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Autore: RottingMind    10/10/2017    0 recensioni
Molte cose nella vita avvengono in un momento specifico, specialmente la morte. Cosa succede allora se, compiendo azioni dettate da una nostra paura, facciamo avvicinare quel momento?
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Quello che mi accingo a scrivere, e a raccontare per i posteri, è il fatto concernente il mio decesso e le condizioni, al momento del ritrovamento, del mio cadavere. Vi prego, leggete attentamente ciò che ho scritto onde evitare di incappare in una fine simile alla mia. Comincerò a narrare i fatti antecedenti alla mia scomparsa, relativi a qualche giorno prima.
Le mie giornate trascorrevano tranquille, svolgevo la mia routine in maniera quasi meccanica: sveglia, colazione, doccia, lavoro, pranzo, lavoro, cena, lettura ed infine andavo a letto. Svolgevo quella routine tutti i giorni, e non ho ancora capito, in primis, come ho fatto a non uscirne pazzo dopo qualche tempo. In secondo luogo, non ho capito perché tutto ciò capitò proprio a me, fatto sta che il destino ha un curioso e macabro senso dell’umorismo. Finito questo preambolo, passiamo ai veri fatti.
Non ho mai sopportato le mosche e gli insetti volanti: farfalle, api, lucciole… tutto ciò mi provocava ribrezzo: appena vedevo un qualcosa volare per più di due secondi, cominciavo a sudare freddo. Le cose peggiori avvenivano d’estate con le zanzare: vivendo in un paese con un’alta percentuale d’umidità, le zanzare erano una cosa frequente dal periodo che andava da metà maggio (alle volte anche da fine aprile, a seconda del fatto che facesse più o meno caldo) fino a fine settembre e talvolta anche ottobre inoltrato.
Per mia fortuna, o sfortuna, come si sarebbe tramutata a seguire, il mio lavoro era in città, a Thandat, che non dista troppo da dove vivo. Il mio lavoro consisteva nel lavorare in biblioteca ed aiutare le persone con la scelta dei libri, anche se il più delle persone erano mamme che chiedevano consigli per far leggere qualcosa ai propri figli, essendo che la biblioteca dove lavoravo aveva una grande sezione dedicata ai piccoli, ma in generale era piuttosto fornita, e non mancavano libri di ogni genere, tra i quali vi era una piccola sezione dedicata all’esoterismo e all’occulto.
Un giorno venne una signora a rendere un libro: era una donna sulla mezza età, ma che si portava discretamente bene. Aveva poche zigrinature vicino agli occhi scuri e attenti, e quasi nessuna ruga in fronte. Non portava troppo trucco, e ciò accentuava la sua bellezza, perché sembrava che lei, al contrario delle sue coetanee, non volesse nascondere i segni dell’età sotto una maschera fatta di cipria, ombretto e altre cose così, ma li portava con dignità ed eleganza. Ricordo che quel giorno, oltre al fatto che iniziò la mia sventura, era una tiepida giornata autunnale, tipica di Thandat: le temperature non superavano i venti gradi centigradi di massima, e le minime erano ancora abbastanza alte, aggirandosi sui dodici o tredici gradi al massimo.
Il libro che la signora restituì si intitolava “I mostri di Hankhat” di K. Lesly. Gli chiesi come mai lo aveva riportato, e lei rispose che non piaceva molto a suo nipote, che gli faceva venire i brividi quando lo provava a leggere. E sfogliandolo si poteva notare che, anche se dall’aspetto apparentemente innocuo da libro per piccoli, era abbastanza macabro e ricco nei dettagli. La cosa più raccapricciante forse erano le piccole filastrocche, scritte in corsivo ai lati delle illustrazioni colorate, che dettagliavano il modo nel quale i mostri cacciavano e mangiavano le loro prede. Sfogliandolo, il mio occhio venne catturato da due figure particolari: una era una formica alata, mentre l’altra era un moscone, dal corpo verde metallizzato, entrambe le figure situate nella pagina 37. Nel vedere quelle due figure rimasi come paralizzato: erano magnetiche, ed esercitavano su di me un fascino arcano, quasi come se sapessi già cosa fossero e su quale pagina sarei andato a finire. La mia attenzione venne, però, richiamata alla realtà dalla signora, che mi vedeva leggermente impallidito e con la fronte imperlata di sudore. Richiusi il libro (che era anche parecchio grande per essere per bambini) e la accompagnai nella sezione apposita per sceglierne un altro.
La biblioteca non era troppo difficile da girare, anche per uno che non ci era mai stato: appena si entrava, dopo il piccolo corridoio d’ingresso dove era situato il bancone dove lavoravo (sul quale, di fronte, stavano delle cassette metalliche atte a mettere le varie borse per evitare che qualcuno potesse rubare i libri) vi era una grande stanza con grandi scaffali, alti talmente tanto da arrivare al soffitto, e ad altezza d'occhio vi era una targa che indicava la sezione dove si era. Appena si entrava, sulla sinistra, vi erano i libri sulla natura, sugli animali, sulle piante; ad interrompere la continuità delle sezioni stava una finestra rettangolare, anch'essa che arrivava al soffitto, e successivamente si poteva trovare il continuo sulla sezione della flora, sia marina che terrestre. In alcuni punti della stanza si trovavano, inoltre, lunghi tavoli rettangolari, mentre i divanetti erano pochi, ed erano tutti foderati di pelle rossa e tenuti con poca cura (infatti erano abbastanza lerci in alcuni punti). In alcuni punti del grande salone vi erano scaffali abbastanza alti che contenevano alcuni libri che le persone donavano alla biblioteca. Sulla destra dell'ingresso invece si trovavano i libri sulla storia e sulla geografia, e sulla parete più in fondo stavano, vicine in una maniera alquanto anomala e bizzarra, le sezioni dell'occulto e quelle dei libri per bambini. Ancora in maniera più strana, sembrava che la sezione dell'occulto e dell'esoterico, che si trova nell'angolo sinistro della parete, non riceve molta luce, anche se vicino vi è una finestra.
Come accennato prima, accompagnai la signora a scegliere un altro libro mentre io controllavo che tutti i libri fossero in ordine e non messi in sezioni sbagliate. Quando feci spazio tra i vari volumi per mettere a posto “I mostri...”, dal piccolo buco uscì un moscone grosso, dal corpo verde metallico, che ronzava in maniera alquanto fastidiosa e che mi colse di sorpresa, e finii per ucciderlo schiacciandolo con il libro che tenevo in mano. Come per uno scherzo del destino, una delle pagine si staccò, finendo per terra: ovviamente, era la pagina già vista in precedenza, la 37, quella con il moscone e la formica volante, quindi dovetti andare a prendere della colla ed un panno per pulire la copertina rigida del libro. Andando indietro, forse mi sarei dovuto contenere, e lasciar volare quel moscone in pace, ma non potendo prevedere la mia fine, non sapevo a cosa andavo incontro. Per mia fortuna, il resto della giornata andò abbastanza tranquillo, finendo la mia solita routine.
Ma le giornate a seguire furono costellate da una bizzarria dopo l'altra. Tanto per cominciare, da quello che sapevo, a Thandat non vi erano mai stati problemi con le formiche volanti: ogni tanto se ne vedevano, ma non erano preoccupanti. Nei giorni a seguire sembrarono aumentare in maniera esponenziale, tant'è che vi furono casi di animali deceduti a causa loro. Sembravano muoversi in maniera casuale, senza schema: le si poteva vedere principalmente dove era stata spruzzata acqua di recente, quindi in posti come parchi, aiuole, terrazze; alcune strutture dovettero chiudere per disinfestazione, da quanto seppi. Per quanto riguarda la mia routine, mi ritrovai spesso ad aver a che fare con insetti alati durante le mie giornate lavorative, sia per i mosconi, che entravano tramite le finestre (alle volte mi capitava di farne fuori anche cinque in pochi minuti, poiché impedivano la mia normale concentrazione con il loro ronzare e sbattere nei vetri per uscire), che per quanto riguardava le formiche alate, che in alcuni casi venivano intrappolate dalle ragnatele, rendendo felici vari aracnidi, ma anche il fastidio che mi procuravano loro non era da meno, in quanto erano molto più numerose dei mosconi. Finii col sognare me stesso che le facevo fuori nel bancone dove lavoravo, con in mano il libro “I mostri...”, e vedevo sempre quella pagina, la 37, cadere e venir coperta dai cadaveri di quegli insetti, e ciò avvenne notte dopo notte, al punto che arrivai a prendere sonniferi per evitare di sognare e dormire con tranquillità, ma non sembrarono funzionare.
Finito questo preambolo, veniamo al succo della questione, ovvero la mia morte. Premetto che il giorno della mia morte era una giornata piovosa, di circa metà ottobre (il giorno 13, ad essere precisi), con un clima particolarmente mite per quel periodo. Quella sera, finito il mio lavoro e chiusa la biblioteca (quando serviva avevo le chiavi per chiudere la biblioteca se tutte le altre persone che vi lavoravano se ne erano andate), mi avviai verso la macchina. Quando salii, notai già un fatto che mi innervosì, ovvero la presenza di un moscone, che mi fissava silenziosamente dal sedile a lato passeggero, strofinandosi le zampette da insetto. Decisi, facendomi coraggio, di fare il giro e aprire la porta del passeggero, facendolo volare via: a missione compiuta, ritornai dentro l'abitacolo e misi in moto, dirigendomi a casa mia. Durante il viaggio del ritorno, percepii che qualcosa stava inseguendo la mia vettura, anche se con il buio non si vedeva chiaramente, e dallo specchietto retrovisore la visuale non era chiara, e finii per non farci caso, guidando come sempre verso la mia abitazione.
Dopo aver poggiato il mio cappotto sulla sedia, mi preparai la mia cena: un panino semplice, fatto giusto per non appesantirmi (ero molto fissato con la linea) e per non darmi problemi intestinali durante la notte. Una volta pronto, mi sedetti nel tavolo circolare a mangiare. Di nuovo, vidi quel moscone: non seppi mai se era lo stesso, ma in fondo quegli insetti si assomigliano tutti quanti. Per evitare che ne entrassero altri, chiusi la piccola finestra della cucina e chiusi la porta, per poi prendere un giornale ed usarlo come mazza verso la creatura alata, ritornando a mangiare in serenità, serenità che sarebbe durata molto poco.
Infatti cominciò il ronzare, quel fastidioso ronzare che ricordo tutt'ora: sembrava, come assomiglianza, al rumore che si sente quando la televisione non prende nessun canale e trasmette un effetto nebbioso sullo schermo. Guardai fuori, cercando di capirne la fonte, ma non vidi nulla, e ritornai a sedere, continuando il mio ultimo pasto. Durante un morso percepii qualcosa di strano nel contenuto del panino, quindi mi tolsi il boccone dalla bocca con un tovagliolo, scoprendo, con mio assoluto disgusto, che dentro vi era una formica alata. Sconvolto, indietreggiai per la sorpresa, andando verso il lavandino a lavarmi la bocca dall'essere schifoso che era appena finito nel mio cibo. Sputando l'acqua, pensai di aver visto pure un'ala nel mezzo, e sentii di nuovo il ronzio, stavolta provenire dal tubo di scarico del lavandino. Quel ronzio, oltre che essere disgustoso e raccapricciante, aveva però un fascino anomalo, magnetico, che mi tenne prigioniero a guardare quel buco nero dal quale uscì ciò che mi uccise: centinaia, migliaia di formiche alate e mosconi vorticarono assieme, inondando la cucina con il loro sbattere d'ali da insetto, andando a posarsi sui miei vestiti e sulla mia pelle, cominciando a mordere e a lacerare la mia carne. Erano ovunque, persino sugli utensili, e più cercavo di togliermele di dosso, più me ritrovavo sopra: i loro morsi erano dolorosi, e sapevo che se avessi provato ad urlare, mi sarebbero entrate in bocca, finendo nei miei polmoni o nel mio stomaco, cosa che, una volta che svenni per lo shock dovuto alla paura e al dolore, fecero ugualmente. Del mio corpo so che venne trovato in condizioni pietose: il mio viso, che tenevo con particolare cura, aveva parti mancanti, a cominciare dagli occhi; non possedevo più le guance, e sul mio volto si dipingeva una sorta di macabro, tetro sorriso formato da solo i miei denti. Alcune zone del mio corpo sembravano scavate per formare gallerie, in modo da facilitare il nutrimento di quegli esseri nefasti: il mio addome presentava un buco poco sotto il plesso solare, dal quale gli insetti avevano divorato la maggior parte dei miei organi interni, creando anche buchi nella mia pelle quando, erroneamente, uscivano dal costato o dalle spalle. Gli arti vennero lasciati quasi immacolati, se non per vari pezzi che sembravano staccati da animali molto più feroci di quegli insetti, come se in casa fosse entrato un cane o un altro animale più selvaggio, come una lince o un puma. Un altro particolare interessante fu, oltre al fatto che i miei vestiti fossero rimasti stranamente intatti, che nelle mie dita non vi erano più le impronte digitali, poiché erano state cancellate da loro.
Prima del mio svenimento e della mia conseguente morte ricordo, chiaramente, di aver visto sul mio tavolo, il libro “I mostri di Hankhat” di K. Lesly, aperto sulla pagina 37. Nel nugolo di insetti che ricoprivano il mio essere, cibandosi della mia carne vidi inoltre, un'insieme di lettere sul muro di fronte a me. formate da loro stessi: quella parola era Ehrwta.

   
 
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