La fine di un regno
Per
Bakugou “andare a giocare al parco”, equivaleva
portarsi dietro i
suoi amici e far capire a loro che lui era il capo. Che era la sua
missione giornaliera, a conti fatti: si svegliava la mattina,
gonfiava il petto davanti al poster di All Might e si diceva
soddisfatto, perché un giorno l'avrebbe addirittura superato.
Tutti
nel suo quartiere sapevano che il capo era Katsuki Bakugou –
era
lui e nessun altro! Aveva costruito il suo regime dopo molte
ginocchia sbucciate, lotte con bastoni di legno e costumi da eroe
fatti con i sacchi della spazzatura. Chi poteva spodestarlo? Il
“Regno delle Super Bombe Terribili”, come lo
chiamava lui, andava
avanti da anni. Le bambine gli regalavano dolcetti per mostrare la
loro ammirazione ed i bambini gli portavano rispetto facendo tutto
ciò che voleva. L'unico che ogni tanto lo faceva incazzare
(perché
non importava che Katsuki Bakugou avesse otto anni, avesse da poco
perso gli incisivi da latte ed ora al posto di quei denti avesse un
buco e riuscisse a produrre scoppiettii quasi innocui dalle mani: lui
si incazzava) era Deku, come al solito.
Però Bakugou pensava
che se lui era nato per essere il capo, Deku evidentemente era nato
per disturbarlo – ed aveva smesso di porsi problemi sulla
questione: sarebbe rimasto sempre un povero idiota senza quirk.
La
scuola, per quel giorno, era finita. Bakugou camminava fiero in mezzo
agli altri bambini, impettito e soddisfatto degli elogi che stava
ricevendo da una sua coetanea, tutta rossa in viso ed entusiasta nel
parlargli. A dir la verità, Bakugou non stava ascoltando la
ragazzina: sapere che lo ammirava e che si stava sperticando in
complimenti gli bastava. Fu costretto a riaversi, però,
quando gli
venne infilato in mano a forza un bigliettino.
Bakugou si fermò
in mezzo al giardino della scuola, guardando con espressione confusa
e sospettosa quella bambina, rossa come un peperone e accompagnata da
due sue amiche che sembravano imbarazzate tanto quanto lei. Lui
alzò
un sopracciglio, e dopo qualche istante decise di aprire il pezzo di
carta che gli era stato messo in mano. La scrittura era disordinata
ed infantile, ma le parole non lasciavano spazio a dubbi: “Ti
vuoi mettere con me?
Iku”, con tanto di cuoricino dopo il
nome.
Bakugou sbatté un paio di volte le palpebre, incredulo:
cosa significavano quelle parole? Lui non aveva certo tempo di
pensare a certe cose! E soprattutto...
“Chi sarebbe questa
Iku!?”, sputò tra i denti, stringendo nel pugno il
biglietto e
finendo con l'accartocciarlo. Bakugou, se fosse stato un filo
più
empatico e meno concentrato su se stesso, avrebbe potuto
letteralmente vedere la voragine che si era aperta sotto i piedi di
quella bambina, mentre pigolava una risposta: “I-io...
Sia-siamo
nella s-stessa classe...”
Bakugou ghignò: “Ah! Tu?! Sei
illusa se pensi che io potrei mai avere a che fare con una femmina!
Non mi piaci e non mi piace neanche il tuo biglietto! Io devo
diventare il più forte di tutti – che vuoi che me
ne importi di
queste stupidate da femmine?!”
Si scaldò, aggressivo nel tono
e nell'espressione, mentre apriva la mano e lasciava cadere la cenere
rimasta dal foglio di carta bruciato dal suo quirk. Iku era
evidentemente sull'orlo delle lacrime, mentre una delle sue amiche
tentava disperatamente di trascinarla via tirandola dalla cinghia
dello zaino, e Bakugou la guardava in cagnesco – seppur in
cuor suo
soddisfatto di aver potuto ribadire per l'ennesima volta i suoi
obiettivi per il futuro.
“Ehy! Guarda che non sei stato per
niente gentile, amico!”, intervenne una voce dalle spalle di
Bakugou, che lo fece voltare con i palmi già aperti e
l'espressione
minacciosa. Un altro bambino un bel po' più alto di lui e
con degli
idiotissimi capelli rossi si stava avvicinando in
fretta,
severo nell'atteggiamento. Fu il turno di una delle amiche di Iku a
schiarirsi la voce ed arrossire tragicamente, mentre Kirishima si
posizionava proprio davanti a Bakugou e lo guardava con palese
disappunto: “Il tuo comportamento non è da uomo!
Dovresti
chiederle scusa!”
Bakugou sembrò improvvisamente più grosso di
almeno dieci centimetri, mentre affrontava il suo nuovo nemico:
“Di
te mi ricordo per colpa di quello schifo di capelli! Sei uno
nuovo!”
Kirishima annuì, le mani ben salde sui fianchi, deciso
a non retrocedere di neanche un passo: “Mi chiamo Kirishima
Eijirou.”
Bakugou digrignò i denti, mostrandoli: “Non me ne
frega niente di come ti chiami. Forse non sai ancora chi sono, per
questo parli così.”
Iku e le sue amiche si dileguarono, mentre
Kirishima piegava la testa di lato e tirava i lati delle labbra verso
il basso: “So chi sei. Bakugou Katsuki, sei al terzo anno.
Però
non è questo il discorso: hai visto che l'hai fatta
piangere?”
Bakugou scosse la testa a si avvicinò ulteriormente
all'altro
bambino, alzandosi sulle punte pur di farglisi sotto: “No, io
sono
il capo. E tu invece non devi
immischiarti!”
Kirishima
sembrò quasi tentennare, forse impressionato dalla forza
d'animo che
sprizzava da quel ragazzino grande tanto quanto lui. Fu solo un
attimo, tuttavia, perché non si diede per vinto e rispose a
tono
ancora una volta: “E chi ha deciso che tu sei il capo? I veri
capi
sono decisi da tutti quanti insieme.”
Bakugou sembrò davvero
colpito da quella domanda, stavolta. Era evidentemente incredulo, i
grandi occhi spalancati, offeso prima e furioso un secondo dopo:
“Tsk! L'ho deciso io, perché sono il
più forte! Vieni al parco,
oggi pomeriggio, e così ti mostrerò
perché tutti voi non valete
niente in confronto a me!”
Bakugou non pensava che Kirishima
avrebbe accettato quella proposta: quel tizio era senz'altro un
coniglio che si era mosso solo per impressionare le ragazze. Ora
sarebbe scappato a gambe levate e si sarebbe nascosto in casa, dietro
i genitori, senza più uscire per tutta la vita. Quel
Kirishima,
tuttavia, doveva essere molto più stupido di quanto Bakugou
avesse
creduto in un primo momento, dato che si stampò in faccia un
gran
sorriso emozionato ed annuì con decisione: “Va
bene. Vedremo se
sei davvero degno di essere il capo!”
E così dicendo, dopo aver
salutato agitando la mano, si allontanò verso il grande
cancello
della scuola, lo zaino su una sola spalla e l'aria baldanzosa.
Bakugou rimase fermo qualche secondo con gli occhi piantati sulla
nuca di Kirishima, mentre il crepitio delle piccole esplosioni
rendeva chiaro quanto fosse irrimediabilmente incazzato.
Era
stato un vero e proprio oltraggio. Anche i suoi amici erano d'accordo
con lui: quel Kirishima era uno stupido. Non sapeva davvero contro
chi si era andato a mettere, ma – oh, avrebbe messo le cose
in
chiaro, Bakugou, in un modo o nell'altro. Se fosse rimasto a casa sua
(come sarebbe stato saggio fare), allora il giorno dopo a scuola
avrebbe reso chiaro a tutti che Kirishima era proprio un codardo
scemo; aveva già deciso: l'avrebbe detto durante la
ricreazione e si
sarebbe assicurato che quel coniglio fosse presente. Se invece avesse
deciso di venire davvero a sfidarlo, allora avrebbe parlato al suo
posto l'occhio nero con cui sarebbe stato costretto ad andare in
giro. Sì. Era deciso.
Ora Bakugou era in cima allo scivolo
(scivolo che lui chiamava “Trono della Morte
Rossa”), che
osservava con fare tronfio tutto il circostante. Si divertiva a
scommettere con se stesso che, nel voltarsi, non avrebbe visto quella
fiammata di capelli ridicoli in avvicinamento – e continuare
a
vincere lo stava proprio divertendo.
Erano in dodici, quel
giorno, e due facevano da aiutanti a Bakugou. Gli altri giocavano in
tranquillità, ma questi due bambini erano stati messi dal
loro capo
a fare da sentinelle, nel caso Kirishima avesse deciso di farsi
vedere. Kafu, che era stato assegnato alla postazione dell'altalena,
ad un certo punto si drizzò sulle punte. E non c'erano dubbi
su ciò
che riuscì a vedere: corse a perdifiato verso Bakugou,
rimanendo ai
piedi dello scivolo e mettendo le mani a coppa davanti alla bocca per
farsi sentire meglio: “Ehy, capo! Il coniglio
saltella!”
Quelle
sarebbero dovute essere le parole in codice per segnalare l'eventuale
arrivo del rivale, ma Bakugou sollevò gli occhi al cielo e
grugnì
con sdegno: “Le parole d'ordine erano “Il coniglio
è fuori”,
idiota!”, ringhiò, mentre si alzava in piedi con
uno scatto e
assottigliava lo sguardo verso la direzione suggeritagli dall'amico.
E ciò che vide gli mandò il sangue al cervello:
non c'erano dubbi
che quel lampo di capelli appartenesse proprio a Kirishima.
“Non
molli proprio mai, eh?”, mormorò tra sé
Bakugou, mentre si puliva
il naso con la manica della maglietta. Fece un bel respiro e poi
scivolò giù dal Trono della Morte Rossa, le
braccia conserte
davanti al petto in attesa che il suo nemico giungesse al suo
cospetto.
Quando questo arrivò, Bakugou ghignò, non
riuscendo
molto bene a dissimulare il nervosismo che provava. Kirishima
continuava ad avanzare, con le mani in tasca e l'espressione sicura e
sorridente, in mezzo alle due ali formate dai bambini che avevano
interrotto i loro giochi per seguire quell'incontro che già
elettrizzava l'aria.
“Be'?! Hai deciso di far vedere quanto
schifo fai davanti a tutti?!”, sputò Bakugou,
fomentato dal tifo
che i suoi due amici, alle sue spalle, facevano per lui.
Kirishima
si limitò a stringersi nelle spalle, senza modificare
l'espressione.
Si grattò la nuca in modo sereno, mostrando i denti
affilati.
Quell'atteggiamento era inaccettabile, per Bakugou.
“Mostrami
il tuo quirk.”, comandò, i palmi rivolti verso il
bambino che di
tanto in tanto emettevano deboli scintille.
Kirishima non riuscì
ad impedirsi di catalizzare l'attenzione sulle mani di Bakugou. Aveva
saputo del suo quirk, ma non l'aveva mai visto in azione e –
era
impressionato. Gli sembrava un quirk molto figo, da vero uomo.
Spalancò gli occhi e si morse il labbro inferiore,
impedendosi di
cominciare a fargli domande: non era il momento di lasciarsi andare a
certe curiosità. Se fossero diventati amici (e Kirishima lo
sperava
tanto), avrebbe studiato quel fantastico potere da vicino.
“Ehy,
capelli di merda! Ho detto di mostrarmi il tuo quirk!”,
insistette
Bakugou, guadagnandosi bocche aperte dai suoi compagni, che avevano
chiaramente notato che stesse fremendo.
Kirishima scosse il capo,
ghignando: “No. Non sei mica il mio capo.” e sapeva
che nel dirlo
avrebbe rotto gli argini del fiume.
Difatti, Bakugou lo caricò a
testa bassa con un urlo (un urlo che somigliava molto ad un
prolungato “crepa”), le mani tese davanti a
sé, spalancate.
Kirishima riuscì a spostarsi verso destra, ma Bakugou lo
placcò,
abbracciandolo all'altezza della vita e spingendo fino a farlo cadere
di schiena. Il rosso si sentì i polmoni svuotati a causa del
colpo
contro il terreno che l'aveva colto impreparato, ma fu svelto nel
bloccare uno dei polsi dell'altro bambino, seduto sopra di lui, per
impedirgli di esplodergli un colpo in piena faccia. Kirishima attese
la detonazione, ma fu soddisfatto di ricevere la risposta alla sua
teoria: Bakugou aveva il suo quirk solo nelle mani, ed infatti il
bambino cercava in tutti i modi di raggiungerlo usando il braccio
libero. Kirishima spinse sotto le ascelle dell'altro fino a riuscire
a sollevarlo per ribaltare le posizioni, intenzionato a bloccargli le
mani ai lati del corpo, ma Bakugou era davvero un animale feroce: si
divincolava, emetteva sbuffi furiosi dal naso, mentre le mani
scoppiettavano, per ora libere dalla presa di Kirishima. La
situazione fu decisa quando il biondo mise a segno una gomitata nella
pancia dell'altro (che però non sembrò avere una
reazione
particolare eccezion fatta per la sorpresa) e riuscì a
imporgli
entrambe le mani all'altezza di una spalla. Bakugou ghignò
vittorioso, ansimante ed eccitato mentre faceva esplodere il suo
quirk ed attendeva di sentire il pianto disperato di quel coniglio.
Si sollevò un po' di fumo, che confuse la scena agli occhi
degli
spettatori, rimasti col fiato sospeso ad osservare. Poi, dopo qualche
istante, Kirishima cominciò a ululare di dolore, mentre si
teneva la
spalla ferita con entrambe le mani. Si allontanò un po'
traballante
dal corpo più piccolo di Bakugou, che si sollevò
sui gomiti,
incredulo. Che cazzo stava succedendo...?
Kirishima sembrava
proprio si fosse fatto male, da come si lamentava – anche troppo
male... Bakugou lo osservava, mentre una bambina accorreva in aiuto
del coniglio e gli diceva che l'avrebbe accompagnato a casa.
Così,
il rosso si avviò un po' zoppicante verso l'uscita del
parco, sempre
tenendosi la ferita ed aiutato dalla ragazzina.
“Ooooh, capo!
Sei stato grande!”, venne acclamato Bakugou da Kafu, che
arrivò
subito ad aiutarlo ad alzarsi. Ovviamente lui ignorò
l'offerta e si
alzò da terra da solo, guardandosi in modo sospetto le mani,
mentre
altri complimenti arrivavano dagli altri bambini. Addirittura
partì
un applauso, ma Bakugou non sembrava interessato: era successo
qualcosa, con Kirishima. Doveva riuscire a capire cosa.
Aveva
aspettato tutta la mattina perché suonasse la campanella
della
ricreazione. Appena questo successe, strusciò violentemente
la sedia
sul pavimento, guadagnandosi varie occhiate dai suoi compagni di
classe, e si alzò dal banco in fretta e furia. Non attese
che la
maestra finisse un rimprovero di qualche genere, perché
uscì subito
dalla stanza e si appostò davanti alla porta della sezione
di
Kirishima. Tentennava, Bakugou indeciso se entrare o aspettare che il
suo nemico uscisse, e proprio mentre si mordeva il labbro inferiore e
si faceva coraggio per infilarsi lì dentro, Eijirou
aprì la porta,
al fianco di un ragazzo dai capelli biondi e lisci con cui rideva
divertito. Bakugou si concentrò immediatamente sulla spalla
ferita
il giorno prima, ma non trovò niente, se non il bianco
dell'uniforme
scolastica.
“Uh? Ciao, Bakugou!”, agitò la mano
Kirishima,
avvicinandosi al bambino. Questi strinse le labbra l'un con l'altra,
osservandolo in modo torvo, prima di parlare: “Devo
parlarti.”
Fu
tutto lì. Non disse altro, mentre cominciava a camminare a
grandi
passi per il corridoio, facendo lo slalom tra gli studenti. L'altro
gli era dietro – riusciva a percepire quell'espressione
sempre
solare ed allegra da perfetto idiota – e si fermarono solo
quando
Bakugou non fu entrato in bagno, fortunatamente deserto, in quel
momento.
“Proprio qui? Che schifo, c'è puzza...”,
protestò
debolmente Kirishima col naso arricciato, mentre la porta si chiudeva
dietro di loro. Bakugou lo fulminò con lo sguardo, l'indice
teso con
fare accusatorio: “Devi spiegarmi cos'è successo.
Hai fatto un bel
teatrino, ieri, ed ha conquistato quegli stupidi che ci guardavano,
ma non hai di certo convinto me. Lo so che la mia esplosione non ti
ha fatto proprio un cazzo.”, sputò con collera,
colpendo con forza
proprio la zona che il giorno prima pensava avrebbe ferito.
Kirishima si illuminò, gongolando in modo evidente.
Però
dovette immaginare che in quel modo non avrebbe fatto altro che far
incazzare di nuovo Bakugou, perché si tirò su la
manica della polo
dell'uniforme e mostrò come la pelle gli diventasse
frastagliata,
simile ad una roccia.
“E' il mio quirk. Posso indurire la mia
pelle e renderla quasi indistruttibile. Perciò ho
neutralizzato
abbastanza facilmente il tuo quirk. Che però è
molto figo, amico! È
super virile!”, soggiunse Kirishima, annuendo impressionato.
L'avambraccio tornò normale e lui si riabbassò la
manica, mentre
Bakugou, rosso in viso, si guardava le mani. Non erano servite a
niente, contro quell'idiota... non poteva neanche insultarlo,
perché
non trovava le parole adatte. E questo non faceva altro che
frustrarlo ancora di più.
“E allora perché hai fatto finta
che ti avessi fatto male? Sei scemo?”, chiese con sdegno,
stringendo i pugni e tenendo le braccia rigide lungo il corpo.
Kirishima scrollò le spalle, tirò sul col naso e
ciondolò un
po' la testa, prima di parlare: “Perché gli altri
bambini credono
davvero che tu sia imbattibile. Sarebbe stato molto poco da uomo
mostrare a tutti che non puoi farmi male.”
Bakugou spalancò gli
occhi e mosse un passo verso di lui, pestando un piede:
“Sì che
posso farti male, idiota!”
Kirishima ridacchiò, infilandosi di
nuovo le mani in tasca: “Be', lo vedremo! Per ora possiamo
essere
amici.”
Ci fu uno sbuffo e il biondo borbottò, indignato:
“Non
siamo amici.”, mentre guadagnava l'uscita del bagno e
fulminava il
suo compagno con un'occhiataccia da sopra la spalla.
Poi spalancò
la porta, tenendola aperta. Parlò dopo solo qualche secondo:
“Allora?! Che cazzo fai, non vieni?!”
Kirishima trotterellò
vittorioso verso Bakugou, affiancandoglisi. Camminarono insieme nel
corridoio, mentre quello stupido coi capelli ridicoli blaterava di
quanto fosse “figo” e “virile”
il suo quirk. Sembrava
emettere luce, tanto era appassionato e sicuro di quel che stava
dicendo, e Bakugou abbassò la testa e si fissò la
punta delle
scarpe che entravano ed uscivano dal suo campo visivo. Forse quel
Kirishima non era tanto male, in fondo.
Walking_Disaster's
corner:
Storia scritta per il Boku
no Hero Academia: Fanfiction Challenge! con il prompt
"Infanzia".
Che dire? Prima apparizione nel fandom (e spero e penso non ultima) fatta grazie a questa challenge adorabile. Un paio di appunti e mi dileguo: ammetto di essere ignorante per quel che riguarda il sistema scolastico giapponese, perciò non so se effettivamente a otto anni si sia nella terza classe. Datemela per buona, plz. E quel "Tu non molli proprio mai, eh?" detto da Bakugou mentre aspetta Kirishima è farina del sacco di Gideon Grey, volpe che picchia Judy Hopps in Zootropolis. Il rimando si è infilato di straforo. Ultimo ma non ultimo: ho cercato di usare un registro linguistico adatto a dei bambini sia nella narrazione che nei dialoghi - inteso come ritmo, più che come lessico. Volevo evitare di usare troppe parolacce anche per Baku, dato che anche lui è un bambino, andando su varianti più infantili quali "scemo" o "stupido", ma ogni tanto qualche parola più adulta m'è sfuggita.
Spero vi sia piaciuta,
lasciatemi due parole, se vi va ♡
WD