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Autore: PerseoeAndromeda    10/10/2017    6 recensioni
La musica mi ha fatto suo fin da quando ero bambino, ma allora nessuno, se non l'oceano, era lì per me, il suo canto faceva, come oggi, da contrappunto ai gorgheggi del flauto, durante i miei solitari concerti.
[Fanfic prima classificata al contest "Power of music", indetto da Elettra.C]
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Poseidon Julian Solo, Siren Sorrento
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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NOTE SULL'OCEANO

 

 

Il mare anche oggi mi ascolta, accompagna con il suo sciacquio le note del mio flauto. Lui c'è sempre stato e, un tempo, c'era solo lui.

La musica mi ha fatto suo fin da quando ero bambino, ma allora nessuno, se non l'oceano, era lì per me, il suo canto faceva, come oggi, da contrappunto ai gorgheggi del flauto, durante i miei solitari concerti.

Poi le mie melodie le ho usate come arma di guerra.

Quella è ancora, per me, la sconfitta peggiore, più della solitudine, più del senso di abbandono che provai da bambino.

La mia sconfitta, sulla quale riflettei, tuttavia, solo dopo l'incontro con colui che mi ha materialmente sconfitto, con l'arma del cuore, della sua bontà.

Egli mi ha sconfitto, dopo aver cercato di mettermi di fronte alla verità:

“Chi produce melodie tanto belle non può essere malvagio, non può desiderare la rovina del mondo!”

Piccolo Andromeda, guerriero coraggioso dall'animo nobile...

Io allora ero sordo, l'ho costretto a spingere fino allo stremo la nostra lotta, a compiere l'atto che non avrebbe mai desiderato compiere e in seguito al quale sono vivo per miracolo.

Miracolo...

O, più probabilmente, la sua disperata volontà di non uccidere ha permesso che questo mio misero corpo appartenesse ancora a questo mondo.

Ha permesso che accettassi la sconfitta e, con essa, rinascessi.

Il primo ricordo del mio risveglio furono proprio le sue parole: stavo usando la musica, ciò che per me rappresenta l'essenza stessa dell'amore, per ferire e distruggere.

Perché mi ero ridotto a tanto?!

La risposta è così ovvia, come dolorosa la lucidità con la quale ne sono venuto a capo: perché nella musica riversavo l'amore, ma nessuno mi aveva mai amato davvero.

Poi lui mi tese la mano, lui, reincarnazione della divinità dell'oceano. Per me era come se l'oceano stesso, da sempre mio unico amico, l'unico per cui avessi mai suonato, l'unico che, mi illudevo, mi ascoltava ricambiando il mio amore, mi avesse desiderato realmente con sé.

Accettai la sua mano, la mano di Poseidon e gli credetti in maniera incondizionata, obbedendo a qualunque cosa mi chiedesse di fare, appoggiando ciecamente ogni sua idea, senza porre alcuna domanda.

A me bastava quello: che il dio dei mari mi avesse teso la mano e mi avesse invitato a seguirlo.

 

Poi giunse la comprensione dell'errore, Poseidon tornò Julian e sempre più pressante si fece, in lui, il desiderio di riparare a quella che era stata la volontà distruttiva del dio.

Io fui ancora con lui nella scelta intrapresa, ma non più succube, non più cieco, perché quella strada davvero era anche mia: usare la musica per il bene, per allietare i cuori di bambini infelici, per portare davvero un po' di quella gioia che le melodie plasmate dal mio strumento davano a me.

Eppure, nonostante la realizzazione che provo, nel profondo non sto bene, non ancora.

Sono con lui, non lo lascerò mai, so che continuerò a seguirlo ovunque e che lui mi vuole al suo fianco, tuttavia non smetto di sentirmi solo, non smetto di pensare che solo l'oceano comprenda quanto il mio senso di solitudine sia più che mai reale, più che mai intenso e doloroso, perché l'unica persona per cui il mio cuore batte davvero, l'unica alla quale vorrei arrivare con queste note, alla quale vorrei far comprendere cosa esse contengono, probabilmente non lo potrà mai capire.

Le mie note volano nel vento che le conduce alle onde, perché loro le cullino, insieme ai battiti del mio cuore inconsolabile, questo cuore che, insieme allo scrosciare del mare, è la voce triste su una musica che si trasforma in pianto.

Il nodo che ho in gola dà vita a una nota un po' stridula, è come un lamento, ma anche questo, in fondo, è in accordo perfetto, come sempre, con ciò che io provo.

Vorrei che lui capisse...

Vorrei non essere per lui soltanto l'amico, per quanto a me lo leghi un tenero affetto.

Vorrei... che mi amasse... di quell'altro tipo di amore... quello di cui il mio cuore tanto avrebbe bisogno.

 

***


Sono stato un dio, in simbiosi con l'oceano fin da bambino, per un po' dell'oceano stesso sono stato l'essenza.

Adesso sono semplicemente Julian, sono solo un uomo, ma il mare è in me, il canto delle onde, il loro infrangersi sugli scogli e il silenzio profondo degli abissi: anch'esso ha la propria voce, che il mio cuore ha conosciuto, ha imparato ad ascoltare, a conoscere, a capire, perché quella voce è la mia stessa voce.

Anche la musica che giunge alle mie orecchie, portata a me dalla dolce brezza di mare, mi appartiene, come mi appartiene colui che con il suo animo puro le dà vita.

Mi porto una mano agli occhi a soffocare un singhiozzo, perché ho fatto una cosa terribile: l'ho costretto troppo a lungo a rendere questa che ora ascolto una sinfonia di morte.

Non sono mai stato in grado di capire, io, accecato dalla mia brama, io ho trasformato una tale purezza in un'arma di morte e lui, creatura dal cuore puro, consumata dalla solitudine nella quale era cresciuto, ha accettato di perdersi insieme a me. Io l'ho corrotto, io ho rischiato di rovinarlo per sempre.

Non vi è più morte in queste note: adesso in esse percepisco solo tanta tristezza, quella che Sorrento si porta dentro da quando è nato, la tristezza di un bambino che non aveva nessuno al mondo, se non il suo flauto e il suo miracoloso talento.

Non ho più realmente riflettuto sui miei sentimenti, se non sul senso di colpa; esso ha offuscato ogni altra cosa, l'unico aspetto chiaro di tutta la questione era che Sorrento doveva venire con me.

Perché?

Per l'utilità che la sua musica, ancora, avrebbe rivestito per il mio scopo: da strumento di morte a fonte di consolazione.

Scuoto il capo, mentre i miei passi seguono la direzione delle note: non sarebbe la prima volta che mento a me stesso. Certo, la sua musica la volevo anche per questo motivo, certo, volevo dare anche a lui la possibilità di redimersi dopo averlo trascinato con me nell'abisso dell'odio e della distruzione.

Certo...

La cosa più certa di tutte è che lo volevo con me e basta.

Mi fermo quando scorgo la sua figura, avvolta nel completo elegante che enfatizza le sue forme sinuose: mi viene naturale, all'improvviso, paragonarle, nella mia mente, ad una chiave di violino e tale associazione mi strappa un sorriso mentre ascolto la melodia che, ormai lo so, si sta avviando verso la conclusione.

Sulle ultime note i miei passi riprendono, attenti a non disturbare l'idillio con suoni superflui, che risalterebbero come note stonate.

Conosco a memoria questo brano, lo saprei canticchiare, anche se non ho mai osato emettere fiato, è troppo sacra la perfezione di ogni nota perchè la mia voce possa turbarne l'evoluzione.

Sono alle sue spalle quando l'ultimo gorgheggio aleggia nell'aria e solo a quel punto alzo la mano, la porto davanti al suo viso, la poso sulle sue dita che avvolgono il flauto.

Percepisco la tensione, il tremito, l'immobilizzarsi di ogni frammento del suo corpo; mi porto al suo fianco e scorgo i suoi occhi, con il loro strano colore che accoglie in sé le sfumature dei tramonti più belli, aperti, immensi come sempre quando non sanno contenere le straripanti emozioni, fissi sull'oceano.

Non osa muovere il viso, né spostare lo sguardo, mentre io non riesco a distogliere il mio dal suo volto.

Quand'è che ho cominciato a trovarlo bello?

A confessare a me stesso che la sua bellezza mi incanta?

Forse da sempre, ma prima non davo importanza a questa mia bizzarra emozione.

Non so bene cosa vorrei comunicargli con questo mio gesto, non ho riflettuto, non ho programmato nulla, ma quando lui abbassa le mani, io continuo ad accompagnarle con la mia, non riesco a lasciarlo.

Grazie per quello che regali a me e a chiunque ti ascolti”.

Parole banali le mie, che lui accoglie abbassando gli occhi a terra; nel suo sorriso di ringraziamento scorgo tanta tristezza... e tanta solitudine.

È questo che non voglio, è per questo che la mia mano non lascia le sue, voglio che creda a ciò che sto per dirgli:

Lo sai che saremo insieme per sempre, vero?”.

Non riesco ad esprimermi in altro modo, non ho chiari i miei sentimenti, l'ultima cosa che vorrei fare è ferirlo, illuderlo, fargli del male...

Morirei piuttosto che fargli del male e forse proprio questo dovrebbe rendere chiari alle mie percezioni i reali sentimenti che provo.

Ma spero che gli basti questo per ora.

Vedo le sue labbra piegarsi in un leggero sorriso, che non fuga la tristezza dai suoi occhi:

Nel bene e nel male, signor Julian. Morirei per voi, lo sapete”.

Sorrido anche io: è stato più coraggioso di me, i suoi sentimenti sono più chiari dei miei o lui sa guardare ad essi con maggior sincerità.

Io l'ho pensato, lui lo ha detto, ma entrambi moriremmo l'uno per l'altro: prima o poi riuscirò a dirglielo anche io, come ora riesco a trattenere una sua mano nella mia, mentre i nostri occhi contemplano il mare, il nostro amico, la nostra casa, la nostra vita.

 

   
 
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