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Autore: Walking_Disaster    11/10/2017    4 recensioni
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Tutti sanno che Bakugou Katsuki è il capo e tutti sanno che nessuno può sfidarlo. Tutti, tranne quello nuovo: Kirishima Eijirou.
Storia scritta per il Boku no Hero Academia: Fanfiction Challenge! col prompt "Infanzia".
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Katsuki Bakugou, Kirishima Eijirou
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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La fine di un regno





Per Bakugou “andare a giocare al parco”, equivaleva portarsi dietro i suoi amici e far capire a loro che lui era il capo. Che era la sua missione giornaliera, a conti fatti: si svegliava la mattina, gonfiava il petto davanti al poster di All Might e si diceva soddisfatto, perché un giorno l'avrebbe addirittura superato.
Tutti nel suo quartiere sapevano che il capo era Katsuki Bakugou – era lui e nessun altro! Aveva costruito il suo regime dopo molte ginocchia sbucciate, lotte con bastoni di legno e costumi da eroe fatti con i sacchi della spazzatura. Chi poteva spodestarlo? Il “Regno delle Super Bombe Terribili”, come lo chiamava lui, andava avanti da anni. Le bambine gli regalavano dolcetti per mostrare la loro ammirazione ed i bambini gli portavano rispetto facendo tutto ciò che voleva. L'unico che ogni tanto lo faceva incazzare (perché non importava che Katsuki Bakugou avesse otto anni, avesse da poco perso gli incisivi da latte ed ora al posto di quei denti avesse un buco e riuscisse a produrre scoppiettii quasi innocui dalle mani: lui si incazzava) era Deku, come al solito. Però Bakugou pensava che se lui era nato per essere il capo, Deku evidentemente era nato per disturbarlo – ed aveva smesso di porsi problemi sulla questione: sarebbe rimasto sempre un povero idiota senza quirk.


La scuola, per quel giorno, era finita. Bakugou camminava fiero in mezzo agli altri bambini, impettito e soddisfatto degli elogi che stava ricevendo da una sua coetanea, tutta rossa in viso ed entusiasta nel parlargli. A dir la verità, Bakugou non stava ascoltando la ragazzina: sapere che lo ammirava e che si stava sperticando in complimenti gli bastava. Fu costretto a riaversi, però, quando gli venne infilato in mano a forza un bigliettino.
Bakugou si fermò in mezzo al giardino della scuola, guardando con espressione confusa e sospettosa quella bambina, rossa come un peperone e accompagnata da due sue amiche che sembravano imbarazzate tanto quanto lei. Lui alzò un sopracciglio, e dopo qualche istante decise di aprire il pezzo di carta che gli era stato messo in mano. La scrittura era disordinata ed infantile, ma le parole non lasciavano spazio a dubbi: “Ti vuoi mettere con me?
Iku”
, con tanto di cuoricino dopo il nome.
Bakugou sbatté un paio di volte le palpebre, incredulo: cosa significavano quelle parole? Lui non aveva certo tempo di pensare a certe cose! E soprattutto...
“Chi sarebbe questa Iku!?”, sputò tra i denti, stringendo nel pugno il biglietto e finendo con l'accartocciarlo. Bakugou, se fosse stato un filo più empatico e meno concentrato su se stesso, avrebbe potuto letteralmente vedere la voragine che si era aperta sotto i piedi di quella bambina, mentre pigolava una risposta: “I-io... Sia-siamo nella s-stessa classe...”
Bakugou ghignò: “Ah! Tu?! Sei illusa se pensi che io potrei mai avere a che fare con una femmina! Non mi piaci e non mi piace neanche il tuo biglietto! Io devo diventare il più forte di tutti – che vuoi che me ne importi di queste stupidate da femmine?!”
Si scaldò, aggressivo nel tono e nell'espressione, mentre apriva la mano e lasciava cadere la cenere rimasta dal foglio di carta bruciato dal suo quirk. Iku era evidentemente sull'orlo delle lacrime, mentre una delle sue amiche tentava disperatamente di trascinarla via tirandola dalla cinghia dello zaino, e Bakugou la guardava in cagnesco – seppur in cuor suo soddisfatto di aver potuto ribadire per l'ennesima volta i suoi obiettivi per il futuro.
“Ehy! Guarda che non sei stato per niente gentile, amico!”, intervenne una voce dalle spalle di Bakugou, che lo fece voltare con i palmi già aperti e l'espressione minacciosa. Un altro bambino un bel po' più alto di lui e con degli idiotissimi capelli rossi si stava avvicinando in fretta, severo nell'atteggiamento. Fu il turno di una delle amiche di Iku a schiarirsi la voce ed arrossire tragicamente, mentre Kirishima si posizionava proprio davanti a Bakugou e lo guardava con palese disappunto: “Il tuo comportamento non è da uomo! Dovresti chiederle scusa!”
Bakugou sembrò improvvisamente più grosso di almeno dieci centimetri, mentre affrontava il suo nuovo nemico: “Di te mi ricordo per colpa di quello schifo di capelli! Sei uno nuovo!”
Kirishima annuì, le mani ben salde sui fianchi, deciso a non retrocedere di neanche un passo: “Mi chiamo Kirishima Eijirou.”
Bakugou digrignò i denti, mostrandoli: “Non me ne frega niente di come ti chiami. Forse non sai ancora chi sono, per questo parli così.”
Iku e le sue amiche si dileguarono, mentre Kirishima piegava la testa di lato e tirava i lati delle labbra verso il basso: “So chi sei. Bakugou Katsuki, sei al terzo anno. Però non è questo il discorso: hai visto che l'hai fatta piangere?”
Bakugou scosse la testa a si avvicinò ulteriormente all'altro bambino, alzandosi sulle punte pur di farglisi sotto: “No, io sono il capo. E tu invece non devi immischiarti!”
Kirishima sembrò quasi tentennare, forse impressionato dalla forza d'animo che sprizzava da quel ragazzino grande tanto quanto lui. Fu solo un attimo, tuttavia, perché non si diede per vinto e rispose a tono ancora una volta: “E chi ha deciso che tu sei il capo? I veri capi sono decisi da tutti quanti insieme.”
Bakugou sembrò davvero colpito da quella domanda, stavolta. Era evidentemente incredulo, i grandi occhi spalancati, offeso prima e furioso un secondo dopo: “Tsk! L'ho deciso io, perché sono il più forte! Vieni al parco, oggi pomeriggio, e così ti mostrerò perché tutti voi non valete niente in confronto a me!”
Bakugou non pensava che Kirishima avrebbe accettato quella proposta: quel tizio era senz'altro un coniglio che si era mosso solo per impressionare le ragazze. Ora sarebbe scappato a gambe levate e si sarebbe nascosto in casa, dietro i genitori, senza più uscire per tutta la vita. Quel Kirishima, tuttavia, doveva essere molto più stupido di quanto Bakugou avesse creduto in un primo momento, dato che si stampò in faccia un gran sorriso emozionato ed annuì con decisione: “Va bene. Vedremo se sei davvero degno di essere il capo!”
E così dicendo, dopo aver salutato agitando la mano, si allontanò verso il grande cancello della scuola, lo zaino su una sola spalla e l'aria baldanzosa.
Bakugou rimase fermo qualche secondo con gli occhi piantati sulla nuca di Kirishima, mentre il crepitio delle piccole esplosioni rendeva chiaro quanto fosse irrimediabilmente incazzato.


Era stato un vero e proprio oltraggio. Anche i suoi amici erano d'accordo con lui: quel Kirishima era uno stupido. Non sapeva davvero contro chi si era andato a mettere, ma – oh, avrebbe messo le cose in chiaro, Bakugou, in un modo o nell'altro. Se fosse rimasto a casa sua (come sarebbe stato saggio fare), allora il giorno dopo a scuola avrebbe reso chiaro a tutti che Kirishima era proprio un codardo scemo; aveva già deciso: l'avrebbe detto durante la ricreazione e si sarebbe assicurato che quel coniglio fosse presente. Se invece avesse deciso di venire davvero a sfidarlo, allora avrebbe parlato al suo posto l'occhio nero con cui sarebbe stato costretto ad andare in giro. Sì. Era deciso.
Ora Bakugou era in cima allo scivolo (scivolo che lui chiamava “Trono della Morte Rossa”), che osservava con fare tronfio tutto il circostante. Si divertiva a scommettere con se stesso che, nel voltarsi, non avrebbe visto quella fiammata di capelli ridicoli in avvicinamento – e continuare a vincere lo stava proprio divertendo.
Erano in dodici, quel giorno, e due facevano da aiutanti a Bakugou. Gli altri giocavano in tranquillità, ma questi due bambini erano stati messi dal loro capo a fare da sentinelle, nel caso Kirishima avesse deciso di farsi vedere. Kafu, che era stato assegnato alla postazione dell'altalena, ad un certo punto si drizzò sulle punte. E non c'erano dubbi su ciò che riuscì a vedere: corse a perdifiato verso Bakugou, rimanendo ai piedi dello scivolo e mettendo le mani a coppa davanti alla bocca per farsi sentire meglio: “Ehy, capo! Il coniglio saltella!”
Quelle sarebbero dovute essere le parole in codice per segnalare l'eventuale arrivo del rivale, ma Bakugou sollevò gli occhi al cielo e grugnì con sdegno: “Le parole d'ordine erano “Il coniglio è fuori”, idiota!”, ringhiò, mentre si alzava in piedi con uno scatto e assottigliava lo sguardo verso la direzione suggeritagli dall'amico. E ciò che vide gli mandò il sangue al cervello: non c'erano dubbi che quel lampo di capelli appartenesse proprio a Kirishima.
“Non molli proprio mai, eh?”, mormorò tra sé Bakugou, mentre si puliva il naso con la manica della maglietta. Fece un bel respiro e poi scivolò giù dal Trono della Morte Rossa, le braccia conserte davanti al petto in attesa che il suo nemico giungesse al suo cospetto.
Quando questo arrivò, Bakugou ghignò, non riuscendo molto bene a dissimulare il nervosismo che provava. Kirishima continuava ad avanzare, con le mani in tasca e l'espressione sicura e sorridente, in mezzo alle due ali formate dai bambini che avevano interrotto i loro giochi per seguire quell'incontro che già elettrizzava l'aria.
“Be'?! Hai deciso di far vedere quanto schifo fai davanti a tutti?!”, sputò Bakugou, fomentato dal tifo che i suoi due amici, alle sue spalle, facevano per lui.
Kirishima si limitò a stringersi nelle spalle, senza modificare l'espressione. Si grattò la nuca in modo sereno, mostrando i denti affilati. Quell'atteggiamento era inaccettabile, per Bakugou.
“Mostrami il tuo quirk.”, comandò, i palmi rivolti verso il bambino che di tanto in tanto emettevano deboli scintille.
Kirishima non riuscì ad impedirsi di catalizzare l'attenzione sulle mani di Bakugou. Aveva saputo del suo quirk, ma non l'aveva mai visto in azione e – era impressionato. Gli sembrava un quirk molto figo, da vero uomo. Spalancò gli occhi e si morse il labbro inferiore, impedendosi di cominciare a fargli domande: non era il momento di lasciarsi andare a certe curiosità. Se fossero diventati amici (e Kirishima lo sperava tanto), avrebbe studiato quel fantastico potere da vicino.
“Ehy, capelli di merda! Ho detto di mostrarmi il tuo quirk!”, insistette Bakugou, guadagnandosi bocche aperte dai suoi compagni, che avevano chiaramente notato che stesse fremendo.
Kirishima scosse il capo, ghignando: “No. Non sei mica il mio capo.” e sapeva che nel dirlo avrebbe rotto gli argini del fiume.
Difatti, Bakugou lo caricò a testa bassa con un urlo (un urlo che somigliava molto ad un prolungato “crepa”), le mani tese davanti a sé, spalancate. Kirishima riuscì a spostarsi verso destra, ma Bakugou lo placcò, abbracciandolo all'altezza della vita e spingendo fino a farlo cadere di schiena. Il rosso si sentì i polmoni svuotati a causa del colpo contro il terreno che l'aveva colto impreparato, ma fu svelto nel bloccare uno dei polsi dell'altro bambino, seduto sopra di lui, per impedirgli di esplodergli un colpo in piena faccia. Kirishima attese la detonazione, ma fu soddisfatto di ricevere la risposta alla sua teoria: Bakugou aveva il suo quirk solo nelle mani, ed infatti il bambino cercava in tutti i modi di raggiungerlo usando il braccio libero. Kirishima spinse sotto le ascelle dell'altro fino a riuscire a sollevarlo per ribaltare le posizioni, intenzionato a bloccargli le mani ai lati del corpo, ma Bakugou era davvero un animale feroce: si divincolava, emetteva sbuffi furiosi dal naso, mentre le mani scoppiettavano, per ora libere dalla presa di Kirishima. La situazione fu decisa quando il biondo mise a segno una gomitata nella pancia dell'altro (che però non sembrò avere una reazione particolare eccezion fatta per la sorpresa) e riuscì a imporgli entrambe le mani all'altezza di una spalla. Bakugou ghignò vittorioso, ansimante ed eccitato mentre faceva esplodere il suo quirk ed attendeva di sentire il pianto disperato di quel coniglio. Si sollevò un po' di fumo, che confuse la scena agli occhi degli spettatori, rimasti col fiato sospeso ad osservare. Poi, dopo qualche istante, Kirishima cominciò a ululare di dolore, mentre si teneva la spalla ferita con entrambe le mani. Si allontanò un po' traballante dal corpo più piccolo di Bakugou, che si sollevò sui gomiti, incredulo. Che cazzo stava succedendo...?
Kirishima sembrava proprio si fosse fatto male, da come si lamentava – anche troppo male... Bakugou lo osservava, mentre una bambina accorreva in aiuto del coniglio e gli diceva che l'avrebbe accompagnato a casa. Così, il rosso si avviò un po' zoppicante verso l'uscita del parco, sempre tenendosi la ferita ed aiutato dalla ragazzina.
“Ooooh, capo! Sei stato grande!”, venne acclamato Bakugou da Kafu, che arrivò subito ad aiutarlo ad alzarsi. Ovviamente lui ignorò l'offerta e si alzò da terra da solo, guardandosi in modo sospetto le mani, mentre altri complimenti arrivavano dagli altri bambini. Addirittura partì un applauso, ma Bakugou non sembrava interessato: era successo qualcosa, con Kirishima. Doveva riuscire a capire cosa.


Aveva aspettato tutta la mattina perché suonasse la campanella della ricreazione. Appena questo successe, strusciò violentemente la sedia sul pavimento, guadagnandosi varie occhiate dai suoi compagni di classe, e si alzò dal banco in fretta e furia. Non attese che la maestra finisse un rimprovero di qualche genere, perché uscì subito dalla stanza e si appostò davanti alla porta della sezione di Kirishima. Tentennava, Bakugou indeciso se entrare o aspettare che il suo nemico uscisse, e proprio mentre si mordeva il labbro inferiore e si faceva coraggio per infilarsi lì dentro, Eijirou aprì la porta, al fianco di un ragazzo dai capelli biondi e lisci con cui rideva divertito. Bakugou si concentrò immediatamente sulla spalla ferita il giorno prima, ma non trovò niente, se non il bianco dell'uniforme scolastica.
“Uh? Ciao, Bakugou!”, agitò la mano Kirishima, avvicinandosi al bambino. Questi strinse le labbra l'un con l'altra, osservandolo in modo torvo, prima di parlare: “Devo parlarti.”
Fu tutto lì. Non disse altro, mentre cominciava a camminare a grandi passi per il corridoio, facendo lo slalom tra gli studenti. L'altro gli era dietro – riusciva a percepire quell'espressione sempre solare ed allegra da perfetto idiota – e si fermarono solo quando Bakugou non fu entrato in bagno, fortunatamente deserto, in quel momento.
“Proprio qui? Che schifo, c'è puzza...”, protestò debolmente Kirishima col naso arricciato, mentre la porta si chiudeva dietro di loro. Bakugou lo fulminò con lo sguardo, l'indice teso con fare accusatorio: “Devi spiegarmi cos'è successo. Hai fatto un bel teatrino, ieri, ed ha conquistato quegli stupidi che ci guardavano, ma non hai di certo convinto me. Lo so che la mia esplosione non ti ha fatto proprio un cazzo.”, sputò con collera, colpendo con forza proprio la zona che il giorno prima pensava avrebbe ferito.
Kirishima si illuminò, gongolando in modo evidente. Però dovette immaginare che in quel modo non avrebbe fatto altro che far incazzare di nuovo Bakugou, perché si tirò su la manica della polo dell'uniforme e mostrò come la pelle gli diventasse frastagliata, simile ad una roccia.
“E' il mio quirk. Posso indurire la mia pelle e renderla quasi indistruttibile. Perciò ho neutralizzato abbastanza facilmente il tuo quirk. Che però è molto figo, amico! È super virile!”, soggiunse Kirishima, annuendo impressionato. L'avambraccio tornò normale e lui si riabbassò la manica, mentre Bakugou, rosso in viso, si guardava le mani. Non erano servite a niente, contro quell'idiota... non poteva neanche insultarlo, perché non trovava le parole adatte. E questo non faceva altro che frustrarlo ancora di più.
“E allora perché hai fatto finta che ti avessi fatto male? Sei scemo?”, chiese con sdegno, stringendo i pugni e tenendo le braccia rigide lungo il corpo.
Kirishima scrollò le spalle, tirò sul col naso e ciondolò un po' la testa, prima di parlare: “Perché gli altri bambini credono davvero che tu sia imbattibile. Sarebbe stato molto poco da uomo mostrare a tutti che non puoi farmi male.”
Bakugou spalancò gli occhi e mosse un passo verso di lui, pestando un piede: “Sì che posso farti male, idiota!”
Kirishima ridacchiò, infilandosi di nuovo le mani in tasca: “Be', lo vedremo! Per ora possiamo essere amici.”
Ci fu uno sbuffo e il biondo borbottò, indignato: “Non siamo amici.”, mentre guadagnava l'uscita del bagno e fulminava il suo compagno con un'occhiataccia da sopra la spalla.
Poi spalancò la porta, tenendola aperta. Parlò dopo solo qualche secondo: “Allora?! Che cazzo fai, non vieni?!”
Kirishima trotterellò vittorioso verso Bakugou, affiancandoglisi. Camminarono insieme nel corridoio, mentre quello stupido coi capelli ridicoli blaterava di quanto fosse “figo” e “virile” il suo quirk. Sembrava emettere luce, tanto era appassionato e sicuro di quel che stava dicendo, e Bakugou abbassò la testa e si fissò la punta delle scarpe che entravano ed uscivano dal suo campo visivo. Forse quel Kirishima non era tanto male, in fondo. 

Walking_Disaster's corner: 
Storia scritta per il Boku no Hero Academia: Fanfiction Challenge! con il prompt "Infanzia".

Che dire? Prima apparizione nel fandom (e spero e penso non ultima) fatta grazie a questa challenge adorabile. Un paio di appunti e mi dileguo: ammetto di essere ignorante per quel che riguarda il sistema scolastico giapponese, perciò non so se effettivamente a otto anni si sia nella terza classe. Datemela per buona, plz. E quel "Tu non molli proprio mai, eh?" detto da Bakugou mentre aspetta Kirishima è farina del sacco di Gideon Grey, volpe che picchia Judy Hopps in Zootropolis. Il rimando si è infilato di straforo. Ultimo ma non ultimo: ho cercato di usare un registro linguistico adatto a dei bambini sia nella narrazione che nei dialoghi - inteso come ritmo, più che come lessico. Volevo evitare di usare troppe parolacce anche per Baku, dato che anche lui è un bambino, andando su varianti più infantili quali "scemo" o "stupido", ma ogni tanto qualche parola più adulta m'è sfuggita. 

Spero vi sia piaciuta, lasciatemi due parole, se vi va 
WD

   
 
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