiata ad Arghail prima di avviarsi. Era già stata convocata in un luogo come quello, quando ancora non era un Cavaliere e la sua appartenenza all'esercito era opinabile. Quel giorno si era sentita come in quel momento, con il cuore leggero e un fuoco freddo che le serpeggiava nelle vene, rinforzando il suo coraggio e forgiando la sua determinazione. Quando oltrepassò il cerchio di pietre, il vento prese a soffiare più forte.
- Trentatré pietre, trentatré testimoni degli dei. Lei è colei che la Volva ha scelto, la nuova Guardiana. Quello che accadrà tra queste pietre è il volere dei nostri genitori. Se sarà degna, metteremo da parte le nostre divergenze con gli umani e l'aiuteremo nel suo compito; se dovesse fallire, allora lasceremo che siano le Montagne a emettere l'ultimo giudizio. - Urian aveva mantenuto lo stesso tono di voce, eppure nel silenzio quasi totale ad Airis era sembrato un leone, - Non dovrai dimostrare né la tua forza né il tuo acume, Guardiana. Sei stata chiamata a rimettere in equilibrio la bilancia del Caos e dell'Ordine. È questo il tuo fine ultimo, il risultato che dovrai perseguire a qualsiasi costo, qualunque sia il prezzo richiesto. -
Airis annuì. Gli altri Fae rimanevano fuori dal cerchio e lei era il fulcro della loro attenzione. Glielo poteva leggere in faccia che speravano nel suo fallimento.
“Bastardi.”
- Cosa devo fare per provarti che Cyril non ha sbagliato? -
Urian sollevò le sopracciglia e Airis si godette la ruga di sorpresa sulla fronte. Dopo un momento, il Fae tornò impassibile e riprese a parlare come se non gli avesse detto alcunché.
- Ti verrà posta una domanda e dalla tua risposta capirò se questo compito ti appartiene. -
Airis storse le labbra: - Pensi davvero di potermi giudicare da una risposta? -
- Le parole, lupa rossa, sono importanti. Talvolta immiseriscono quello che si cela nel cuore di un uomo, lo riducono a un cumulo di sillabe che si perdono nel vento; ci sono volte, però, che sono più potenti di qualsiasi magia o incantesimo, e anche un semplice “sì” può cambiare il mondo e dire molto di più di cento azioni. Un baro risponderebbe alla domanda senza ponderare il peso di quelle parole o carpirne il loro vero significato, l'essenza recondita che esse portano con sé. E avrebbe errato, perché non è ciò in cui crede davvero. -
Levò le braccia al cielo e una fiamma si generò tra le sue mani.
- Sei un politico e fai parte di un collegio di tuo pari. Il tuo paese è in guerra da molti anni con un altro, più forte e potente. Tuttavia, negli ultimi mesi il vostro esercito ha riportato diverse vittorie contro ogni pronostico. Il Consiglio deve decidere cosa fare. Da un lato, metà di esso, così come metà del tuo popolo, desidera la resa, che trasformerà il vostro uno stato vassallo. In questo caso, la guerra terminerà e gli uomini, ormai sfiancati dalle innumerevoli morti e battaglie, potranno tornare a casa dai loro familiari per arare la terra, rimpinguare la casse con il loro salario e rendere più florido il commercio ormai da anni stagnante. In più, dovrete rinunciare alla vostra religione, ai vostri costumi e alle vostre tradizioni e adottare quelle dello stato vincitore e, probabilmente, il Consiglio di cui tu fai parte verrà sciolto. Dall'altro lato, potete continuare la guerra, così come propone il tuo migliore amico. Egli desidera proseguire, anche se questo significa armare ancora una volta l'esercito e sacrificare la vita di molti uomini. Le casse dello stato sono sufficienti per fornire armi per una sola, ultima battaglia, quella che potrebbe decretare la fine o l'inizio di tutto. Se perderete, diventerete schiavi, se ne uscirete vincitori vi potrete arricchire, i vostri confini si estenderebbero fino al mare e potrete vantare una ricchezza capace di rivaleggiare con quella dei re delle leggende. Tu sei la piuma che potrà far pendere l'ago della bilancia dall'una o dall'altra parte: se deciderai di schierarti con chi desidera la pace, il tuo amico verrà avvelenato, così da stroncare gli animi degli altri avversari e raggiungere l'unanimità. Se invece parteggerai per lui, l'unica cosa di cui avrai la consapevolezza è che altro sangue verrà versato e, forse, inutilmente. -
Urian si zittì e fece un passo indietro, portandosi a ridosso del cerchio. Airis non lo perse di vista finché non si fermò, così vicino a una delle pietre che gli sarebbe bastato far ondeggiare la mano per toccarla.
Trasse un profondo respiro e rilassò le spalle, spostando lo sguardo sugli astanti e poi oltre, fino a trovare la rassicurante presenza del cielo. Il vento aveva sfilacciato le nubi, liberando il sole dalla sua prigionia coatta. Portava con sé il rombo attutito di una cascata e lo sciabordio placido di un corso d'acqua. Airis si riempì i polmoni di quell'aria fresca e chiuse gli occhi. I suoni della natura le colmarono la mente ancora una volta e misero a tacere ogni obiezione, ogni angoscia. Erano solo lei e il vuoto pieno della vita in attesa della primavera.
La risposta emerse con una limpidezza disarmante, si profilò davanti alle palpebre chiuse come se fosse sempre stata lì.
Puntò lo sguardo su Urian e poi lo passò su tutti gli altri membri della comunità Fae lì raccolti, per poi tornare sul Darhaid. L'ombra di un sorriso aleggiava sulle sue labbra.
- Combatterò. - dichiarò ad alta voce, sicura e ferma, - Combatterò perché un popolo senza più un passato smette d'esistere. Combatterò perché è giusto onorare il sacrificio dei caduti. Combatterò perché non possiamo permettere alla guerra di portarci via i valori che ci hanno resi uomini, perché una pace nata dalla resa incondizionata ci toglierebbe la libertà. -
- Anche se il risultato potrebbe essere una tragedia? -
- Ho smesso di aspettarmi certezze molti anni fa. - si mise una mano sul petto, sopra la cicatrice che l'aveva condannata, - Che debba vivere o che debba morire, mi prenderò le mie responsabilità, nel bene e nel male. -
Urian la fissò negli occhi con un'espressione imperscrutabile. Tutti attorno a loro trattenevano il respiro, anche la natura sembrava imprigionata in un momento di stasi. Quindi avanzò fino a lei e le posò una mano sulla spalla, esercitando pressione per farle capire di inginocchiarsi.
- Il volere degli dei è sancito. - decretò solenne, non appena Airis fu in ginocchio.
Tirò fuori dalla tasca un orecchino con la forma filiforme di un drago. Era di cristallo nero, con le squame disegnate su tutto il corpo e le ali appena aperte, come se si fosse appena svegliato. Glielo accostò all'orecchio e, senza alcun preavviso, cacciò dentro il primo ago nel lobo e il secondo nell'elice.
Airis inghiottì un urlo e si schiacciò la mano contro l'orecchio, ma Urian l'allontanò con una manata.
- A... a che cosa serve? -
- Avevo sognato una lupa dal manto rosso che, in compagnia di una giovane aquila, valicava i Monti Neri. - le disse, ignorando il suo commento, la voce sempre calma e controllata, - Alle sue spalle il Fanciullo raccoglieva le farfalle danzando tra le macerie, mentre davanti a lei il buio ingoiava la luce e il Protettore delle Profondità banchettava con il cuore del Corvo. -
Prese la parte restante della coda del drago e la infilò nell'ago sul lobo, per poi assicurare la parte superiore con una rotellina.
- Ledah... Ledah non ce la farà? È questo che mi stai dicendo? - domandò col cuore in gola.
- Le scelte hanno un peso sull'avvenire, lupa rossa: ne basta una a volte per cambiare il futuro che sarebbe potuto accadere domani. -
Airis aprì la bocca per chiedere ancora, ma Urian si era già girato.
- Fornite alle Guardiana e al suo compagno tutto quello che sarà necessario per il viaggio. - disse oltrepassando il cerchio di pietre e si rivolse alla donna che era sparita non appena li aveva visti, - Porta il mio messaggio agli altri membri del villaggio e fa sì che la voce si sparga. -
- Volete davvero aiutare un'umana? Dopo tutto quello che ci hanno fatto passare, come potete... -
Urian mise a tacere il Fae che aveva parlato con un gesto imperioso della mano. Era un uomo alto e grosso, dagli occhi felini, la mascella volitiva e le spalle larghe.
- Gli dei non sbagliano mai, Morel. - sibilò Urian e l'occhiata gelida che gli scoccò lo costrinse ad abbassare la testa, - Ora va' e riportali al villaggio. -
- Sì, Darhaid. -
Non appena Urian si allontanò, il Fae fece come gli aveva ordinato. Arghail si era accostato ad Airis e le aveva stretto la spalla con un sorriso trionfante che le scaldò il cuore. L'abbracciò, incurante dell'improvvisa rigidità della sua compagna.
- Lo sapevo che ce l'avresti fatta. - le sussurrò.
- Sì... sì, va bene, ma ora lasciami. -
Il soldato scoppiò a ridere e si allontanò, le mani alzate in segno di resa. Sorrideva scanzonato e, sebbene nei suoi occhi fosse rimasta un'ombra di inquietudine, la tensione aveva abbandonato il suo corpo.
Quando il Fae fu abbastanza vicino, il vento turbinò intorno ai loro corpi sempre più in fretta, alzando foglie, strappando steli d'erba e alcuni sassolini. L'aria prese forma in un cornice rettangolare fumosa, quasi tangibile. All'interno vi era una fitta foschia, al di là della quale non si vedeva nulla.
Airis deglutì, la pelle leggermente imperlata di sudore, ma non fece in tempo a fare o dire nulla che il Fae la spinse all'interno. Si ritrovò al villaggio, davanti alla porta di Urian. Con le gambe che le tremavano, si dovette appoggiare al muro prima di vomitare tutto quello che aveva nello stomaco. Una parte schizzò sulla pietra, ma la maggior parte le imbrattò i piedi.
- Airis, cos'hai? -
Arghail corse verso di lei e fece passare il braccio sotto l'ascella per sostenerla. La guerriera aveva la bocca impastata e il sapore rancido della bile sulla lingua. Era così forte che vomitò di nuovo, stavolta con un po' più di contegno.
- È refrattaria alla magia. -
Urian comparve alle loro spalle in un vortice di cenere accesa, al suo fianco una donna con i capelli così chiari e sottili sa sembrare trasparenti. Anche quelli del Fae che li aveva riportati lì, osservò Airis, erano così.
- È una storia lunga. - rispose quando ebbe ripreso fiato, - Ora dateci quello che ci serve e lasciateci andare. -
- Ho già dato disposizioni in merito. Entro un paio d'ore sarà tutto pronto. -
Urian passò loro accanto, scostò la pozza di vomito e aprì la porta, lasciandola aperta. Arghail, sempre sorreggendola, la portò dentro e la fece sedere sul pagliericcio.
- Hai molti più segreti di quelli che pensassi. -
Airis appoggiò i gomiti sulle ginocchia, lasciando le mani a penzoloni. Sentiva ancora un fastidioso malessere in fondo allo stomaco, ma era abbastanza sicura di essersi svuotata del tutto.
- Solo un po' più degli altri. -
- Già. - ridacchiò l'amico e si sedette anche lui, - Non avevo mai sentito dell'esistenza di un'allergia simile. -
- Sono l'eroina di un'epopea epica... dovevo pur avere qualcosa di speciale, no? -
Arghail rise di nuovo.
- Lassilsan aveva un'ascia capace di spaccare le montagne, Chanim era in grado di parlare con gli animali e la grande Airis, Cavaliere del Lupo, grande Generale dell'esercito umano vomitava al primo sentore magico. -
- Almeno sono originale. - lo rimbeccò.
- Questo non si può negare. Potrò sapere qualcosa di più sulla mia misteriosa compagna di viaggio prima di imbarcarci nella nostra missione? -
Airis esitò prima di rispondere. La sua testa era altrove, concentrata su ciò che Urian le aveva detto, l'ultima frase che le aveva rivolto prima di abbandonare le Pietre Giudici. E il suo pensiero volò a Ledah, alla promessa che si erano fatti prima di dividersi a Luthien, e poi alle parole di Hallende, così simili a quelle di Davsten. Forse era davvero il momento di cominciare a ricambiare la fiducia che tante persone avevano riposto in lei.
- Un giorno. - sospirò con un sorriso mesto, guardandolo di sbieco, - Un giorno ti dirò tutto. -
Arghail assentì e si alzò, scrollandosi la polvere dalla cioppa.
- Tu riposa pure, ti sveglierò quando dovremo partire. -
Per la terza volta nella sua vita, Airis sentì di poter dormire sonni tranquilli. E così fece.

  
Leggi le 3 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: Himenoshirotsuki