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Autore: n3rieko    09/10/2017    2 recensioni
«Come stai?» chiese Sugawara dopo ciò che era parsa un'eternità.
Oikawa non rispose, lo guardò e socchiuse gli occhi. Aveva ancora addosso la spiacevole sensazione di quando, aprendo porta, aveva realizzato di essersi illuso. Aveva veramente sperato di trovare Hajime, così come l'aveva trovato quella sera di dicembre. Invece, si era presentata una vecchia conoscenza con cui probabilmente non scambiava una parola dai tempi in cui giocavano entrambi a pallavolo.
Non capiva perché avrebbe dovuto rispondere, non capiva nemmeno come facesse a sapere dove abitava, o come fosse al corrente della penosa situazione in cui era ferma la sua vita.

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Una delle mie ship preferite con tutto l'angst che non sapevo dove riversare.
Genere: Angst, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Koushi Sugawara, Tooru Oikawa
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lo scopo di questa storia è scaricare quell'irrefrenabile voglia di scrivere disastri sentimentalie sopperire al tempo stesso al bisogno di vedere la tua rarepair . E' stata influenzata dalla doujinshi "light friend". Scusatemi in anticipo. <3


 

AND COUNTING




Il cellulare di Oikawa non suonava da settimane. Era acceso, ventiquattro ore su ventiquattro, e sempre connesso alla rete, le notifiche attivate. Eppure, non suonava.

Era passato poco più di un mese e mezzo da quando Iwaizumi aveva lasciato il Giappone, da quando era salito su quel maledetto aereo per l'Australia lasciando soltanto un messaggio scritto a matita su un pezzo di carta unto. Era sparito così dalla vita di Tooru, senza strazianti addii, né litigi.

Era stato facile arrabbiarsi e stropicciare quel biglietto, infilarsi un cappotto e le scarpe senza nemmeno indossare le calze. Facile correre alla macchina e dirigersi verso l'areoporto, il piede piantato sull'acceleratore e le dita strette sul volante come se avessero volontà propria. Era stato altrettanto facile entrare e guardarsi attorno, in piedi tra centinaia di persone, e rendersi conto che tutto era già scivolato via dal suo controllo ancora prima che Iwaizumi avesse bussato alla sua porta la sera prima. Non sapeva dove voltarsi, dove andare, come trovarlo. Era fermo in un fiume di turisti, uomini in viaggio d'affari, famiglie. Immobile, pietrificato dal dolore che poco a poco sostituiva la rabbia, con addosso ancora i pantaloni della tuta del pigiama e la canottiera strappata di Hajime.

Da allora, il suo cellulare non aveva più suonato. Quel numero che aveva imparato a memoria al liceo risultava inesistente, e riformularlo ogni sera era diventato un gesto abitudinario, come mangiare o lavarsi i denti. Ogni giorno ascoltava le prime parole della voce femminile pre registrata, poi chiudeva la chiamata, rimanendo a fissare lo sfondo del suo Iphone come se nutrisse ancora la speranza che quel numero lo richiamasse, una voce diversa all'altro capo a dire il suo nome. Ma non era mai successo; di Hajime non aveva più sentito nulla. Di lui rimanevano i ricordi, gli oggetti, l'odore sui vestiti che gli aveva prestato, ed Oikawa viveva attorno a questo, proteggendo quei cimeli come se dovessero, prima o poi, diventare l'unica prova dell'avvenuta esistenza di Iwaizumi.

La sera del terzo giorno di Febbraio, ad esattamente quarantotto giorni di distanza dal momento in cui la sua vita era radicalmente cambiata, Tooru udì il campanello suonare. Era seduto a terra, una coppa di ramen istantaneo tra le mani e la televisione accesa su un programma a cui era stato tolto l'audio. In un primo momento pensò si fosse trattato di uno scherzo della sua immaginazione, perciò non si alzò subito, ma attese. La seconda volta, però, bussarono.

«Hajime» si era lasciato scappare mentre si gettava attraverso l'angusto appartamento. Il cuore sembrava volergli esplodere nel petto.
Aprì la porta, e prima ancora che la sua mente potesse capire, il suo corpo aveva già reagito, deluso. Davanti a lui non aveva trovato Iwaizumi, ma un volto stranamente familiare di cui non ricordava il nome. Il giovane aveva sorriso, e notando l'affanno di Oikawa, sembrò scrutarlo con sincera preoccupazione.

«Ciao.» disse cautamente. «Non so se ti ricordi di me, ma sono passato a vedere come stavi.»

Oikawa era confuso, non sapeva bene cosa pensare.

«Sai, ho saputo che le cose non stavano andando proprio a meraviglia, ultimamente.» Si era inclinato leggermente verso destra, il pallino di lana che pendeva dalla punta del suo berretto si era spostato con lui.
Portava una giacca blu scuro, alle mani aveva un paio di muffole con cui reggeva un piccolo pacchetto. Il suo viso era incorniciato da morbidi capelli argentati e le gote erano di un rosso delicato. La sua sua sola presenza sembrava aver portato con sé una ventata di pace.

«Sugawara» disse Oikawa, rendendo quel nome più una domanda che una constatazione.

Koushi aveva annuito, sollevato che quell'uomo fosse effettivamente Tooru. Era diverso da quando andavano ancora entrambi al liceo, o da quando, uscendo dalle lezioni che frequentava con Hajime, lo vedeva seduto sul prato a studiare, in attesa del proprio compagno. Sugawara ricordava quegli anni d'università come se fossero avvolti da una costante foschia. Da essa emergevano soltanto poche figure; le braccia di Daichi, strette attorno ad una donna, Hajime e il suo disagio mentre, seduto accando a Koushi, gli porgeva un pacchetto di fazzoletti nel bel mezzo di una lezione. E poi Oikawa, la figura sullo sfondo da cui Hajime tornava ogni giorno.

Sugawara divenne improvvisamente nervoso, ma ignorò la sensazione spiacevole e continuò: «Ho portato un po' di torta, ti va?»

Oikawa lo guardò a lungo, incapace di dire nulla. Cosa avrebbe dovuto pensare? Come avrebbe dovuto reagire? Era da così tanto tempo che non aveva contatti al di fuori del proprio ufficio che il concetto di “altro essere umano” aveva cominciato ad offuscarsi. Perché, oltre ai colleghi con cui scambiava solo conversazioni sterili, non aveva nessuno con cui parlare se non il fantasma di Hajime. E quel fantasma altro non era che un frutto della sua mente, e pur essendo cosciente di tenere strazianti conversazioni con se stesso, per Tooru erano sufficienti.

Fece entrare Sugawara e gli fece posto al kotatsu, spostando riviste di coupon e vecchi numeri di Jump che teneva da anni e che gli erano stati regalati dal quello che, ai tempi del liceo, era soltanto il suo migliore amico. Mise poi a scaldare l'acqua e cercò due bicchieri puliti tra quelli che erano stati usati come posacenere e quelli dimenticati sporchi di caffè sul lavello. Non si scusò della confusione, né della polvere. Preparò il té e lo porse a Sugawara, il quale si era tolto la giacca e l'aveva piegata al suo fianco. Le maniche del suo maglione a collo alto color cioccolato erano più lunghe del dovuto.

Entrambi sedettero in silenzio per qualche minuto, uno in attesa di spiegazioni, l'altro in contemplazione, il té bollente tra le mani.

«Come stai?» chiese Sugawara, dopo ciò che era parso un'eternità.

Oikawa non rispose, lo guardò e socchiuse gli occhi. Aveva ancora addosso la spiacevole sensazione di quando, aprendo porta, aveva realizzato di essersi illuso. Aveva veramente sperato di trovare Hajime, così come l'aveva trovato quella sera di dicembre. Invece, si era presentata una vecchia conoscenza con cui probabilmente non scambiava una parola dai tempi in cui giocavano entrambi a pallavolo. Non capiva perchè avrebbe dovuto rispondere, non capiva nemmeno come facesse a sapere dove abitava, o come fosse al corrente della penosa situazione in cui era ferma la sua vita. Un pensiero gli balenò in testa, e le sue labbra parlarono ancora prima di riflettere:

«Chi ti ha detto di venire?»

«Preferirei non parlarne ora. Perchè non assaggi la torta? E' dolce, aiuta il morale» e con le sue dita sottili, Koushi spinse verso di lui il vassoio su cui erano disposti due spicchi di torta alla vaniglia.

«Conosci Iwaizumi.» continuò impassibile Oikawa.

Sugawara prese il suo pezzo di torta e la addentò, ancora, senza dare una risposta. I suoi occhi si spostarono poi sulle sagome che si muovevano sullo schermo della tv. Non le stava realmente guardando, cercava soltanto di lasciare a Tooru il suo spazio. Non sembrò funzionare, perchè l'altro spicchio di torta rimase sul vassoio, intoccato.

Sugawara sospirò. Finì di bere il té e guardò l'orologio al polso; le ventidue e tredici. Pensò alle lezioni che non aveva ancora preparato ed alle poche ore di sonno che gli sarebbero quindi rimaste prima di salire sul treno delle sette. Decise che per quella sera sarebbe bastato.

«Ti piacciono le fragole?» si ritrovò a chiedere mentre si infilava gli stivaletti.
Non si aspettava che Tooru dicesse nulla, e lo capiva. Lo capiva terribilmente bene.

Sugawara prese quel silenzio per un sì, e con lo stesso sorriso sincero di quando era arrivato, lo salutò e percorse rapido la passerella che dava accesso agli appartamenti.

Iwaizumi sapeva. Doveva sapere, pensò Oikawa. Che senso avrebbe avuto altrimenti ciò che era appena successo? Hajime doveva avere ancora contatti col Giappone.

Ma non con lui.
La stanchezza che gli piombò addosso fu tale da costringerlo a sedersi. Più guardava la torta, più il suo stomaco si contorceva in disgusto.

«Tutti questi anni» aveva sussurrato, come se all'altro lato del kotatsu sedesse ancora l'uomo di cui era innamorato. «Per te non valevano molto, eh, Iwa-chan?»


 

Il giorno seguente il campanello suonò ancora, ed aperta la porta, Oikawa trovò di nuovo il viso sorridente di Sugawara. Lo fece entrare, ora mosso da una curiosità che non voleva dar a vedere. Ancora, non ottenne risposte. E nemmeno lui si preoccupò di prestare attenzione alle domande che gli venivano poste.
Sugawara aveva portato delle tartine alla crema e fragole, che come la sera precedente, aveva cercato inutilmente di condividere.

«Non ti piacciono i dolci?» aveva chiesto con la bocca ancora piena, guardando Oikawa starsene seduto immobile a fissarlo mangiare. «Posso portare dell'oden domani.»

«Si può sapere perchè sei qui?»

«Perché hai bisogno di aiuto.»

«Io non te l'ho chiesto.»

«Tu, no.» e sorrise, pulendosi la crema che gli era finita sulla punta del naso.

Era irritante sapere che qualcuno poteva avere ancora contatti con Hajime, mentre Tooru, il suo amico d'infanzia, il suo amante, era stato tagliato fuori dalla sua vita di punto in bianco, senza spiegazioni. Era una sensazione insopportabile.

La sera dopo, Sugawara portò l'oden come promesso. Quella dopo, take-away cinese, e quella dopo ancora, pizza.
Le cose si svolgevano sempre allo stesso modo; nessuno dei due rivelava nulla; ad Oikawa venivano fatte le solite domande a cui non avrebbe risposto: Come stai? Com'è andato il lavoro? Suga invece sorrideva dolcemente, cercando di vincere la barriera che Tooru aveva costruito con tanta cura attorno alla propria persona in quell'ultimo mese e mezzo.
L'unica cosa che era cambiata, era che ora entrambi mangiavano ciò che era davanti a loro.


 

«Domani è sabato.» disse Koushi voltandosi.

«E quindi?»

«Dobbiamo dare una pulita a questo posto, non credi? Da quanto tempo non passi l'aspirapolvere?»

Oikawa lo guardò accigliato. Era ben cosciente delle condizioni in cui riversava il suo appartamento, ma il fatto che fosse qualcun altro a farglielo notare lo infastidiva.

«Primo, non sono affari tuoi. Secondo, questa non è casa tua.»

Koushi scrollò le spalle: «E quindi?»

«Non ho bisogno del tuoi aiuto. Non so chi ti abbia mandato, ed a questo punto spero non sia stato Iwaizumi. Ma questa è la mia vita, e tu ci hai infilato il naso senza essere stato invitato.»

Sugawara sospirò e rimase un po' in silenzio. Tracciò distrattamente il bordo del bicchiere con l'indice.

Tooru non riuscì a controllarsi, la frustrazione era troppa. Aveva accolto Sugawara ogni sera da una settimana ormai e non aveva scoperto nulla sui motivi che spingevano quel professore di ventitrè anni a fermarsi ogni giorno a mangiare da lui. Il pensiero poi che fosse stato Hajime a mandarlo lo mandava fuori di sé.

«Mi vuoi dire che cazzo vuoi? Non ci conosciamo. Non sei tu la persona che si deve preoccupare per la mia salute.»

«Lo so.»

Oikawa socchiuse gli occhi, come se non riuscisse a mettere bene a fuoco ciò che aveva davanti nonostante gli occhiali.

«Sono qui per ricambiare un favore. E sono qui perché siamo più simili di quanto pensi.»

«Sei qui per fare l'infermierina?» sibilò Oikawa. Era appoggiato al lavello, indossava un maglione scuro sfilacciato sulla spalla destra.

«Se è ciò che vuoi.» scherzò Sugawara. «Te l'ho detto: sono qui per aiutarti.» Poi si stirò le braccia e si alzò dal kotatsu, incurante dell'espressione infastidita di Oikawa. Prese la borsa di pelle che si portava sempre dietro e che sembrava pesare almeno sette chili, si infilò il cappotto ed il berretto di lana.

Anche quella sera, lo salutò con la stessa serenità di sempre, canticchiando un “a domani” come se fossero ragazzini delle medie che si davano appuntamento per fare i compiti assieme.

Quella notte, tra tutte le domande che gli frullavano in testa, Oikawa dimenticò di chiamare Hajime.



 

«Uccidilo tu.»

«No? Sei stato tu a voler pulire, te ne sbarazzi tu.»

«Che c'è, hai paura?» chiese Sugawara con fare di sfida, il giornale arrotolato stretto in mano come se fosse una mazza da baseball.

«Beh, condivido la tua repulsione verso gli insetti» rispose stizzito Tooru, alla stessa distanza di sicurezza dallo scarafaggio a cui si trovava anche il suo compagno di pulizie.

«L'appartamento è tuo.»

«Allora che rimanga lì.» a quelle parole l'espressione disgustata d Koushi si accentuò ulteriormente.

Per entrambi era sempre stato qualcun altro ad uccidere i ragni ed a buttare fuori i calabroni dalle loro stanze, fin da quando erano piccoli. Hajime avrebbe buttato fuori l'insetto senza nemmeno farlo notare ad Oikawa. Daichi pure. Daichi era il tipo di persona che sarebbe venuto alle tre di notte per prendere il ragno peloso che terrorizzava Sugawara e che non lo lasciava dormire. Ora invece, nessuno dei due poteva contare su un appoggio del genere, ed entrambi, due adulti con un lavoro, grandi e vaccinati, se ne stavano in posizione di difesa agli angoli opposti dell'ignaro insetto.

«Allora? Aspettiamo che muoia di vecchiaia?» lo incalzò Tooru.

Suga lo guardò, poi, lentamente, il baricentro basso ed i muscoli tesi, si avvicinò allo scarafaggio. Come un karateka intento a spaccare un mattone a mani nude, sbatté il giornale a terra, con molta più enfasi del necesario.
Rimasero entrambi immobili, in attesa.
L'insetto, rimasto illeso dal colpo impreciso, si finse morto per una decina di secondi, poi, con uno scatto, si fiondò in direzione dei piedi scalzi di Suga, scatenando lo scompiglio generale.

Eventualmente, dopo altri cinque tentativi altrettanto disastrosi, Oikawa riuscì ad intrappolarlo sotto la confezione di plastica trasparente del bento.
Lavarono i pavimenti, pulirono il bagno e la cucina, misero in ordine il soggiorno e la camera da letto, e quando finirono, si ritrovarono entrambi stanchi ed affamati, seduti a terra contro gli armadietti del cucinotto. Lo scarafaggio li osservava da sotto la sua cupola trasparente. Prima o poi avrebbero dovuto trovare un modo per buttarlo fuori di casa, ma per quella sera, nessuno dei due aveva intenzione di avvicinarsi ancora a quell'immonda creatura.

«Non ti senti meglio? Ora almeno sai quanti coinquilini con sei zampe hai.»

«Tu conti come uno?» fece Oikawa.

Se ne stava con la testa appoggiata al mobile, gli occhi chiusi.

Sugawara rise. Una risata cristallina, giovanile. Una suono che non si era più udito tra quelle pareti da quando Iwaizumi era sparito. Per un attimo, Oikawa pensò fosse un suono dolcissimo.

«Io sono l'ospite indesiderato che porta il cibo, mi va bene questo titolo.»

Il silenzio che seguì sembrò contenere una domanda, la stessa che ronzava nella testa di Oikawa da una settimana: perchè? Perché proprio lui?
Come a leggere nella sua mente, il silenzio si protrasse ancora un poco, poi Sugawara parlò, la sua voce differente da poco prima:

«C'era un ragazzo.» disse come a raccontare una favola. Ma dalla sua espressione, si poteva intendere che non avrebbe avuto un lieto fine. «Un ragazzo che amavo, e che pensavo che anche lui mi amasse allo stesso modo.»

«Sawamura.» disse Tooru, non aveva intenzione di interromperlo, ma non poté trattenersi.

«Sì, Daichi. Era il nostro capitano, ed il mio migliore amico. L'ho amato, e per tutti quegli anni, non gliel'ho detto. Ho aspettato che ci diplomassimo, in modo da poter iniziare una nuova vita assieme, nella stessa università, nella stessa stanza di cui ci saremmo divisi l'affitto. Avrei aspettato il momento giusto per rivelargli cosa provavo. Ero così sicuro di essere ricambiato che non mi preoccupai di pensare a cosa fare in caso contrario. Avevo scambiato la sua amicizia per... per qualcosa di diverso.»

Suga si guardò le mani arrossate. «Quando mi decisi a parlargli, le cose non andarono secondo i miei piani. Anzi, fu abbastanza ridicolo ora che ci penso. La sua ragazza aveva bussato alla porta nel momento esatto in cui avevo finito di dirgli “ti amo”.» rise ancora, questa volta però era semplicemente amarezza.

Oikawa piegò la testa per guardarlo; Koushi teneva il mento appoggiato alle ginocchia, tra i suoi capelli argentei si intravedeva un piccolo orecchino alla curva dell'orecchio destro.

«Daichi non sapeva cosa dire. Certo, se gli avessi chiesto di dimenticare lui l'avrebbe fatto, avrebbe fatto finta di niente e saremmo stati ancora amici. Ma non lo feci. Fui egoista e non ritirai le mie parole. Così rovinai il rapporto più bello avessi mai avuto in tutta la mia vita. E fu una scelta solo mia. Cambiai università. Decisi di venire qui a Tokio per gettarmi tutto alle spalle, come se i kilometri tra me e lui fossero rilevanti. Ero nel tuo stesso campus, sai? Ma probabilmente tu non mi hai mai notato, né hai mai sentito parlare di me.»

Tooru aspettò qualche istante, poi, massaggiandosi il punto dove gli occhiali poggiavano sul suo naso, esclamò:

«Wow. E non sei nemmeno sbronzo.»

Sugawara si lasciò sfuggire un risolino e lo spinse scherzosamente per una spalla. Anche Oikawa aveva sorriso per poi tornare di nuovo serio.

«Vorrei solo che tu accettassi il mio aiuto.» fece Koushi.

«Perché? Vuoi essere per me quello che tu non hai avuto? Vuoi essere la “spalla su cui piangere” perchè ora sai come ci si sente ad essere soli?»

«Te l'ho detto. Devo ricambiare un favore. E mi fa piacere farlo.»

«Te l'ha chiesto Hajime?»

Sugawara abbassò lo sguardo:
«Non me l'ha chiesto.»

Lo stomaco di Oikawa si chiuse. Improvvisamente, non voleva più sentire altro. Per qualche strana ragione, quello fu abbastanza. Quelle poche parole significarono per lui una sconfitta. Portavano con loro altre mille domande, dubbi che mai avrebbe pensato potessero sfiorarlo.

Sugawara si accorse del cambiamento e si alzò. Mormorò un “vado a prendere la cena”, che Oikawa non sembrò sentire, ed uscì.
Hajime non glielo aveva chiesto. Ma ne avevano parlato. Quanto? Da quando si conoscevano? Perchè lui non ne sapeva niente? Tooru Si prese la testa tra le mani e rimase immobile, nella stanza risuonava solo il rumore della strada.




Erano passati forse cinque minuti da quando era rimasto solo, ed un trillo lo aveva riscosso. Era una suoneria a lui sconosciuta.
Guardò prima il suo Iphone, poi notò cellulare di Sugawara appoggiato sul bancone della cucina, lo schermo di blocco illuminato.
Si odiò. Si sentì patetico nell'allungare la mano guardandosi attorno come un ladro che sta per infilare la refurtiva nella sua sacca, per poi aprire il messaggio appena ricevuto. “Sarebbe meglio se potessi sostituire il Prof. Takahashi anche mercoledì, è un problema?” Non era niente che gli interessasse. Chiuse l'applicazione ed aprì il registro chiamate. Fece scorrere i nomi, a volte compariva il numero della madre, quello della sorella, tutte le altre sembravano chiamate di lavoro. Poi, Oikawa fermò la lista ed il suo cuore perse un battito:

29 Dicembre – Iwaizumi H. – 23:14 PM
Hajime.

Rimase a fissare quel nome, incapace di realizzare come fosse possibile. Come quel numero che non riconosceva fosse segnato con il nome di Iwaizumi, e come questa chiamata fosse avvenuta quasi due settimane dopo la sua partenza. Si riscosse quando Sugawara bussò alla porta.
Solo allora si rese conto di cosa stesse facendo. Scattò una foto al numero con il proprio cellulare e chiuse tutte le applicazioni su quello di Sugawara prima rimetterlo a posto ed aprire.
Non sentì cosa gli disse, forse che fuori si gelava, forse che avevano finito il caffè della sua marca preferita.
Mangiarono in silenzio, Oikawa avanzò metà della sua porzione. Stringeva le bacchette con più forza del necessario ed i suoi occhi fissavano il riso che continuava a rimescolare distrattamente.
Sugawara lo aveva notato, ed anche se non sapeva cosa avesse scatenato in lui una reazione del genere, decise di togliere il disturbo senza aggiungere altro. Avrebbe comunque dovuto correggere un pacco di compiti per il lunedì, e prima sarebbe arrivato a casa, più tempo avrebbe avuto per riposare il giorno dopo. Lo salutò come al solito, ed ignaro di tutto, si avviò infilando le mani nelle tasche.

Oikawa aspettò un quarto d'ora. Un quarto d'ora lunghissimo. Poi prese gli spiccioli e corse fuori.


 

Iwaizumi H.

Tooru aveva scritto il numero su un post it.
Faceva freddo, piccoli cumuli di neve sporca costeggiavano la strada, alcune pozzanghere erano già ghiacciate. Le sue dita, però, non tremavano per il gelo.
Era in una cabina telefonica, a circa mezzo kilometro da casa, la mano appoggiata alla cornetta ed il sangue che gli ronzava nelle orecchie.
Cosa avrebbe detto se Hajime avesse risposto? Avrebbe avuto spiegazioni? E se avesse riattaccato? Era disposto ad essere abbandonato una seconda volta? Certo, non sarebbe entrato in quella cabina maleodorante altrimenti. Era lì per sentire la voce di Hajime. Quello gli sarebbe bastato; sapere che stava bene, saperlo in salute. Poi avrebbe fatto i conti con la rabbia, la frustrazione, e tutte le domande che lo avevano tormentato da quella sera di dicembre. Ma in quel momento, ciò di cui più aveva bisogno, era la sua voce, un segno della sua esistenza.
Inserì le monete e formulò il numero.
Nessuna voce automatica gli parlò.
Il telefono squillò tre volte, poi Tooru dovette costringersi a respirare. Una voce familiare aveva risposto, roca, quasi stanca. Ma era una voce che aveva sentito migliaia di volte, al mattino appena sveglio, al ritorno da scuola, prima di andare a letto, nella pausa pranzo.

«Pronto?»

Oikawa non sapeva cosa fare. Avrebbe potuto dire così tanto, avrebbe potuto parlargli per ore, così come aveva fatto nei suoi sogni. Avrebbe potuto fargli domande, arrabbiarsi.
Invece, la sua voce si ruppe mormorando l'unica parola che gli veniva in mente.

«Hajime-»

Dall'altro lato, silenzio.



 


Non so dare una data precisa per il continuo, ma sappiate che non appena mi partirà la seconda ondata di depressione di questa stagione fredda, aggiornerò con furore <3 Fatemi sapere tutto nei commenti! Scusate davvero ma l'Oisuga è una libidine per gli occhi e per il cuore e so che mi odierete in tanti
Alla prossima!

p.s. l'autrice non ha assolutamente nulla contro gli insetti ed i ragni, sono creature bellissime, regalatemi una tarantola pls
  
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